I Dragged Into Sunlight sono in procinto di rilasciare l’atteso successore del bestiale “Hatred For Mankind”, che si intitolerà “Widowmaker” e che verrà pubblicato dalla Prosthetic Records nei prossimi mesi, e nel frattempo stanno tenendo alcuni show selezionati per concludere in grande stile il ciclo del loro primo, fortunato, album. Incontriamo T. un paio d’ore prima che la loro esibizione al Roadburn Festival abbia inizio. Non sappiamo cosa aspettarci da questa persona, nè tantomeno da questo colloquio, visto che la band britannica è stata sino a oggi avvolta nel’anonimato e ha rilasciato poche interviste. Ci viene incontro un ragazzo normalissimo, dall’aria un po’ stanca, ma che denota un’indubbia cordialità sin dalle presentazioni e dalle prime battute: si presenta con il suo nome e capiamo essere il cantante del gruppo. La conversazione procede quindi in toni estremamente rilassati e affabili, toccando vari argomenti come la genesi del progetto e la particolare miscela di musica estrema che è rapidamente diventata uno dei suoi trademark. Difficile definire i Dragged Into Sunlight un gruppo death, doom o black metal… i Nostri ci tengono a prendere le distanze da simili categorie e promettono sorprese già dall’immediato futuro.
LE IDENTITA’ DEI COMPONENTI DEI DRAGGED INTO SUNLIGHT SONO AVVOLTE DALL’ANONIMATO. PER QUALE MOTIVO? COSA VI HA PORTATO A PORVI IN QUESTA MANIERA DAVANTI AL PUBBLICO?
“Semplicemente non riteniamo che sia così importante sapere quali sono i nostri nomi e che cosa facciamo nella vita. Quando stiamo insieme e suoniamo, siamo i Dragged Into Sunlight. Il progetto è in vita e suona in questo modo perchè vede da sempre la partecipazione delle stesse persone: se uno di noi lascia, allora è un problema. Non sapremmo dove andare e cosa fare. Ognuno di noi porta degli aspetti musicali e personali ben distinti, che, miscelati con quelli degli altri membri della formazione, danno vita a quello che puoi vedere sul palco e sentire sul disco. Non potremmo ricreare lo stesso sound e le stesse sensazioni se continuassimo a cambiare lineup. Abbiamo tutti lo stesso background e le stesse ambizioni: siamo persone che sono state attive nella cosiddetta scena metal per ben oltre un decennio, che si sono stancate, che hanno deciso di ritirarsi e che, infine, hanno fatto la scelta di tornare a esprimersi solamente una di fianco all’altra, nel nome di questo collettivo. Siamo persone arrabbiate, che quando si ritrovano concepiscono suoni orribili e furiosi”.
SUONATE LIVE SOLO SALTUARIAMENTE: ANCHE QUESTA DECISIONE E’ LEGATA AL VOSTRO DESIDERIO DI MANTENERE UN CERTO MISTERO ATTORNO AL GRUPPO E AI SUOI MEMBRI?
“Vi sono vari fattori da considerare: ognuno di noi vive in un luogo diverso in Inghilterra e tutti abbiamo dei lavori che ci tengono impegnati parecchio. Non siamo una band formata da ragazzini che, nelle pause tra un tour e un altro, si tengono a galla lavorando come commessi o in fabbrica. Abbiamo vite e carriere avviate che non possono essere trascurate. Inoltre, ci piace l’idea di suonare poco ma rendere ogni evento speciale. Quando ci ritroviamo per una data, solitamente siamo talmente stressati e nervosi che finiamo per dare il 200% sul palco e per concepire qualcosa di davvero selvaggio. Se suonassimo live più spesso, ciò diverrebbe parte della routine e non riusciremmo più a esprimerci al meglio”.
E’ DIFFICILE RICREARE IL VOSTRO SOUND SULLE ASSI DI UN PALCO?
“Siamo noti per essere dei perfezionisti in questo caso. E’ certamente difficile, ma ci preoccupiamo di prendere in esame ogni aspetto del palco, del locale e della strumentazione a nostra disposizione per offrire qualcosa che sia il più vicino possibile a quanto un ascoltatore abbia trovato sul disco. Ce lo possiamo permettere proprio perchè suoniamo live di rado e in situazioni selezionate. Abbiamo degli amplificatori e dei pedali fatti su misura per noi ed è capitato di avere coloro che li hanno costruiti sul palco con noi, per curare al meglio il sound-check”.
LE LUCI E LA SCENOGRAFIA DELLE VOSTRE ESIBIZIONI LIVE SEMBRANO VOLER RICREARE LE ATMOSFERE DI UN MACABRO RITUALE. QUANTO TEMPO TRASCORRETE SULLA PROGRAMMAZIONE DI QUESTI ASPETTI DI UN VOSTRO CONCERTO?
“A dire il vero, non troppo. In molti pensano che quanto vedono sul palco mentre suoniamo sia altamente studiato, ma, in realtà, noi non facciamo altro che circondarci di tutto quello che c’è nella nostra sala prove. Per noi è importante mantenere una continuità tra quello che avviene nel ‘privato’ dei Dragged Into Sunlight – intesi come band – e quello che avviene on stage. Le luci, gli oggetti, le candele… è tutta roba che proviene dalla nostra sala prove. Quando confermiamo uno show, la svuotiamo e la ricreiamo sul palco del locale in cui suoniamo. Se poi troviamo altro sul posto, come altre candele o luci che troviamo interessati, allora ne facciamo uso, ma nulla viene pianificato in anticipo. Suonare in un’atmosfera come quella che puoi vedere mentre siamo sul palco è per noi una prerogativa: è dentro di essa che componiamo la nostra musica e sempre dentro di essa la suoniamo davanti ad altre persone”.
CHI PENSI CHE SIA L’ASCOLTATORE MEDIO DEI DRAGGED INTO SUNLIGHT?
“E’ qualcuno che ascolta musica estrema, ma che non si preoccupa troppo di dare un nome alla musica che ascolta e di inserirla in una determinata categoria. Non facciamo parte di alcuna scena o filone e suoniamo in maniera molto istintiva. Se sei pronto a lasciarti alle spalle preconcetti e valutazioni che nulla hanno a che fare con la musica, allora è possibile che tu riesca ad entrare in sintonia con noi”.
AVETE POCO O NULLA IN COMUNE CON IL RESTO DELLE BAND BRITANNICHE DI QUESTI ANNI…
“La cosiddetta scena metal britannica è diventata sempre più uno specchio di ciò che avviene negli Stati Uniti. Se il nu metal va di moda, allora l’Inghilterra si riempie di nu metal band; se è il momento del metal-core, allora largo a questo tipo di gruppi. Per fortuna noto che negli ultimi anni qualcuno ha iniziato a pensare con la propria testa: vi è più voglia di sperimentare, almeno nei circuiti underground, e ci sono band che stanno seguendo un proprio percorso personale, senza badare troppo a quanto il pubblico e la critica dicono di loro. Penso a Conan, Necro Deathmort o Astrohenge, tutte realtà interessanti”.
VI E’ UNA BAND ALLA QUALE VI SENTITE AFFINI, CONCETTUALMENTE?
“Rimanendo in Inghilterra, direi i vecchi Medulla Nocte e Anaal Nathrakh, due formazioni che hanno sempre fatto qualcosa di speciale, fregandosene dei responsi di pubblico e critica. Sono sempre state delle realtà a se stanti, nella cosiddetta scena”.
E, INVECE, A LIVELLO DI INFLUENZE MUSICALI, CHI CITERESTI? CHE COSA HA PORTATO I DRAGGED INTO SUNLIGHT SULLA STRADA CHE STANNO PERCORRENDO?
“Come dicevo, ognuno di noi ha una importanza vitale nell’economia del sound della band. Suoniamo in questa maniera perchè ognuno di noi contribuisce alla stesura del materiale. ‘Hatred For Mankind’ è il parto di menti diverse, cresciute ascoltando di tutto, dal doom al black metal, passando per death, grind, industrial… E’ difficile citare tutti i nomi che ci hanno influenzato. Sicuramente Eyehategod, Sunn O))), Goatsnake, Incantation, Godflesh, Grief, Iron Monkey… ma la lista può andare avanti”.
“HATRED FOR MANKIND” E’ STATO PUBBLICATO ORIGINARIAMENTE NEL 2009, PER POI VENIRE RISTAMPATO L’ANNO SCORSO DALLA PROSTHETIC RECORDS. NON RILASCIATE NUOVA MUSICA DA TRE ANNI, INSOMMA. AVETE QUALCOSA SULLA RAMPA DI LANCIO?
“Sì, un nuovo full-length è quasi pronto. Si intitola ‘Widowmaker’ ed è praticamente un’unica traccia di circa quaranta minuti. Abbiamo impiegato parecchio tempo a concepirlo e a registrarlo, ma ne è valsa la pena. Il suono di chitarra e l’atmosfera generale del lavoro non hanno eguali nella scena odierna. Suona senza dubbio come Dragged Into Sunlight. Almeno a livello di suoni e impatto sarà difficile paragonarci a qualche altra band”.
E A LIVELLO STILISTICO/MUSICALE, COSA DOBBIAMO ASPETTARCI?
“Abbiamo sperimentato con ritmiche più lente, dando più peso alle nostre influenze doom e drone, cercando di esplorare quei mondi che erano stati toccati solo in parte nel primo album. Non vi sono blast-beat, ma è un disco ugualmente aggressivo e pesante. Di certo suona molto più ‘sporco’ rispetto a ‘Hatred…’, ma vi sono anche delle parti atmosferiche/acustiche che danno i brividi. Le riascoltavo personalmente proprio ieri. Se mi ritrovo ad ascoltare la nostra stessa musica così spesso è perchè sono davvero convinto del suo valore. Non vedo l’ora che il disco sia pronto, perchè portarlo a termine è stata una vera impresa. Come ti dicevo, siamo dei perfezionisti e siamo stati capaci di trascorrere anche otto giorni su un singolo tono di chitarra mentre lo registravamo. Siamo arrivati a viaggiare in lungo e in largo per l’Inghilterra solo per provare vari set di amplificatori e testate. A un certo punto è stato necessario dire ‘basta’ e procedere, ma il risultato è appunto incredibile. E’ un disco che va ascoltato a luci spente e per quaranta minuti ti ritroverai a pensare alle cose più orribili che la tua mente possa concepire”.
QAUL E’, PER CONCLUDERE, L’ASPETTO MIGLIORE DEL FAR PARTE DI DRAGGED INTO SUNLIGHT?
“Il condividere una visione con persone che sono assolutamente sulla tua stessa lunghezza d’onda, pur avendo a volte gusti e background diversi. Nei Dragged Into Sunlight non ci poniamo limiti, siamo persone dalla mentalità aperta, che vogliono esplorare e conoscere sempre qualcosa di nuovo, sia musicale che non. Le nostre passioni vanno dalla sociologia alla religione e ognuno cerca in qualche modo di condividerle con gli altri. Il progetto è una vera comunione di interessi, intenti e visioni, che sfocia in un suono che è semplicemente raccappricciante”.