L’uscita di “Wounds” nel periodo pre-natalizio non ha forse aiutato i Despite Exile a trovare il posto che avrebbero meritato nelle classifiche di fine anno di molti lettori e addetti ai lavori, nondimeno per chi se la fosse persa la loro ultima fatica è una delle migliori uscite tricolori in una scena come quella deathcore/metalcore/djent che sta regalando parecchie soddisfazioni sia sul versante più mainstream che su quello underground. Dopo averli visti in azione di spalla ai Destrage qualche mese fa, abbiamo quindi colto volentieri l’occasione per fare due chiacchiere con il sestetto friulano, qui rappresentato dal bassista/paroliere Giovanni Minozzi…
COM’E’ STATO PASSARE DALLA LIFEFORCE ALL’AUTOGESTIONE?
– Tra “Relics” e “Wounds” ci siamo appoggiati ad una piccola etichetta americana, la Famined Records, ed ora abbiamo il supporto di una loro società di management, la Kontrolla Music Group, che ci ha dato una mano a pianificare l’uscita dei singoli e a gestire le piattaforme di streaming, anche se da fuori l’impressione è che siamo completamente DYI, visto che non abbiamo pubblicizzato la cosa in alcun modo. Al giorno d’oggi per una band come la nostra credo possa essere utile l’aiuto di un’etichetta che abbia voglia d’investire un minimo in promozione (produzione, video, eccetera), ma a volte l’impressione è che si paghi più per il nome dell’etichetta stessa come sinonimo di credibilità.
AL NETTO DELLO STREAMING, AVETE PREVISTO COPIE FISICHE DI “WOUNDS”?
– Siamo partiti con poche copie, focalizzandoci principalmente sui pre-order, ma per fortuna sta andando molto bene quindi probabilmente ne ristamperemo degli altri. Avevamo pensato anche come sfizio a stampare dei vinili, ma sarebbe stato impossibile come tempi e costi: nonostante la musica sia sempre più liquida, evidentemente c’è ancora molta domanda almeno in determinate nicchie di mercato.
E’ PIU’ FATICOSO SUONARE METAL NELL’ITALIA POST-PANDEMIA?
– Abbiamo in un certo senso appena ricominciato a suonare dal vivo per cui mi riservo un giudizio più completo più avanti, ma al netto delle ovvie considerazioni sul periodo difficile per tutti credo la pandemia abbia da un lato fatto una sorta di selezione dei locali più meritevoli e dell’altro acuito la voglia di musica dal vivo da parte della gente, anche se qui ci sarebbe anche il tema della sostenibilità dei tour se perfino Taylor Swift sostiene di non riuscire ad andare in pareggio (risate, ndr)! Quest’ultimo comunque è un tema relativo per una band con una dimensione più ‘provinciale’ come la nostra, e come dicevo in questi mesi ho perecepito un grande entusiasmo che speriamo duri a lungo.
IL DEATHCORE E’ AL MASSIMO DELLA SUA POPOLARITA’, DAI LORNA SHORE AI DARKO PASSANDO PER I FIT FOR AN AUTOPSY…
– Fit For An Autopsy e Darko sono due nomi che seguiamo con molto interesse, così come i Chelsea Grin o i Fallujah; i Lorna Shore, con cui abbiamo suonato l’estate scorsa a Padova, non sono il mio gruppo preferito ma è stato bello vedere la gente impazzire per loro come succedeva negli anni Novanta per le boy band. Per il resto sul fronte più metal amiamo molto gli Shadow Of Intent così come sono contento per il successo che stanno finalmente avendo i Bleed From Within, con cui abbiamo condiviso un tour in Giappone. Noi non sappiamo bene come definirci (forse ‘post-deathcore’, giusto per far infuriare qualcuno), ma anche se a volte abbiamo il timore di essere incoerenti nel miscuglio di generi la risposta avuta finora è stata superiore alle nostre aspettative.
QUAL E’ STATO L’ARTISTA CHE TI HA SPINTO A SUONARE IL BASSO?
– Il mio primo idolo come bassista è stato Paul McCartney, se devo essere sincero. A livello di metal il primo amore sono stati i Linkin Park, ma all’epoca abitavo di fianco a Jei, il nostro cantante, e lo sentivo suonare i System Of A Down con la chitarra, per cui io rispondevo suonando lo stesso brano al basso, fintanto che non ci siamo incontrati in giardino e abbiamo deciso di mettere su una cover band (risate, ndr). Poi sono arrivati gli Slipknot e tanti altri classici, ma tutto è partito da lì.
COME MAI LA SCELTA DI AVERE TRE CHITARRE?
– Abbiamo avuto molti cambi di line-up in questi anni, e dopo il tour in Giappone eravamo rimasti in quattro, ma ci siamo resi conto che volevamo fare un salto di qualità dal punto di vista live, cercando di minimizzare il numero di backing track limitandolo agli aspetti più ambient. Così per prima cosa abbiamo reclutato Ale Carminati, che è anche un ottimo fonico e ci ha fatto fare un salto avanti dal punto di vista di tecnica del suono, e poi abbiamo iniziato a provare con Francesco Comuzzi, che all’epoca era probabilmente uno dei nostri fan più sfegatati, per avere un backup dato che Ale vive all’estero. La formazione a tre chitarre si è rivelata perfetta per dare più spazio a Sanchez, il nostro compositore principale, e dal vivo ha funzionato molto bene anche dal punto di vista scenografica, un po’ come i Whitechapel se vogliamo trovare un esempio famoso. A livello di gestione degli spazi sul palco non è sempre facile, ma il wall of sound vale qualche sacrificio logistico.
LA SCENA FRIULANA HA DATO VITA A TANTE BAND COME SLOWMOTION APOCALYPSE, RAINTIME/FAKE IDOLS, ELVENKING: VI SENTITE PARTE DI UN MOVIMENTO?
– Ci sentiamo molto fortunati perchè siamo forse una delle ultime band ad aver avuto la possibilità di prendere parte all’epoca d’oro del metal/hardcore/punk in Friuli, partita negli anni Novanta e continuata fino all’inizio degli anni Dieci: all’epoca eravamo appena nati, con un progetto precedente ai Despite Exile, e suonavamo veramente da schifo, ma abbiamo comunque avuto la possibilità di suonare in parecchi locali tra Udine e Trieste, facendoci le ossa dal vivo. Subito dopo tutto questo si è dissolto, al punto che oggi in Friuli credo i locali si contino sulle dite di una mano, così come pure le sale prove sono quasi tutte sparite, al netto di una parziale ripresa nell’ultimo anno. Nel frattempo ci siamo spostati verso il Veneto, anche se siamo un po’ sparpagliati: metà della band è a Udine, io a Padova, il nostro batterista a Milano e l’altro chitarrista a Londra, anche se abbiamo una base in Friuli dove ci troviamo ogni mese per provare tutti insieme e lavorare su nuova musica.
TU E JAI SIETE IMPEGNATI ANCHE OLTRE L’ASPETTO PRETTAMENTE MUSICALE DEI DESPITE EXILE, CORRETTO?
– Sì, Jai aveva prodotto “Relics” visto che non eravamo soddisfatti del lavoro fatto all’epoca dal producer ufficiale, quindi poi ha aperto un suo studio a partita IVA, subito prima del Covid: in questi anni come puoi immaginare ha dovuto barcamenarsi anche con altri lavori, ma il suo obiettivo è quello di lavorare a tempo pieno nella musica. Io invece ho appena finito un dottorato in filosofia tra Padova e Parigi ed ora sto provando ad entrare nel mondo dell’insegnamento universitario, quindi ho preso in mano la parte più concettuale della band, cercando di trasferire nei testi le riflessioni nella mia testa. Ad esempio per “Wounds” ho preso spunto dalla pandemia, nello specifico la ‘cicatrice’ è qualcosa che ferisce ma al tempo stesso unisce, proprio come l’emergenza ci ha separati fisicamente ma uniti moralmente, quindi il concept è quello di valorizzare le ferite a partire dall’oro della cicatrice in copertina. In genere scrivo sulla musica immaginando già le metriche, poi ovviamente rivedo tutto con Jai e aggiustiamo insieme il tutto in modo da farlo rendere al meglio anche a livello musicale.
QUAL E’ IL TUO FILOSO PREFERITO?
– Ho lavorato molto su Alain Badiou, un filosofo francese pazzoide neo-platonico con tanta psicanalisi e tanto Hegel, che va poco di moda ma è sempre attuale.
IL VOSTRO BATTERISTA DAL VIVO SUONA A 300 BPM CON L’APLOMB DI CHI STA BEVENDO UNA CAMOMILLA…
– Sì, noi sospettiamo sia un cyborg con le fattezze di Joseph Gordon-Levitt, al punto che ogni tanto mentre suona tira fuori questi sorrisi con faccia da divo. Pensa che quando ha iniziato a suonare con noi era ancora più impostato: ora sta iniziando a sciogliersi, ma al di là dell’aspetto scenico l’importante è comunque il risultato, e su questo direi che non è secondo a nessuno. E’ arrivato con noi nel 2017 ed à stato amore a prima vista, quindi siamo davvero fortunati ad averlo trovato, vista anche la situazione dei batteristi metal in Italia e nel resto del mondo.
LA VOSTRA PIU’ GRANDE SODDISFAZIONE FINORA E’ STATO IL TOUR IN GIAPPONE?
– Sì, è stata una botta di culo incredibile, anche perchè era la prima volta che la maggior parte di noi usciva dall’Europa, e poterlo fare in un posto affascinante come il Giappone e aprendo per una band eccezionale come i Bleed From Within è stato davvero fantastico. Anche suonare al Dissonance con As I Lay Dying e Lorna Shore è stata una bellissima esperienza, nonostante fosse il 17 di agosto e sia venuto giù un diluvio universale, che comunque ha reso il tutto ancora più epico. Il nostro concerto più grande in assoluto comunque è stato a Majano, in Friuli, quando abbiamo aperto per i Trivium nel 2015.
QUANTO SONO IMPORTANTI I SOCIAL PER VOI?
– Sono fondamentali al giorno d’oggi in quanto interfaccia principale con il pubblico, e serve avere all’interno della band qualcuno che sappia maneggiare foto, video, eccetera. Da noi se ne occuma principalmente Jai, con l’aiuto del nostro vecchio chitarrista Carlo che ha competenze grafiche, mentre Fancesco Comuzzi, essendo il più giovane, gestisce Tik Tok, che in questo momento è la piattaforma più redditizia dal punto di vista pubblicitario. Ovviamente poi al di là delle foto e dei video belli la cosa più importante resta la ‘spettinatura’ nei live, altrimenti la sola immagine non basta per fare strada.