(DOLCH) – Occult rock a chi?

Pubblicato il 15/02/2020 da

Entità riconducibile, almeno ad una prima approssimazione, al fiorente universo delle dark/doom metal band con voce femminile, i (Dolch) sono in effetti un gruppo dotato di un suono più morboso e inquietante di quello normalmente associabile a realtà occult rock et similia. Per quanto vi siano delle velate similitudini con altre formazioni molto quotate come Dool e Gold, nel suono degli autori di “Feuer” si palesa un disagio, un filo di pazzia e un odio latente verso il mondo ben lontani dalla poetica malinconica del ‘metal al femminile’. Un astio verso le consuetudini e – confessiamolo – stereotipi di genere di facile utilizzo, che esce più volte nel corso dell’intervista: è chiaro che ai Nostri non piaccia essere etichettati o collocati in uno specifico genere, ci tengono alla loro unicità e all’essere slegati da qualsiasi scena. Con una punta di sarcasmo e un po’ di insofferenza, ecco quello che ci hanno detto.

“FEUER” È UN ALBUM CHE SUONA OPPRESSIVO, CUPO E MAGNETICO, ESPLORA UN LATO DEL DOOM E DEL DARK ROCK MOLTO APPREZZATO NELL’UNDERGROUND NEGLI ULTIMI ANNI. ALLO STESSO TEMPO, DIMOSTRATE DI POSSEDERE UNA VOSTRA PROSPETTIVA: RISPETTO A MOLTI ALTRI ACT CON LA VOCE PRINCIPALE AL FEMMINILE, SIETE PIÙ PLUMBEI E DISTURBANTI. COME DEFINIRESTE LA VOSTRA MUSICA E QUALI SONO LE SUE CARATTERISTICHE ESSENZIALI?
– Ah, guarda, non siamo molto bravi a descrivere la nostra musica! Non pensiamo a noi stessi in un’ottica di genere, quello che suoniamo lo interpretiamo come una forma d’arte: è sicuramente musica rock, ci sono le chitarre, le canzoni tendono ad avere una struttura circolare e ripetitiva. “Feuer” è un disco molto intimo, quando l’abbiamo scritto intendevamo costruire un’atmosfera che si adattasse alle storie raccontate nelle liriche.

COME AVETE MODIFICATO IL VOSTRO STILE DAI PRIMI TRE EP AL PRIMO ALBUM? QUAL È IL PUNTO D’ARRIVO, FINO AD ORA, DELLA VOSTRA ESPLORAZIONE SONORA?
– Per quanto riguarda il suono, è cambiato parecchio il processo di registrazione nel corso del tempo. Il primo EP l’abbiamo registrato in casa, tutto quanto da soli, senza avvalerci di aiuti esterni e senza grandi competenze tecniche alle spalle. Per “Feuer”, così come del resto sarà anche per “Nacht” e “Tod”, i nostri prossimi dischi, abbiamo collaborato col nostro amico e produttore Michael Zech. Con lui abbiamo lavorato in diversi studi, a Los Angeles, per esempio, eravamo in un posto dotato di vecchi microfoni tedeschi e vecchi costosi preamplificatori. Nel tempo, insomma, la cura della veste sonora e del dettaglio è andata crescendo. Sull’evoluzione stilistica, non stiamo mai fermi, il cambiamento è continuo. Cerchiamo soltanto di restare liberi, di non porci limiti, di scrivere canzoni con strutture che si adattino alle idee che abbiamo in testa in quel momento. Per questo, credo, finiamo per andare in tante direzioni differenti all’interno di uno stesso disco e si sentono grosse variazioni fra una pubblicazione e la successiva.

È NATURALE TROVARE DELLE ANALOGIE FRA VOI E BAND CHE A LORO VOLTA HANNO DELLE FRONTWOMAN A GUIDARLE E SUONANO UN GENERE SIMILE: STO PENSANDO A DOOL, GOLD, THE DEVIL’S BLOOD. PENSATE DI AVERE UNA FORTE AFFINITÀ CON QUESTI GRUPPI? VE NE SONO DEGLI ALTRI, ANCHE LONTANI DAL ROCK E DAL METAL, COI QUALI PERCEPITE DI AVERE UNA FORTE AFFINITÀ PER QUALCHE MOTIVO?
– Beh, sicuramente gli artisti da te citati sono tutti di alto livello. Ma, onestamente, perché uscirsene con questi accostamenti, solo perché questi gruppi hanno una voce femminile? Sembra qualcosa di speciale e mai sentito nel 2020. La cosa mi suona divertente. Comunque, noi suoniamo diversamente da loro. Le nostre influenze vanno ben al di là del rock e del metal e la lista di artisti che hanno contribuito al suono dei (Dolch) sarebbe sterminata. Al momento, ad esempio, sto ascoltando molto Tim Buckley, oppure il compositore Max Richter, solo per farti due esempi. A volte le persone definiscono il suono dei (Dolch) come quello dei Ramones, se suonassero col suono di chitarra di Burzum, mentre nella stanza di fianco i Cocteau Twins provano un tribute show ai Dead Can Dance. È un’idea che mi piace!

IN “FEUER”, HO COME LA SENSAZIONE CHE LA TRACKLIST SIA CONCEPITA COME UNA PROGRESSIVA DISCESA NELL’IGNOTO: INIZIATE SEGUENDO UN SENTIERO PRETTAMENTE DOOM METAL, MENTRE NEL MEZZO DELL’ALBUM DIVENTATE QUALCOSA DI PIÙ INTANGIBILE, INCLUDENDO SFUMATURE NOISE, INDUSTRIAL, NEOFOLK. COME ENTRANO NEL VOSTRO SOUND E LO CONTAMINANO LE INFLUENZE ESTERNE AL METAL?
– Semplicemente, apriamo le nostre orecchie a tutti i tipi di musica possibili. Se ascoltassi solo metal, mi verrebbe voglia di ammazzarmi. È certamente un genere musicale divertente, ma dal mio punto di vista è sostanzialmente morto, ripete se stesso da tempo, non ci sento più molto di interessante.

GUARDANDO ALLE SINGOLE CANZONI, È ABBASTANZA SPIAZZANTE IL FREDDO MANTRA DI “LOVE SONG”: C’È UN CONTRASTO IMPRESSIONANTE FRA IL TITOLO E LA MUSICA COMPLETAMENTE DEUMANIZZATA DEL PEZZO. COSA RAPPRESENTA PER VOI QUESTA TRACCIA? POSSIEDE UN FEELING INDUSTRIAL MOLTO DISTURBANTE…
– All’inizio, si doveva chiamare “Hate Song”. Sarebbe dovuta essere una canzone, meglio, un luogo, dove avremmo potuto rigettare merda addosso a tutti quelli che ci odiano e ci hanno fatto del male. Poi, ci siamo accorti che sarebbe stata un’operazione fin troppo semplice. Così abbiamo rivoltato l’idea di ‘canzone dell’odio’ per creare una canzone di cui fossimo contenti e dimostrasse che noi non siamo come quegli idioti dei nostri nemici. Noi ci vogliamo bene, un po’, non al cento per cento, perché abbiamo tanti difetti e commettiamo una quantità enorme di errori. In fondo, siamo solo contenti di non essere come ci vorrebbero gli altri, o come gli altri credono di sapere che tipo di persone siamo.

LA TRACCIA CHE DA SOLA POTREBBE SIMBOLIZZARE LA VOSTRA VISIONE È SECONDO ME “A FUNERAL SONG”, DOVE POSSIAMO SENTIRE UNA PESANTE, ASFITTICA ATMOSFERA MORTUARIA, ACCOMPAGNATA DA UNA SORTA DI SENTIMENTALISMO, UNA SPECIE DI DOLCEAMARA MALINCONIA. COME AVETE LAVORATO SU QUESTO PEZZO E QUALI SONO LE SENSAZIONI CHE INTENDEVATE EVOCARE?
– “Funeral Song” per noi è una specie di punk song. È cinica. L’idea è questa: sei a un funerale, ognuno dei presenti è triste, mentre tu sei compiaciuto che questa persona sia morta, stia per essere sepolta, non possa più nuocerti. Sì, direi che l’idea di una malinconia dolceamara ci può stare per interpretare il mood del brano. “Funeral Song” l’abbiamo scritta qualche anno fa. Avevamo un amico in città che suonava il violino, così gli abbiamo chiesto di suonare qualcosa da inserire qua e là nella nostra musica. Ho registrato quelle parti di violino e attorno ad esse ho costruito la canzone. La adoro.

NEGLI ULTIMI ANNI AVETE SUONATO ALCUNI SHOW IN IMPORTANTI FESTIVAL UNDERGROUND. C’È UN SINGOLO SHOW CHE VI HA PARTICOLARMENTE SODDISFATTO E VI HA DATO L’IMPRESSIONE CHE L’AUDIENCE RISPONDESSE CON UN FORTE TRASPORTO ALLA VOSTRA MUSICA?
– Sì, abbiamo suonato in diversi festival e c’è stato pure un bel tour nel 2017. Adesso non ricordo bene tutti i concerti, sicuramente mi ha divertito molto suonare al Roadburn e poi c’è stato quel live a Parigi, da qualche parte su una grossa barca e un pubblico molto caldo! Non posso non menzionare inoltre l’House Of The Holy Festival, sulle montagne austriache. È stato uno show speciale, come lo è stato il nostro primo concerto, all’Acherontic Arts Festival del 2015. A dire il vero, però, preferiamo dei concerti singoli che non i festival. In questo tipo di manifestazione i tempi sono spesso stretti, c’è maggiore stress rispetto a un concerto dove suoni da solo o con pochi altri gruppi.

DA COSA DERIVA LA SCELTA DI RESTARE COMPLETAMENTE ANONIMI E DI NON MOSTRARE QUASI NULLA DI VOI STESSI, NÈ NELLE FOTO PROMOZIONALI, NÈ NELLE ESIBIZIONI DAL VIVO?
– Come artisti, pensiamo che per l’ascoltatore sia più facile concentrarsi sulla nostra arte se non è distratto da altri aspetti: le persone coinvolte nei (Dolch) sono importanti per noi, non per l’arte che esprimiamo. Condividere informazioni su di noi toglierebbe attenzione alla musica che suoniamo. Offriamo una musica molto personale, intima, sia dal punto di vista sonoro, che delle liriche e dell’artwork. Non è sufficiente? Spesso scopro una nuova band per la sua musica e le sue parole. Non mi interessa per niente conoscere altre cose sulle persone che ci sono dietro questo e quell’altro progetto.

GLI ULTIMI ANNI HANNO VISTO CRESCERE L’ATTENZIONE PER GRUPPI METAL DAL SUONO OSCURO E VICINO AL DOOM, GUIDATI DA VOCI FEMMINILI. LO POSSIAMO DEFINIRE UN TREND PIUTTOSTO IMPORTANTE PER LA MUSICA UNDERGROUND. QUALI PENSATE SIANO GLI ASPETTI POSITIVI DI QUESTA SITUAZIONE? CREDETE CHE DI RECENTE LA SCENA METAL SIA DIVENTATA PIÙ INCLUSIVA E APERTA ALLE MUSICISTE DONNA CHE IN PASSATO?
– Potrebbe essere soltanto un altro trend, oppure il segnale che il patriarcato vede la sua fine approssimarsi (risate, ndR). Onestamente, non mi preoccupo mai di chi stia cantando una canzone che mi emoziona, potrebbe essere una donna, un uomo, qualsiasi altro essere vivente, per me è un dettaglio trascurabile.

QUALI SONO I VOSTRI PIANI A BREVE? SUONERETE MOLTO NEL CORSO DEL 2020?
– Stiamo lavorando per completare secondo e terzo album della trilogia iniziata con “Feuer”. Speriamo di far uscire sia “Nacht” che “Tod” entro la fine del 2020. Suoneremo anche qualche concerto e cercheremo di capire come funziona il nuovo materiale dal vivo. E abbiamo pure l’intenzione di metterci già a lavorare su della nuova musica. Da un punto di vista strettamente personale, spero di poter danzare più che in passato. Ho sempre amato la danza, i (Dolch) stessi dovrebbero spingere le persone a ballare, a farsi trasportare dal ritmo…

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