DOWN – The Great Southern Trendkill

Pubblicato il 22/05/2008 da

I Down sono una formazione anomala: nata come progetto parallelo, ha assunto connotati ben più rilevanti diventando con gli anni il riferimento sia di fan dei singoli componenti del gruppo (tra i quali un certo Phil Anselmo e un certo Pepper keenan) sia degli appassionati dell’hard rock e del metal classico, con riferimento ai grandi e storici nomi che hanno scritto le pagine del nostro genere preferito, e contemporaneamente ai cultori del southern rock, venatura sempre più diffusa anche tra le band più giovani. Nella stanza più piccina del backstage dell’Alcatraz, contenente giusto due poltrone e un tavolino guarnito di birre, Metalitalia.com ha la possibilità di incontrare il carismatico Kirk Windstein, storico leader dei Crowbar e anima tipicamente sudista della formazione, caratterizzato dalla costituzione tarchiata e dalla barba lunga che lo fanno assomigliare più ad un burbero redneck che ad un artista di alto valore. Con fare bonario, la voce sporcata dal whiskey e un piglio decisamente amichevole Kirk ci racconta del ritorno della formazione, stappando una Moretti dietro l’altra…

VUOI RACCONTARCI COME VI SIETE RITROVATI DOPO SVARIATI ANNI?
“E’ arrivato il tempo in cui ci siamo sentiti di rifarlo, e questa volta significava farlo nella maniera più seria, considerando i Down come la nostra band principale, accantonando i nostri numerosi progetti”.

LA CHIMICA E’ TRA DI VOI E’ RIMASTA INTATTA NEL TEMPO?
“Con alcuni dei ragazzi sono vent’ anni cha ci si conosce! Certo tra impegni vari non si esce regolarmente, ma siamo praticamente fratelli. Ogni volta che torniamo da un tour ci diciamo ‘Non chiamarmi per almeno due settimane cazzo’, ma alla fine ci ritroviamo puntualmente. E’ grandioso essere in una band del genere, suonare e vivere in contatto con persone con cui non puoi andare d’accordo è una avere spina nel culo. Siamo veri amici”.

LA RIUNIONE E’ AVVENUTA IN UN PERIODO PARTICOLARMENTE SFORTUNATO: TRA PROBLEMI PERSONALI E L’URAGANO KATRINA CHE HA COLPITO LA VOSTRA CITTA’ NATALE, COME AVETE FATTO A MANTENERE UN’ATTITUDINE POSITIVA?
“Quando ti succedono queste cose è facile piangerci sopra ed annegare nelle proprie lacrime, ma non è nella nostra indole. Siamo fortunati ad essere ancora vivi, ancora qui a fare musica: quale stimolo migliore per dare il massimo in ciò che amiamo fare? Oltre a dei buoni riff e a una grande atmosfera in studio l’album è contornato di testi positivi, che parlano di sopravvivenza e di sopraffazione del dolore. C’è stata la morte di Dimebag, c’è stato l’uragano Katrina, anche mia madre è deceduta durante le registrazioni… ‘Over The Under’ significa passare sopra a tutta questa negatività, ingoiare la rabbia e la repressione e farla diventare forza interiore, come band e come individui”.

SI E’ PARLATO DI ALCUNE CANZONI TOTALMENTE ACUSTICHE CHE SONO RIMASTE FUORI DALL’ALBUM: PENSI POSSANO ESSERE PUBBLICATE IN UN BONUS CD O COME EP?
“Ci sono molte canzoni e molti riff che sono rimasti esclusi perchè non rientravano completamente nello spirito della raccolta, i ragazzi sono tutti artisti incredibili e nelle sessioni è uscito davvero parecchio materiale buono, tanto che abbiamo fatto quasi fatica a selezionarlo. Quelle canzoni saranno pubblicate di sicuro in qualche maniera”.

PERCHE’ AVETE SCELTO LOS ANGELES PER LE REGISTRAZIONI?
“Ho detto ai ragazzi che per me non ci sarebbe stata nessun tipo di differenza, principalmente la motivazione è che avremmo potuto dedicarci totalmente all’album. Non è stato raro che uscissimo dallo studio solo per dormire qualche ora in hotel, per poi rientrare e ricominciare a lavorare. Certo ci siamo fatti un paio di giretti nei bar e negli strip club ma non ci sarebbe stata alcuna differenza se avessimo registrato nella fottuta Tokio! Eravamo completamente assorbiti dalla musica”.

COME COMPARERESTI IL TUO STILE DI CHITARRISTA CON QUELLO DI PEPPER?
“Non potremmo essere più distanti, e a mio parere è una gran cosa! Lui fa cose che non so fare io e viceversa, in ‘Stone The Crow’ non suoniamo mai le stesse partiture. Siamo assolutamente complementari e abbiamo stili molto diversi”.

PARLIAMO DI PHIL: COME E’ VISIBILE SI E’ RIPULITO ED E’ SOBRIO. E’ UN PROBLEMA AVERE IL RESTO DELLA BAND CHE NON SI FA PROBLEMI AD ALZARE UN PO’ IL GOMITO?
“(Stappa la seconda bottiglia di Moretti, ndR) Non c’è nessun problema. Come vedi qua fuori ci sono due tour bus: io Jimmy e Pepper amiamo farci qualche birretta dopo lo show, mentre Rex ha seguito lo stile di vita di Phil e si è ripulito completamente… nel ‘beer bus’ ci si può rintanare e farsi una bevuta coi ragazzi della crew, gli altri possono stare tranquilli e lontano dalle tentazioni con le loro ragazze nel ‘bus tranquillo’, ma ci mischiamo costantemente e non c’è mai stata una minima tensione, c’è sempre il rispetto da parte nostra nello stare lontani da loro se non vogliono gente ubriaca tra i piedi”.

TU PEPPER E PHIL SIETE TUTTI CANTANTI, MA SOLO PHIL HA IN MANO IL MICROFONO SE ESCLUDIAMO QUALCHE CORO: NON AVETE MAI PENSATO O PROVATO A DIVIDERVI LE PARTI VOCALI?
“Non è raro che supportiamo Phil alla voce, soprattutto dal vivo, ma quando proviamo a cantare in studio Phil non fa altro che guardarci con la faccia schifata e prenderci per il culo! Sa fare sicuramente il suo mestiere meglio di me o Pepper”.

PUOI RACCONTARCI QUALCOSA DEL VIDEO CHE MOSTRATE PRIMA DELLO SHOW, E SUL PERCHE’ SUONATE SENZA SUPPORTERS?
“Il video ha preso forma grazie alle riprese di un nostro caro amico che ci ha seguito durante i tour precedenti alle sessioni di ‘Over The Under’, ed è mischiato alle immagini dei nostri gruppi di riferimento come Black Sabbath o Deep Purple per citarne un paio. Per quanto riguarda la motivazione posso dirti che troviamo davvero antipatica la pausa tra il gruppo di supporto, la preparazione dello stage e il resto, così finita l’introduzione, che è comunque leggera e permette di introdurre gli spettatori nel mood di un concerto dei Down, il telone cala e cominciamo a suonare. Tra l’altro il film non va pagato ogni data! (ride, ndR)”.

VUOI RACCONTARCI INVECE COME E’ NATA LA TUA COLLABORAZIONE CON JAMEY JASTA DEGLI HATEBREED NEI KINGDOM OF SORROW?
“Ci siamo conosciuti quando i Crowbar hanno supportato gli Hatebreed nel marzo 2005 in Inghilterra e Jamey, che è un buon affarista, ha cominciato a insistere che facessimo qualcosa insieme. Iniziammo già un paio di mesi dopo, ma c’è voluto qualche anno per arrivare al compimento con la pubblicazione dell’album. E’ stato ricevuto davvero bene e mi fa incredibilmente piacere, ma è nato come un passatempo per entrambi, nessuna pressione, solo divertimento”.

E I CROWBAR?
“I Crowbar sono una gran fetta della mia vita, sicuramente faremo ancora qualcosa insieme, ma al momento non c’è nulla di definito”.

COSA PENSI DELLA CRESCENTE INFLUENZA SOUTHERN CHE SI STA MANIFESTANDO IN MANIERA CRESCENTE NEL METAL?
“Non può che farmi piacere, certo è strano vedere tizi francesi che agitano la bandiera confederata… per fortuna scrivono buona musica”.

SEI IMPAZIENTE DI SUPPORTARE I METALLICA PER LE DATE ESTIVE?
“Certamente, lo considero un onore, saremo anche a Bologna. Sarà fantastico”.

TUTTI FANS DEI DOWN SI STANNO CHIEDENDO SE, CHIUSO IL CICLO DI TOUR A SUPPORTO DI ‘OVER THE UNDER’, SPARIRETE ANCORA PER ANNI. LA TUA RISPOSTA?
“I nostri ascoltatori possono stare tranquilli. Certo ci prenderemo una pausa, ma ritorneremo perchè per i Down sono la nostra band principale ora, vogliamo continuare”.

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