Riprendendo un po’ il tema delle farfalle che vediamo rappresentato sugli occhi della bambina nella copertina di “A Means To No End”, possiamo dire che una nuova forma dei Destrage è nata dai solchi di questo album. Una forma forse più definita e focalizzata, ma che non rinuncia al suo spirito iniziale e che mantiene i colori variopinti che ancora adesso adornano le sue ali. Presenti anche noi in occasione del preascolto del nuovo album, abbiamo partecipato attivamente al fuoco di fila che la stampa specializzata ha aperto contro la band al completo, raccogliendo importanti dichiarazioni che chiariscono bene come la band tricolore si veda in questo momento della propria carriera.
PARLANDO DI “A MEANS TO NO END”, È FACILE PENSARE CHE IN REALTÀ SIANO QUASI DUE DISCHI DISTINTI, CON LA PRIMA PARTE A RAPPRESENTARE UNA SORTA DI PASSAGGIO DAI VECCHI DESTRAGE, E LA SECONDA PARTE E DIPINGERE I DESTRAGE NUOVI, ATTUALI. CHE NE PENSATE?
“Più o meno hai ragione. Nel senso, non sono due dischi distinti, non mi spingerei a tal punto nel dargli una descrizione, però è vero che le due parti di questo disco hanno un anima un po’ diversa. La prima parte è più aggressiva, questo sicuramente, e mi sbilancerei anche a dire che è un po’più attaccata alle nostre radici. La seconda è più sperimentale, quello sì. Ecco,diciamo che la prima parte fa un po’ da collante con il resto della discografia, con la seconda parte si esplora qualcosa di nuovo“.
MA QUESTA ERA UNA COSA VOLUTA? LE CANZONI SONO STATE COMPOSTE CON QUESTO OBIETTIVO?
“No, non direi. Anzi, i brani non sono stati per nulla composti in quest’ordine, quindi non possiamo certo dirti chi volevamo essere nè quando, in questi brani… certo è che quando li abbiamo distribuiti sulla tracklist volevamo ottenere un certo tipo di risultato, che poi è quello che avete notato anche voi. Una parte introduttiva un po’ più legata alla vecchia immagine dei Destrage, e una parte nuova, che spalanca diversi portoni”.
LA SCALETTA È STATA QUINDI RAGIONATA CON CRITERI PARTICOLARI?
“Esatto. Sta proprio lì il punto. In tutti gli altri dischi abbiamo sempre saltato di qui e di là, alternando pezzi stilisticamente differenti per creare eterogeneità e contrasto. Qui invece si è optato per una scelta che definisse meglio la personalità del disco. Il setting finale della scalette è di sicuro molto uniforme,con le canzoni simili raggruppate, e questo non l’avevamo mai fatto prima.”
IL MODO DI SCRIVERE E DI COMPORRE È PERÒ SEMPRE LO STESSO O ANCHE QUELLO HA SUBITO DEI MUTAMENTI?
“Abbiamo composto il disco in una maniera nuova. Trovandoci tutti in una stanza, con gli amplificatori accesi, e sempre tutti insieme. Niente lavoro da studio individuale, ci si è sempre trovati assieme, si è sempre cercata la soluzione ai momenti in cui ci si bloccava assieme e in genere si è sempre lavorato di squadra per mettere insieme i vari pezzi. E’ stato un album che abbiamo scritto ‘suonandolo’, non componendolo. C’è poi stato ovviamente molto da lavorare anche in consolle, per sistemare le varie cose… ma diciamo che non potevamo considerare chiuso un pezzo finchè non lo si era suonato tutto dall’inizio alla fine in sala. Possiamo parlare di un disco istintivo, di pancia, direi!”.
ABBIAMO TROVATO CURIOSA L’ANTITESI TRA I TITOLI ‘A MEANS TO NO END’ E ‘ENDING TO A MEANS’, CHE SEMBRANO APPUNTO UN PO’ RINCORRERSI, O ESSERE COLLEGATI… SCELTA DEI TITOLI E POSIZIONE IN SCALETTA SONO IN EFFETTI STUDIATE AD ARTE?
”Scelta dei titoli e posizione in scaletta forse sì, ma a livello tematico ovviamente no, visto che ‘Ending To A Means’ è in effetti uno strumentale, non ci sono parole. Diciamo che si tratta di qualcosa che abbiamo scelto volutamente, per mettere un richiamo al titolo dell’album dentro la scalette stessa, ma che non bisogno per forza cercarci chissà quale altro significato recondito”.
DIVERSE VARIAZIONI SI SONO COLTE NELLA VOCALITÀ DI PAOLO, IN QUALCHE MODO PIÙ PULITA E PIÙ INTELLEGIBILE. ERA QUALCOSA DI VOLUTO?
“Sì, questa volta ti rispondo con certezza. Ho voluto essere più chiaro, più intellegibile, appunto. E non solo nei frangenti più melodici, anche nelle parti tirate il mio approccio è meno growl e più punk. Sono stanco di quelle produzioni con quaranta linee di growl, scream, e vocals gutturali sovrapposte solo per dare potenza. Anche perché, secondo me, si perde quello che poi è lo scopo principale, cioè ovviamente la riproposizione dal vivo. Ho cercato per tutto il disco di andare su uno stile che fosse sì più scarno, ma che avesse poi l’effetto di rendere più visibili quelle che sono le melodie portanti. L’approccio è cambiato molto, è vero. Questa cosa la senti bene anche magari su ‘Peacefully Lost’… un brano un po’ diverso, quasi prog, ecco”.
ANCHE SE AVETE DETTO DI AVER LAVORATO IN MANIERA PIÙ CRUDA E ‘LIVE’, TUTTI INSIEME IN UNA STANZA, NON ABBIAMO TROVATO MOLTE STRUTTURE SEMPLICI IN QUESTE CANZONI. ANZI, DIREMMO QUASI NESSUNA! COME FATE A CAPIRE QUANDO UNA VOSTRA CANZONE È CONCLUSA? NON SEMBRATE AVERE LINEE GUIDA DA SEGUIRE, QUINDI PER OGNI BRANO DECIDERE QUANDO È FINITO SEMBREREBBE ESSERE UNA FACCENDA SCIVOLOSA…
“Non c’è una risposta. Alla fine, siamo sempre noi, abbiamo sì lavorato in un modo diverso, ma non è che siamo cambiati completamente come compositori oppure come band. Alla fine, è comunque sempre un lavoro di squadra. Lavoriamo assieme da anni, ci conosciamo bene, e in qualche modo quando per uno di noi una stratificazione è di troppo, o quando una parte di batteria risulta troppo semplice… lo capiamo, ecco. Capiamo quando fermarci, non c’è un modo. Poi, che vi devo dire, una volta che l’album viene registrato e lo riascolti, come abbiamo fatto oggi, capita sempre che magari ci trovi qualcosa che toglieresti, o qualcosa che invece metteresti…. Penso sia inevitabile”.
A PROPOSITO SEMPRE DI STRUTTURE E SOLUZIONI COMPLESSE, SOPRATTUTTO NEL LAVORO DI PAULO, MA ANCHE IN MOLTE PARTI DI CHITARRA TROVIAMO UNA COMPLESSITÀ ESECUTIVA NOTEVOLE. COME SI PUÒ CONIUGARE IL FATTO DI SUONARE UNA MUSICA AGGRESSIVA ED EMOZIONALE COME LA VOSTRA CON LA FREDDA CONCENTRAZIONE NECESSARIA A ESEGUIRE QUESTE PARTI MOLTO DIFFICILI?
“Mah, vi dirò. Tutta questa complessità una volta che riproponi la canzone live un po’ scompare. Non posso dire che registrare ‘Means To No End’ sia stato facile, anzi, però posso ripetere che forse è un disco un po’ più live oriented degli altri, questo sì. Ci sono certo parti complicate… sul disco si sentono e mi piace che le avete notate, però una volta che le riproponiamo si suonano quasi un po’ da sole. Quasi. Diciamo comunque che, relativamente a questo disco, c’è una struttura base sufficiente a reggere la canzone la quale rimane relativamente semplice, la complessità finale è data più che altro da quanto ci abbiamo aggiunto dopo”.
MA QUESTO NON VA CONTRO A QUANTO SI SOSTENEVA PRIMA, PARLANDO DI UN DISCO ISTINTIVO, VISCERALE… UN DISCO ‘DI PANCIA’, DICEVATE?
“Ecco, specifichiamo meglio questo fatto. La partenza,lo spunto,per i brani di questo album sono stati del tutto viscerali. L’ispirazione del momento è ciò che ha definito le basi e l’identità di ogni canzone. Quello che ci aggiungiamo poi, è un po’ come vestirsi. La persona è l’idea iniziale, l’arrangiamento o la soluzione ritmica aggiunta dopo sono i vestiti. Quindi, una volta definita la persona, sta noi decidere se vestire di più il pezzo o lasciarlo un po’ più nudo… beh, io la vedo così. Quindi certo, qualche passaggio ardito c’è, ma l’essenza di questi brani è, di fatto, un po’ più adatta alla riproposizione dal vivo”.
IL SINGOLO COME LO AVETE SCELTO?
“’Symphony Of The Ego’ è uno dei primi brani che abbiamo registrato per ‘A Means To No End’. L’abbiamo scelto come singolo perché ci piaceva, certamente, e perché secondo noi è l’ideale punto di congiunzione tra la parte più sperimentale dell’album e la roba che facevamo prima. Un ponte di collegamento, che aiuta i fan legati molto alle sonorità degli scorsi album ad accettare ed esplorare la parte invece più ‘nuova’”.
CONTINUATE A PARLARE DI DESTRAGE ‘VECCHI’ E DESTRAGE ‘NUOVI’. VI CONSIDERATE DAVVERO COSÌ CAMBIATI ANCHE COME PERSONE? IN QUALI PUNTI VEDETE TUTTA QUESTA EVOLUZIONE?
“Come persone siamo cambiati tanto. Ma è ovvio, sugli scorsi dischi avevamo venticinque, ventisei anni… ora ne abbiamo trenta. Per quanto riguarda ‘A Mens To No End’ direi che qui c’è meno voglia di dimostrare e più voglia di regalare. Ok, frase da Baci Perugina, ma è così. Forse ci sentiamo di dover dimostrare di meno, e così abbiamo composto la musica che volevamo farvi sentire”.
CHIUDIAMO INVECE PARLANDO NON TANTO DI VOI COME PERSONE O MUSICISTI MA QUANTO DI MOTIVAZIONI. I MOTIVI PER CUI SUONATE SONO GLI STESSI DEGLI INIZI? O VIA VIA CHE SI RAGGIUNGONO TRAGUARDI I MOTIVI CAMBIANO ANCH’ESSI?
“Le motivazioni sono le stesse. Sono ingrandite, ma sono le stesse. Perché, mano a mano che si va avanti, aumenta tutto. Aumentano le gioie, ma aumentano anche le tensioni. Aumentano le prese male e le delusioni. Però aumentano anche i mezzi, aumenta il team di lavoro, aumentano le opportunità… chiaro che i motivi per i quali siamo partiti sono gli stessi, però l’orizzonte visuale è sicuramente più ampio”.