DOOL – Il mondo fluido

Pubblicato il 23/04/2024 da

Nati come gli eredi più prossimi e credibili dei The Devil’s Blood, i Dool nel corso della loro ancor breve storia hanno già compiuto una notevole evoluzione, affrancandosi in fretta da modelli precostituiti e banali classificazioni.
Quel fare comunque diretto e ammaliatore del primo album “Here Now, There Then”, esordio tra i più sensazionali uditi in ambiti doom/hard rock nello scorso decennio, era andato quasi completamente evaporando nell’enigmatico, più soffuso e indecifrabile successore “Summerland”, disco che a dispetto di una maggiore difficoltà di comprensione continuava a brillare di una singolare luce crepuscolare, per nulla dimesso nei confronti dell’altisonante esordio.
E ora con “The Shape Of Fluidity” il discorso per certi versi si complica: come abbiamo cercato di spiegare nella recensione, il linguaggio della band e soprattutto della sua/o leader Raven van Dorst – si è recentemente dichiarata persona non binaria – è andato infittendosi e arricchirsi di nuovi spunti: siamo nella dimensione di un post-metal ad ampio spettro, dove il prefisso ‘post-’ assume una maggiore rilevanza di molti altri contesti in cui è utilizzato, in virtù di una verve sperimentale che abbraccia tanti aspetti del suono.
Sempre riconoscibili, densi e intensi nelle elaborate e scure trame chitarristiche, i Dool hanno rispolverato una fetta dell’aggressività dell’esordio, ma l’hanno inserita in un contesto più ampio. “The Shape Of Fluidity” brilla per la forza delle sue idee e di una passionalità difficile da arrestare, ponendosi come un album di certo non così facile da assimilare, ma che ha molto da offrire se si è disposti a un ascolto attento e concentrato.
Uno dei chitarristi della band, Nick Polak, è l’interlocutore per questa approfondita discussione attorno alle idee del gruppo e a quanto prodotto finora.

“THE SHAPE OF FLUIDITY” MOSTRA UN NUOVO PASSO NELLA VOSTRA EVOLUZIONE, ESPLORANDO UN SUONO CHE HA ALCUNI PUNTI DI CONTATTO CON “SUMMERLAND” E “HERE NOW, THERE THEN”, MA GUARDA PRINCIPALMENTE IN ALTRE DIREZIONI. QUALI ERANO LE VOSTRE INTENZIONI E I VOSTRI DESIDERI PER IL NUOVO ALBUM, ALL’INIZIO DEL PROCESSO DI COMPOSIZIONE?
– Penso che la differenza principale tra questo album e i due predecessori derivi dal processo di realizzazione in sè, che è stato ancora più uno sforzo collettivo rispetto ai due dischi precedenti.
Prima era soprattutto Raven a iniziare la stesura dei brani, ma con “The Shape Of Fluidity” le cose sono davvero cambiate: quindi, ancora più di prima, quello che stai ascoltando è davvero il prodotto di una band nel senso più classico del termine.
Non so se miravamo deliberatamente a realizzare un tipo di album ben definito in ogni caratteristica, ma c’era una sorta di desiderio – anche se in modo semi-inconscio – di realizzare un’opera più pesante e più aggressiva. Per raggiungere questo scopo ci siamo in parte dedicati a sperimentare un po’ su soluzioni inedite, come chitarre ribassate nelle tonalità e una maggiore focalizzazione sui riff di chitarra.
D’altronde, penso che il voler un disco più diretto, almeno negli intenti, sia stata anche una conseguenza della pandemia; abbiamo suonato poche date a supporto di “Summerland” e questo ci ha causato parecchia frustrazione.

SE DOVESSI SCEGLIERE UN AGGETTIVO PER DEFINIRE IL TUO NUOVO ALBUM, PENSO CHE POTREBBE ESSERE ‘MEDITATIVO’: SOPRATTUTTO NELLA PARTE FINALE DI “THE SHAPE OF FLUIDITY”, IL CLIMA È SPESSO RILASSATO E INCORPOREO, ETEREO E MOLTO INTIMO. QUALI SONO LE RAGIONI PRINCIPALI DI QUESTO MOOD PREVALENTE NEL VOSTRO DISCO?
– È divertente che tu lo dica, perché ho un’opinione abbastanza diversa riguardo all’album e alla sua atmosfera generale: penso che quello che siamo riusciti a fare è stato creare un album dinamico e molto stratificato, che contiene al suo interno molte sfumature. Pertanto, posso immaginare che ci siano effettivamente parti nelle canzoni che potresti descrivere, o percepire, nel modo in cui le descrivi, quindi più rilassate o, appunto, meditative.
Tuttavia, ciò che abbiamo davvero cercato di incorporare maggiormente in questo album è il suono dei Dool dal vivo. Quindi, in altre parole, puntavamo a renderlo un po’ più grezzo rispetto ai suoi predecessori. In termini di scrittura delle canzoni, sento anche che molto di ciò che è venuto fuori da noi doveva ‘davvero’ venire fuori, come se la musica suonata in “The Shape Of Fluidity” esprimesse necessità comunicative impellenti.
Forse questo spiega anche la tua percezione e il percepire le canzoni come qualcosa di molto intimo, che toccano punti emotivamente molto forti dell’animo di chi le ha scritte.

IL TEMA PRINCIPALE DEI TESTI È L’IDEA DI FLUIDITÀ E LA RICERCA DELLA PROPRIA IDENTITÀ. QUALCOSA CHE SEMBRA PIÙ IMPORTANTE CHE MAI NEL DIBATTITO PUBBLICO, ALMENO NEL COSIDDETTO MONDO OCCIDENTALE. HO LETTO CHE AVETE INIZIATO QUESTA RIFLESSIONE DALLA CONDIZIONE ALLA NASCITA DELLA VOSTRA CANTANTE RAVEN. PERCHÉ AVETE DECISO DI AFFRONTARE QUESTE TEMATICHE NEL DISCO?
– Raven è il paroliere principale, o addirittura l’unico, dei Dool. Penso che, poiché il processo di realizzazione di questo album è stato molto diverso dai nostri due precedenti, nel senso che eravamo noi tre a scrivere la musica per questo album, Raven abbia anche finito per avvicinarsi alla scrittura dei testi in modo diverso rispetto a prima. Raven è nata come intersessuale e ha avuto molte cose da affrontare al riguardo durante la sua vita.
In gran parte questo è stato il terreno fertile dal quale sono nati molti dei suoi testi: “Hermagorgon”, ad esempio, si occupa esplicitamente di questo.
D’altra parte, c’è anche una storia più ampia; l’album tratta essenzialmente il concetto di identità di noi come esseri umani in senso lato. La nostra identità, come l’acqua, è fluida e può manifestarsi in una varietà di forme diverse: non c’è mai un’essenza finale, o un obiettivo finale, riguardo alla nostra identità. È in continua evoluzione, in altre parole.
Paradossalmente, tuttavia, le persone tendono a classificare in modo netto sia i soggetti che gli oggetti – con questo non intendo solo gli esseri umani o le idee su cose come il genere: ciò può comportare anche classificazioni nella musica o nell’arte in generale. Di solito si presenta con opposizioni binarie: “o è questo, o è quello”. Credo davvero, però, che il mondo sia molto più complesso di quanto abbiamo anche solo la capacità di immaginare.
Quindi, forse si potrebbe dire che l’album è anche una sorta di manifesto che va contro questo pensiero binario e contro il pensiero basato su classificazioni chiare, celebrando invece la natura fluida e in continuo mutamento delle cose del mondo e della nostra identità.

RICHIAMANDO IL TEMA DELL’IDENTITÀ, QUELLA DEI DOOL È MULTIFORME E NON COSÌ FACILE DA IDENTIFICARE, CON COMPLESSITÀ E STRATIFICAZIONE SONORA ANDATE AD AUMENTARE NEL CORSO DEGLI ANNI. SE TU DOVESSI DESCRIVERE I DOOL IN POCHE PAROLE, QUALE DEFINIZIONE UTILIZZERESTI?
– Penso che i Dool siano davvero piuttosto difficili da classificare, ciò enfatizza e ribadisce ciò che ho affermato poco fa. Penso che questo valga anche per molte altre band che personalmente mi piacciono e che sono piuttosto atipiche.
Nella nostra biografia indichiamo alcuni generi di riferimento per inquadrarci, per dare alcuni suggerimenti su cosa potrebbe trasmettere la nostra musica, ma soprattutto perché questo è quello che ci si aspetta da te quando scrivi una biografia; tuttavia, se le persone mi chiedono di spiegare o definire la nostra musica, generalmente rispondo che dovrebbero sperimentarla e scoprirla da soli. Un’esperienza con qualcosa (o qualcuno) ha sempre più valore di una semplice definizione o classificazione fornita da un altro soggetto.

L’IMPRONTA CHITARRISTICA DEI DOOL È QUALCOSA DI SPECIALE, CON TRE CHITARRISTI IN FORMAZIONE E UN PECULIARE MIX DI INFLUENZE. QUAL È IL TUO BACKGROUND COME CHITARRISTA E COME SI COMBINA CON QUELLO DI OMAR E RAVEN?
– Penso che abbiamo davvero una gamma piuttosto ampia di influenze, sia come chitarristi che come songwriter – e anche come ascoltatori di musica in generale. Omar (Iskandr, ndR) è un chitarrista autodidatta, che si è sempre concentrato su quale sia la funzione della chitarra all’interno di una canzone, invece di concentrarsi sullo strumento in sé, senza tenere conto del contesto. Penso che si descriverebbe più come un musicista, o come un produttore e un compositore, invece che come un vero e proprio ‘chitarrista’.
Penso che Raven, a sua volta, sia sempre stato più propenso a scrivere canzoni che a voler diventare ‘il più grande chitarrista del mondo’, ma direi che nel suo caso vi è più più un mix di queste due interpretazioni del ruolo di chitarrista. Raven ha un suono piuttosto distinto come chitarrista, ma credo sia soprattutto un ottimo compositore. Per quanto mi riguarda, mi sono formato come chitarrista fin da quando ero molto giovane. Ciò implica avere assimilato la parte tecnica del suonare la chitarra, oltre a possedere un’ampia conoscenza della teoria musicale.
Quando ero adolescente, mi piaceva davvero passare il tempo a cercare ogni riff delle band che mi piacevano, che fossero Judas Priest, roba di David Bowie degli anni ’70, Queens Of The Stone Age o il ‘padrino dell’heavy metal’ Tony Iommi. Per quanto riguarda la combinazione di noi tre, direi che c’è davvero un buon mix delle nostre identità musicali nell’album, sia in termini di composizione che di modo di suonare.
Da parte mia penso che il risultato sia che l’album contenga una maggiore quantità di veri e propri riff, invece di materiale con accordi più arpeggiati e spezzati. La titletrack ne è un ottimo esempio: Omar ha inventato gli accordi di apertura, Raven ha scritto il ritornello, e io ho scritto il riff che senti quando entra la band al completo, dopo l’intro.

SE C’È QUALCOSA DI CUI PERSONALMENTE SENTO LA MANCANZA, SIA IN “SUMMERLAND” CHE IN “THE SHAPE OF FLUIDITY”, SONO I MOMENTI PIÙ TRASCINANTI E ORECCHIABILI DI BRANI COME “WORDS ON PAPER” E “SHE GOAT”. PENSI CHE QUESTA DIMENSIONE NON SIA ADATTA AI DOOL DI OGGI?
– Non ho alcun controllo su come le nostre canzoni vengono interpretate o percepite dagli altri, anche questo non è qualcosa che abbiamo in mente quando scriviamo della nuova musica. Innanzitutto scriviamo per noi stessi e cerchiamo di arrivare a un punto in cui siamo convinti che sia qualcosa che valga la pena di far sentire, che porti qualcosa di valore nel mondo.
Lo testiamo su noi stessi; pensiamo noi stessi che quella che abbiamo composto sia una grande canzone? In caso contrario, se ci fossero delle incertezze da parte nostra, non apparirebbe sull’album. Personalmente penso che come band abbiamo fatto davvero molti progressi dal nostro album di debutto fino ad oggi.
Il processo con cui è stato realizzato “The Shape Of Fluidity” è in netto contrasto con il modo in cui è stato realizzato il nostro debutto. Quindi da ciò ne consegue che il risultato finale sono canzoni abbastanza diverse dall’uno all’altro, ed è anche così che dovrebbe essere.

È PUR VERO CHE IN “THE SHAPE OF FLUIDITY” CI SONO ANCHE FASI METALLICHE MOLTO ACCESE E VIGOROSE, CONDOTTE IN UN’OTTICA QUASI PROGRESSIVA E CON UN’ALCHIMIA TRA GLI STRUMENTI MOLTO RAFFINATA. QUAL È IL PESO DEL METAL PROPRIAMENTE DETTO NEL VOSTRO SUONO ODIERNO?
– Indubbiamente, dell’ampia gamma di influenze che contribuiscono a formare il nostro suono, c’è anche il metal in molte delle sue sfumature. Probabilmente la maggior parte delle nostre influenze metal deriva dal black metal, che penso sia anche uno dei sottogeneri metal più dinamici ed evoluti. Soprattutto Omar ha un ampio background sotto questo aspetto; ha suonato in molti gruppi e progetti black metal e lo fa tutt’ora.

POST-ROCK, POST-PUNK, DARKWAVE SONO STILI MUSICALI CENTRALI IN MOLTI ALBUM METAL DI OGGI, SOPRATTUTTO QUELLI CON PRIME VOCI FEMMINILI E GRUPPI DEVOTI A SONORITÀ OSCURE, MA ASSAI CONTAMINATE, CHE PARTONO DAL DOOM E ARRIVANI IN PARECCHI LUOGHI ALLO STESSO TEMPO. I DOOL RIENTRANO SICURAMENTE IN QUESTA CATEGORIA.
PERCHÉ I GENERI SOPRA MENZIONATI SONO COSÌ IMPORTANTI PER DEFINIRE CIÒ CHE SUONATE?

– Quello che menzioni all’inizio della domanda è un mix piuttosto eclettico, ovviamente ci sono frammenti di tutto ciò nella nostra musica. Come ho già detto, c’è una gamma piuttosto ampia di musica che trova la sua strada in modo abbastanza organico nel nostro modo di scrivere, ma in realtà non mi preoccupo troppo delle definizioni.
Per quanto riguarda i generi che citi, penso che abbiano in comune una spiccata sensibilità per le ripetizioni e hanno la tendenza a ‘risucchiarti nella musica’ attraverso quelle ripetizioni. Prendersi il proprio tempo, in altre parole, invece di avere un approccio più vicino alla pop music, in cui spesso si tratta più di offrire facili agganci melodici e canzoni compatte. Penso che noi proviamo a combinare entrambe le cose, come è evidente anche dalla durata media delle nostre canzoni.

QUATTRO ANNI SEPARANO “SUMMERLAND” E “THE SHAPE OF FLUIDITY”: POSSO IMMAGINARE CHE SENZA IL COVID QUESTO TEMPO SAREBBE STATO PIÙ BREVE. IN CONCLUSIONE, COME TI È SEMBRATO QUESTO DIFFICILE PERIODO? HA AVUTO SOLO ASPETTI NEGATIVI, O VI HA DATO ANCHE QUALCOSA DI BUONO SU CUI LAVORARE E RIFLETTERE?
– Eh, abbiamo pubblicato “Summerland” proprio nel mese in cui il Covid è diventato un problema globale e sono iniziati i primi lockdoown. Ciò significava che i tour venivano rinviati e in seguito addirittura cancellati.
Per Raven questo ha significato anche una mancanza di ispirazione per un periodo piuttosto lungo, essendo delusa e sfiduciata da quello che era successo in quel periodo. Per quanto mi riguarda, questo periodo ha avuto i suoi pro e i suoi contro: da un lato ero dispiaciuto di non poter andare in tour e di dover vedere così tanti spettacoli cancellati. Non vedevamo davvero l’ora di portare quelle canzoni dal vivo, dinnanzi al pubblico di tutto il mondo. D’altra parte, però, questo periodo mi ha dato anche molta introspezione e tranquillità, che in realtà ritengo sia stato un vero catalizzatore per sviluppare energie creative.
Sembra che stiamo vivendo in un’immensa corsa al successo, in cui corri costantemente e sei quasi sempre ‘fuori dal momento’, non ti godi il presente. Ciò è particolarmente evidente quando vivi in una grande città come Rotterdam.
La pandemia mi ha dato la possibilità di fuggire da tutto questo, e da quel luogo in particolare, trasferendomi nel Regno Unito per circa un anno. Lì ero circondato da molta più natura e quindi anche da pace e tranquillità. Questo mi ha davvero dato la possibilità di guardare per un po’ la mia vita da lontano e di arrivare ad alcune importanti intuizioni anche su questo.
Quindi, tutto sommato, sotto molti aspetti è stato un periodo abbastanza positivo per me, che penso abbia avuto anche una funzione precisa per le cose che sono venute dopo, come la scrittura di questo disco.

CERCANDO QUALCHE ALTRA INFORMAZIONE SU DI TE, AD INTEGRAZIONE DI QUANTO SAPPIAMO SUL TUO PERCORSO ARTISTICO, HO SCOPERTO CHE INSEGNI ANCHE MUSICA IN UNA SCUOLA DI CUI SEI SOCIO.
SUPPONGO QUINDI CHE QUASI L’INTERA TUA GIORNATA RUOTI ATTORNO ALLA MUSICA: IN CHE MODO LE DIVERSE ATTIVITÀ LEGATE ALLA MUSICA TI AIUTANO A RIMANERE UN MUSICISTA ISPIRATO E AD ARRICCHIRE LA TUA CONOSCENZA CULTURALE E LA PASSIONE PER LA TUA ARTE?

– Insegnare, in realtà, ha davvero un obiettivo più utilitaristico che aiutarmi ad appassionarmi di più alla musica in sé. Il fatto è che è piuttosto difficile sbarcare il lunario suonando in un gruppo rock, quindi insegno due giorni a settimana.
A dire il vero cerco esplicitamente di non riempire le mie giornate solo con attività che ruotano attorno alla musica, perché ho scoperto che questo non funziona per me, non mi aiuta essere ispirato o creativo. Cerco invece di bilanciare le attività musicali con altre cose. Fino a poco tempo fa ciò implicava una carriera accademica, nel campo delle scienze sociali, ma per ora ho messo da parte questo perché le cose stavano diventando troppo impegnative.
La musica ha ancora – e avrà sempre – la priorità per me. Inoltre, cerco di sfuggire alla quotidianità consumando anch’io molta arte, ovviamente. Ad esempio, in questo momento sto leggendo “1Q84” di Murukami e mi piace concedermi un salto al cinema ogni tanto. Preferibilmente da solo.

CON DOOL TORNERAI SUL PALCO PER ALCUNI FESTIVAL E SPETTACOLI SINGOLI, A PARTIRE DAL ROADBURN. COM’È IL CLIMA PER LE PROSSIME APPARIZIONI DAL VIVO? I DOOL SONO NOTI PER ESSERE UNA LIVE BAND ECCEZIONALE, COME HO FORTUNATAMENTE AVUTO MODO DI APPREZZARE PERSONALMENTE NEL 2017 E 2018…
– Non riesco nemmeno ad esprimere a parole quanto siamo entusiasti di poter eseguire le canzoni dal vivo! Suonare dal vivo è una delle cose che ci piacciono di più della nostra attività di musicisti. Le canzoni prendono davvero vita quando dialogano con il pubblico. Siamo molto impegnati con i preparativi per i prossimi concerti e non vediamo davvero l’ora che arrivi il momento di esibirci al Roadburn (alla data di pubblicazione dell’intervista, il concerto si è appena tenuto, ndR), così come per le altre date che seguiranno successivamente. C’è anche molto altro da annunciare per il prossimo futuro, quindi tenete d’occhio i nostri account sui social media e il nostro sito web.

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