Devin Townsend è un musicista completo, un artista che vive a fondo le proprie emozioni e la propria musica, consegnando ai numerosi fan lavori che talvolta rasentano la perfezione, e che comunque si assestano sempre su livelli più che buoni. Dopo una difficile parentesi personale, che lo ha portato a lavorare su se stesso, e a rimuovere fastidiose interferenze di vario tipo, eccolo tornare più in forma che mai con un ambizioso progetto di quattro album. La parola a Devin Townsend, oggi finalmente loquace e lucido, che ci illustra il secondo capitolo della quadrilogia, intitolato “Addicted”…
COME HAI DICHIARATO DI RECENTE, “ADDICTED” E’ UN ALBUM FATTO PER DIVERTIRE I TUOI ASCOLTATORI: MUSICA RELATIVAMENTE SEMPLICE PER I TUOI CANONI, ANCHE SE L’ACCEZIONE IN QUESTO CASO ASSUME UNA COLORAZIONE DIVERSA. INSOMMA, ERI STANCO DI TUTTA QUESTA SERIETA’ NELLA MUSICA?
“Ogni mio album altro non è che una sorta di reazione ai lavori precedenti, una scelta che io prendo: come reagire questa volta a quanto fatto prima? Quando mi sono addentrato in questo progetto, dopo aver creato tanta musica, sono arrivato al punto in cui mi sono detto che avrei assolutamente dovuto creare qualcosa di nuovo. Ero stanco della solita musica. Così era successo anche in passato: dopo ‘Aliens’ degli Strapping Young Lad la mia reazione è stata ‘Synchestra’; dopo quest’ultimo è arrivato ‘The Hummer’, e dopo ancora ‘Ziltoid’. Come puoi vedere, ti sto parlando di lavori profondamente diversi tra di loro, che mi hanno permesso di mantenere entusiasmo circa la mia direzione. ‘Addicted’ è sicuramente come hai detto tu una reazione a tutta questa serietà, ma ti anticipo che il prossimo capitolo sarà in opposizione alla mancanza di serietà di questo lavoro! Niente di quello che faccio mi rappresenta in toto: semplicemente è lì a testimoniare come io mi sento in quel particolare momento, senza calcoli di sorta. E non mi interessa se questo comporta inevitabilmente qualche grattacapo per la mia etichetta. Io sono così e lo sarò sempre”.
L’IMMAGINE CHE ABBIAMO DI TE IN QUESTI ULTIMI TEMPI E’ QUELLA DI UN NUOVO , RIPULITO NELL’ASPETTO E NELLO STILE DI VITA, AL SICURO DA DIPENDENZE DA SOSTANZE DI VARIO TIPO. SEI QUINDI FINALMENTE ‘DIPENDENTE’ (‘ADDICTED’ PER L’APPUNTO) SOLO DALLA MUSICA ORA?
“Io credo che non esistano dipendenze che si possano definire salutari. E così è anche per la musica, a mio avviso. Un sacco di gente scarica tonnellate di musica da internet, specialmente i più giovani. Ma questo non basta a renderli dei veri appassionati: si tratta di dipendenza da un’immagine, dalla voglia di sentirsi parte di un mondo. Non ha niente a che vedere con il fatto di fare proprio un album. Tornando a me, in riferimento alla rete, ho notato che con tutte queste informazioni, uno come me è tentato di andare a vedere cosa la gente dice sul mio album, sul mio lavoro. La tua identità diventa parte di ciò che la gente dice di te. C’è gente che ama la musica e che la odia, e nei tempi moderni c’è davvero la possibilità di rendersi conto di questo in prima persona, e non attraverso i canali di una volta”.
NON POSSIAMO NON CITARE L’OSPITE DI LUSSO DELL’ALBUM, CHE SI DIVIDE CON TE LE PARTI VOCALI: ANNEKE VAN GIERSBERGEN, L’EX CANTANTE DEI THE GATHERING. AVEVI GIA’ LA SUA VOCE IN MENTE QUANDO HAI COMPOSTO I PEZZI?
“No, non sapevo ancora che avrei collaborato con lei. Sono suo fan fin dall’inizio della sua carriera, in quanto la considero una gran cantante. Ho voluto sempre avere una voce femminile sui miei album, fin da ‘Infinity’, e gradualmente ho integrato questo aspetto nei miei album successivi, in quanto lo ritengo altamente rappresentativo del mio concetto di umanità. In questo caso, volendo comunicare qualcosa di positivo, non potevo non scegliere una voce femminile, ma non avevo ancora un’idea di chi potesse essere. Un paio di settimane prima di cominciare a registrare, ho ricevuto una mail da Anneke, in cui si proponeva di collaborare con me un giorno! E ti devo dire che per me è stata un’esperienza davvero entusiasmante, mi ha trasmesso una grande energia, e la sua performance sull’album è stellare”.
E’ VENUTA NEL TUO STUDIO A REGISTRARE O AVETE FATTO TUTTO OGNUNO NEL PROPRIO STUDIO?
“Sì sì è venuta qui a Vancouver nel mio studio di registrazione, perchè era indispensabile che la cosa avesse un calore più umano e genuino”.
ABBIAMO CONVERSATO NEL 2006 IN OCCASIONE DELL’USCITA DI “THE NEW BLACK” DEI TUOI STRAPPING YOUNG LAD, ED IN QUELL’OCCASIONE SEI APPARSO ESTREMAMENTE STANCO, ARRABBIATO E DELUSO DAL MUSIC BUSINNESS. AVEVI BISOGNO DI RIPOSO, COSA CHE TI E’ STATA CONCESSA SOLO PARZIALMENTE. COME TI SENTI ORA, NEL MEZZO DI UN PROGETTO TITANICO DI QUATTRO ALBUM CONCATENATI?
“Avevo un grande bisogno di avere il pieno controllo di me, della mia musica e della mia vita: nessuno doveva dirmi cosa dovevo fare, quando e come. L’etichetta, internet, i fan, la famiglia: tutti sembravano coalizzati nell’intento di stressarmi oltremodo! Avevo anche problemi con la marijuana, che offuscava la possibilità che io avessi il pieno controllo della mia mente: non volevo capire nessuno, non volevo ascoltare nessuno, perchè ero convinto che così facendo mi sarei prima o poi messo nei guai, dicendo quello che pensavo. Ora ho la forza necessaria per dire ciò che penso, e ora quando mi chiedono se ci sarà un nuovo album degli Strapping Young Lad, posso tranquillamente dire loro che ciò non avverrà mai più. Ci sono delle volte in cui è necessario mettere un punto fermo, altrimenti la gente non smetterà mai di toccare certi argomenti triti e ritriti. Io voglio che ognuno conduca la sua esistenza, senza necessariamente interferire pesantemente su quella degli altri. Di recente, mi è capitato di lavorare con una persona che cercava più volte di dirmi come e cosa fosse la mia musica: pretendeva di sapere cosa io volevo comunicare, anche quando la sua interpretazione era palesemente errata. A quel punto il nostro rapporto si è interrotto, perchè non sono più disposto a tollerare questo tipo di cose. Come musicista devi costantemente lottare per la tua visione, e questo talvolta comporta licenziare musicisti, sciogliere band, o prendersi una pausa da tutto e tutti. Ci sono stati periodi in cui, a causa di alcool e droghe, la mia testa non era in grado di ragionare come si deve, in più facevo musica che non mi piaceva più fare, e ciò mi ha portato ad esternazioni estreme, esagerate, delle quali oggi condivido ben poco. Io voglio solo poter fare quello che più mi piace, che sia heavy, prog o ambient. Non ne potevo più di trasformarmi nel cattivone di turno solo perchè era l’anno degli Strapping. Ora posso gestirmi come meglio credo, ed ho la possibilità di far coesistere le mie anime in un unico progetto, anche se so che c’è una grande fetta di metallari che si rifiuta anche solo di ascoltare ciò che non è strettamente metal. Ma questo è un problema loro, non mio. Ero anche stanco del fatto di essere considerato ‘un pazzo’ e ‘un genio’, solo perchè magari davo strane risposte nelle interviste per via dell’assunzione di sostanze varie, e mi conciavo i capelli come ben sapete”.
E QUESTO NUOVO MEGA-PROGETTO SEMBRA ESSERE NATO PROPRIO PER DIMOSTRARE CHE NON SEI PAZZO.
“Esattamente! Voglio che tutti sappiano che non è folle proporre vari generi musicali, ma è solo una espressione della mia anima, della mia personalità”.
HAI PRIMA PARLATO DEI PRIMI MOMENTI DELLA TUA CARRIERA, E A TAL PROPOSITO VORREI CHIEDERTI OGGI COSA RICORDI DELLA TUA ESPERIENZA CON IL MAESTRO STEVE VAI…
“E’ stata una esperienza molto difficile, perchè ero giovane, ma già avevo delle forti idee su quella che doveva essere la mia musica. Steve Vai stava cercando un cantante per il suo nuovo album, ‘Sex And Religion’, e voleva che fosse semplicemente una voce per i suoi testi, niente di più. Io non sapendo questa cosa e sperando di poter dare un mio contributo attivo, ho accettato, e quando mi sono reso conto di cosa volesse, sono stato con lui molto duro, e gli ho reso la vita molto difficile. Lui voleva davvero aiutarmi, voleva registrare un disco perfetto, ed io volevo fare la mia musica: capirai bene che l’unione inconciliabile di questi tre elementi ha reso la situazione molto complicata. Ora ti posso dire che Steve è un mio amico, ma nel corso degli anni successivi alla pubblicazione dell’album ti assicuro che non ci piacevamo per nulla”.
L’ALBUM PRESENTA QUALCHE CONNESSIONE CON “PHYSICIST”, UN ALBUM CHE TU CONSIDERI LONTANO DALLA PERFEZIONE. HAI VOLUTO IN QUALCHE MODO RISCATTARE QUELLA REALTA’?
“In un certo senso sì. Sappiamo tutti che il passato non si può cambiare, quello che è stato fatto è intoccabile. L’unica cosa che possiamo controllare, come già ti avevo accennato poco fa, è come noi reagiamo ad una situazione: parlo di musica, di relazioni, di lavoro. All’epoca per me quello era il miglior album che potessi registrare, anche se sapevo che non era perfetto”.
SAPPIAMO CHE SEI ANCHE UN RINOMATO E VELIDO PRODUTTORE, E GLI ALBUM SUI QUALI LAVORI HANNO SEMPRE LA TUA FIRMA, DAL PUNTO DI VISTA DEL SOUND. QUANTO HAI DOVUTO LAVORARE SU TE STESSO PER POTER DARE AI MUSICISTI CHE TI CHIEDONO UNA COLLABORAZIONE LE GIUSTE DRITTE?
“E’ difficile da un certo punto di vista. Sono abituato a controllare me stesso e tutto ciò che concerne la mia musica, e avere a che fare con band che magari non apprezzano idee che a me sembrano ottime può portare qualche problema, specialmente al mio ego. Ma d’altro canto mi ha aiutato ad essere molto più focalizzato sull’organizzazione della mia vita: primadi tutto voglio sentire qualcosa della band in questione, poi decidiamo insieme gli obiettivi, il tempo necessario, ed infine fissiamo la deadline. In questo modo riesco a tenermi occupato e a mantenere un certo ordine nella mia vita. La cosa però mi ha portato a perdere molti soldi, per un motivo: se i ragazzi mi interessano, ma hanno un budget utile a coprire tre settimane di lavoro, e per qualche motivo mi rendo conto che ce ne vogliono otto di settimane, non chiedo loro un centesimo in più”.