DØDHEIMSGARD – Immergetevi con noi nell’oscurità

Pubblicato il 16/04/2023 da

In anticipo su quella miriade di commistioni che ha portato il black metal alle orecchie di chiunque, precursori di contaminazioni in apparenza eretiche, sperimentatori implacabili con un occhio di riguardo alla tradizione e ai propri natali musicali, i Dødheimsgard del 2023 sono ancora degli spiriti guida, non semplice oggetto di amarcord.
Senza l’assillo di dover accontentare un’ampia platea di fan, divincolati dai lacci delle case discografiche, liberi di fare e creare quanto più gli piace coi tempi che gli occorrono, i blackster norvegesi si ripresentano in grande stile con “Black Medium Current”.
Ora più che mai è la fantasiosa mente di Vicotnik, leader e unico membro fondatore rimasto dagli albori, a guidare l’azione, tra sonorità notturne, spaccati di black metal ancora intenso e ferale, sonorità siderali, onirica introspezione, filosofia dell’esistenza ed eterno amore per l’extreme metal a tutto tondo. La passione di questo musicista si diffonde chiara nelle note dell’ultimo, spettacolare, album, e la si ritrova puntualmente nelle sue parole, quelle di un artista che non ha smesso di cercare un senso più alto nella sua arte e nella vita. Non c’è traccia di assuefazione, abitudine, calcolo, nelle sue parole, mentre è palpabile l’entusiasmo per questo nuovo capitolo del gruppo e la voglia di dare ancora lustro a quella grande epopea che è il black metal.

“BLACK MEDIUM CURRENT” SEGNA IL VOSTRO RITORNO DISCOGRAFICO A OTTO ANNI DA “A UMBRA OMEGA”. ANCHE IN QUESTA OCCASIONE SIETE RIUSCITI A SPINGERE IL CONCETTO DI AVANT-GARDE METAL VERSO TERRITORI INESPLORATI RISPETTO AL PASSATO, VOLEVO QUINDI CHIEDERTI DA DOVE SIATE PARTITI PER QUESTO NUOVO VIAGGIO E QUANTO ABBIATE RICERCATO LA NOVITÀ E LA SPERIMENTAZIONE NEL NUOVO DISCO.
– Il punto di partenza possiamo trovarlo in una canzone di “A Umbra Omega”, “Architect Of Darkness”; in quel caso mi ero accorto di aver raggiunto un grado di introspezione, di esplorazione dell’animo umano, che mai ero riuscito a raggiungere prima, come musicista ed individuo. Ed era un aspetto che mi piaceva molto, per questo ho cercato con “Black Medium Current” di ottenere un album che fosse particolarmente immersivo.
Per un paio d’anni almeno ho cercato di immaginarmi un concept che potesse rendere effettiva questa mia volontà, da un certo punto di vista è come se avessi cercato di disimparare quello che conoscevo, di perdere una parte di quello che sapevo per ripartire in modo diverso nella scrittura dei brani. Sai, “A Umbra Omega” è un album pieno di note, caotico, partiva da presupposti differenti da “Black Medium Current”: perciò ho dovuto riprogrammare me stesso, per poter poi scrivere della musica che suonasse appunto immersiva, fosse meno frenetica e adrenalinica di quella di “A Umbra Omega”. Dovevo togliere tecnica, dovevo avere qualcosa che fosse meno pieno di dettagli, meno movimentato, e consentisse quindi quel tipo di esperienza che avevo in mente.

IN EFFETTI “BLACK MEDIUM CURRENT” SEGUE IN PARTE LE COORDINATE DI “A UMBRA OMEGA”, MA POI SI PORTA VERSO ATMOSFERE LONTANE DA QUEST’ULTIMO, NONOSTANTE RIMAGA UNA FORTE IMPRONTA BLACK METAL. A TUO AVVISO, QUALE TIPO DI SENSAZIONI VA A SUSCITARE IL NUOVO ALBUM?
– Con “Black Medium Current”, rispetto ad “A Umbra Omega”, diminuiscono le parti più veloci e intricate, a favore di uno sviluppo spesso lento e avvolgente. Mi piace pensare che con quest’album andiamo a suscitare una gamma di emozioni con le quali chiunque può entrare in relazione, facendo percepire malinconia, dolore, tristezza, allo stesso tempo provando ad estraniare le persone e a condurle in uno stato contemplativo. Ognuno di noi penso abbia un suo personale pensiero profondo, un processo di analisi di se stesso che va dentro il suo intimo modo di essere, qualcosa di cui alle volte abbiamo paura e non sempre abbiamo voglia di confrontarci con esso.
Attraverso “Black Medium Current” volevo che andassimo a confrontarci con la dualità dell’esistenza, i suoi aspetti fisici e metafisici. Per quanto sia difficile da spiegare a parole, direi che ho cercato di portare la mia diretta esperienza, la mia esperienza ‘fisica’ su alcuni accadimenti della mia esistenza, in una forma ‘metafisica’, che è quella rappresentata dalle parole e dai suoni di “Black Medium Current”. Le mie esperienze riportate nell’album riguardano, a grandi linee, il senso di perdita di qualcosa di importante che compare poco per volta nel corso della propria vita, la sensazione di lasciarsi alle spalle dei pezzi fondamentali di esistenza e di non poterli più ritrovare.
Sintetizzo, secondo la mia prospettiva, il nostro grande viaggio dalla nascita alla morte, con tutto quello che ne consegue per la nostra mente e il modo in cui affrontiamo questo viaggio. Liriche e musica cercano di rispondere ad alcune delle ponderose domande che ci facciamo: la corrispondenza tra le nostre credenze e la realtà e, nel caso queste coincidano oppure divergano, i motivi per i quali ciò accade.
E da qui possono nascere ulteriori quesiti, senza che io voglia dare per forza alcuna risposta. In questo senso, penso che il nostro ultimo disco non sia affatto complicato, lascia aperte molte porte, affinché ognuno possa immergersi in esso e arriva individualmente a una sua interpretazione dei contenuti di “Black Medium Current”. Cerco di far provare alle persone le condizioni mentali nelle quali mi sono trovato durante la sua creazione.

SE DOVESSI DARE DEGLI AGGETTIVI PER DEFINIRE LA VOSTRA MUSICA, I PRIMI CHE MI VERREBBERO IN MENTE SAREBBERO ‘SURREALISTA’ E ‘SPAZIALE’. RIMANE COMUNQUE NIENT’AFFATTO ASTRATTA O DIFFICILE DA COMPRENDERE: TI CHIEDO QUINDI COME CERCHI DI BILANCIARE IL PROCESSO DI SCRITTURA, PER POTER STARE IN EQUILIBRIO TRA AVANGUARDISMO E FORTE IDENTITÀ METALLICA.
– Sai, compongo tantissima musica diversa, tante cose sono veramente distanti dal metal. Quando devo scrivere musica per i Dødheimsgard passo al setaccio il mio archivio, cerco di capire cosa si adatti e cosa non vada bene per la band. Ho quindi da parte molta musica che non hai mai registrato professionalmente, non so se e quando potrà servire per un disco.
Nella fase compositiva, mi chiedo spesso se un’idea che ho prodotto sia coerente con il concept del disco, se si adatti alle liriche, ricerco una coerenza interna tra le diverse parti, se non la trovo quell’idea viene scartata, almeno per quell’album. La musica nella mia prospettiva deve esprimere un certo stato d’animo, se è quello che vado cercando per il disco che ho in mente, allora quel frammento di musica lo terrò in considerazione, altrimenti passerò ad altro. La maggior parte del procedimento creativo accade nella mia testa. Con la musica, provo a materializzare, a dare sostanza fisica a qualcosa che nella mia mente ha una forma astratta. Opero quindi un lungo processo di selezione, qualcosa tengo, molto altro lo scarto.
Quanto alla tua osservazione, che la mia musica sia surrealista e spaziale, ma molto concreta, è perché non voglio che chi ci ascolta si senta distante da quello che sta sentendo. La deve percepire come qualcosa di famigliare, che può comprendere, con la quale può sentire un’assonanza, non deve provare distacco o la sensazione di non avere nulla a che fare con essa. Un nostro ascoltatore deve sentirsi parte del nostro universo, non sentirsi escluso. I suoi pensieri non devono essere alieni alla musica, piuttosto sentirsi a loro agio con essa.

ASCOLTANDO I VOSTRI ULTIMI DUE ALBUM, COSTITUITI DA CANZONI MOLTO LUNGHE E SENZA STRUTTURE FISSE E PREDETERMINATE, SEMBRA QUASI CHE ADOTTIATE UN APPROCCIO SIMILE A QUELLO DELLA MUSICA CLASSICA, NELLA COSTRUZIONE DI PROLUNGATE SUITE. VOLEVO SAPERE SE TU ABBIA UNA FORTE CONNESSIONE COL MONDO DELLA MUSICA CLASSICA E SE TU ABBIA DEI COMPOSITORI DI RIFERIMENTO, NELLA CLASSICA OPPURE CHE SI OCCUPANO DI UN TIPO DI MUSICA DIFFERENTE.
– No, direi proprio di no. L’avere canzoni molto lunghe e ognuna con una sua struttura specifica dipende semplicemente dal mio desiderio di ottenere tracce molto variegate e con una precisa identità. Capisco che, dalla prospettiva di chi ci ascolta, possiamo anche dare l’impressione che vi sia un disegno dei pezzi mutuato dalla musica classica, ma io non ho questo tipo di influenza.
Mentre posso affermare invece che il flusso di una traccia, come si sviluppa e si evolve, ha delle assonanze con il cinema; le canzoni dei Dødheimsgard sono una specie di viaggio, puoi interpretarle come se fossero lo svolgimento di una breve pellicola cinematografica. A volte le canzoni, parlo in senso generale, sono soltanto parole attorno a un ritornello: per me è come se fossero una giostra, un piccolo espediente per intrattenere la gente, niente di più. Non voglio che la mia musica sia questo, non voglio una semplice giostra, auspico che con la nostra musica si possa compiere un viaggio mentale, che si parta da un punto e si approdi a un altro, e nel mezzo si sviluppi una storia appassionante e drammatica. E questo può avvenire grazie alle dinamiche della musica.

CENTRALI NELLA VOSTRA MUSICA SONO LE PARTI VOCALI, CHE PAIONO PROVENIRE DA UNA RAPPRESENTAZIONE TEATRALE, TANTA È L’ENFASI INFUSA NELLE VOCI PRINCIPALI E NELLE PARTI CORALI. VOLEVO SAPERE SE NELLA TUA MENTE TU RIESCI A OTTENERE QUESTI DIVERSI APPROCCI VOCALI PENSANDO CHE VADANO IN SCENA PIÙ PERSONAGGI, OPPURE CI SONO ALTRE MODALITÀ ATTRAVERSO LE QUALI RIESCI A OTTENERE QUESTA AMPIA GAMMA VOCALE?
– A dire il vero non immagino che si avvicendino diversi personaggi, le voci sono sempre quelle dello stesso personaggio, ma in condizioni mentali differenti. Quello che ascolti sono interpretazioni differenti di emozioni simili, per dare evidenza di una certa emozione gioco coi contrasti, con lo stato mentale nella quale una medesima persona si pone di fronte alla stessa situazione. Da differenti stati mentali derivano quindi vocalizzi anche in forte divergenza gli uni dagli altri.

LE PRIME DUE CANZONI CHE MI HANNO COLPITO SONO “INTERSTELLAR NEXUS” E “REQUIEM AETERNUM”: LA PRIMA PERCHÉ PENSO SIA LA CANZONE PIÙ FACILE DA SEGUIRE DEL DISCO, PER VIA DEL SUO RITMO COINVOLGENTE E TRASCINANTE; LA SECONDA PER LA SUA DELICATEZZA. TI CHIEDO SE PUOI ANDARE UN POCO IN PROFONDITÀ SU QUESTE DUE TRACCE.
– Parto con “Requiem Aeternum”, per la quale ci siamo avvalsi di un pianista come ospite. Abbiamo concordato quale dovesse essere il mood del pianoforte e una volta fatto quello gli abbiamo lasciato campo libero, perché la sua musica potesse scorrere libera e senza restrizioni. Su quella ho poi disegnato le linee vocali. È una canzone che ha principalmente a che fare con la solitudine: il significato potrebbe essere racchiuso nella espressione del testo, “la tua pelle come il sole“: nessuno può davvero avvicinarsi al sole, perché scotta, è troppo caldo perché qualsiasi forma vivente possa andarci vicino. Così sono alcuni individui, che bruciano coloro che gli vanno troppo vicini. Sono persone che portano con sé una dose di pericolo. Alcuni hanno questo tipo di natura, per come sono fatti tendono a ‘bruciare’ chi hanno intorno, tanto più costoro gli si avvicinano.
“Interstellar Nexus” parla della connessione con l’universo, ha delle liriche ambivalenti, parlo di porte da aprire o lasciare chiuse. Ci sono porte che una volta aperte, una volta che sei entrato in una nuova stanza, non puoi più tornare indietro. E allora si rimane nel dilemma se valga la pena decidersi a fare nuove esperienze, o rimanere su quello che si conosce. Lo stesso vale per il passato, se sia il caso di dimenticarlo, chiudersi una porta alle spalle per non riaprirla, oppure se valga la pensa tenere con noi anche le cattive esperienze. Noi, comunque vada, siamo costretti al cambiamento, non ci possiamo fare nulla.
“Interstellar Nexus” parla allora di cambiamenti, alcuni accettati, altri verso i quali siamo restii, fino al cambiamento conclusivo, quando il nostro corpo è restituito alla natura. Quello che conta è l’esperienza che abbiamo lungo il viaggio, dalla nascita alla morte. Noi non abbiamo una reale proprietà del nostro corpo, appartiene alla natura, mentre la mente è soltanto nostra, nostri sono i pensieri, siamo noi che apportiamo cambiamenti su noi stessi in base a quello che la vita ci chiede.

CON “A UMBRA OMEGA” E “BLACK MEDIUM CURRENT” AVETE SVILUPPATO UNA STRANA FORMA DI ELEGANZA, QUALCOSA DIFFICILE DA DESCRIVERE COMPIUTAMENTE, UNA SPECIE DI AURA ARISTOCRATICA, SOFISTICATA, CHE SEGNA INDELEBILMENTE LA VOSTRA MUSICA. E SI PARLA DI ALBUM ARRIVATI DOPO DUE OPERE, “666 INTERNATIONAL” E “SUPERVILLAIN OUTCAST”, MOLTO CAOTICHE E DISTURBANTI. A COSA È DOVUTO PRINCIPALMENTE QUESTO PASSAGGIO A SONORITA’ PIÙ LIEVI, PROGRESSIVE E RIPULITE, AVVENUTO CON GLI ULTIMI DUE ALBUM?
– Con gli ultimi due dischi – l’ultimo soprattutto – ho cercato di rendere l’oscurità più accessibile. Volevo essere il più autentico e onesto possibile con la mia musica. Era mia intenzione tornare a un messaggio sonoro che non avesse molte mediazioni, molti artifizi, che avesse una sua purezza e comunicasse le mie idee in modo diretto, senza grandi intermediazioni. L’eleganza che percepisci penso derivi da questo, dall’evocare sensazioni vere, palpabili per chiunque ci ascolti.
In “Black Medium Current” non ci sono escamotage per tenere avvinto un ascoltatore, trucchi da rock band che cerca di divertire, intrattenere, far provare adrenalina: semplicemente, accompagniamo nell’oscurità, diamo il benvenuto in essa, ci sediamo e la contempliamo assieme.

LA VOSTRA MUSICA TRABOCCA DI CREATIVITÀ E RICERCATEZZA, È FANTASIOSA ED ESPLORATIVA, EPPURE MANTIENE UNA FORTE CONNESSIONE CON IL BLACK METAL DEGLI ANNI ’90, LA SCENA DA DOVE PROVENITE, I VOSTRI INIZI. QUALI SONO GLI ASPETTI CHE NON DEBBONO MAI MANCARE IN UN DISCO DEI DØDHEIMSGARD E COME FATE A MANTENERE UNA VISIONE DEL METAL ESTREMO CHE RIMANDA, DOPO TUTTO, A UNA VERSIONE ‘CLASSICA’ DI QUESTA MUSICA?
– Mi piace rimanere connesso alla scena da cui provengo. Il black metal non è solo un genere, è una questione di spazio e tempo. Quale spazio – geografico – intendo? La Scandinavia. Il tempo? Gli anni ’90. La Scandinavia degli anni ’90 è il luogo dove il black metal è nato e a quell’epoca appartiene. Non è solo musica, è espressione di un ambiente e di un periodo storico. Questa è la mia eredità musicale. Sono ancora fedele a quell’epoca, lo sarò sempre.
Do tutto il mio amore e la mia passione a qualcosa che mi ha dato tantissimo ai tempi e continua a darmelo tutt’ora: quando i Dødheimsgard sono nati ero un teenager e ora ho quarantasei anni, penso che andrò avanti a suonare questa musica finché ne avrò la possibilità. È un pilastro della mia esistenza, un modo per identificarmi. Io rimango fedele alle mie radici ma nel contempo vado a espandere per quanto mi è possibile i miei orizzonti. Non voglio ripetermi, non voglio restare intrappolato in uno schema rigido.

VI HO SCOPERTI ALL’EPOCA DI “SUPERVILLIAN OUTCAST”, UN ALBUM DI SPROPOSITATA FURIA DIGITALE, UN INDUSTRIAL BLACK METAL MOLTO LONTANO DA QUANTO SUONATE OGGI. IN QUELLA LINE-UP, ALLA VOCE, C’ERA MAT MAT MCNERNEY, CONOSCIUTO ANCHE COME KVOHST, ORA DECISAMENTE PIÙ NOTO PER I SUOI GRAVE PLEASURES CHE NON PER LA PASSATA MILITANZA NEI DØDHEIMSGARD. VOLEVO SAPERE COME NACQUE ALL’EPOCA LA COLLABORAZIONE TRA DI VOI E PERCHÉ DURO SOLTANTO LO SPAZIO DI UN ALBUM.
– Io e Mat eravamo ottimi amici da – a memoria –  circa una decina d’anni, quando lui è entrato nei Dødheimsgard. In quel periodo, prima di entrare nella band, era il cantante e uno dei songwriter della formazione black metal inglese dei Code, della quale abbiamo fatto parte entrambi. Quando stavamo iniziando a preparare “Supervillain Outcast”, sapendo che Mat stava per lasciare gli altri gruppi con cui stava collaborando, abbiamo pensato tra gli altri anche a lui. Ammetto che inizialmente non ero del tutto convinto, mi sono riascoltato meglio quanto fatto coi Code e alla fine ho pensato potesse funzionare. Così l’abbiamo reclutato per cantare sul disco che avevamo cantiere. Si rivelò una scelta azzeccata, lavorò duramente e in modo preciso per “Supervillain Outcast”. Si occupò dei testi, delle linee vocali, di diversi arrangiamenti, anche in studio fu molto professionale, ci fu forte sintonia tra noi mentre stavamo realizzando quell’album. Lui fece un ottimo lavoro, su tutto, io ero un po’ preoccupato di quella che sarebbe stata la reazione all’esterno, da parte di chi ci ascoltava, perché purtroppo il nostro è un ambiente dove quello che è stato fatto prima è sempre meglio di quanto si propone oggi. Quindi temevo che il confronto con l’aveva preceduto andasse a suo discapito, soltanto perché lui era il ‘nuovo’ cantante ed era un elemento appena entrato in line-up.
Non posso averne l’assoluta certezza, ma penso Mat abbia avvertito il fatto che veniva considerato un qualcosa di esterno al gruppo, e anche il fatto di non essere il centro del progetto, ma semplicemente il nuovo cantante dei Dødheimsgard, l’ha convinto che non fosse quella la sua strada, e dovesse occuparsi di qualcosa dove era più al centro, dove la musica era principalmente la sua, e non quella scritta da qualcun altro. E lo capisco, è qualcosa che avrei pensato pure io al suo posto. Per questo nel 2011 ognuno, artisticamente parlando, è andato per la sua strada. I rapporti tra noi sono rimasti intatti, semplicemente in quel momento stavamo cercando cose diverse.

DAL VIVO, INVECE, VI HO VISTO DUE VOLTE, UNA NEL 2016 AL BLASTFEST DI BERGEN, LA SECONDA ALL’EINDHOVEN METAL MEETING DEL 2019. PROPRIO QUEST’ULTIMA FU UN’ESIBIZIONE CON UN’ATMOSFERA DAVVERO PARTICOLARE, RITUALISTICA, ANDAVA A RICHIAMARE QUELLO CHE, A GRANDI LINEE, POSSIAMO ASPETTARCI DA UNA QUALCHE CELEBRAZIONE COLLEGATA A CULTI ORIENTALI. QUALCOSA DI FORTE MISTICISMO E DAL FASCINO ESOTICO. COSA PROVATE VOI, PERSONALMENTE, DURANTE I CONCERTI, E PERCHÉ È COSÌ IMPORTANTE CREARE UN’ATMOSFERA SIMILE, COSÌ CHE NON STIAMO SEMPLICEMENTE ASSISTENDO A UN’ESIBIZIONE MUSICALE, MA CI SENTIAMO PARTE DI UN FENOMENO CHE TRASCENDE LA MUSICA STESSA?
– È importante che le persone entrino nell’interpretazione metafisica che diamo alla nostra musica. Per questo motivo prestiamo molta attenzione a come viene preparato il palco e alla componente visuale a tutto tondo, perché dobbiamo immaginare che non tutti, solo attraverso la musica, possano comprendere quello che vogliamo comunicare. Serve allora dare degli elementi che attirino l’attenzione e contribuiscano ad avvicinare alla nostra percezione della musica.
Il fatto di richiamare una spiritualità orientale, indiana nel nostro caso sicuramente, deriva dalle mie origini, che derivano appunto da quell’area. È un modo più o meno consapevole di mostrare da dove provengo. Non sono solo un musicista black metal, geograficamente rappresento anche qualcos’altro. Io e la mia famiglia siamo originari dell’India, ho piacere ad attrarre l’attenzione anche a questo aspetto della mia persona.

A PROPOSITO DELLE TUE ORIGINI, RITIENI CHE INFLUENZINO IN QUALCHE MANIERA ANCHE ALTRI ASPETTI DELLA TUA MUSICA?
– Per quanto riguarda le mie origini indiane, non penso vi sia una vera traccia nella musica dei Dødheimsgard. Mentre per quanto riguarda il paese in cui vivo, la Norvegia, le influenze sono profonde, e non ti parlo di aspetti necessariamente positivi, tutt’altro. Sul fronte delle cose positive, siamo sicuramente un paese ricco, la maggior parte della popolazione vive appartiene alla cosiddetta classe media, non c’è quell’enorme distacco tra ricchi e poveri che vi è spesso negli altri stati. Questo fa sì che ci siano opportunità diffuse per una larga fetta dei norvegesi; e questo, per quanto sia una cosa ‘noiosa’ a cui pensare, è qualcosa che consente di fare molte cose, a noi norvegesi.
Guardando alle cose negative, la personalità norvegese è ambigua: ad un approccio superficiale, quanto ai valori morali tipici dei norvegesi, siamo molto conservatori. Ciò è vero soprattutto per le piccole città, non è un caso che tante band siano arrivate da cittadine, piccoli villaggi, dove si era – e si é ancora – abituati a pensare in un certo modo, si devono avere determinati comportamenti e pensieri, c’è una rigidità di fondo su quello che è giusto e sbagliato, su quello che si deve o non deve fare.
Quando non ci si sentiva allineati a questo dominante modo di vedere e intendere la vita, ecco che si andavano a cercare nuovi linguaggi espressivi, che fossero eversivi rispetto al contesto nel quale si era immersi. Da qui, una delle reazioni è stato il black metal. Eravamo giovani, non avevamo modo di parlare del disagio che sentivamo con lunghi e approfonditi articoli sui giornali. La reazione che abbiamo avuto era artistica e abbiamo sfogato quelli che erano i sentimenti alla base del nostro essere in quel momento, ovvero rabbia e frustrazione. Ecco perché il black metal degli anni ’90 è così estremo nella musica e nei testi, era il tentativo di ribellarsi al sistema di valori dei tempi e l’affermazione della propria resistenza rispetto ad esso.

NEGLI ULTIMI ANNI SEI ANCHE TORNATO IN ATTIVITÀ PER DIVERSE DATE DAL VIVO CON I VED BUENS ENDE, FORMAZIONE AVANT-GARDE METAL CHE HA REALIZZATO UN GRANDE CLASSICO DEL GENERE CON “WRITTEN IN WATERS”, NELL’ORAMAI LONTANO 1995. UN RITORNO ATTESO DA MOLTI FAN, COME AVETE VISSUTO VOI DELLA BAND QUESTO COMEBACK E COME GIUDICHI I CONCERTI TENUTI DAI VED BUENS ENDE NEGLI ULTIMI ANNI?
– Se cerchi bene nel web, potrai trovare un video di quando, circa quattordici/quindici anni fa, parlavo del fatto che mi sarebbe piaciuto riprendere a suonare le canzoni dei Ved Buens Ende. Di recente, un comune amico ci aveva chiesto se, per il suo compleanno, avremmo potuto suonare qualche pezzo risalente a quell’esperienza. Nessuno di noi tre (la line-up storica dei Ved Buens Ende è formata da Vicotnik a chitara e harsh vocals, Skoll degli Arcturus al basso e Aggressor a voce pulita e chitarra, mentre in passato il medesimo suonava la batteria, ndR) se l’è sentita di rifiutare e così i Ved Buens Ende sono tornati ad esistere.
È stupendo suonare di nuovo quelle canzoni, esserci riconnessi a qualcosa che avevamo creato così tanto tempo fa. Ricominciare con questo gruppo ha influito modo nel mio modo di comporre, mi ha fatto di nuovo apprezzare l’autenticità della musica, il non guardare troppo alla tecnica e il riappropriarmi delle mie motivazioni interiori, non quelle derivate dall’ambiente esterno. Ho ridato valore alla completezza di quello che voglio esprimere, non a riuscire a tirare fuori chissà quali sonorità difficili o innovative dagli strumenti. L’espressione di se stessi sopra la mera tecnica strumentale.

COME ULTIMA DOMANDA, VORREI SAPERE SE AVETE GIÀ QUALCHE IDEA DETTAGLIATA SUI VOSTRI CONCERTI, SE VI SARANNO DATE SELEZIONATE, OPPURE UN VERO E PROPRIO TOUR.
– Per le tempistiche di realizzazione del disco, siamo probabilmente arrivati un po’ lunghi per riuscire ad avere gli slot di molti festival, in quanto la programmazione di molti di questi è già fissata da mesi, mentre noi in precedenza eravamo concentrati sull’uscita di “Black Medium Current”.
Abbiamo qualche data fissata, ma per vederci in giro in modo più assiduo si dovrà aspettare il 2024, quando dovremmo riuscire a tenere più concerti e, si spera, un vero tour. Comunque nel 2023 dovremmo riuscire a tenere dieci/quindici concerti, un buon inizio per inserire il nuovo materiale in scaletta e farlo apprezzare al nostro pubblico.

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