E’ con piacere che riaccogliamo sulle nostre pagine i Devangelic, tra le realtà più solide e intraprendenti dello scenario death metal tricolore. Autori di una proposta asfissiante e per nulla incline al concetto di easy listening, figlia delle imprese d’oltreoceano di Gorgasm, Disgorge e Condemned, i Nostri si sono da poco riaffacciati sul mercato con il loro secondo full-length “Phlegethon”, avendo già in serbo grossi progetti per i mesi a venire, fra tournée in Inghilterra e Russia e un’apparizione sul palco dello storico Las Vegas Deathfest. Abbiamo parlato di questo, della genesi del disco e di altre curiosità con il chitarrista Mario Di Giambattista e il frontman Paolo Chiti…
SONO TRASCORSI CIRCA TRE ANNI DA “RESURRECTION DENIED”. COME VEDETE OGGI QUEL DISCO?
Mario: – E’ sicuramente un disco importante perchè ha dato inizio al nostro percorso musicale. Da un punto di vista compositivo suona più diretto e ‘in your face’ e forse, se confrontato all’ultimo, può sembrare piuttosto ‘semplice’… ma si tratta appunto di un esordio e ne andiamo ancora molto fieri.
Paolo: – Sembra una risposta scontata, ma come ogni madre potrebbe dire della sua prole sono molto orgoglioso del nostro primogenito. Certo, con il senno di poi alcune cose potevano essere fatte diversamente; dopo tutti questi anni ritrovo dei piccoli difetti che all’epoca, probabilmente presi dall’entusiasmo di questa nuova avventura, tralasciammo. Per il resto sono molto fiero di quel disco: dalla copertina, ai brani, ai testi…
“PHLEGETHON” E’ SICURAMENTE MOLTO PIU’ COMPLESSO E ARTICOLATO DEL SUO PREDECESSORE, EPPURE ANCHE PIU’ FLUIDO. ERA VOSTRA INTENZIONE ALZARE L’ASTICELLA RISPETTO AL PASSATO O SI E’ TRATTATO DI UN PROCESSO SPONTANEO?
Mario: – Credo si possa parlare di un mix delle due cose. Volevamo creare qualcosa di diverso, più complesso ed elaborato; qualcosa che rappresentasse un deciso passo in avanti per la band. Detto questo, il processo di songwriting di “Phlegethon” è stato piuttosto naturale e spontaneo, anche se differente rispetto al passato. Per “Resurrection Denied” mi sono concentrato prima sui pattern di batteria e poi sulle parti per chitarra, cercando di fondere i due strumenti. Su “Phlegethon” abbiamo dato la priorità alle chitarre, così da ottenere riff più melodici e dark. In questo modo abbiamo potuto scrivere molte più linee di basso espressive, dando una profondità adeguata all’intero album. Da quel che possiamo leggere sui vari social e nelle recensioni, il disco è piaciuto molto, sia ai nostri vecchi fan che alla gente che ancora non ci conosceva, quindi il duro lavoro è stato in gran parte ripagato.
Paolo: – Ci siamo approcciati al nuovo album imparando dai piccoli errori di cui ti parlavo prima. Era nostra intenzione salire ulteriormente di livello, alzando l’asticella. Avevamo le idee chiare su quale fosse la direzione da intraprendere, su quali erano le caratteristiche da evidenziare nella nostra proposta, quali altre limare e quali invece tralasciare. Ci tenevamo a dare una nostra identità alla musica, creare un ‘Devangelic sound’ senza però abbandonare le nostre influenze. Credo che in parte ci siamo riusciti, e vedendo i responsi positivi ottenuti dal disco direi che questa è la strada giusta da seguire.
L’ALBUM SEGNA UFFICIALMENTE L’INGRESSO DI MARCO COGHE ALLA BATTERIA. COME SIETE ARRIVATI A LUI? QUALI ELEMENTI DI NOVITA’ PENSATE ABBIA APPORTATO AL VOSTRO SOUND?
Mario: – Quando annunciammo di essere alla ricerca di un nuovo batterista ci arrivarono (inaspettatamente) tante richieste. Chiedemmo di inviarci dei video in cui venivano eseguiti alcuni nostri brani, e furono in molti a risponderci con delle ottime clip. Non è stata una scelta facile, ma abbiamo optato per Marco perchè da subito si è dimostrato il più interessato e il più affine al nostro genere. Marco ha portato un plus alla band con la sua tecnica esecutiva e le sue capacità, caratteristiche ascoltabili sul nuovo album. Siamo veramente contenti e soddisfatti, sia da un punto di vista musicale che umano (cosa da non sottovalutare).
Paolo: – Siamo arrivati a Marco nel modo più semplice possibile: noi cercavamo un nuovo batterista dopo l’uscita di Alessandro Santilli, siamo stati contattati da diverse persone, ma Marco si è subito dimostrato il più motivato e il più entusiasta all’idea di suonare nei Devangelic. Quello che più conta per noi è la passione, e Marco ne ha veramente da vendere! Se poi aggiungiamo che ha un talento fuori dal comune per il suo strumento, non potevamo essere più fortunati di così! Il drumming di Marco ci ha dato un ulteriore punto di forza, e penso che la cosa si possa sentire a pieno sul nuovo CD.
L’ARTWORK DI “PHLEGETHON” E’ INSOLITAMENTE SOBRIO PER I VOSTRI STANDARD. AVETE DATO A KEN SARAFIN DELLE INDICAZIONI CIRCA LA REALIZZAZIONE DEL SOGGETTO O GLI AVETE LASCIATO CARTA BIANCA?
Mario: – Volevamo qualcosa di diverso questa volta, qualcosa che andasse oltre i classici artwork brutal death metal a base di corpi e smembramenti. Chiaramente doveva sposarsi bene con il concept del disco. Dopo una prima ricerca, Paolo mi suggerì di dare un’occhiata ai lavori di Ken Sarafin e, dopo averne visti un paio, mi ero già innamorato del suo stile; pensai subito che una sua opera sarebbe stata perfetta per il nostro album. Così lo contattammo, dandogli delle piccole indicazioni sui colori generali e sul concept. Gli abbiamo mandato anche i testi, così da poterne trarre spunto; il resto è tutta opera sua.
Paolo: – Il concept richiedeva un approccio diverso anche per quanto concerne l’artwork, ed è per questo che ci siamo rivolti a Sarafin. Il suo stile si sposava a pieno con la nostra idea. Volevamo qualcosa di oscuro, astratto, che non svelasse subito il suo significato, ma che invogliasse l’ascoltatore ad addentrarsi nel CD, scoprirne i testi e farsi catturare dal concept. Non abbiamo fatto altro che dare a Ken i testi insieme a qualche linea guida, e dopo qualche settimana abbiamo ricevuto come bozza quella che attualmente è la copertina di “Phlegethon”. Per noi è stato amore a prima vista, e penso sia stata davvero una scelta azzeccata.
PER LA PRODUZIONE VI SIETE AFFIDATI AI RUSSI TSUNTSUN PRODUCTIONS…
Mario: – Sì, eravamo in contatto con Sasha Borovykh già da un po’ di tempo. Avevamo lavorato insieme per il promo del 2016, e ci eravamo trovati molto bene. Per l’album ha fatto un lavoro incredibile. Altra nota positiva, il fatto che ti ascolti e capisca al volo le esigenze del tuo gruppo. Conosce perfettamente il genere, cosa non da poco visti gli standard attuali di produzione (a mio avviso sempre più piatti e standardizzati).
Paolo: – Ci eravamo già affidati a Sasha per il singolo registrato nel 2016 e pubblicato con l’intento di dare un assaggio del nuovo materiale (oltre che per presentare Marco). Sasha è veramente preparato nel suo lavoro, ma soprattutto è un fan del genere. Sa bene il modo in cui dovrebbe suonare una band come la nostra, e quali erano i trucchi da impiegare per ottenere il suono che avevamo in mente. E’ stato del tutto naturale riaffidarsi a lui per la produzione di “Phlegethon”, e anche adesso, con il senno di poi, sono convinto della bontà di questa scelta.
CHE PESO HA LA STRUMENTAZIONE UTILIZZATA NELLA VOSTRA MUSICA?
Mario: – Una buona strumentazione è utile sia nel momento del songwriting che in quello del live, perchè stringi nelle mani qualcosa di unico che diventa un tutt’uno te. Nei Devangelic cerchiamo di utilizzare una strumentazione semplice ma di qualità. Soprattutto dal vivo sono uno di quelli che utilizzano meno cose possibili, in questo modo si evitano tante problematiche e perdite di tempo nel settaggio. Marco utilizza Axis, Meinl e Vater per quanto riguarda la batteria; Damiano usa bassi Warwick Corvette e come effettistica un B3K della Darkglass Electronics, con la quale ha una collaborazione da artista; io sono endorser ufficiale ESP Guitars, D’Orazio Strings ed EMG Pickup. Recentemente, in collaborazione con ESP e Backline (distributore italiano), ho anche pubblicato un playthrough con la mia nuova custom M-1 Phlegethon che la ESP ha costruito per me. Di seguito il link del video.
COM’E’ NATA L’IDEA DI SCRIVERE UN CONCEPT ALBUM SULL’INFERNO DI DANTE? SIETE RIMASTI FEDELI ALL’OPERA ORIGINALE O AVETE PROVATO A DARE AI TESTI UN TAGLIO PIU’ PERSONALE?
Mario: – Volevamo creare qualcosa di particolare, che avesse un filo conduttore dall’inizio alla fine. Quale miglior occasione per prendere spunto da un’opera magnifica e, perché no, anche brutale come l’Inferno della Divina Commedia? Ci sembrava perfetto per i Devangelic. Per quanto concerne i testi e la tracklist, seguono tutti l’ordine cronologico originale. Abbiamo cercato di rispettare l’ordine dei canti, prendendo spunto dalle varie storie e tirandone fuori le parti più brutali.
Paolo: – Siamo partiti da una considerazione: siamo italiani, e uno dei padri della nostra letteratura ha composto una delle opere più ‘death metal’ di sempre… la scelta è stata facile! Ci siamo concentrati solo su alcuni canti dell’Inferno, lasciandoci ispirare da quelli che più stimolavano la nostra fantasia. I testi non ricalcano parola per parola i versi del poema, ma sono per così dire un ‘arrangiamento à la Devangelic’. Abbiamo comunque rispettato il testo originale nei temi e nell’immaginario creato da Dante.
LO SCORSO ANNO I CONDEMNED HANNO DATO ALLE STAMPE UN’OPERA CHE PROVA A DISTANZIARSI DAL LORO PASSATO ULTRA-OLTRANZISTA. ANCHE I DEEDS OF FLESH E I DECREPIT BIRTH IN TEMPI NON SOSPETTI HANNO INTRAPRESO QUESTA STRADA… CHE OPINIONE AVETE AL RIGUARDO? PENSATE CHE PRIMA O POI ANCHE I DEVANGELIC CONFEZIONERANNO QUALCOSA DI PIU’ ‘SOFT’?
Mario: – Sicuramente fa parte dell’evoluzione stilistica di una band, quindi è normale. Si cresce e (purtroppo) si invecchia, quindi si è anche più maturi dal punto di vista degli ascolti e da quello compositivo. Per quanto riguarda i Devangelic, vedremo cosa ci porterà il futuro. Non credo ci sarà un album ‘soft’, non nell’immediato almeno, ma c’è la voglia di crescere e comporre qualcosa di più personale, che possa contraddistinguerci meglio nel panorama death metal internazionale. Abbiamo in mente già diverse idee per il successore di “Phlegethon”, su cui inizieremo a lavorare il prima possibile
Paolo: – Sono scelte stilistiche che ogni artista è libero di intraprendere. Starà poi all’ascoltatore decidere se premiare o no tale scelta. Nessuno punta la pistola alla testa di qualcuno dicendo di supportare a prescindere questo o quel gruppo. Se mi piace quello che sento, posso decidere di comprare e supportare, altrimenti sono libero di tralasciare e ascoltare qualcos’altro. Detto questo, non ti saprei dire come si evolveranno i Devangelic, chi può dirlo… anche se dubito che voci pulite, tastiere e orchestrazioni rientreranno nei nostri progetti nei prossimi anni (ride, ndR).
NEGLI ULTIMI ANNI AVETE SUONATO LIVE SPESSISSIMO, ARRIVANDO PERSINO A CONDIVIDERE IL PALCO CON I DYING FETUS ALL’HELLPRINT DAY DI BANDUNG, INDONESIA. VI ANDREBBE DI RACCONTARCI MEGLIO QUELL’ESPERIENZA?
Mario: – L’Hellprint Day in Indonesia è stata senza ombra di dubbio la nostra migliore esperienza live. Non capita tutti i giorni di suonare davanti a così tanta gente e, soprattutto, di essere l’unica altra band straniera di supporto ai Dying Fetus. Avremo il piacere di suonare insieme a loro anche il prossimo maggio al Las Vegas Deathfest. E’ stato tutto incredibile, dal festival al pubblico, dall’atmosfera generale al trattamento che ci hanno riservato. Un’esperienza unica che speriamo di poter ripetere quanto prima.
Paolo: – Ritrovarsi su un palco enorme, con 3000 persone a guardarti, scortati per l’area del festival come delle vere rockstar, passando intere giornate con una delle band con cui sei cresciuto… penso sia uno dei sogni che ogni ragazzino fa quando inizia a suonare uno strumento. Ecco, per me è stato proprio questo. Un sogno diventato realtà. Una delle esperienze più belle avute come musicista, uno dei momenti più indimenticabili della mia vita.
RESTANDO IN TEMA DI LIVE, AVETE GIA’ ANNUNCIATO DIVERSE DATE PER IL 2018: UN TOUR INGLESE, UNO RUSSO E LA CONFERMA NEL BILL DELLA DECIMA EDIZIONE DEL LAS VEGAS DEATHFEST. PENSI CHE QUESTI MERCATI SIANO PIU’ RECETTIVI DI ALTRI NEI CONFRONTI DI UNA PROPOSTA COME LA VOSTRA?
Mario: – Può sembrare assurdo, ma fra tutte le date confermate finora (più quelle in lavorazione che verranno annunciate nel corso del 2018) nessuna ci vedrà protagonisti in Italia. Non abbiamo ricevuto proposte e/o offerte dal nostro paese, quindi credo proprio che la musica dei Devangelic non sia gradita da queste parti. Per questo motivo preferiamo portare la nostra musica dove viene maggiormente presa in considerazione e realmente supportata.
Paolo: Indubbiamente. Gli USA sono sono da sempre la patria del death metal, dove sono nati i primi gruppi e le prime etichette di questo genere, quindi è quasi scontato che in quel paese ci sia un’amore più radicato verso queste sonorità. La Russia ha una scena più giovane, ma può contare su un gran numero di appassionati. Con ogni probabilità lo scettro spetta proprio all’Indonesia, dove il death metal è quasi il genere nazionale. Se devo essere onesto, il paese meno recettivo da questo punto di vista rimane proprio l’Italia… e qui bisognerebbe aprire una lunghissima discussione sulla fantomatica scena tricolore e sui loschi figuri che la rappresentano, ma meglio lasciar perdere, tanto sarebbero le solite parole buttate al vento.
PENSATE CHE IL FILONE ‘BRUTAL’ POSSA TORNARE AI FASTI DI QUINDICI ANNI FA? SEMBRA CHE ULTIMAMENTE L’UNDERGROUND DEATH METAL NON SIA MOLTO INTERESSATO A CERTE SONORITA’…
Paolo: Forse è proprio così, tanta gente ha abbandonato queste sonorità negli ultimi anni. D’altro canto, quelli che continuano a seguire l’underground dopo tutti questi anni sono quelli che amano veramente questo genere, coloro che vivono per questa scena. Per come la vedo io, si è persa la quantità di appassionati, ma si è alzata molto la media qualitativa della passione e dell’amore per l’underground. Siamo rimasti in pochi, ma veramente ottimi.
UN PARERE A CALDO SUI RITORNI DI CANNIBAL CORPSE E MORBID ANGEL…
Mario: Inarrivabili. Personalmente (anche per motivi sentimentali, visto che ho iniziato ad ascoltare e suonare death metal grazie a loro) preferisco quello dei Cannibal Corpse, ma sono entrambi due album incredibili.
Paolo: Immensi! Spero di arrivare a 50 anni e riuscire a suonare con almeno un terzo dell’intensità e dell’ispirazione di questi ‘vecchietti’.