I Disease rappresentano il prototipo della band italiana che, nonostante abbia saputo realizzare dischi di buon livello, dopo ben ventun anni di attività continua a gravitare nell’underground, al di fuori dai grandi numeri e da logiche di mercato, mossa unicamente dalla passione per la musica e dal piacere di suonare. Una passione che trasuda palesemente da ogni parola che abbiamo raccolto con Flavio Tempesta, cantante/chitarrista e fondatore di questo gruppo romano, che di recente ha pubblicato un nuovo album, intitolato “The Year Of Radio Silence”. Con Flavio, abbiamo dunque parlato di questo loro nuovo lavoro e ci ha anche espresso il suo punto di vista e la sua visione su quella che è l’attuale situazione dell’underground italiano.
SONO TRASCORSI BEN QUATTRO ANNI DALL’USCITA DEL VOSTRO ALBUM “THE STREAM OF DISILLUSION”: CI RACCONTI UN PO’ COME SONO ANDATE LE COSE PER LA BAND IN QUESTI ULTIMI ANNI?
“Negli ultimi quattro anni sono cambiate tantissime cose sia nelle nostre vite che logicamente nel nostro insieme come band. ‘The Stream Of Disillusion’ nel suo piccolo è stato accolto abbastanza bene, per noi è stato un disco importante su cui abbiamo poggiato le basi dell’evoluzione del nostro suono fino ad arrivare a quello che siamo oggi. Abbiamo potuto suonare le sue canzoni dal vivo in diverse occasioni e ha rappresentato un periodo importante della nostra vita artistica ed umana. Da lì in poi per tantissimi motivi si è chiuso un ciclo, l’ennesimo per i Disease e il presente, ‘The Year Of Radio Silence’, mostra quello che siamo oggi a quattro anni da ‘The Stream Of Disillusion’, a dieci dal nostro debutto discografico ‘5Th Wave, Endless’ e addirittura a venti dal nostro primo demo del 1995, ‘Dark Heart Behind’. Tutto cambia e si modifica ma rimane intatta la nostra passione verso la musica”.
AVETE AVUTO UNA MODIFICA IN LINE-UP MOLTO IMPORTANTE ALLA BATTERIA: ALLA FINE AVETE DECISO DI FARE PROPRIO A MENO DI UN BATTERISTA, COME MAI SIETE ARRIVATI A QUESTA SCELTA? CIÒ VI CREA PROBLEMI QUANDO SUONATE DAL VIVO?
“Dopo l’uscita di ‘The Stream Of Disillusion’ per motivi legati ai numerosi impegni che si hanno nella vita (famiglia, lavoro, ecc.), nella primavera del 2012 ci siamo separati amichevolmente dal nostro batterista Massimo che tra l’altro è mio fratello e fondatore dei Disease insieme a me . E’ stato un momento duro, che però ci ha aiutato a compattarci ulteriormente nella volontà di continuare il nostro percorso come gruppo ed insieme di persone, quindi inizialmente abbiamo cercato un sostituto che potesse fare al caso nostro: purtroppo, sia per il genere ostico, sia per la mancanza cronica di batteristi nella nostra zona, sia perchè è difficile trovare individui seri che capiscano cosa significhi impegnarsi rispettando una realtà coesa negli anni e nei rapporti come la nostra, dopo un po’ di tentativi non andati a buon fine, abbiamo deciso di restare un trio, rimanendo lontani da stress e perdite di tempo, concentrandoci soltanto sulla nostra musica e sulla volontà di andare avanti: è proprio in questo momento di consapevolezza che è veramente iniziato il processo che ha portato alla nascita di ‘The Year Of Radio Silence’. Per il futuro ci siamo riproposti di trovare qualcuno che possa ricoprire il ruolo di batterista fisso nei Disease, speriamo che prima o poi esca fuori la persona giusta, anche se tutto sommato con vari espedienti riusciamo anche in tre a portare avanti il gruppo senza troppi drammi”.
COME HAI APPENA ANTICIPATO, SIETE TORNATI CON UN NUOVO FULL-LENGTH, INTITOLATO “THE YEAR OF RADIO SILENCE”: COME MAI AVETE SCELTO QUESTO TITOLO? SI TRATTA DI UN CONCEPT?
“Il nuovo album è un concept come lo sono stati anche ‘5th Waves , Endless’ e ‘The Stream Of Disillusion’: amo che i nostri lavori abbiano un filo conduttore tra le atmosfere e le tematiche dei testi e dell’artwork , qualcosa che si sposi bene con la musica , con le impressioni e sensazioni che ci fa arrivare mentre siamo nel processo creativo . ‘The Year Of Radio Silence’ è una frase che ascoltai in un documentario che parlava di alcuni esploratori rimasti bloccati in un luogo isolato, senza possibilità di comunicare con il resto del mondo: un posto irraggiungibile, in cui le frequenze radio erano solo rumore bianco. Questa frase, rapportata alla vita di tutti i giorni, in cui la gente ha sempre più rapporti virtuali che reali, indossando le maschere che si creano sui social network, mi diede ispirazione per raccontare di un isolamento di tipo differente, quello generato dal sentirsi estranei con il mondo e con le persone che abbiamo intorno per via delle difficoltà che si hanno nel relazionarsi col prossimo, nonostante oggi tutto e tutti siano a portata di click: spesso, la paura di non essere capiti e accettati in una società veloce e cinica come la nostra, può spingere a costruire false maschere sorridenti dietro le quali si ergono barriere impenetrabili intorno alle proprie emozioni e, per paura di scoprirci, rimanere feriti o delusi, possono confinarci in una sorta di distacco dal resto, una vita vissuta in una sorta di dormiveglia, in cui si immaginano vie alternative percorse solo con l’immaginazione, come se le cose cambiassero nella confusione delle emozioni a seconda di come vengano guardate (per questo sulla cover del disco ci sono le macchie di Rorschach) mentre si aspetta apaticamente un segno di cambiamento dall’esterno. Ma spesso questo isolamento può essere dovuto anche alla fragilità per una mancanza importante dovuta ad una tragedia, un dolore che può schiacciarti come se il cielo stesso ti cadesse addosso improvvisamente e che può portare a farti scollare dalla realtà in un freddo stato di inerzia. ‘The Year Of Radio Silence’ racconta questo ma soprattutto parla anche della reazione che ti spinge a riconnetterti con la tua vita, a non dimenticare il passato e infine a rimetterti in gioco più forte di prima, seguendo la luce che si irradia nella notte dall’orizzonte fino ad una nuova alba, quando il silenzio radio è rotto dall’inizio improvviso di nuove trasmissioni … vita, morte, disperazione e speranza”.
COME SI SONO SVOLTE LE SESSIONI DI REGISTRAZIONE? MI PARE CHE ABBIATE AVUTO UNA SERIE DI DIFFICOLTÀ…
“Abbiamo registrato in totale autonomia ed è stata una bellissima esperienza che ci ha arricchito tantissimo. I lavori si sono svolti durante l’estate del 2015 e non ci sono stati intoppi di nessun tipo, abbiamo potuto curare tutti i particolari con calma concentrandoci sull’esecuzione e sulla ricerca del suono che ci rappresenta. E’ filata inspiegabilmente liscia forse perchè il carico di sfiga l’avevamo fatto precedentemente tra mille piccole magagne di ogni tipo e una non tanto piccola che ci arrivò sulla testa nel Febbraio del 2014, quando crollò il soffitto della nostra sala prove a causa delle forti piogge e dell’infiltrazione dell’acqua. Per fortuna, non abbiamo avuto danni ai nostri strumenti ma ci è venuto a mancare per moltissimo tempo il luogo in cui provare e lavorare sui nuovi pezzi che tra l’altro è anche il nostro ritrovo: successivamente, a fine 2014, siamo riusciti a ripristinare la sala recuperando il tempo perduto”.
COME DESCRIVERESTI LE SONORITÀ DI “THE YEAR OF RADIO SILENCE”? LA MIA IMPRESSIONE È STATA CHE IN LINEA DI MASSIMA SIA UN ALBUM UN PO’ PIÙ INTROSPETTIVO E CON UNA VENA MALINCONICA PIÙ ACCENTUATA RISPETTO AI VOSTRI LAVORI PRECEDENTI: TU COME LA VEDI?
Sì, è un album molto malinconico ed introspettivo ma allo stesso energico e pieno di forza, forse è il nostro lavoro in cui si possono trovare contrasti sonori molto più marcati ma amalgamati in modo più naturale e coeso rispetto a quanto abbiamo prodotto in passato. Ci siamo dedicati molto all’arrangiamento dei brani cercando di renderli fluidi il più possibile, anche quando la musica si fa più macchinosa ed intricata, tentando di aprire le canzoni nelle parti più melodiche ed emotive: per certi versi, questo approccio è stato naturale, perchè abbiamo sempre avuto a cuore il lato emozionale della nostra proposta, sia per una questione di gusti ed influenze personali, sia per evitare di rimanere sterili e cervellotici come spesso capita a gruppi con influenze progressive. Per noi è importante che la musica fluisca (come diceva il grande Chuck Schuldiner) e che lo faccia liberamente nella sua essenza più vera ed intima, lontana da numeri circensi e dal freddo esercizio strumentale fine a se stesso: sotto il profilo strettamente tecnico, sono molto soddisfatto dell’intensità di alcune parti, tra cui certi assoli di chitarra che sono tra i migliori che io e Marco abbiamo mai registrato e alcuni momenti di basso veramente avvolgenti che Leonardo ha arrangiato con cura; o, ancora, fraseggi che improvvisamente diventano protagonisti assoluti, come ad esempio succede in ‘Sleepwealking Life’,uno dei brani che meglio rappresenta la nostra direzione musicale. Anche sul cantato ho provato a prestare più attenzione al fluire complessivo e all’interpretazione, cercando di dosare in modo più attento le parti in scream più estreme, dando maggior respiro al pulito, evitando alternanze esagerate, ma devo ammettere che anche questo è venuto in modo abbastanza naturale, come se i pezzi prendessero da soli quello che era necessario. Per la prima volta abbiamo lavorato anche con synth ed elettronica per rafforzare le atmosfere in certe parti, arrivando addirittura ad includere una ghost track chiamata ‘Irradiant’ in cui non compaiono strumenti tradizionali. Siamo molto sorpresi e soddisfatti del risultato finale!”.
QUALI SONO LE PRINCIPALI INFLUENZE DELLA BAND E ATTUALMENTE COSA RIENTRA TRA I TUOI ASCOLTI PREFERITI?
“Ascoltiamo di tutto, noi tre abbiamo gusti differenti e questo ci aiuta moltissimo nel rendere più eterogenea la nostra proposta. Io personalmente ascolto molto post rock e post metal ma non mi faccio problemi nell’approcciare generi diversi se quello che sento mi cattura. ‘The Year Of Radio Silence’ contiene molti elementi post, già sul precedente album c’era qualche influenza ma stavolta credo siano più evidenti e meglio amalgamate col nostro sound. Amo ancora tantissimo il metal estremo, che rimane una parte importante del nostro suono, anche se ormai è destrutturato ed inglobato nel modo che abbiamo di fare musica”.
MI HA SORPRESO TROVARE UNA COVER COME QUELLA DI “DON’T YOU (FORGET ABOUT ME)” DEI SIMPLE MINDS: QUESTA SCELTA È STATA DETTATA DAL DESIDERIO DI SPERIMENTARE UNA CANZONE POP IN CHIAVE METAL OPPURE EFFETTIVAMENTE ERI UN LORO FAN?
“I Simple Minds sono un gruppo grandissimo che ho sempre amato e ‘Don’t you’ è semplicemente un pezzo immortale che adoro alla follia. L’idea di farne una cover mi venne nel 1998, ma per tanti motivi non ebbi mai la possibilità di concretizzarla con gli altri. Poi, un paio di anni fa, riascoltandola casualmente alla radio mentre guidavo, mi è scattata in mente un’idea per arrangiarla e da lì è iniziato tutto. Abbiamo approcciato il brano come se fosse nostro, riscrivendolo nel nostro stile, lasciando praticamente solo il cantato come punto di unione con l’originale. Il risultato finale credo ci rappresenti, rimanendo un omaggio rispettoso al quel brano capolavoro. Prima dell’uscita del disco ho postato la nostra cover sulla pagina facebook dei Simple Minds quasi per gioco, pensando che tanto nessuno ci avrebbe mai filato, invece un gentilissimo Jim Kerr ci ha fatto arrivare il suo apprezzamento, addirittura condividendola sulla pagina dei Simple Minds, dandoci un’inaspettata, piccola, visibilità che proprio non avrei mai immaginato. Logicamente i fan integralisti della band ci hanno massacrato ed insultato in stile Manowar del pop, ma per noi è stato ugualmente un piccolo fantastico riconoscimento da parte di un grandissimo artista!”.
LA BAND È ORMAI IN GIRO DA VENTUN ANNI MA DI FATTO AVETE REALIZZATO UN DISCO ANCORA INTERAMENTE AUTOPRODOTTO: È STATA UNA VOSTRA SCELTA O AVETE AVUTO DIFFICOLTÀ A TROVARE ETICHETTE SERIAMENTE INTENZIONATE A PUNTARE SU DI VOI?
“Dopo tanti anni sappiamo bene come funziona l’ambiente qui da noi e siamo assolutamente consci che l’Italia non sia un paese in cui puoi importi musicalmente suonando rock o metal, soprattutto se estremo. E’ capitato di avere qualche contatto o possibilità ma se devo comunque pagare un’etichetta per far uscire il mio disco, me lo autoproduco direttamente da solo, preferiamo l’autogestione cento per cento. Per questo motivo, per il fatto che noi consideriamo la musica una passione importante ma non un lavoro, per il fatto che dopo ventun anni siamo un po’ disillusi, preferiamo mettere tutto quello che facciamo in free download sulle nostre pagine ufficiali in modo tale da permettere a chi ne avesse voglia di scoprire e assaporare la nostra musica”.
COME PENSATE DI PROMUOVERE IL DISCO?
“Ti dico come NON lo promuoveremo. NON pagheremo nessuna agenzia o manager per mandare due e-mail e tre pacchetti in giro, promettendoci contratti o palchi importanti. NON pagheremo nessun promoter per suonare di spalla a Tizio o Caio o in qualche festival ridicolo. Pagare per suonare è l’umiliazione più grande per una band, le occasioni bisogna meritarle col sudore e con la dedizione, non firmando assegni a chi specula sulle passioni altrui. Per questo, inoltre, NON leccheremo il culo a gestori di locali che ti trattano in modo disumano calpestandoti come musicista ma soprattutto come persona: un’esperienza del genere ci è capitata molto recentemente ad un nostro concerto e ha radicalmente cambiato in modo definitivo il nostro modo di approcciare la musica dal vivo, perchè nonostante il palco sia certamente il momento più bello per un musicista, per me è preferibile non suonare che farlo in certi modi avvilenti che sono solo fonte di rabbia e frustrazione: non mi riferisco a questioni economiche ma parlo solo ed esclusivamente di rispetto. Promuoveremo il lavoro tramite le nostre pagine, con il passaparola dei nostri amici e di chi ci segue da una vita, provando ad arrivare alle orecchie di chi ama questo genere meno immediato che è sempre alla ricerca di nuove realtà da conoscere, cercando di suonare in quelle occasioni in cui l’ambiente è ‘sano’, possibilmente con band che la pensano e la vivono come noi, stando alla larga da certi modi malsani e purtroppo diffusi di intendere questo mondo: fortunatamente, esiste ancora gente appassionata con i piedi per terra, come esistono ancora grandi gruppi underground che propongono musica eccezionale alla faccia dei lustrini, dei palchi prestigiosi immeritati, dei videoclip pacchiani, dei servizi fotografici di finte rockstar cattivissime e del cento per cento immagine e zero musica”.
QUALI SONO LE TUE PROSPETTIVE E I VOSTRI OBIETTIVI PER IL FUTURO DELLA BAND?
Ci piacerebbe che ‘The Year Of Radio Silence’ arrivasse a più gente possibile e che rompesse quel muro di indifferenza che avvolge molti gruppi come il nostro, band che, a volte, a prescindere dalla qualità della loro proposta, sembrano totalmente invisibili. Oggi come oggi, c’è tantissima concorrenza ed escono un mare di dischi ogni giorno: in questo casino, è difficile essere notati dal pubblico e alla fine spesso conta quanto ti sai vendere, cosa in cui noi siamo veramente scarsi (risate/ndr)! Ma è anche vero che siamo innamorati di quello che facciamo e che già il solo suonare in sala tra noi per noi è fonte di soddisfazione e appagamento enorme: dopo ventun anni, l’essere ancora attivi nonostante tutto, può farti capire quanto siamo legati a quello che facciamo nella sua essenza più semplice”.
HAI UN SOGNO NEL CASSETTO COME MUSICISTA?
“Sì, migliorarmi sempre, cercando nuove vie per evolvere, sperando di trovare l’ispirazione giusta per scrivere nuove canzoni. Non posso fare a meno della buona musica, ascolto sempre qualcosa e mi piace scoprire artisti o gruppi nuovi senza contare che suonare è la più grande passione della mia vita che spero di avere il privilegio di poter coltivare ancora per molto tempo”.