DESTRUCTION – Il ritorno del Mad Butcher

Pubblicato il 09/04/2022 da

I Destruction raggiungono quota quarant’anni di carriera e quale miglior modo di festeggiarlo se non quello di rilasciare un album in grado di riportare in auge un monicker che, soprattutto negli ultimi anni, sembrava lentamente perdere i colpi? “Diabolical”, frutto di una completa rivoluzione interna alla band, costellata lo scorso agosto dall’uscita dello storico fondatore Mike Sifringer, ha infatti rilanciato la band di Schmier, dando nuova linfa, energia e freschezza all’intero gruppo. L’esperienza da una parte, garantita dallo stesso bassista e dal batterista Randy Black, la grinta dall’altra, rappresentata dalla coppia alle sei corde Eskic-Furia, hanno contribuito alla realizzazione di un disco compatto e vario, capace di richiamare i fasti di un tempo. Ed è proprio con Schmier che abbiamo parlato del nuovo “Diabolical”, degli ultimi avvenimenti in casa Destruction e di questi quarant’anni di thrash trascorsi insieme alla band teutonica. Buona lettura!

CIAO SCHMIER E BENTORNATO SULLE PAGINE DI METALITALIA.COM. HO VISTO SUL PROFILO INSTAGRAM DELLA BAND CHE STATE LAVORANDO AD UN NUOVO VIDEO (l’intervista si è svolta nel mese di febbraio, ndr). PER CUI, QUALI SONO LE PRIME IMPRESSIONI DI “DIABOLICAL” IN VISTA DELLA RELEASE UFFICIALE?
– Sono veramente orgoglioso di quanto abbiamo fatto. E’ un disco speciale, realizzato in circostanze speciali da un lato e veramente complicate da un altro. Abbiamo nuovamente cambiato line-up, in precedenza abbiamo lasciato la Nuclear Blast e nelle vite di tutti noi ci sono stati dei profondi e difficili cambiamenti dovuti alla situazione che tutti sappiamo e abbiamo vissuto. Per cui sono molto felice che ad un certo punto la band è riuscita ad avvicinarsi, trascorrendo del tempo insieme per produrre il nuovo album. Come secondo chitarrista abbiamo trovato un ottimo sostituto in Martin Furia, già nostro tecnico del suono e tour manager per diversi anni. Cosa aggiungere? E’ stato un album difficile ma è stato veramente bello registrarlo; non posso che essere molto soddisfatto del suo risultato.

PARLAVI DI FORMAZIONE E DI NUOVI CAMBIAMENTI. FACCIAMO QUINDI UN PASSO INDIETRO E ANDIAMO ALLO SCORSO ANNO QUANDO E’ GIUNTA LA NOTIZIA DELL’ABBANDONO DI MIKE DALLA BAND. COSA CI PUOI DIRE IN MERITO? QUANDO HAI CAPITO CHE LA STORIA TRA MIKE E I DESTRUCTION ERA GIUNTA AL CAPOLINEA?
– Ripensandoci sono ancora scioccato di quanto è avvenuto: non mi aspettavo che prendesse una decisione simile. Nessuno a dir la verità pensava che le cose andassero così. Sai, alcune volte, puoi avere un sentore, qualche dubbio: magari non vuole andare in tour o oltre situazioni del genere. Ma in quel periodo non eravamo per nulla in tour anzi, con l’arrivo del Covid, siamo stati parecchio fermi, a casa. Probabilmente questa situazione ha rafforzato la sua decisione finale. Gli ho parlato anche perché, per noi, indubbiamente, sarebbe stato un grande passo da affrontare. Ha avuto un mese di tempo ma non è mai tornato, non sono arrivati messaggi di un suo possibile ritorno. Dalla band era praticamente già sparito dal mese di marzo ma, tra una cosa e l’altra, l’annuncio è stato fatto ad agosto in quanto ho sempre pensato che avrebbe cambiato idea. E invece… Non me l’aspettavo, sono sincero!

LA SCELTA DI SOSTITUIRE MIKE CON MARTIN E’ ARRIVATA IMMEDIATA OPPURE HAI PENSATO AD UN RITORNO AD UNA FORMAZIONE A TRE?
– No no, ormai da qualche anno la band era quattro elementi e stava progredendo bene su questa strada: c’era maggior positività con due chitarre, per cui non volevamo tornare con un solo membro ad occuparsi delle parti alla sei corde. Stavamo quindi cercando dei ragazzi, e Martin è stata subito una delle nostre prime scelte: lo conosciamo: è un amico, un bravo ragazzo, un grande chitarrista. Non sapevamo se avesse potuto funzionare: avevamo anche altri ragazzi sulla lista, ma alla fine Martin è stata la scelta migliore per tutti noi.

POSSIAMO QUINDI PARLARE DI UNA NUOVA ERA PER I DESTRUCTION?
– Diciamo che non tutti hanno la forza di proseguire su questa strada e di ‘fare business’ con la musica. Con il Covid poi, molti gruppi hanno mollato proprio perché è difficile sopravvivere. Ma in generale, la scelta di proseguire non è semplice e in parecchi negli anni hanno lasciato – chi per motivi economici, chi per mancanza d’ispirazione, chi per scelta famigliare. Per me, invece, la musica è sempre stata al primo posto: ho preso molte decisioni per la musica, in tutta la mia vita. Sai, molte delle mie ragazze se ne sono andate a causa delle mie scelte; molti dei miei amici se ne sono andati perché ho scelto la musica, quindi non c’è modo di rinunciare ad essa per nessun’altra cosa. Pertanto continuo a combattere, non c’è mai stata l’idea di mollare: questa band è la mia vita. Sono molto felice di avere persone fantastiche con me: Randy lo conosco già da dieci anni e sei anni fa è entrato a far parte della nostra squadra. Stesso discorso per Damir: è un mio caro amico! C’è molta positività ed energia all’interno della band e la speranza è quello di aiutarsi sempre così il più a lungo possibile.

A PROPOSITO DI SENSAZIONE POSITIVE, PASSIAMO AL VOSTRO NUOVO ALBUM, “DIABOLICAL”. L’ENTRATA IN SCENA DI MARTIN FURIA HA CONTRIBUITO A CREARE UN MIX COMPLETO TRA MELODIA ED AGGRESSIVITA’. SEI D’ACCORDO?
– Assolutamente: abbiamo due chitarristi molto diversi tra loro e li abbiamo sfruttati al massimo per ottenere questo suono; la band ha suonato il meglio di sempre con molta velocità, aggressività inserendo, a conferma dell’equilibrio che hai sottolineato, momenti più orecchiabili e melodiche. Penso che sia un volto che si adatta molto bene alla band: non per questo l’album è meno malvagio o meno brutale. È solo più vario, uno dei più vari in generale. I Destruction saranno sempre una thrash band, ma con i due chitarristi abbiamo aggiunto un nuovo volto, un piccolo extra che porta il lavoro ad essere ancora più interessante. Penso che “Diabolical” sia molto buono proprio per questo, riprendendo in alcuni casi quei momenti già sentiti in dischi come “Release from Agony” per esempio quando Harry (Wilkens, chitarrista dei Destruction dal 1987 al 1990 e presente negli album “Release From Agony” e “Cracked Brain”, ndr), era nella band.

UN “DIABOLICAL” CHE SI PRESENTA QUINDI SOTTO VARIE VESTI. C’E’ UN BRANO CHE PREFERISCI PIU’ DI ALTRI?
– Sinceramente è molto difficile sceglierne uno in quanto vi sono parecchie canzoni meritevoli su questo album. Ci piace sempre riascoltare il disco tutti insieme quando è finito così da decidere quale suona meglio, così da selezionarla per portarle on stage. Ma non sempre funziona sai? Spesso quando la provi, infatti, non suona così bene come su disco. Per quanto riguarda “Diabolical” vi sono quattro o cinque brani, tra cui “The Lonely Wolf” con un suono molto groovy, che potremmo suonare dal vivo: lo decideremo anche con il supporto dei fan, online; vedremo come reagiranno.

HAI CITATO “THE LONELY WOLF”; DA PARTE MIA, TRA I PEZZI SICURAMENTE CLOU METTEREI “THE LAST OF A DYING BREED” E “SERVANTS OF THE BEAST”. TRE BRANI CHE DIMOSTRANO LA VARIETA’ A CUI ACCENNAVI. TI CHIEDO QUINDI IL MOTIVO DI AVER SCELTO DI RILASCIARE “STATE OF APATHY” COME PRIMO SINGOLO? UNA CANZONE CHE, A CONFRONTO CON ALTRI EPISODI, E’ FORSE UNA DELLE MENO IMPATTANTI.
– Volevamo creare un ponte tra passato e presente, mostrando ai fan che siamo ancora i Destruction. E questo attraverso una canzone veloce e compatta; un brano che suona Destruction al 100% mettendo in evidenza che il gruppo ha mantenuto la sua forza e la sua brutalità. E’ stato un primo segnale per mettere in allerta l’ascoltatore e avvisarlo di stare attento e prepararsi all’arrivo di nuovi singoli, come è stato quello di “Diabolical”.

PARLANDO PROPRIO DELLA TITLETRACK, AVETE DECISO SIN DALL’INIZIO DI REALIZZARE UN VIDEO INCENTRATO SUL MAD BUTCHER OPPURE E’ STATA UN’IDEA SUCCESSIVA, ABBINANDOLO AL TESTO DELLA CANZONE?
– Ho scritto innanzitutto la canzone e poi rileggendola ho pensato alla possibilità di costruirci un video. E con chi? La mia scelta è andata subito al Mad Butcher. Erano dodici anni che non era protagonista in un video dei Destruction, dai tempi di “Carnivore” del 2010. E allora mi son detto che era giunto il momento di farlo tornare ed il testo di “Diabolical” era perfetto per il suo ritorno.

PARLIAMO UN ATTIMO DI RANDY BLACK: PENSO CHE IN “BORN TO PERISH” ABBIA FATTO UNA SORTA DI RISCALDAMENTO E CHE ORA, CON “DIABOLICAL”, ABBIA MESSO SUL TAVOLO TUTTE LE SUE INDUBBIE CAPACITA’ GIA’ MOSTRATE A SUO TEMPO CON PRIMAL FEAR E ANNIHILATOR. COSA NE PENSI A RIGUARDO?
– “Born To Perish” è stato il suo primo album con i Destruction; si era appena unito alla band ma nonostante questo penso abbia fatto un ottimo lavoro. Per “Diabolical” la situazione è cambiata: conosce alla perfezione il sound tipico dei Destruction, molto impegnativo e veloce, suonando molti dei nostri classici. Randy proveniva dai Primal Fear, i quali prediligevano l’heavy metal classico. Per cui aveva bisogno di un po’ di tempo per adattarsi al 100% allo stile del gruppo. Ma ora, suona come… Dave Lombardo nei suoi anni migliori, davvero! Ha adattato anche alcuni brani secondo le sue capacità, impreziosendo ancor di più il thrash insito del singolo pezzo.

ACCENNAVI IN PRECEDENZA A “RELEASE FROM AGONY”: ED E’ PROPRIO A QUESTO ALBUM, INSIEME AD “THE ANTICHRIST”, CHE HO TROVATO DEI RIMANDI IN “DIABOLICAL”.
– Sì, direi che è un ottimo paragone. Anche in “Release From Agony” avevamo due chitarre come detto; un album leggendario. Molte persone ci hanno sempre chiesto di suonare canzoni dal vivo ma non potevamo, avendo solo un chitarrista. Ora siamo a tornati ad averne due ed oltre ad avere di nuovo questa possibilità, abbiamo provato a dare una continuità di quel disco anche su “Diabolical” inserendo maggior armonia, con più assoli e stacchi heavy. Del resto io sono un fan dell’heavy metal da sempre, nonchè un fan delle chitarre, ed il metal è un fatto ‘di chitarra’. La melodia di “Release From Agony”, l’aggressività di “The Antichrist”, uno dei migliori album dei Destruction: un disco potente, che ti prende e ti cattura; il segreto è tutto qui: un album ti deve catturare. E’ un confronto che ci sta benissimo.

PENSI CHE “DIABOLICAL” POSSA DIVENTARE UN CLASSICO DEI DESTRUCTION?
– Lo spero; alla fine sono i fan a rendere ‘classico’ un album. Quando loro si mettono ad ascoltare perennemente un disco ecco che può rientrare in quella categoria. Prendi “The Antichrist”: quando l’abbiamo inciso non sapevamo che sarebbe diventato un classico dei Destruction, ma così è stato. Alcune di quelle canzoni sono ormai superfamose, come per esempio “Thrash Till Death”. Non sappiamo quindi quali saranno le reazioni dei fan quando “Diabolical” verrà rilasciato ma credo che abbiamo fatto veramente un buon lavoro per cui sono fiducioso.

I DESTRUCTION ARRIVANO A SPEGNERE QUARANTA CANDELINE E TRA I PROTAGONISTI ASSOLUTI DI QUESTO TRAGUARDO IL TUO NOME E’ SICURAMENTE TRA I PRIMI DELLA LISTA: UNA VITA SPESA PER IL THRASH METAL, PER LA MUSICA COME HAI SOTTOLINEATO IN PRECEDENZA. DOVESSI PRENDERE UN ALBUM ED INSERIRE I TRE SCATTI PIU’ SIGNIFICATIVI, QUALI SCEGLIERESTI?
– Solo tre foto? (facciamo quattro allora, ndr). Ok, beh sicuramente una che rappresenta il sottoscritto da bambino. Poi sceglierei quella della primissima formazione dei Destruction, di “Sentence Of Death” per intenderci, con tanto di cartucciere; una della mia squadra di calcio del cuore, il Borussia Mönchengladbach, e una mentre cucino. Mi piace cucinare, una buona alimentazione è fondamentale. Il cibo è l’essenza della vita.

SCHMIER, UN MEMBRO STORICO DEI DESTRUCTION CHE, TUTTAVIA, EBBE PURE LUI UN PERIODO DI ‘PAUSA’ POTREMMO DIRE. COSA AVVENNE NEL 1989? PERCHE’ LASCIASTI LA BAND?
– Alt: non lasciai io la band, venni semplicemente cacciato fuori. Avevamo alcuni problemi sia a livello personale sia sul piano prettamente musicale. Non era un periodo semplice. La direzione del gruppo si era aperta a nuove sonorità ed anche i nuovi membri volevano adottare un suono più ‘commerciale’, abbandonando il thrash. La mia intenzione invece era quella di rimanere sul genere che stavamo portando avanti sino a quel momento. E quindi vi erano opinioni diverse sul futuro della band. Divergenze che sono sfociate proprio in sede di registrazione: c’era tensione nello studio, abbiamo litigato e ad un certo punto le cose non funzionavano più. E nulla… Poi mi hanno buttato fuori, proprio durante la sessione. Non è stato bello, ma sai, quando si è giovani si fanno tante cazzate: c’era molta pressione ed è proprio in quei momenti che la comunicazione diventa l’unico mezzo possibile da utilizzare. Comunicazione che purtroppo, vuoi per la tensione generale, vuoi per la giovane età appunto, non c’è stata. La vita e la maggior esperienza maturata nel corso degli anni ti conferma che per risolvere i problemi è fondamentale la conversazione. Sono episodi che, purtroppo, succedono: coi ragazzi dell’epoca le questioni si sono poi risolte.

ABBIAMO PARLATO DI “RELEASE FROM AGONY”, DI “THE ANTICHRIST”: DUE DISCHI DI ASSOLUTO SPESSORE ALL’INTERNO DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA. MA COME NON DIMENTICARE “INFERNAL OVERKILL”, “ETERNAL DEVASTATION” O ANCHE “ALL HELL BREAKS LOOSE”. C’E’ INVECE UN ALBUM A TUO PARERE PER IL QUALE TORNERESTI OGGI STESSO IN STUDIO PER CAMBIARE QUALCOSA? PER IL QUALE NON SEI PIENAMENTE SODDISFATTO?
– Non credo sia facile fare una scelta simile e nemmeno giusto. Un album ha con sè una serie di scatti fotografici che identificano un determinato momento. Certo, ci sta che dopo qualche anno alcuni di quegli scatti, di quei momento non ti piacciono più. Sono come quelle scarpe che compri tutto entusiasta e dopo un paio di anni non le indossi più perché pensi siano brutte. Così è la musica. Ma non tornerei indietro a cambiare nulla: era la realtà di quel momento, la sua storia, con le sue emozioni e magari con quegli errori che ti hanno permesso di migliorare nella composizione dell’album successivo.

QUARANT’ANNI DI THRASH: CHI TI HA MESSO LA PULCE NELL’ORECCHIO?
– Sono cresciuto nella campagna del Sud-Ovest della Germania: un ambiente molto conservatore, molto cattolico. Non c’era molto che potessi fare se non giocare a calcio… Fino a quando ho scoperto la musica, che di colpo è entrata nella mia vita. Era più grande del calcio, c’erano anche più emozioni del calcio. E mi sono innamorato subito del rock’n’roll, dell’hard rock e dell’heavy metal. Con essa è arrivata la band: c’era divertimento ed unità tra di noi, elementi che hanno davvero arricchito la mia vita. Non pensavamo assolutamente che i Destruction sarebbero stati così longevi; nessuno pensava al successo, alla fama. Volevamo solo essere amici e suonare musica, divertirsi ed uscire da questo conservatorismo: volevamo essere estremi, suonare metal contro il mondo e la musica pop. Ero cresciuto con tutta quella musica pop, che andava per la maggiore: erano gli anni ’80 con tanto di musica da discoteca tedesca, Boy George e cose del genere. Odiavamo tutto questo. Per noi la musica era quindi solo una risposta alla società, con lo scopo di voler uscire da questa vita noiosa. Se penso che sono trascorsi quarant’anni… È quasi irreale, ma ce l’abbiamo fatta.

HAI VISSUTO MOLTISSIME ESPERIENZE, SIA IN STUDIO SIA, SOPRATTUTTO, ON THE ROAD: C’E’ UN RICORDO PARTICOLARE O DIVERTENTE CHE RICORDI PIU’ DI ALTRI E CHE VORRESTI CONDIVIDERE CON NOI?
– Beh, sicuramente la prima volta che incontrai Lemmy. Siamo sempre stati superfan dei Motörhead e siamo stati davvero fortunati a condividere alcuni tour con loro sul finire degli anni ’80. E ricordo benissimo un giorno in Danimarca, a Copenaghen, nel novembre del 1987. Eravamo tutti molto eccitati ed intimoriti nell’intraprendere un’esperienza simile: insomma per noi Lemmy era il Re assoluto e avremmo condiviso lo stesso palco. Siamo lì in camerino quando qualcuno bussa la porta: si apre e chi entra? Proprio Lemmy e ci dice (qui Schmier imita la voce roca di Mr. Kilmister, ndr) “Hi guys, I’m Lemmy“. Ci ha guardato, ha guardato la stanza e se n’è andato. Puoi immaginarti la nostra reazione: “O mio Dio, era Lemmy! Era qui per salutarci“. Eravamo stragasati. Passano cinque minuti ed ecco che bussa di nuovo e rientra nella stanza con una cassa di birra che appoggia sul tavolo. “Questa è la mia birra preferita e tutti i gruppi che ci accompagnano hanno bisogno di bere qualcosa, ok?“. Sembra un gesto semplice, ma non era da tutti. Ed è stato un qualcosa che ha fatto anche in altri tour: prendersi cura delle band di supporto. Ricordo infatti, durante altri show, in cui ci faceva recapitare dal loro tour manager una bottiglia di Jack Daniels con scritto “questa è da parte di Lemmy!“. Per cui, questo è uno dei ricordi che amo davvero molto, perché lui ci ha mostrato come un ‘capo’ sappia trattare le persone.

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