I Destruction sono ancora fra noi. Incorruttibili, bastardi, assassini. Oltre trent’anni di carriera non hanno scalfito la ruvida identità di uno dei gruppi thrash europei più significativi e influenti, quest’anno di nuovo alla carica con “Under Attack”. Un album classicissimo, forse fin troppo, come abbiamo rimarcato in sede di recensione, ma che sicuramente offre quello che ogni fan della band di Schmier si attende da loro: velocità, violenza, riff dinamitardi ma catchy, gli assoli classic metal di Mike, groove massiccio e ritmiche quadrate. Tutti ingredienti che rendono l’ennesimo capitolo della saga del trio godibilissimo da parte di tutti i thrasher tradizionalisti, che a breve potranno gustarsi il terzetto nel suo habitat naturale, ovvero il palcoscenico. Abbiamo raggiunto il leader carismatico della formazione teutonica per uno scambio di vedute su quello che è il momento del gruppo e del mondo che la circonda. Schmier non si è sottratto ai nostri interrogativi e ha parlato liberamente dei Destruction e di altri temi che gli stanno a cuore.
QUAL È LA RAGIONE DI UN TITOLO COME “UNDER ATTACK” E PER QUALE MOTIVO NOI SAREMMO ‘SOTTO ATTACCO’?
“Siamo sottoposti all’attacco di molte cose, in questo particolare momento storico il primo motivo di pericolo è il terrorismo, ma non è l’unico. Molti elementi minacciano prima di tutto la nostra mente, l’incontrollato processo di globalizzazione è stato accettato e ha portato a questo stato di cose, fottendo di fatto il pianeta. Penso che la generazione dei ragazzi di oggi, la ‘mobile generation’, che ha sempre uno smartphone o un laptop sotto mano, abbia dei grossi problemi. Voglio dire, questi ragazzi hanno dei grossi problemi di comunicazione e sono i primi a essere vulnerabili alle minacce della società. E poi siamo circondanti da guerre, conflitti di ogni genere, è come se il mondo dovesse esplodere da un momento all’altro. Distruzione chiama distruzione. Il titolo si connette quindi a tutto ciò che vedo attorno a me, ovunque guardi c’è un motivo per cui sentirsi in pericolo”.
LEGGENDO I TITOLI DELLE CANZONI, CHE COME AL SOLITO NON TRATTANO TEMATICHE POSITIVE O RILASSANTI, CE NE SONO UN PAIO CHE MI HANNO COLPITO E VORREI CHE NE APPROFONDISSI I CONCETTI: IL PRIMO È “ELEGANT PIGS”, IL SECONDO È “STIGMATIZED”.
“’Elegant Pigs’ parla dell’onestà nel mondo del rock’n’roll. Gente che suona in playback, che usa backing track e fa solo finta di suonare: là fuori ne è pieno, artisti che muovono le labbra e la musica arriva in realtà da un nastro registrato. Molta gente mente nel mondo del rock, il playback è solo un esempio, estendibile a molti altri aspetti. Si è persa l’onestà, la genuinità, non so dove siano andate a finire. Un tempo sapevi che il pop era finto, veniva suonato in playback, mentre nel metal queste cose non succedevano. Era musica live, suonata realmente, che poteva avere le sue imperfezioni, era ruvida, vera. Di tutto ciò nell’ambiente non parla nessuno, tutti sanno ma nessuno dice nulla. Ogni volta che vado a un festival osservo questi comportamenti da parte di un mucchio di band con una lunga storia alle spalle. Ho parlato allora di ‘maiali eleganti’ perché questi trucchi sono adottati con una certa finezza, in apparenza chi adotta certi espedienti suona benissimo, se non si sa cosa c’è sotto va tutto bene per i fan. Però questi musicisti stanno mentendo a chi li segue, è tutta una buffonata. L’altra canzone di cui mi hai chiesto, ‘Stigmatized’, parla di quando ti senti a disagio nel mondo, non hai stimoli per fare nulla e agisci soltanto per essere accettato dagli altri, e non ci riesci. Sei depresso, ti senti a terra, devi trovare dentro di te le risorse per andare avanti e avere motivazioni. ‘Stigmatized’ è un messaggio per tutte le persone che affrontano problematiche di depressione, affinché non si abbattano e riescano a uscire dalle loro difficoltà. Il testo vuole anche essere un monito, a imparare ad ascoltare e a non giudicare gli altri troppo frettolosamente”.
L’ARTWORK HA UN CHIARO RIMANDO A SOGGETTI DEL PASSATO, UNA VOSTRA ABITUDINE DEL RESTO: NEL CASO SPECIFICO, L’ESPLOSIONE DEL CRANIO RIMANDA ALLA COPERTINA DI “INFERNAL OVERKILL” E A QUELLA DI “THE ANTICHRIST”. QUALI SONO LE RAGIONI DI QUESTA SCELTA?
“Noi abbiamo due grandi trademark a livello visuale, che ci portiamo dietro dai primi dischi: uno è il macellaio pazzo di ‘Mad Butcher’, il secondo è il teschio esploso di ‘Infernal Overkill’. Tutte le volte che pubblichiamo un nuovo album vogliamo che sia immediatamente identificabile per i nostri fan. In questo caso, il pianeta a forma di teschio che va in mille pezzi ci è sembrato un’immagine perfettamente attinente ai temi trattati in ‘Under Attack’. Così abbiamo rappresentato quello che potrebbe essere il futuro della Terra se lasceremo che il corso degli eventi segua la china che ha preso negli ultimi anni”.
AVETE IMPIEGATO UN METODO DI REGISTRAZIONE UN PO’ DIVERSO DAL CONSUETO PER “UNDER ATTACK”, REGISTRANDOLO IN DIVERSI STUDI IN GIRO PER L’EUROPA. PUOI SPIEGARCI I MOTIVI DI QUESTA SCELTA? COME SONO STATI SCELTI I DIVERSI STUDI DI REGISTRAZIONE E QUALI DIFFERENZE AVETE TROVATO TRA UNO E L’ALTRO?
“Ci siamo mossi in questo modo per conciliare gli impegni concertistici e la volontà di registrare un nuovo album. Altrimenti, avremmo dovuto interrompere il tour per molti mesi e concentrarci esclusivamente su mettere a punto dei demo e poi procedere alla registrazione dell’album. Così abbiamo continuato a fare un po’ l’uno e un po’ l’altro, il grosso di ‘Under Attack’ è stato registrato in uno studio in Svizzera (VO Pulver’s Little Creek Studios, ndR) dove abbiamo lavorato per molti dei nostri ultimi album. Qui ci siamo occupati di tutto quanto a eccezione della batteria. Arrivare in studio e registrare alcuni pezzi fra uno show e l’altro ci ha permesso di mantenere un forte live feeling e la necessaria intensità. A volte, scrivi canzoni ma non hai modo di capire se si adattino bene al concerto, così invece riuscivamo ad avere il polso della situazione in un attimo. Per la batteria ci siamo spostati in un altro studio in Germania (Gernhart Studios, ndR). Per i tamburi abbiamo voluto avere un suono reale, che fosse tutto suonato live, il suono della batteria sul disco doveva essere quello proveniente dal nostro drum-kit dal vivo. Oggi molti produttori cercano di imporre il sound che hanno in mente alle band, noi questo non lo desideravamo. Posso affermare che abbiamo catturato il nostro vero feeling live, l’energia che abbiamo addosso quando siamo davanti al pubblico”.
VORREI SAPERE SE AVETE SPERIMENTATO QUALCOSA DI DIVERSO IN QUESTO DISCO E QUAL È, SECONDO TE, IL MARGINE PER PROVARE QUALCOSA DI NUOVO IN UN GENERE CLASSICO COME IL THRASH METAL.
“Cerchiamo di sperimentare in ogni album, ma quando ci troviamo a suonare tutti assieme inevitabilmente scaturisce il tipico suono dei Destruction, non può accadere altrimenti. Anche quando ci cimentiamo con delle cover, finiamo per dargli il suono dei Destruction. Mi piace che stavolta c’è una grossa varietà di tempi, le canzoni veloci non viaggiano tutte allo stesso ritmo e abbiamo posto grande attenzione al groove. L’alternanza ritmica consente al disco di rimanere interessante dall’inizio alla fine, un album tirato per tutta la sua durata è probabile che stanchi l’ascoltatore. Oltre a usare tanti ritmi, credo si sentano differenti atmosfere, l’ultimo disco non offre solo thrash, ci sono molte armonie prese dal metal classico, il classic metal è importantissimo in ‘Under Attack’. In questo abbiamo riabbracciato alcune sonorità sfruttate nel nostro primo album. Le armonizzazioni non hanno nulla che possa sembrare commerciale, ma risaltano all’interno dei singoli riff, gli danno un’identità meno thrash. Abbiamo ridotto il caos, per far risaltare la nostra anima heavy metal. Ogni album deve avere il suo carattere, ci tengo molto come songwriter al fatto che ciò accada: sono convinto che ‘Under Attack’ questo carattere ce l’abbia e si possa chiaramente percepire ascoltandolo”.
QUEST’ANNO RICORRONO I TRENT’ANNI DALLA PUBBLICAZIONE DI “ETERNAL DEVASTATION”. VORREI SAPERE SE INCOSCIAMENTE QUESTO ANNIVERSARIO POSSA AVERE PESATO NELLA COMPOSIZIONE DEL NUOVO ALBUM E VI ABBIA SPINTI A CREARE UN COLLEGAMENTO COL VOSTRO SECONDO FULL-LENGTH.
“Quando scrivi nuova musica non pensi di copiare altro materiale che hai già realizzato in passato, quello assolutamente no. Può però accadere che mentre scrivi ti accorgi che un riff è familiare, ti fa venire in mente qualcos’altro e ti accorgi che vi sono similitudini con un’altra canzone più vecchia. Intanto che provavamo uno degli ultimi pezzi, il nostro ex batterista Olli a un certo punto, su un passaggio, ha detto che gli sembrava provenisse da ‘Release From Agony’, e quanto capitato in quel momento può succedere tante altre volte. Quando sei dentro una certa musica così a lungo è normale che emergano spesso influenze all’interno della tua stessa band, anche se non hai intenzione di ripeterti alcuni rimandi al passato è abbastanza naturale che escano. A noi non piace ripeterci, ma vogliamo anche mantenere il nostro marchio di fabbrica”.
RISPETTO A “SPIRITUAL GENOCIDE” VI SIETE PRESI PIÙ TEMPO PER COMPORRE E ARRIVARE A RILASCIARE UN NUOVO ALBUM. SE RIPENSI AL DISCO PRECEDENTE, PENSI CHE SIA TUTTO COME LO VOLEVI, OPPURE COL TEMPO TI SEI ACCORTO CHE AVRESTE POTUTO FARE QUALCOSA DIVERSAMENTE? O ANCORA, PENSATE CHE ANDASSE BENE MA ORA ERA IL TEMPO DI PROVARE QUALCOSA DI DIVERSO?
“I due album precedenti sono stati facili da scrivere, avevamo appena cambiato batterista e ci sentivamo molto carichi e produttivi. Dopo ‘Spiritual Genocide’ siamo andati in tour molte volte, finivamo con uno e iniziavamo con l’altro e quando è stato il momento di pensare a un nuovo disco ci siamo dovuti rimettere dentro certi meccanismi e prenderci lo spazio necessario per progettare cosa avremmo fatto. Quando sei in questo mondo da qualcosa come trentatré anni sai che il prossimo album potrebbe anche essere l’ultimo e non ha intenzione di sprecare il tuo tempo. Per me e Mike è importante lavorare senza fretta, trovare ispirazione e metterci a scrivere soltanto quando pensiamo di essere pronti. Questo stacco ci voleva, nel frattempo ci siamo anche cercati un diverso produttore, abbiamo cambiato studi di registrazione, abbiamo pensato a tutto quello che sarebbe potuto servire per realizzare un album thrash al passo coi tempi. Molte giovani band guardano a noi come a un punto di riferimento, noi sentiamo questa responsabilità e cerchiamo di raggiungere i traguardi migliori possibili. Il nuovo album è groovy, catchy e contiene dei grandi riff: credo sia un ottimo lavoro”.
ORAMAI LA VOSTRA SECONDA PARTE DI CARRIERA INIZIATA NEL 2000 È PIÙ LUNGA DELLA PRIMA, QUELLA TERMINATA NEGLI ANNI ’90. TI CAPITA MAI DI RIFLETTERE SU QUESTO PUNTO? SE METTI A CONFRONTO QUESTI DUE PERIODI, QUALI SONO I PUNTI IN COMUNE E LE DIFFERENZE?
“La principale differenza è che quando abbiamo iniziato abbiamo creato qualcosa che non esisteva. La prima volta che abbiamo sentito nominare il termine ‘thrash’ era il 1987 e noi eravamo assieme già da quattro anni. È stato abbastanza facile all’inizio scrivere musica perché non c’era alcuna aspettativa ed era tutto nuovo. Il rovescio della medaglia era che molte persone non ci capivano, ci consideravano troppo duri e aggressivi rispetto al normale heavy metal. Ci odiavano e credevano avessimo poco futuro davanti. C’erano anche problemi all’interno della band, lotte intestine sulla direzione da seguire. Mancavano i soldi, ne circolavano davvero pochi ed è stato un miracolo a quei tempi mantenere viva la band. A un certo punto, tutte le conflittualità esistenti mi hanno portato a uscire dai Destruction. Il tempo senza suonare coi Destruction mi è servito per capire dove avessimo sbagliato e, quando ci siamo riformati nel 1999, ero pronto a dare la vita per la band, a metterla completamente al centro della mia esistenza. Il primo passo è stato quello di essere nuovamente tutti amici dentro la line-up, avere solidi rapporti umani fra noialtri. Tutti i membri del gruppo della nostra seconda parte di carriera formano quella che a me piace chiamare ‘Destruction-family’. Quando siamo ripartiti, era un momento in cui dominava il death melodico e sembrava che il thrash fosse passato completamente di moda. Sono contento che da un po’ di tempo a questa parte il vento sia cambiato e molti ragazzi abbiano ripreso a interessarsi a certi suoni. È la prova che l’underground resiste e riesce sempre a progredire e sono felice di essere ancora qua dopo diciassette anni a parlare dei Destruction: non è stato tutto facile, ma noi esistiamo ancora, con una grande line-up e una voglia intatta di portare in giro la nostra musica”.
A PROPOSITO DEL SODALIZIO ARTISTICO CON MIKE, LA VOSTRA È UNA COLLABORAZIONE CHE PROSEGUE DA MOLTISSIMO TEMPO: VOLEVO SAPERE COME SI RIESCE A MANTENERE UN RAPPORTO COSÌ STRETTO TANTO A LUNGO, QUAL È IL SEGRETO PER LAVORARE ASSIEME PER COSÌ TANTI ANNI E, SE C’È STATO, QUAL È STATO IL MOMENTO PIÙ DIFFICILE DALLA REUNION A OGGI.
“La cosa veramente difficile è riuscire a sfuggire alla routine che si crea quando scrivi dischi a un ritmo molto intenso come abbiamo fatto noi per anni. Dopo ‘The Antichrist’ ci siamo accorti di avere raggiunto il picco creativo e non è stato facile proseguire, un momento di stallo lo abbiamo avuto anche dopo ‘Inventor Of Evil’, sentivamo di aver preso una certa abitudine a fare le cose e volevamo uscirne. Al giorno d’oggi non è possibile scrivere album validi ogni due anni, poteva succedere negli anni Ottanta, non adesso. Credo ci vogliano almeno tre-quattro anni per arrivare a un buon prodotto. Ci vogliono freschezza ed energia per realizzare un nuovo disco, se potessi tornare indietro pubblicherei qualche album in meno negli ultimi anni, proprio per avere più ispirazione ed avere più idee disponibili. Nonostante questo mio pensiero, non credo abbiamo realizzato album davvero brutti e poi ci è servito da esperienza, per capire che per rendere al meglio avevamo bisogno di più tempo e dovevamo cambiare alcune metodiche di lavoro. Gli anni fra il 2005 e il 2010 non sono stati semplici, fra il cambio di batterista e quello di label non tutto è andato per il verso giusto, mentre gli ultimi cinque-sei sono stati molto positivi. Non stiamo guadagnando chissà che cifre, è dura sopravvivere, non siamo i Metallica, però continuiamo ad andare dritti per la nostra strada, a sviluppare il nostro songwriting e a realizzare la musica che ci sembra migliore”.
LA SCENA ATTUALE È MOLTO VASTA E DIFFICILE DA CONOSCERE E COMPRENDERE NELLA SUA INTEREZZA. QUAL È SECONDO TE IL GENERE CHE STA DANDO LA MUSICA MIGLIORE E SI È EVOLUTO MEGLIO, E QUAL È QUELLO CHE INVECE SI È FERMATO E DA MOLTO TEMPO NON RIESCE A OFFRIRE MATERIALE INTERESSANTE?
“Quello che funziona o meno in un certo scenario musicale dipende molto dai media, da come influenzano il pubblico. Questa cosa non mi è mai piaciuta, limita la possibilità di scelta delle persone. Per quanto mi riguarda, io ho sempre preferito le cose più classiche, il thrash e l’heavy metal tradizionale, ma sono aperto anche ad altri tipi di musica. Sono anche attento a quanto esce adesso, alcune cose mi piacciono molto, altre decisamente meno. Non ho diciassette anni, la roba più trendy come il metalcore proprio non mi aggrada! Mi piace l’originalità, tutte quelle band che scrivono qualcosa di diverso dalla massa. E poi servono le canzoni, se non sei capace di scrivere buone canzoni non vai da nessuna parte. Se un pezzo è buono, allora non importa che sia death, black o thrash metal, andrà bene in ogni caso. È importante che i giovani ensemble imparino in fretta ad avere il loro stile, a essere originali. Quando un giovane musicista mi chiede cosa serva per avere successo, io gli dico che non esiste alcuna formula precisa. Mentre per essere un buon artista dovrà necessariamente ricerca il proprio stile personale. Il successo sarà poi semplicemente questione di fortuna”.
QUAL È LA BAND THRASH METAL DI ULTIMA GENERAZIONE CHE PREFERISCI?
“Per come suonano e l’energia che hanno in corpo i miei preferiti sono gli Havok. Mi piacciono anche i Warbringer, ci siamo anche andati in tour assieme. E poi gli Evile, sì, anche loro sono molto bravi. E ce ne sono tante altre di formazioni di cui adesso non mi viene il nome, ma credo che in questo momento siano tante le giovani thrash metal band di valore. È presto per dire quali traguardi potranno raggiungere, ma credo che il futuro del genere sia in buone mani”.
NEGLI ULTIMI ANNI IL NUMERO DEI GRANDI FESTIVAL ESTIVI È CRESCIUTO E I PIÙ GROSSI HANNO AMPLIATO NOTEVOLMENTE LE LORO DIMENSIONI. QUAL È IL TUO PREFERITO, QUELLO DOVE TROVI IL PUBBICO PIÙ CALDO E TI SENTI PIÙ A TUO AGIO?
“Ah, intanto mi è venuta in mente un’altra band thrash molto brava che mi ero dimenticato di elencarti prima, gli Exmortus! Per quanto riguarda i festival, i più grandi a cui abbiamo partecipato sono sicuramente Wacken e il Rock al Parque, in Colombia. Lì suoni davanti a qualcosa come centomila persone, è impressionante vedersi davanti tutta quella gente. Anche il Rock In Rio è stata un’esperienza molto intensa, i brasiliani sono completamente pazzi per la musica. Il Rock In Rio dura due settimane e ha soltanto una giornata dedicata all’heavy metal. I fan brasiliani aspettano per mesi quest’evento, si crea una fortissima attesa e addirittura le esibizioni sono trasmesse in diretta televisiva, un fatto che non ti accade da nessun’altra parte al mondo. La trasmissione va in onda in tutto il Sudamerica, abbiamo avuto una grossa esposizione quando ci abbiamo suonato nel 2013. Non sono per forza i festival più grandi quelli che preferisco, di molti appuntamenti più raccolti apprezzo moltissimo la passione di fan e organizzatori, ti fanno sentire a casa. Da ascoltatore, se volessi andare a vedere una band e godermela al meglio, non andrei a Wacken, è troppo grosso per me, preferirei qualcosa di più raccolto e comodo. Preferisco show davanti a due-tremila persone, dove non hai grande distanza fra musicisti e audience. Mi piace molto il Bang Your Head, che è grande ma non troppo vasto, ha ancora dei numeri contenuti. Dieci-ventimila persone per me è il limite per non avere troppa confusione, non dover coprire troppa distanza fra la tenda e il palco, i posti dove mangiare e tutto il resto. Quando poi si resta nell’ordine delle due, tre, quattromila persone, allora hai proprio la possibilità di goderti meglio il momento, fermarti a parlare con la gente, vivere i concerti in maniera rilassata. È meglio per un fan, ma anche per un artista, quando l’evento è meno gigantesco anche i gruppi possono vivere meglio l’appuntamento”.
STATE PENSANDO A QUALCOSA DI SPECIALE PER CELEBRARE I TRENT’ANNI DI “ETERNAL DEVASTATION”?
“Cercheremo di mediare fra la promozione di un album in cui crediamo molto come ‘Under Attack’ e le celebrazioni per ‘Eternal Devastation’. Sicuramente ci sarà qualche sorpresa, introdurremo nella setlist molto materiale dal nostro secondo disco, senza sacrificare i pezzi migliori dall’ultimo album”.