È un sabato pomeriggio sul finire di Aprile quando ci ritroviamo al quartier generale della Nuclear Blast per un ascolto in anteprima del nuovo album di Doro. Dopo aver analizzato nel dettaglio le nuove tracce nel nostro track by track, abbiamo anche la possibilità di fare una lunga chiacchierata con la bionda Metal Queen, che appare entusiasta, quasi ansiosa di conoscere il nostro parere sulla sua ultima fatica. Quando varchiamo la soglia della stanza in cui si terrà l’intervista, Doro, bardata di tutto punto di borchie e pelle nera, è al telefono: parla in tedesco e con un sorriso ci fa cenno di accomodarci. Pochi istanti dopo termina la sua conversazione, si scusa per l’attesa e iniziamo l’intervista parlando del nuovo, mastodontico, doppio album “Forever Warriors, Forever United”, ma anche del passato, ripercorrendo i successi e anche i momenti difficili vissuti dalla cantante.
IL TITOLO DEL NUOVO ALBUM PORTA CON SÈ UN MESSAGGIO DIRETTO ED EFFICACE. TI VA DI PARTIRE PROPRIO DA QUESTO?
– Sì, volevo dare un messaggio positivo, significa che siamo tutti uniti, che dobbiamo essere vicini gli uni agli altri e che insieme combattiamo la buona battaglia. Combattiamo per qualcosa di positivo e tu potresti dirmi che, certo, lo facciamo già da tanti anni… Lo so! So che i metallari hanno già il cuore nel posto giusto e proprio per questo è importante essere uniti. Sono certa che lo saremo e da questo nasce il titolo: per sempre guerrieri, per sempre uniti. Nel profondo del tuo cuore, tu sai cosa è giusto e cosa è sbagliato, che ci sono dei valori importanti, nonostante la vita di tutti i giorni talvolta faccia il possibile per cambiarli e non sempre in meglio. Sta a noi fare in modo che questi stupidi non prendano il controllo del mondo. Molte canzoni hanno questo spirito al tempo stesso combattivo ed edificante.
ABBIAMO VISTO CHE L’ALBUM CONTERRÀ IL CONTRIBUTO DI TANTISSIMI OSPITI. È UNA COSA CHE HAI PROGRAMMATO FIN DA SUBITO O SI TRATTA DI COLLABORAZIONI NATE IN CORSO D’OPERA?
– È venuto fuori un po’ per volta. Tutto è partito da “All For Metal”, in cui abbiamo invitato diversi cantanti, poi è arrivata l’idea del video e abbiamo iniziato a fare dei filmati a Wacken lo scorso anno ed è stato fantastico. Warrel Dane era lì e lui è un grande amico: condivisi con lui il mio primo tour americano nel 1988, Megadeth, Sanctuary e Warlock, e da allora siamo rimasti legati da una sincera amicizia. Sempre a Wacken abbiamo registrato Jeff Waters, Detraktor… poi abbiamo preso questi spezzoni e abbiamo iniziato a lavorarci in studio. Da lì la cosa è cresciuta sempre di più, con tanti grandissimi artisti: abbiamo coinvolto Johan (Hegg, ndR)… Mi trovavo sempre a Wacken per il duetto su “A Dream That Cannot Be” durante lo show degli Amon Amarth e gli ho proposto di cantare con me sul mio disco. Poi ancora Mille (Petrozza ndR)…
INSOMMA, WACKEN È IL POSTO IDEALE PER INCONTRARE TANTI AMICI TUTTI ASSIEME!
– (Ride, ndR) Sì, esatto! Era la situazione ideale. Se non fosse che ad un certo punto è venuto giù un diluvio. Lampi, fulmini, pioggia. Però sono riuscita ad incontrare Mille e a chiedergli al volo di cantare con me: ecco perchè il finale del video è così divertente. E’ proprio improvvisato, così, sul momento. Ci conosciamo da tanti anni, Kreator e Warlock, fin dagli anni Ottanta… È stato bellissimo fare qualcosa tutti assieme, solo per il gusto di divertirci e per il Metal: “All we are, all for metal!”. Non vedo l’ora di suonarla dal vivo a tutti i concerti, sarà fantastico.
SICURAMENTE È UNA DI QUELLE CANZONI CHE DAL VIVO RENDE TANTISSIMO, CON TUTTO IL PUBBLICO A CANTARE A SQUARCIAGOLA.
– Sì, anche se non conosci la canzone, dopo il primo ritornello sai già come andrà a finire
COME È NATA INVECE LA SCELTA DI REALIZZARE UN ALBUM DOPPIO?
– La prima canzone che abbiamo scritto è stata quella dedicata a Lemmy, “Living Life To The Fullest”. Stavo tornando dal suo funerale e mi sono venute in mente la melodia e le parole, le ho registrate subito sul mio cellulare e poi ho chiamato Andreas Bruhn, con cui collaboro da ventidue anni, e gli ho detto che avevo questa idea per una canzone su Lemmy e che volevo assolutamente registrarla. Abbiamo iniziato a lavorare assieme e tutto è partito naturalmente, ci siamo ritrovati con tantissime idee e canzoni, senza mai doverci sedere a un tavolo per pianificare qualcosa. Canzone dopo canzone siamo arrivati ad un totale di quasi trenta pezzi e quando è arrivato il momento di dare una forma definitiva all’album, non sapevo come comportarmi. All’inizio doveva essere un album singolo e rischiavo di dover buttare via qualcosa come quindici pezzi, che invece adoravo. Poi un paio di settimane fa (l’intervista è stata raccolta a fine Aprile, ndR) mi è stato detto che, se avessi voluto, avrei potuto pubblicare anche un doppio album. Ho risposto: “Davvero?? Fantastico!”. Così abbiamo completato tutto e sono contentissima. Sai, chissà per quanto tempo ancora potremo avere i vinili o i CD. Ci sono Paesi dove sono praticamente spariti e io invece li adoro. Ad esempio in Scandinavia o ancora di più negli Stati Uniti… I negozi di dischi sono sempre di meno.
ANCHE IN ITALIA I NEGOZI DI DISCHI NON SE LA PASSANO BENISSIMO…
– Anche in Italia, ecco, vedi? Mi sono detta: forse è l’ultima volta che posso permettermi di pubblicare un vero album doppio, con una bella copertina, in vinile, il pacchetto completo! Mi sono detta “è il momento giusto”. Poi, sai, quando realizzi un disco, devi solo fare quello che senti, senza pensarci troppo e poi le cose, spesso, si assestano da sole, ogni pezzo va al posto giusto. Certo, ci sono occasioni in cui, ad esempio, il tempismo non è quello giusto: mi ricordo ad esempio negli anni Novanta, era molto difficile per me registrare un album, perchè il metal stava passando un brutto momento e tutti volevano solo che registrassi un disco grunge. Altre volte, invece, il tempo è dalla tua parte o semplicemente ogni cosa va per il verso giusto, come è successo per questo disco. Tutto è filato liscio, con gli ospiti, le registrazioni, non ci sono stati intoppi di sorta, tutto sembrava scorrere nella direzione giusta. Quando capita, non devi pensarci, devi buttarti e seguire la corrente. Ci sono stati un paio di dischi nella mia carriera, dove addirittura non avevo canzoni e dovevamo faticare per tirarne fuori di nuove. Ad esempio mi ricordo agli inizi degli anni Ottante, per “Burning The Witches”, avevamo un sacco di canzoni; invece per “True As Steel” non riuscivamo a trovare le canzoni giuste e questo l’ha reso un album molto, molto difficile da realizzare. Proponevamo del materiale alla casa discografica, che all’epoca era una major, e ci rispondevano che dovevamo essere più pop, più radio friendly. E noi rispondevamo: “Noi siamo una band metal! Non vogliamo essere più radio friendly!”. Insomma a volte devi combattere per raggiungere l’obiettivo, mentre questa volta davvero è filato tutto liscio. Lo stesso per la copertina, che è stata realizzata ancora una volta dal mio artista preferito, Geoffrey Gillespie: il titolo provvisorio dell’album era “Soldiers Of Metal”, una canzone che avevo scritto circa due anni fa, così lo chiamai e gli chiesi di dipingere qualcosa che avesse quest’atmosfera. Non sapevo se quello sarebbe stato il titolo definitivo dell’album, ma certamente il pezzo sarebbe stato incluso nel disco. Gli mandai il demo della canzone e Geoffrey ha creato questa splendida copertina, che rappresenta perfettamente il tema dell’unità, con tutti i fan…
IN EFFETTI LE COPERTINE DEI TUOI ALBUM SONO SEMPRE MOLTO CURATE. ORMAI È COME SE FOSSI UN’EROINA DEI FUMETTI: UN GIORNO SEI ALLA TESTA DI UN MANIPOLO DI METALLARI PRONTI A LOTTARE, UN ALTRO BRANDISCI UNA SPADA O CAVALCHI UN DRAGO…
– Sì, sì (ride, ndR)! Mi sono sempre piaciuti i fumetti e le illustrazioni, fin dagli anni Ottanta: adoravo i lavori di artisti come Boris Vallejo o Frank Frazetta. Poi ho incontrato Geoffrey Gillespie, che è un artista inglese che vive in Francia. Fu lui a realizzare la copertina di “Triumph And Agony” e da allora ho sempre cercato di lavorare con lui. Ricordo che una volta lo chiamai e gli dissi che avevo un album in preparazione e lui mi risposte che non sarebbe riuscito a disegnare la copertina perchè aveva già un progetto in corso che gli avrebbe occupato un intero anno di lavoro. Non sapevo cosa fare e alla fine abbiamo optato per una foto, ma non abbiamo scelto un altro artista che potesse sostituirlo.
POCO FA HAI CITATO LA CANZONE DEDICATA A LEMMY, TI VA DI PARLARCI UN PO’ DELLA TUA AMICIZIA CON LUI?
– Oh sì, Lemmy è stato il mio migliore amico nel mondo della musica, lui e Ronnie James Dio. Ho imparato così tanto da loro. Con Lemmy ho avuto la fortuna di lavorare in studio per diverse settimane, giorno e notte, e ti dico, intorno al 2000, Lemmy mi ha letteralmente salvato la vita. Mio padre, che era anche il mio migliore amico, era molto malato e morì. Io ero devastata, con il morale a terra: Lemmy allora mi chiamò al telefono, il giorno successivo alla morte di mio padre e gli dissi che ero così triste che non sapevo se sarei riuscita ad andare avanti con la mia vita. Lui mi disse: “Doro, vieni a Los Angeles e facciamo qualcosa assieme”. Io gli risposi che non ero sicura, che non me la sentivo, ma lui insistette, mi disse che non mi sentiva per niente bene e che dovevo andare. Così partii per Los Angeles e ci mettemmo a lavorare assieme per diverse settimane e ne venne fuori il mio primo duetto, “Love Me Forever” e poi “Alone Again”. Lemmy la compose suonandola con la chitarra acustica, non sapevo che fosse così bravo con l’acustica, e poi ci cantò sopra con una voce così intensa… Questo mi ha permesso di toccare il suo lato più profondo e sensibile, ed è stato bellissimo. E intanto parlavamo tra di noi, mi ha aiutato tantissimo, è stato un angelo per me.
L’IMPRESSIONE AVUTA ASCOLTANDO IL DISCO È CHE SI TRATTI DI UN ALBUM DALLE MOLTE SFACCETTATURE, QUASI UNA SORTA DI COMPENDIO DELLA TUA CARRIERA: C’È DEL MATERIALE CHE RICORDA GLI WARLOCK, ALTRO CHE RIPRENDE LE CARATTERISTE DELLA TUA CARIERA SOLISTA PIÙ RECENTE, PERFINO QUALCOSA CHE RICORDA I TUOI ALBUM ‘AMERICANI’.
– Sì, assolutamente, c’è tutto lo spettro delle sonorità che hanno caratterizzato la mia carriera: brani veloci e aggressivi, come “Bastardos”, oppure composizioni più delicate come “1000 Years” o “It Cuts So Deep”. Mi piacciono i brani heavy, ma adoro anche le ballad e gli anthem, come “All For Metal”, “Turn It Up” o “Blood, Sweat And Rock ’N’ Roll”. Ci sono brani che ti fanno divertire, ma volevo anche creare un disco che avesse qualcosa di edificante, che portasse avanti un messaggio positivo, che desse forza ed energia. Anche quando si tratta di una ballata triste, può essere comunque un modo per sentirsi meglio, per farti sapere che non sei da solo in quel momento, che altre persone si sono sentite come te, completamente devastate, con il cuore a pezzi. Insomma, sono assolutamente d’accordo, c’è tutta la mia carriera in questo disco, ma sempre tutto in maniera naturale e non pianificata. E poi, vedrai, nelle bonus track ci saranno sicuramente un paio di episodi che ti piaceranno, come la canzone italiana “Caruso”…
MI HAI PROPRIO ANTICIPATO, VOLEVO CHIEDERTI GIUSTO QUALCOSA ANCHE SU QUESTO BRANO: COME MAI HAI SCELTO “CARUSO” DI LUCIO DALLA?
– Lucio Dalla era un grandissimo artista e io adoro “Caruso”. Oltretutto Caruso stesso è stato il mio cantante lirico preferito: è vissuto molto tempo fa e so che molti giovani potrebbero non sapere nemmeno chi sia, ma lo adoravo (Enrico Caruso visse tra il 1873 e il 1921 ndR). Mi piaceva molto anche Luciano Pavarotti, che tra l’altro ha cantanto anche “Caruso” assieme a Lucio Dalla. Ci tenevo a registrare una canzone in italiano: l’anno scorso suonai da voi e io ero malata, perchè era in inverno (Doro si riferisce alla data al Circolo Colony del 4 dicembre 2017 ndR), ma è stata la data migliore dell’intero tour! Il pubblico ha cantato con me in maniera meravigliosa. Così ne parlai con il mio chitarrista, Luca (Princiotta, ndR), che è italiano e gli dissi: “Luca, voglio registrare una canzone in italiano, è un brano che adoro, ma ho bisogno che tu mi aiuti con la pronuncia per farla al meglio”. Quando gli dissi che si trattava di “Caruso”, lui mi rispose che era un’ottima scelta, perchè Lucio Dalla è un artista molto rispettato, anche nell’ambiente metal.
OLTRETUTTO LUCIO DALLA ERA UN CANTANTE TECNICAMENTE MOLTO DOTATO, CON UN’ESTENSIONE VOCALE IMPORTANTE, SONO DAVVERO CURIOSO DI ASCOLTARLA (al momento dell’intervista, infatti, avevamo ascoltato solo i brani della tracklist ufficiale ndR). HO VISTO CHE C’È ANCHE UN ALTRO BRANO CHE HA A CHE FARE CON L’ITALIA, SEMPRE TRA LE BONUS TRACK. SI CHIAMA “TRA COMO E CORIOVALLUM”.
– Sì, è un pezzo strumentale che ha scritto Luca ed è dedicata alla città in cui è cresciuto. Comunque in generale mi piace cantare in diverse lingue: ho provato lo spagnolo, il francese, il portoghese e quindi era arrivato il momento di cantare anche in italiano. Circa due anni fa abbiamo suonato al Rock In Rio ed eravamo ospiti degli Angra: ricordo di averne parlato anche con il loro cantante, Fabio Lione, quindi è un’idea che mi porto dietro da almeno due anni! Fatto sta che, alla fine, quando avevamo praticamente finito il disco, sono andata da Andreas Bruhn e gli ho detto: “Andreas, voglio registrare un’altra canzone…”. Lui mi ha risposto: “Un’altra??” (risate generali ndR). Abbiamo chiamato Luca, che è volato in Germania, l’abbiamo registrata e lui mi ha aiutato tantissimo con la lingua. Spero che ti piaccia e che si capisca bene il testo: sono convinta di sì, perchè Luca è una ragazzo di cui ci si può fidare! Si sentirà un po’ l’accento, ma dovresti riuscire a seguire lo stesso tutte le parole.
VOLEVO CHIEDERTI QUALCOSA DI UNO DEI BRANI NUOVI: MI RIFERISCO A “IF I CAN’T HAVE YOU NO ONE WILL”. È UNA CANZONE PARTICOLARE, AD UN PRIMO ASCOLTO MI SEMBRA UNA SPECIE DI ANTI-BALLAD, CHE PARLA DEL LATO PIÙ MINACCIOSO E POSSESSIVO DELL’AMORE. È CORRETTO?
– Sì! Wow, è fantastico che tu abbia colto esattamente quello che volevo esprimere! E’ una canzone d’amore ‘brutale’. Tutto nasce dalla collaborazione con gli Amon Amarth nel loro album “Jomsviking”, dove ho cantato nel brano “A Dream That Cannot Be”. L’abbiamo riproposta anche dal vivo in diverse occasioni, ad esempio a Wacken, come ti dicevo. Allora ho chiesto a Johan se fosse interessato a cantare su un mio pezzo e gli ho proposto questa canzone, che può considerarsi una sorta di seguito di “A Dream That Cannot Be”. Johan l’ha ascoltata e gli è piaciuta molto: gli ho chiesto anche di scrivere il testo relativo alla sua parte e lui ha accettato volentieri. Sono molto contenta del risultato finale ed è esattamente come dici tu, una canzone sull’amore possessivo, un amore che non può funzionare ma che viene comunque portato avanti all’estremo. E poi adoro lavorare con i ragazzi degli Amon Amarth, sono stati carinissimi con me: abbiamo registrato il loro pezzo in Inghilterra con Andy Sneap e ci siamo divertiti tanto. Johan è un grandissimo frontman, che fa divertire il suo pubblico. Mi piace l’idea di averlo coinvolto in un brano diverso dal solito, non una ballad tradizionale, ma il suo equivalente ‘maligno’.
TORNIAMO INVECE INDIETRO NEL TEMPO: QUANDO È STATA LA PRIMA VOLTA CHE HAI AVUTO LA SENSAZIONE DI AVERCELA FATTA, DI AVER RAGGIUNTO IL SUCCESSO SPERATO GRAZIE ALLA TUA MUSICA?
– Credo che sia stato proprio con l’album “Triumph And Agony”. Avevamo già inciso “Burning The Witches”, un album su cui non avevamo grandi aspettative di successo: pensavamo che saremmo riusciti a vendere un centinaio di copie, giusto ai nostri amici! Invece quando uscì fu un successo, credo che ne furono vendute 25.000 copie nel primo mese, mentre noi pensavamo che nessuno si sarebbe accorto della nostra esistenza. È stato uno shock enorme! A quel punto hanno iniziato ad avvicinarci i grandi festival, ricordo che abbiamo fatto una data in un grosso festival in Belgio o in Olanda, non ricordo, assieme agli Slayer. Poi hanno iniziato a farsi vivi altri promoter, chiedendoci di suonare nei club. In un caso ci dissero che avremmo suonato assieme ad una giovane e promettente band americana, che aveva da poco pubblicato il suo primo disco, noi abbiamo pensato ‘forte!’, ma non avevamo idea di chi fossero questi ragazzi. Be’, erano i Metallica! Erano gli inizi degli anni Ottanta, nessuno aveva idea di quello che sarebbe successo, non c’era nulla di organizzato, non c’erano regole, ma sentivi che c’era la voglia di fare qualcosa, penso alle prime fanzine, fotocopiate o addirittura scritte a mano. E poi nel 1986 suonammo al Monsters Of Rock Festival e quella è stata la cosa più grande che ci fosse capitata: non c’era Internet, non avevo nemmeno idea della portata dell’evento, sapevo che si trattava di un grosso festival. E ad un tratto mi trovo sul palco davanti a qualcosa come 60-70 mila persone. È stato incredibile! Lì in Inghilterra è stata la prima volta in cui ho incontrato i Motörhead, poi in Germania ho incontrato Michael Schenker, poi i Def Leppard, Bon Jovi, che faceva uno dei suoi primi show in Europa, Ozzy Osbourne, gli Scorpions… Qualche settimana dopo ci proposero di andare in tour con i Judas Priest e fu in quell’occasione che mollai il mio lavoro. Facevo la grafica e mi piaceva! Nel tempo libero, mi occupavo di disegnare i nostri logo o realizzavo dei poster… Lasciai il lavoro e decisi di provare a vivere di musica, anche se tutti mi dicevano che non ce l’avrei mai fatta e che dovevo tenermi il mio lavoro. Ma sapevo che non avrei mai potuto tenere il lavoro se ero impegnata in tour in giro per il mondo: prima con i Judas Priest, poi con gli W.A.S.P., di cui ero una grandissima fan. Tu pensa, primo tour con i Judas Priest, poi W.A.S.P. e il terzo con Ronnie James Dio, nel 1987, dopo l’album “Triumph And Agony”. Ecco forse è stato quello il momento in cui mi sono detta ‘ce la posso fare’, quando ho lasciato il mio lavoro per vivere definitivamente solo di musica.
POI HAI INCONTRATO ANCHE UN’ALTRA LEGGENDA COME GENE SIMMONS.
– Assolutamente, poi io ero una grandissima fan dei Kiss. Quel periodo è stato davvero un susseguirsi di successi e poi… è arrivato il grunge!
TI VA DI RACCONTARCI ANCHE QUALCOSA DI QUEGLI ANNI? SO CHE NON SONO STATI FACILI PER TE.
– Oh sì, è stata davvero dura… Nel 1990 avevo registrato l’album con Gene Simmons, e nel 1991 stavo lavorando a Nashville ad un nuovo disco, “True At Heart”: avevo scritto molte canzoni di valore, brani che mi venivano dal cuore, soprattutto diverse ballad. Ricordo che guidavo negli States su una macchina a noleggio e ascoltavo la radio, sai com’è, lì devi guidare per ore per spostarti da un posto all’altro. Ed è stato in quell’occasione che mi sono resa conto che le mie band preferite in radio non passavano più: niente Accept o Judas Priest, stava iniziando una nuova era. Sono arrivati i Pearl Jam, i Nirvana, che mi piacevano anche, ma era davvero qualcosa di completamente diverso. Completai l’album, “True At Heart”, e lo mandai alla casa discografica. Mi dissero: “L’album è pronto? Come ti sembra?”. Io risposi che ero contenta, che c’erano molte belle canzoni, intense, spirituali. Loro mi risposero: “Ok, ma è grunge?”. Dissi: “No…non è grunge”. La loro risposta fu che se non era grunge allora non valeva nemmeno la pena di pubblicarlo, nemmeno di ascoltarlo. Io non ero un’artista grunge, non era nella mia natura. Fatto sta che in diversi Paesi il disco non venne effettivamente pubblicato, ad esempio negli Stati Uniti. Poi registrai un altro disco, “Angels Never Die”, con Jack Ponti, che tra l’altro ha collaborato anche al mio nuovo disco, scrivendo “Backstage To Heaven”. Anche questo aveva delle ottime canzoni, un singolo molto forte, “Bad Blood”, per il quale avevamo preparato un video… E ancora dagli States mi chiesero “È grunge?”. Dissi: “No, no, ma è forte, diverso da “True At Heart”, più duro e pesante!”. E di nuovo mi risposero: “Niente grunge, niente disco”. Ancora una volta non potemmo andare in tour, è come una effetto domino… L’album successivo fu “Machine II Machine”, che onestamente a me piaceva molto: era un disco più industrial, con un sacco di groove, basso e batteria potenti… Ancora la stessa storia: “È grunge?”. “No, ma è qualcosa di completamente nuovo! Un sound industrial, belle canzoni…”. Niente, ancora una volta non riuscii a pubblicarlo se non in alcuni Paesi. Riuscivo ancora ad andare in tour in Europa, tant’è che nel 1993 abbiamo registrato un bel live album, “Doro Live”, ma le cose continuarono così per un bel po’. Ad un certo punto, però, intervenne il mio fanclub americano, guidato da Tony Cannella: i fan erano arrabbiati perchè non riuscivano ad avere i miei dischi, erano costretti a comprare gli album di importazione ad un prezzo esagerato. Lui mi chiese se potesse fare qualcosa per aiutarmi. Gli risposi che stavo realizzando un nuovo disco: era “Calling The Wild” e mi ero accorta che le cose stavano cambiando, anche solo di poco, qualcosa si stava muovendo. Decisi di mandargli i demo dei nuovi pezzi e gli dissi: “Fai tutto quello che puoi!”. Mi chiese se dovesse mettersi d’accordo con il management prima di muoversi, ma gli risposi di no, di seguire solo il suo cuore. Bene, in due settimane sul tavolo avevo non uno, ma quattro proposte di contratto. Andai quindi dalla prima etichetta, la Koch Records, che aveva un fantastico A&R manager, Dave Squillante. I pezzi gli piacquero molto, era un ragazzo a cui piaceva il metal, erano finiti i tempi del grunge. Lui mi disse: “Adoro questi pezzi, facciamo il disco!”. Non potevo crederci. Poco dopo andai con lui al party per la pubblicazione di “Magica”, il nuovo disco di Ronnie James Dio: lo ascoltai in anteprima in quell’occasione ed era un grandissimo disco, sembrava uno dei suoi primi lavori da solista! Ronnie mi disse che era molto contento che fossi andata a trovarlo e che lui adorava la mia versione di “Egypt (The Chains Are On)”, è stato un grande momento per me. Un paio di settimane dopo ottenni un’intervista in una radio importante, molto ascoltata in quegli anni: la ragazza che mi intervistò mi chiese se, ora che l’uscita del disco era alle porte, avessi già dei programmi per l’attività live. Risposi che ancora non c’era niente di definito, ma che avrei fatto volentieri un tour nei club, o magari l’apertura per un artista importante. Mi chiese: “Per chi ti piacerebbe aprire?” e subito dissi, “Ronnie James Dio!”. Lei mi disse che, per pura casualità, proprio due ore dopo avrebbe avuto un’intervista con Ronnie e che, se avessi voluto, gli avrebbe proposto la mia candidatura! Anche qui non potevo crederci! Per farla breve, poco tempo dopo ero davvero in tour con Dio ed è stata in quell’occasione che ho avuto la sensazione che il metal stesse finalmente per tornare. Finalmente i locali erano tornati ad essere pieni e c’era tanta voglia di ascoltare questo genere di musica.
DORO, GRAZIE MILLE PER QUEST’INTERVISTA, UN’ULTIMA DOMANDA: C’È ANCORA UN SOGNO NEL CASSETTO CHE NON HAI POTUTO REALIZZARE DOPO TANTI ANNI DI CARRIERA?
– Ho avuto la fortuna di realizzare tanti sogni. Forse ora il mio desiderio è che tutto rimanga così, che il metal rimanga in buona salute, che si possa continuare a fare tour in tutto il mondo, suonare in festival meravigliosi e incontrare persone meravigliose. Vorrei che tornasse un po’ la passione per i vinili, i CD e non solo degli anonimi file su Internet. Insomma, mi piacciono le cose alla vecchia maniera, ma so che posso contare sui metallari, perchè loro lo sanno e se sono ancora qui con la mia musica è grazie al loro supporto.