DOKKEN – Tempo di riscatto?

Pubblicato il 12/09/2004 da

In un lussuoso hotel milanese abbiamo incontrato Don Dokken, singer e leader degli storici Dokken. L’hard rock band americana è da poco tornata sulel scene con “Hell To Pay”, un disco che è già riuscito a dividere i fans. Chi, dopo il flop di “Long Way Home”, grida al ritorno dei Dokken, chi sostiene che continuano a essere troppo moderni…tutte discussioni che solo una grande band riesce a far esplodere! Don, cordialissimo, modesto e disponibile ci parla di musica, ma non solo, toccherà tristi fatti di cronaca come la guerra in corso che coinvolge oltre all’America anche noi italiani e…che sia tempo di reunion con lo storico axe-man George Lynch? Solo leggendo scoprirete il mistero…

DON, PRIMA DI PARLARE DEL NUOVO “HELL TO PAY” VORREI SPENDERE DUE PAROLE SULLA TUA SCELTA DI COLLABORARE CON IL CHITARRISTA ITALIANO ALEX DE ROSSO. COME MAI DOPO SOLO UN TOUR (INSIEME AI WHITESNAKE) LO HAI SOSTITUITO CON JON LEVIN?
“Immagino che, visto la storia dei Dokken, molti fans possano pensare che tutto sia successo per un mio capriccio o per qualche sorta di discussione interna alla band, ma ti assicuto che non è così. Alex è un bravo ragazzo ed un eccellente chitarrista, mi piace molto il suo modo di suonare e nutro solo buoni ricordi del periodo trascorso con lui. Il problema vero e proprio è nato al momento di entrare in studio, sai dopo l’attentato alle twin towers dell’11 Settembre in America non è più così semplice ottenere un visto necessario a vivere negli Stati Uniti per un periodo di tempo molto lungo, inoltre è praticamente impossibile ottenere una carta di credito per poter far fronte alle spese necessarie. Vivendo in Italia Alex avrebbe dovuto volare in California e sottostare a minuziosi ed interminabili controlli, il tutto per ottenere un visto di al massimo sessanta giorni. I Dokken sono una band molto impegnativa e l’ultimo problema che dobbiamo avere è il tempo, così in tutta amicizia abbiamo parlato della questione con Alex ed insieme abbiamo deciso che la cosa migliore per tutti era separare le nostre strade. In futuro però mi piacerebbe ancora lavorare con lui, in fondo la vita può riservare tante soprese, quindi mai dire mai…”

PRIMA DI DAR VITA AL NUOVO DISCO LA SITUAZIONE PER I DOKKEN NON ERA TRA LE MIGLIORI, “LONG WAY HOME” NON FU PUBBLICIZZATO A DOVERE E ARRIVASTE ALLA ROTTURA CON LA VOSTRA VECCHIA LABEL…“
Hai ragione, ma i problemi sono iniziati ancora prima, a partire dalla nostra collaborazione con Jon Norum. Jon è un fantastico chitarrista, ma negli ultimi anni il suo stile è mutato verso quello di chitarristi come Zakk Wylde, molto blues oriented, e la cosa non si addiceva al sound dei Dokken. A me piace il blues, ma non lo suono, alla fine Jon ci ha portato verso una direzione non esattamente conforme con ciò che volevano e sono i Dokken. Non ho rimpianti, sia chiaro, ‘considero ‘Long Way Home’ un buon album, ma di certo non è fra i nostri migliori. Con l’arrivo di Jon Levin in formazione tutto è tornato a funzionare, avevamo la stessa visione della musica firmata Dokken, inoltre il suo stile è molto vicino a quello di George Lynch dei tempi d’oro, non trovi anche tu? Per quanto riguarda il discorso label, era palese che ai tempi di ‘Long Way Home’ la nostra etichetta non aveva la minima intenzione di promuoverci. E’ frustrante, da una parte suoniamo con bands del calibro di Whitesnake e Scorpions riempiendo stadi da oltre ventimila persone, dall’altra quando entravo in un negozio di dischi non trovavo ‘Long Way Home’ fra gli scaffali. C’erano tutti i classici, ‘Under Lock And Key’, ‘Tooth and Nails’, ‘Erase The Slate’….perché diavolo non si trovava il nostro ultimo disco? Da poco avevamo pubblicato un best of che ha venduto ben duecentocinquantamila copie, perché secondo te? Semplice, si trovava nei negozi! ‘Long Way Home’ in America ha venduto poco più di cinquantamila copie…però stranamente in tour facevamo sold out. Non si poteva andare avanti così.”

ARRIVIAMO AL PRESENTE CON “HELL TO PAY”, DISCO IN CUI LE MELODIE TIPICHE DEI DOKKEN INCONTRANO IL SOUND MODERNO DEL 2004…
“Hai detto giusto, ho letto una valanga di recensioni secondo cui ‘Hell To Pay’ sarebbe un disco che non ha nulla a che fare on i Dokken del passato. Io mi chiedo se questi giornalisti hanno le orecchie per ascoltare! Mi trovo d’accordo con te, il sound è certamente attuale, ma l’impronta dei Dokken è sempre ben presente, sin dall’inizio del processo di song-writing era mia intenzione creare un mix di questo tipo, mi fa piacere esserci riuscito ah ah! Sarebbe troppo facile per me affermanre che ‘Hell To Pay’ suona come un disco dei Dokken, l’ho composto io, mentre se detta da un interlocutore esterno la sentenza assume un valore molto più oggettivo. Non è sempre facile vestire i panni del musicista e contemporaneamente del produttore, parti con un’idea ed alla fine arrivi con tutti i tuoi pensieri stravolti! Il lavoro su ‘Hell To Pay’ è stato molto lungo, è servito quasi un anno di tempo per arrivare al risultato finale, il bello è che la casa discografica al momento di decidere il primo singolo da pubblicare, non sapeva quale brano scegliere, per loro erano tutti di grande valore. E’ un grandissimo complimento per me, vuol dire che il mio lavoro è stato apprezzato. Questo alla fine è il nostro lavoro, può andare molto bene come negli eighties oppure in certi momenti è necessario rimboccari le maniche e ricominciare da zero, noi componiamo musica e suoniamo tantissimo, sia davanti a ventimila persone sia in piccoli pub. Alla fine, anche nei momenti di maggior successo, non abbiamo mai avuto una canzone popolare come quelle di Bon Jovi, ma ogni traguardo ce lo siamo conquistato duramente e suonando in continuazione, reclutando nuovi fans ad ogni concerto. Facciamo così da vent’anni, ma la voglia non ci è passata. La mia voce è in forma, psicologicamente siamo molto carichi e abbiamo tanta voglia di suonare, quindi suoniamo e basta. Sono invece turbato dagli eventi che ci stanno circondando, mi riferisco in particolare alla guerre, alla sete di conquista, alla ricerca del denaro! Voi italiani nell’antichità avete conquistato praticamente tutta l’europa, l’impero romano era al massimo splendore, ma c’erano guerre ovunque. Ancora oggi non sembra essere cambiato molto, l’America è in guerra, ci sono giochi di potere sopra ogni nostra immaginazione e la gente pensa solo ad arricchirsi…”

TORNANDO A NOI, A COSA TI VUOI RIFERIRE CON UN TITOLO COME “HELL TO PAY”?
“Sì, è giusto far chiarezza, perché molti giornalisti stranieri, non conoscendo bene la lingua inglese, hanno subito parlato di patti col diavolo e cose simili ah ah! ‘Hell To Pay’ è una tipica frase di slang americano, ti faccio un esempio: tu hai una ragazza, mentre state insieme la tradisci con altre donne…lei se ne accorge e per te sarà un ‘hell to pay’ (una sorta di ’mò son cavoli amari’, nda). Ho voluto usare questo titolo sempre in riferimento a ciò che accade nel mondo e attorno a noi. Si può riferire alle masse, alla società, alla politica! Non sono il tipo che si mette a scrivere testi politici come hanno fatto gli U2, ma non posso nemmeno chiudere gli occhi e far finta di niente su tutto ciò che accade nel mondo. Mi ritengo fortunato, ho una bella famiglia, vivo in una grande casa e non ho problemi di soldi, il che però non mi autorizza a fregarmene di tutto e di tutti…ecco dunque il mio album critico verso certe persone, come il nostro presidente Bush e la sua risma di stretti fedeli che continuano a fare accordi segreti in nome del potere e della ricchezza…questo è un ‘hell to pay’. La cosa folle è che i media fanno vedere alla gente solo ciò che vogliono. Se mi metto a guardare la CNN o altri programmi di informazioni, è intollerabile trovare mezz’ora di articolo sulle nozze di Britney Spears, cinque minuti dedicate alle guerre e alle persone innocenti che muoiono e, in un batter d’occhio, ecco che si ritorna con la seconda parte dello speciale sulla Spears. Ma stiamo scherzando? Il mio disgusto si traduce nell’album ‘Hell To Pay.’.”

CON I DOKKEN HAI INIZIATO NEL RUOLO DI PURO CHITARRISTA, MA DA QUANTO SEI DIVENUTO IL LEAD SINGER, LA TUA VOCE E’ PROBABILMENTE DIVENTATA IL VERO TRADEMARK DELLA BAND…
“Devi sapere che vent’anni fa non mi sarei mai sognato in nessuna circostanza di mettermi dietro a un microfono, difatti all’inizio della mia carriera con i Dokken ero chitarrista a tempo pieno. Ho iniziato per scherzo cantando i cori ed i risultati furono più che soddisfacenti. D’altro canto vengo da una generazione di cantanti, mio padre cantava, mia madre pure…tutti nella mia famiglia sono musicisti, idem dicasi per mia figlia che già suona il piano. Benchè esistano cantanti tecnicamente molto più preparati di me, immodestamente credo di essere riuscito a creare un mio stile personale e ben riconoscibile, pensa che proprio la mia piccola figlia, quando sentiva una canzone dei Dokken alla radio, capiva subito che era la mia voce anche se non conosceva il brano in questione. Devi sapere che la questione voce è una delle cause che hanno determinato lo split con il nostro storico bassista Jeff Pilson. Da sempre ritengo Jeff un bravissimo cantante, è preparato, sa utilizzare bene la sua voce ed ha creato dei grandissimi cori peri nostri pezzi. C’è un ‘però’, io gli ho sempre detto: ‘Jeff tu sei un bravissimo cantante, ma la tua voce è ordinaria, la tua timbrica non è speciale e riconoscibile al primo ascolto’. Mettiamo che un fan chiuda gli occhi e ascolti un brano cantato da Jeff. Se non si conosce bene il pezzo in questione stai certo che il singer non verrà mai riconosciuto. La voce di Jeff potrebbe averla qualunque buon cantante, manca di quel tocco ‘magico’ caratteristico. Negli ultimi tempi Jeff voleva cantare sempre di più, chiedeva di avere brani interi per sé, ma gli rispondevo che il cantante dei Dokken ero io. A parità di tecnica, credo che la mia voce sia molto più personale e riconoscibile di quella di Jeff. Gli ho sempre detto che era perfetto per cantare sui cori, ma a lui non bastava più, e questa sua fissa ci ha portato a diverse discussioni. Pensa se nei Motorhead non ci fosse più Lemmy a cantare, ovviamente si chiamerebbero sempre Motorhead, ma avrebbero senso? Guarda Iron Maiden e Judas Priest, si sono tutti riuniti con i singer storici, credi sia un casuale tutto ciò? Sono conscio di avere un sound tutto mio e mi ritengo fortunato.”

QUANTO I DOKKEN SI POSSONO CONSIDERARE UNA VERA BAND E QUANTO UNA “CREATURA” DI DON DOKKEN?
“Guarda, potrei diramare tutti i comunicati ufficiali di questo mondo dicendo che i Dokken sono una band e stai certo che molti fans continuerebbero a sostenere che tutto si riconduce a me. Mick Brown è nella band da vent’anni ed insieme a me cura la scrittura dei brani, delle parti di batteria e delle linee vocali perché, come saprete, Mick è un grande cantante. Certo, io scrivo i brani, canto e mi occupo della produzione, ma voglio farti un esempio: con Jon Norum il nostro sound non era Dokken, appena entrato Jon Levin, siamo tornati a suonare con il nostro trademark. Io sicuramente mi occupo della maggior parte dei lavori, ma senza un team affiatato e soprattutto senza le persone giuste i Dokken non sarebbero i Dokken. Hai ascoltato il mio disco solista oppure qualche album dei Lynch Mob (il progetto dell’ex chitarrista della band George Lynch, nda)? Non suonano assolutamente come i Dokken anche se a scriverli sono stati membri della band. C’è bisogno di persone che abbiamo lo spirito giusto per suonare nei Dokken, non serve chi vuol far parte della band per guadagnare soldi! Potrebbero suonare con me gente come Randy Rhoads, Michael Schenker, Yngwie Malmsteen, tutti chitarristi eccezionali ed unici, ma se non avessero il giusto spirito non riuscirebbero ad interpretare ciò che sono i Dokken. Oggi nessun altro potrebbe suonare al posto di Jon Levin, lui è entrato nella giusta sintonia con la band.

VISTO CHE CITAVI LO STORICO CHITARRISTA DEI DOKKEN GEORGE LYNCH, TI CHIEDO SE SEI ANCORA IN CONTATTO CON LUI…MOLTI FAN ANCORA RECLAMANO UNA REUNION!
“Certamente, anzi l’ho incontrato proprio un mese fa. Addirittura mi ha chiamato chiedendomi di tornare a suonare nella band. Io gli ho detto che è un pazzo e sai perché? Vedi, negli anni ottanta tutto era perfetto tra noi, se oggi le cose fossero come allora, la reunion si potrebbe tranquillamente fare. Ma non è così. Dopo vent’anni io sono una persona diversa, Mick è una persona diversa, e lo stesso vale sia per Jeff Pilson sia per George Lynch. Hai ascoltato il disco di Jeff e George o più semplicemente i loro dischi solisti? Sono sincero, a me non piacciono per nulla. Il loro modo di suonare, i loro gusti sono mutati da quando suonavamo insieme e se oggi tornassero nella band stravolgerebbero il sound dei Dokken. E io non voglio che ciò accada. Proprio pochi mesi fa ho ascoltato l’ultimo disco di George….spero non voglia che io canti su pezzi del genere! Non accadrà mai. Io canto su un brano come ‘Breaking The Chains’, capisci ciò che intendo? Spesso le reunion sono una cosa buona, ma nel caso dei Dokken è meglio che ognuno segua la propria strada, io sono contentissimo di Jon Levin.”

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