Dopo otto anni di attesa, i Dimmu Borgir sono tornati con un nuovo album, che celebra anche il venticinquesimo anniversario della band. Il risultato finale è un disco variegato, che in alcune occasioni colpisce nel segno, mentre in altre si perde in una sorta di autocelebrazione. Nonostante questo, non potevamo perdere l’opportunità di incontrare la formazione norvegese per approfondire il loro atteso comeback discografico. Abbiamo incontrato Shagrath, che si è rivelato persona estremamente focalizzata sugli obbiettivi suoi e della band: l’impressione, come è giusto che sia, non è quella di parlare con un semplice musicista, bensì con una persona che si occupa della band a 360°, talvolta parlando come farebbe un manager o un uomo d’affari, talvolta invece dando spazio alla sua esperienza come strumentista, cantante e compositore.
I FAN DEI DIMMU BORGIR HANNO DOVUTO ASPETTARE PARECCHIO PER AVERE TRA LE MANI IL VOSTRO NUOVO ALBUM. VUOI RACCONTARCI COSA E’ SUCCESSO IN QUESTI ANNI E COME MAI CI E’ VOLUTO COSI’ TANTO PER PUBBLICARE “EONIAN”?
– Mi rendo conto che, dalla prospettiva di un fan, otto anni siano un tempo decisamente lungo, però dal nostro punto di vista non è stato lo stesso, perché siamo stati parecchio impegnati. Abbiamo suonato l’ultimo show nel 2014 e, sai, quando sei ‘on the road’ è difficile riuscire a focalizzarsi sul comporre nuova musica, perché sei concentrato al 100% su quello che stai facendo. Questo già ci porta ad un lasso di tempo di quattro anni. In più, dopo aver pubblicato il nostro album precedente (“Abrahadabra”, ndR), ci siamo resi conto di aver bisogno di una pausa, perché le cose stavano andando troppo veloci: avevamo la necessità di fermarci e riflettere, in modo da ripartire nel modo giusto. Abbiamo cambiato molti dei nostri collaboratori, a partire dal management; abbiamo rinegoziato il nostro contratto discografico, cosa che ci ha portato via parecchio tempo; infine abbiamo lavorato su “Forces Of The Northern Light” (il live album/DVD pubblicato lo scorso anno, ndR) e anche questo ci ha occupato molto tempo. Abbiamo dovuto raccogliere il materiale da diverse nazioni e anche solo questa fase di raccolta è stata abbastanza complessa. Alla fine di tutto questo ci siamo ritrovati in una baita, in montagna, e ci siamo chiesti se fosse arrivato il momento di registrare un nuovo album. Ci abbiamo pensato e ci siamo detti “facciamolo”. A quel punto ci sono voluti due-tre anni per creare le nuove canzoni, perché scrivere la musica per una band come i Dimmu Borgir necessita di molto tempo. Nel mentre sono nati tre bambini e, come puoi immaginare, anche le necessità della vita in famiglia hanno avuto il loro peso; poi abbiamo lavorato un po’ sui nostri side project e di punto in bianco, bang, sono volati otto anni. Insomma, a me non sembra così tanto tempo, ma capisco il punto di vista di un fan… Però è stato necessario ed importante per noi prenderci questo tempo ed è stato forse anche per questo che siamo così soddisfatti ed orgogliosi del risultato finale sul nuovo album.
SE NON HO CAPITO MALE, LA COMPOSIZIONE DELLE NUOVE CANZONI E’ STATA DILUITA NEL TEMPO, CON BRANI SCRITTI ANCHE QUALCHE ANNO FA.
– Sì, due canzoni, “The Empyrean Phoenix” ed “Interdimensional Summit”, sono state scritte nel 2012. Io ho uno studio casalingo, il che ci permette di registrare costantemente nuove idee: alcune finiscono negli album, altre no, ma siamo sempre immersi nel processo creativo. Poi in un secondo momento raccogliamo tutti questi pezzi e ci lavoriamo per levigare e sistemare il tutto.
COME FATE QUINDI A DARE UNITA’ E CONTINUITA’ A CANZONI ANCHE MOLTO DIVERSE TRA LORO?
– È stimolante, perché è un po’ come mischiare l’acqua con l’olio e si sa che questa cosa non è possibile. Ma a noi piace metterci alla prova, mischiando canzoni che abbiano un approccio particolare, che desti l’interesse dell’ascoltatore, che ti faccia dire ‘hey, che sta succedendo?’. Questo è il modo in cui mi piace fare musica, creare sempre qualcosa di inaspettato: personalmente considero abbastanza noiose quelle band, senza fare nomi, che continuano per anni a riproporre sempre le solite cose, con il medesimo stile. Quando ascolto una band, vorrei poter mettere su il disco e rimanere sorpreso da qualcosa di nuovo. Questo è ciò che cerco di fare con i Dimmu Borgir ed è stimolante perché tutti abbiamo background musicali, idee, visioni e gusti diversi. È difficile riuscire ad accontentare tutti ed anche questo è un motivo per cui serve tempo.
TI VA DI DIRCI QUALCOSA SULLA SCELTA DEL TITOLO “EONIAN”?
– Il titolo può essere tradotto con il termine ‘eterno’, qualcosa che non ha mai fine. Per quest’album abbiamo deciso di non entrare troppo nel dettaglio del significato, perché vorremmo che fossero gli ascoltatori a scoprirlo per conto loro, cercando il senso che più si adatta a ciascuno. Non si tratta di un concept album, non vogliamo essere noi a svelare il significato di “Eonian”, quanto piuttosto raccogliere cosa voglia dire per gli altri. So che può sembrare una risposta un po’ noiosa, ma è così. Quello che posso dirti è che un tema centrale è quello del Tempo: un tema profondo che, però, è completamente creato dall’uomo, perché di fatto il Tempo non esiste. Esiste solo il qui e ora.
NONOSTANTE LE FOTO PROMOZIONALI NON RITRAGGANO PIU’ SOLO TE, SILENOZ E GALDER, TUTTO SOMMATO I DIMMU BORGIR RIMANGONO UN TRIO. DARAY E GERLIOZ SONO ORMAI DEI VOLTI NOTI PER I FAN, MA NON POSSONO ANCORA CONSIDERARSI MEMBRI EFFETTIVI DELLA BAND.
– È vero, ma stanno guadagnando uno spazio sempre maggiore all’interno della band. Dobbiamo essere molto attenti su chi coinvolgiamo: i principali compositori rimaniamo io, Silenoz e Galder e nello scorso album era molto importante mettere in chiaro questa cosa. Quando incominci a lavorare in un’azienda si comincia dal basso, indipendentemente dal fatto che ci sia di mezzo la musica; prendiamo, che so, uno studio di avvocati o qualcosa del genere: all’inizio magari il tuo compito sarà quello di servire il caffè, poi, se sarai un buon impiegato, inizierai a farti strada e ad ottenere di più. Lo stesso vale nella musica. Questa volta hanno avuto più spazio, hanno dato il loro contributo sul nuovo album, ma è importante prendersi il giusto tempo, perché abbiamo avuto molti cambiamenti all’interno della band ed è un processo talvolta difficoltoso. La gente non si rende conto e spesso si lamenta: ‘Perché avete licenziato quel musicista? Perché è andato via?’. Quando è successo, è stato per un buon motivo; dobbiamo fare tutto ciò che è necessario per proteggere la band. La musica è solo una piccola percentuale di tutto questo; la tua musica, il tuo talento, è quasi niente rispetto al quadro complessivo. Bisogna essere capaci di stare assieme, immagina quanto tempo passiamo tra di noi: viviamo a stretto contatto quando siamo in tour, bisogna arrivare ad accettare anche gli aspetti negativi di ciascuno perché tutto funzioni. Tutte queste considerazioni esulano dalla musica e sono quelle che la maggior parte delle persone non capisce. È impossibile lavorare bene se mancano questi presupposti, ma per fortuna Daray e Gerlioz sono persone fantastiche, disciplinate, dei grandi lavoratori. Daray, ad esempio, lo dico da batterista, è in grado di adattarsi perfettamente alla musica: non si preoccupa semplicemente di mostrare alla gente di essere un batterista di talento, tutti sanno che è un grande batterista. Allo stesso tempo, però, sa anche utilizzare uno stile più semplice, che si adatta meglio all’atmosfera di certi riff, e questo per me è molto importante.
“EONIAN” HA IN SE’ INFLUENZE CHE PROVENGONO DA TUTTA LA VOSTRA STORIA, MA MI SEMBRA CHE CI SIA COMUNQUE UNA CONTINUITA’ CON IL DISCORSO INTRAPRESO DA “ABRAHADABRA”. SEI D’ACCORDO?
– Io non la vedo in questo modo, per me è proprio un nuovo capitolo che però accorpa elementi da tutta la nostra carriera, non solo “Abrahadabra”, ma tornando indietro fino al ’93. Se conosci la storia della band, capirai cosa intendo: certe tastiere, certi riff di chitarra, come abbiamo realizzato certi passaggi… Non è un modo di copiare qualcosa di già fatto, è la firma dei Dimmu Borgir e credo che siamo riusciti a catturare tutta la nostra storia in questo nuovo album. Come ti dicevo, non scendiamo a compromessi, facciamo solo quello che ci viene naturale: non c’è niente di forzato, è tutto autentico e spontaneo, la musica dei Dimmu Borgir non è qualcosa di costruito, non è come un oggetto prodotto in fabbrica. Non dobbiamo niente a nessuno, facciamo quello che facciamo perchè abbiamo una passione. Ecco perchè non pubblichiamo un disco all’anno, ci serve il dovuto tempo per farlo crescere e trovare la giusta fonte di ispirazione. Non siamo un clone delle band che amiamo, non abbiamo mai voluto esserlo: è sempre stato fondamentale per noi che i Dimmu Borgir si reggessero con le proprie gambe.
IN QUESTO DISCO IL CORO HA UN RUOLO DI PRIMO PIANO, ADDIRITTURA IN ALCUNE OCCASIONI GUIDA LA LINEA MELODICA PRINCIPALE A DISCAPITO DELLA TUA VOCE.
– Sì, usiamo molto il coro, dal vivo, dove abbiamo delle tracce registrate, così come anche nello scorso album. Anche per lo show registrato dal vivo ad Oslo avevamo l’ausilio di un coro. È una caratteristica che abbiamo voluto mantenere anche per questo album, perché amiamo quell’atmosfera grandiosa, divina e cinematografica che riesce a dare. Anzi, gli abbiamo addirittura dato uno spazio ancora maggiore nel nuovo lavoro. Alcuni potrebbero dire che è addirittura eccessivo, ma io non sono d’accordo. Non ci sono mai abbastanza cori! Vedi, è più importante per me che le voci si adattino al quadro generale della canzone, piuttosto che limitarmi a ringhiare senza sosta. Non ha alcun senso, potrei farlo facilmente, ma non voglio. A volte preferisco fare un passo indietro e lasciare che sia la musica a parlare, oppure dare spazio ad un coro, appunto. È difficile da spiegare a parole, si tratta di qualcosa che impari con l’esperienza e col tempo. Prendi ad esempio “Death Cult Armageddon”, abbiamo fatto uno show esclusivo nel 2012 e mi ricordo che, mentre facevamo le prove per questo live set, continuavo a pensare: “cazzo, quante parole, quanto screaming”, tutto quanto era così pieno, davvero troppo. Non so, forse è una cosa che mi è rimasta in testa, inconsciamente, oppure sono solo maturato, chi lo sa (ride, ndR). Forse è un album con meno voci aggressive, ma non per questo mi sento meno coinvolto, anzi, faccio molte cose: orchestrazioni, alcune parti di tastiera e di chitarra, suono il basso… musicalmente sono presente più che mai.
VORREI CHIEDERTI UN COMMENTO SU DUE BRANI CHE MI HANNO PARTICOLARMENTE COLPITO. IL PRIMO E’ “LIGHTBRINGER”, A MIO PARERE IL BRANO MIGLIORE DI “EONIAN”.
– Questa canzone, in particolare, è stata scritta in sala prove, durante una jam: è venuto fuori il riff portante della canzone e da lì ci abbiamo lavorato. È un approccio diverso dal solito, perché generalmente i nostri brani nascono in studio, invece in questo caso il tutto è nato in un ambiente diverso. Ci eravamo incontrati, alcuni anni fa, e se non ricordo male in quell’occasione io stavo suonando la batteria, mentre Silenoz e Galder la chitarra elettrica. Credo sia stato proprio Galder a tirar fuori il riff portante della canzone, a cui noi ci siamo collegati, jammando un po’ e registrando il risultato. Abbiamo aggiunto alcune idee che ci sono venute e dopodiché l’abbiamo portata in studio per lavorarci tutti assieme. Forse è stato proprio questo approccio a renderla diversa dal resto del materiale presente nell’album. Credo sia un buon pezzo, che porta chiaramente la firma dei Dimmu Borgir, con una aggressività più marcata, soprattutto nelle chitarre.
L’ALTRA CANZONE, INVECE, E’ “COUNCIL OF WOLVES AND SNAKES”, UN BRANO STRANO, MOLTO PARTICOLARE.
– Sì, molte persone lo stanno dicendo! È una canzone un po’ giocosa, in cui lo stile dei Dimmu Borgir emerge soprattutto nel suo voler essere mentalmente aperta. Non abbiamo timore di scoprire nuovi territori: la canzone nasce da un riff (Shagrath inizia a canticchiare il riff principale della canzone, mimando gli accordi di chitarra ndR), che è stato creato da Silenoz o Galder, non ricordo esattamente. La prima volta che lo ascoltai rimasi un po’ stranito, mi ricordava i Megadeth e, dico la verità, ero un po’ dubbioso che potesse funzionare. Quando gli altri se ne furono andati, andai avanti un po’ a lavorarci in studio: dopo averci aggiunto delle tracce di batteria, il brano iniziò a prendere una direzione diversa, più ritmica. Funziona così, basta un’idea e una canzone si sviluppa e prende forma: è come se i Dimmu Borgir giocassero a palla, in un certo senso. Nello specifico volevamo sviluppare questa struttura ritmica, un approccio quasi ‘sciamanico’, tanto che abbiamo anche invitato un altro cantante che utilizza la tecnica del canto armonico. La parte centrale del brano, invece, rimanda alla scena black metal norvegese delle origini: se pensi ad una band come i Carpathian Forest, volevamo creare un po’ quel genere di atmosfera. Credo sia davvero un ottimo brano, ma è necessaria una certa apertura mentale per poter essere apprezzato pienamente. Sicuramente è un brano molto diverso dal resto del materiale dell’album e, infatti, molte persone ci stanno facendo domande proprio su questo pezzo. È molto interessante per noi vedere queste reazioni.
IL PRIMO SINGOLO SCELTO PER PROMUOVERE L’ALBUM E’ STATO “INTERDIMENSIONAL SUMMIT”, CHE HA SPIAZZATO UN PO’ I VOSTRI ASCOLTATORI. COME MAI QUESTA SCELTA?
– È stato difficile, perché noi amiamo tutte le canzoni e non sapevamo davvero quale scegliere. Ormai si stava avvicinando la scadenza entro cui dare il titolo del primo singolo e ci siamo detti, “ok, è arrivato il momento di scegliere”. Ne abbiamo discusso quindi anche con la nostra etichetta, non penso che questa specifica canzone sia rappresentativa dell’intero album, tuttavia si tratta di un brano che ha in sé molti elementi dello stile dei Dimmu Borgir: è epica, atmosferica, anche orecchiabile (anche in questo caso Shagrath si mette ad intonare il riff principale, ndR), ti dà quel ritmo da headbanging. Tutti questi aspetti hanno fatto cadere la scelta su “Interdimensional Summit”, ma ci tengo a precisarlo ancora, perché è molto importante: non è la canzone più rappresentativa dell’album nella sua interezza.
QUESTO DISCO SEGNA ANCHE IL VOSTRO VENTICINQUESIMO ANNIVERSARIO. SE DOVESSI SCEGLIERE IL MOMENTO PIU’ ALTO E QUELLO INVECE PIU’ BASSO DELLA VOSTRA CARRIERA, COSA SCEGLIERESTI?
– Se dovessi scegliere il momento più alto, certamente sarebbe proprio lo show allo Spectrum di Oslo: è stata una di quelle occasioni in cui mi sono dovuto dare un pizzicotto per essere sicuro di non stare sognando. È stato un momento grandioso, prova a immaginare: ho composto l’intro di “Abrahadabra” (il brano “Xibir”, ndR) nel mio studio, a casa, con una tastiera Kurzweil; poi un giorno sono andato a vedere le prove dell’orchestra e mi ricordo di aver aperto la porta della sala e di essermi ritrovato davanti a tutte queste persone che stavano suonando qualcosa che avevo creato io, a casa, con una semplice tastiera. È un grande momento, te lo assicuro. D’altra parte la musica dei Dimmu Borgir ha sempre avuto questi elementi maestosi, sinfonici e vederli messi in musica in queste particolari condizioni è stato davvero speciale: non sono molte le band che possono avere un’opportunità simile. Invece quando parli di uno momento basso, cosa intendi?
INTENDO UN MOMENTO DI PARTICOLARE SCONFORTO, IN CUI TI SEI RITROVATO A CHIEDERTI SE DAVVERO NE VALESSE LA PENA.
– Ah sì, ci sono tanti momenti che ti buttano già di morale. È un lavoro sporco quello del musicista, non lo raccomando! (ride, ndR). Per me la musica non è ciò che faccio, ma ciò che sono, quindi comunque sia non riuscirei mai a pensare di abbandonarla. Tuttavia se dovessi scegliere un momento particolarmente triste è stato durante le registrazioni di “Puritanical Euphoric Misanthropia”, tra il 2000 e il 2001. Avevamo un album molto potente, con canzoni estremamente efficaci, degli ottimi performer, tutti avevamo dato il nostro meglio, però le registrazioni andarono per le lunghe. Ci eravamo persi un po’ affinando i suoni e sperimentando in studio, il che andò a discapito del missaggio, che venne concentrato in pochi giorni estremamente stressanti. Avevamo finito i soldi del budget e lo studio era già stato prenotato da un’altra band, quindi dovevamo per forza lasciarlo. Il risultato, purtroppo, è stato un suono di batteria pessimo, tutto è stato triggerato in maniera esagerata, sembrava di sentire i Pantera. All’epoca, al termine del mix ti veniva consegnato un CD masterizzato con la versione finale, ricordo di averla messa su in macchina, mentre guidavo verso casa, e avevo le lacrime agli occhi… Lo ascoltavo e dicevo, ‘cazzo, suona veramente di merda…’. Ancora oggi se ci penso mi rattrista molto, prima o poi dovremo metterci al lavoro e fare uscire un mix fatto come si deve per quell’album, così non riesco più a sentirlo.
IMMAGINO SIA STATO PARTICOLARMENTE BRUTTO, TRATTANDOSI DI UNA DELLE FASI FINALI NELLA REALIZZAZIONE DI UN ALBUM.
– Sì, esatto, immagina come ti puoi sentire: hai speso così tanto tempo componendo la musica, hai fatto la pre-produzione, sei stato creativo, hai unito tutte le parti e tutto funziona, fino all’ultimo passaggio. Il lavoro in studio è qualcosa che può farti saltare i nervi, perché basta davvero che qualcosa vada storto negli ultimi istanti della lavorazione per rovinare tutto. Lo stesso vale anche per il mastering, è un momento estremamente delicato.
TORNANDO AL PRESENTE, SUPPONGO CHE CI SARA’ UN TOUR DI SUPPORTO AD “EONIAN”, AVETE GIA’ PIANIFICATO QUALCOSA IN MERITO?
– Al momento siamo ancora nella fase della pianificazione: ci stiamo concentrando sull’album e ci sono tante cose da fare. Certamente faremo un tour e parteciperemo a qualche festival, dovremmo iniziare le prime date a giugno, se non erro. In generale, comunque, cercheremo di essere più selettivi: non abbiamo la necessità di suonare in ogni angolo del mondo, quindi concentreremo i nostri sforzi perché gli show che faremo siano migliori e più esclusivi. Stiamo anche invecchiando, le cose cambiano: non è facile tenere i ritmi di quando avevi ventidue anni quando ne hai quaranta, senza contare il fatto che abbiamo tutti famiglia. Sicuramente, comunque, supporteremo il nuovo album con un tour e concerti dal vivo.
UN’ULTIMA CURIOSITA’: QUEST’ANNO DOVREBBE USCIRE IL FILM ISPIRATO AL LIBRO “LORDS OF CHAOS”. FINORA I PARERI DATI DA COLORO CHE HANNO VISSUTO LA SCENA NORVEGESE DI QUEGLI ANNI SU QUESTA OPERAZIONE SONO STATI PIUTTOSTO NEGATIVI. TU COSA NE PENSI?
– A dir la verità non posso dire di avere un’opinione precisa, perché non ne so molto. Quello che posso dire è che credo sia sbagliato scavare nel passato. Sarebbe meglio guardare sempre avanti invece che indietro. Inoltre credo sia molto difficile riuscire a catturare o a riprodurre l’atmosfera vera di quegli anni, quindi credo che il rischio di uscire con un prodotto pessimo sia alto. Sono un po’ scettico, devo essere sincero.