DREAM THEATER – Progressione amletica

Pubblicato il 25/02/2019 da

Come previsto, a pochissimi giorni dall’uscita, il nuovo album dei Dream Theater “Distance Over Time” ha già iniziato a generare fior di controversie in merito alle numerose scelte compositive (nonché stilistiche) adottate all’interno di un lavoro che ha comunque trovato l’apprezzamento di buona parte del pubblico, così come il totale rifiuto di un’altra. Chiaramente, tutto ciò non ci sorprende particolarmente, trattandosi di un album di quella che molti etichettano come la progressive metal band per antonomasia, che nonostante tutto riesce sempre e comunque a movimentare gli animi dei propri ascoltatori. Alla luce di tutto ciò, era inevitabile che la voglia di andare dritti alla fonte fosse potenzialmente irrefrenabile; in questo caso, è toccato alla ben nota ugola del buon James LaBrie il compito di soddisfare la nostra curiosità e, potenzialmente, quella degli ascoltatori più affamati di aneddoti e informazioni. Naturalmente si è trattato di una chiacchierata molto piacevole, in compagnia di un uomo sempre entusiasta di quella che è la propria attività musicale, e palesemente incuriosito, tanto quanto noi, di conoscere quello che sarà l’andamento sul mercato di un lavoro in studio che, come lui stesso ci confermerà, prende in parte le distanze da quello cui i Dream Theater ci avevano abituato negli ultimi anni. Buona lettura!

CIAO JAMES, PARTIAMO NATURALMENTE PARLANDO DELLE CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEL NUOVO ALBUM: SI TRATTA SICURAMENTE DI UN LAVORO MOLTO PIÙ DIRETTO DI QUANTO FATTO NEGLI ULTIMI ANNI. A LIVELLO DI SONGWRITING, QUALI ERANO LE VOSTRE INTENZIONI AL MOMENTO DI METTERE INSIEME LE IDEE?
– Come giustamente hai riconosciuto, e come gran parte di critica e pubblico ha avuto modo di notare, l’intenzione principale era certamente quella di proporre ai fan una faccia diversa di quello che sono i Dream Theater ora come ora, puntando in questo caso in una direzione decisamente più aggressiva e immediata, mostrando quindi quello che è il nostro lato più heavy metal, rifacendoci anche in parte a quanto fatto dalle prime band prog/heavy; ovviamente rimanendo al tempo stesso nell’ambito di una proposta comunque moderna e al passo coi tempi. Tutto questo senza dimenticare che si sta pur sempre parlando di un album dei Dream Theater, caratterizzato quindi da determinati stilemi compositivi ed esecutivi che non andavano assolutamente messi da parte o trascurati, ma anzi valorizzati e inseriti in un contesto, per l’appunto, apparentemente meno elaborato di quanto fatto negli ultimi lavori e più improntato su un certo tipo di aggressività musicale.

COME TI SENTIRESTI DI DESCRIVERE IL MESSAGGIO PRINCIPALE CONTENUTO ALL’INTERNO DI “DISTANCE OVER TIME”?
– Nel momento in cui si osserva una qualsiasi band dall’interno, non è difficile notare quanto ogni singolo membro tenda a essere fortemente influenzato da ciò che gli accade intorno, soprattutto al momento di mettere in musica quelle che sono le proprie sensazioni. In questo caso, abbiamo voluto rifarci ad alcuni soggetti presenti, ad esempio, in alcune opere letterarie per interpretare quelli che sono i cambiamenti che stanno avvenendo all’interno del mondo moderno; potrei citare la attuale mancanza di determinati valori come l’accettazione di se stessi e degli altri, o anche la capacità di mettersi in gioco al momento in cui si decide di voler amare qualcuno. Nel contempo, ci siamo estesi a quello che è l’atteggiamento della razza umana nei confronti, appunto, di se stessa, della società e del pianeta in cui quest’ultima si ritrova a vivere, talvolta mancando totalmente di rispetto a quello che è l’equilibrio della natura, spinta dalla voglia continua di voler superare se stessa e i propri progressi, arrivando quasi a tramutarsi nella stessa tecnologia che sta tentando di applicare con tanta caparbietà. I Dream Theater in parte si rifanno a questo concetto, dal momento che la voglia di osare e sperimentare è sempre presente in quello che è il nostro modo di applicarci al mestiere di musicisti.

COME INTERPRETATE IL CONCETTO STESSO DI ‘TEMPO’ APPLICATO ALLA VOSTRA MUSICA?
– Si potrebbe dire il tempo sia direttamente correlato al concetto di variabilità, dovuta anche al fatto che col progredire della propria esperienza, e conseguentemente delle proprie capacità, diviene sempre più semplice, almeno apparentemente, giungere a quello che è il proprio obiettivo. Fai conto che per applicarci alla realizzazione di un brano ci rendiamo conto di quanto sia effettivamente una questione di giorni necessari a completare un lavoro, indipendentemente che ne servano uno, due, tre e così via. Contemporaneamente, questo riflette anche quello che la società umana si ritrova a vivere ogni qualvolta riesce a semplificare il raggiungimento di un determinato fine, che in molti casi sembra divenire sempre più facile anche grazie a quello che la tecnologia è in grado di favorire, ora come ora.

A TAL PROPOSITO, QUALE RITIENI SIA STATO IL BRANO PIÙ DIFFICILE DA APPROCCIARE DEL NUOVO ALBUM?
– Beh, come ho detto, alla fine tendiamo a non sforare mai oltre una determinata soglia temporale, ma chiaramente esistono lavori che richiedono un’applicazione differente rispetto ad altri. Volendone citare una nello specifico, sicuramente sarebbe la conclusiva “Pale Blue Dot”, che è anche quella che rispecchia maggiormente quell’alone di complessità che ha svolto un ruolo predominante all’interno delle nostre produzioni più recenti, sia per quanto riguarda l’atmosfera ricreata al suo interno, sia per l’applicazione tecnica che questa ha richiesto in fase di composizione e incisione. Tuttavia, uno dei vantaggi principali di essere parte di una band da tanti anni risiede nel fatto che molto spesso le idee e le ispirazioni tendono a confluire in una direzione molto simile, col conseguente risultato di rendere meno complicato ricreare ciò che si vuole all’interno di un determinato brano. Naturalmente non si tratta di un concetto scontato, ma nel nostro caso mi sento di dire che non ci siano particolari difficoltà al momento di dedicarsi alla stesura di un nuovo lavoro.

UNA DELLE QUESTIONI CHE HA DIVERTITO MAGGIORMENTE I FAN NEGLI ULTIMI MESI È QUELLA CHE RIGUARDA LA COPERTINA DEL NEW YORK TIMES MAGAZINE, QUASI COMPLETAMENTE IDENTICA A QUELLA DI “DISTANCE OVER TIME”. CHE IDEA TI SEI FATTO SU QUANTO ACCADUTO?
– Mah, ti dirò che non siamo partiti immediatamente prevenuti in merito. Tuttavia ci siamo applicati molto per rappresentare visivamente un concetto che rappresentasse la nostra entità in quanto homo sapiens, direttamente collegata a quel determinato progresso tecnologico di cui parlavamo poco fa, tramite il quale sembra che la specie umana stia a tratti perdendo se stessa a causa dell’abuso di determinate soluzioni. Ricreare un concetto simile, combinato con una sorta di citazione letteraria, prendendo come spunto principale l’Amleto di Shakespeare, non è stato propriamente un lavoro scontato, pur avendo voluto puntare sulla semplicità. Quando, appena due settimane dopo l’annuncio al pubblico del nuovo artwork, è uscito un numero del New York Times Magazine con una copertina quasi totalmente identica siamo rimasti un attimo straniti. Naturalmente abbiamo ritenuto opportuno chiedere informazioni a riguardo, ottenendo semplicemente una risposta che vedeva nella pura e semplice coincidenza la causa del disguido. Ora, va bene tutto, ma a parer mio non stiamo parlando di qualcosa di banale che chiunque potrebbe pensare dall’oggi al domani, quindi ci risulta abbastanza difficile credere a una dichiarazione del genere, il che farebbe quasi pensare a una presa in giro, tra le altre cose. In ogni caso, abbiam preferito prendere la cosa con filosofia, interpretando questa sorta di imitazione come un complimento.

CAMBIANDO ARGOMENTO, SAPPIAMO CHE NEL TOUR IN PROGRAMMA, IN MANIERA ANALOGA A QUANTO FATTO CON “IMAGES AND WORDS”, AVETE INTENZIONE DI RIPROPORRE L’ALBUM “METROPOLIS PT. 2: SCENES FROM A MEMORY”. COME MAI QUESTA SCELTA SPECIFICA PER L’OCCASIONE CORRENTE?
– Naturalmente l’idea è sopraggiunta nel momento in cui abbiamo realizzato che si trattasse del ventesimo anniversario del suddetto album. Da lì, ci siamo ricollegati al fatto che, tra gli album pubblicati in quel periodo, è stato uno dei più acclamati in assoluto a livello di critica e pubblico, con numerosi estimatori che hanno affermato di essersi addirittura commossi con la storia narrata all’interno del disco; perciò abbiamo pensato potesse essere davvero apprezzabile come scelta per un tour, anche per via della sua natura narrativa molto particolare, stimolante e introspettiva.

DOPO TANTI ANNI DI CARRIERA, CON NUMEROSI ALBUM ANCHE DIFFERENTI ALLE SPALLE, C’È QUALCOSA CHE VORRESTI CAMBIARE ANDANDO INDIETRO NEL TEMPO?
– Ricordo il periodo in cui eravamo impegnati nei lavori per l’album “Falling Into Infinity”, che fu accolto in maniera relativamente tiepida al tempo della sua uscita per svariati motivi di natura compositiva e stilistica, che lasciavano trasparire una sensazione quasi di oscurità che, nel bene e nel male, rifletteva un po’ quello che era il periodo in questione per i Dream Theater. A mio personalissimo avviso, in quell’album avrei voluto adottare delle soluzioni leggermente differenti rispetto a quello che alla fine risultò nel prodotto finito, che magari potessero in parte mitigare quelle che furono le sensazioni lasciate dal disco nel periodo successivo alla sua uscita. A parte questo, ammetto che non vorrei cambiare nulla di specifico, anche perché il percorso di un artista e costellato di alti e bassi, ed entrambi questi elementi giocano una parte fondamentale per quella che è la sua formazione personale. Non escluderei che, senza quel determinato album, adesso i Dream Theater potrebbero essere diversi da come li conoscete; non si può mai sapere cosa accadrebbe se si tornasse indietro per cambiare anche solo una virgola.

IN QUANTO FRONTMAN DI QUELLA CHE È CONSIDERATA ANCORA OGGI LA PROGRESSIVE METAL BAND PER ANTONOMASIA, CHE SIGNIFICATO ATTRIBUISCI TU, PERSONALMENTE, AL TERMINE ‘PROGRESSIVE’?
– Ottima domanda! Dunque, per me essere ‘progressive’ significa essenzialmente due cose: prima di tutto, essere determinati e capaci di infrangere e superare quelli che sono i propri limiti tecnici, musicali e strumentali, spingendo sempre di più sul proprio acceleratore e allargando le proprie capacità, in modo da riuscire a toccare ogni possibile vetta, in base ovviamente a quelli che sono i propri obiettivi personali sia con lo strumento, o la voce che dir si voglia, sia a livello compositivo. Secondo, essere ‘progressive’ significa continuare a crescere non solo in quanto persona e/o musicista singolo, ma anche come un vero e proprio insieme, soprattutto quando si è parte integrante di una band in cui ognuno ripone la propria essenza; questo si traduce nella capacità di maturare sempre di più insieme ai propri compagni, rendendo di fatto una cosa sola il bagaglio personale di ognuno. La vicinanza al genere metal, inoltre, permette di fare ciò riuscendo nel contempo a sprigionare un’energia e una potenza che in nessun altro filone sarebbe possibile, sperimentando anche un livello personale di adrenalina in grado di dare una spinta in più a qualsiasi musicista. Si potrebbe definire quasi una mescolanza di emozioni primitive e capacità umane genuine e complesse, derivate da una forte applicazione a tutto ciò che ci fa sentire vivi. La mia speranza, è che i Dream Theater siano sempre in grado di incarnare tutti questi concetti in maniera più convincente possibile.

ALLA LUCE DI TUTTE LE TUE ESPERIENZE A CONTATTO DIRETTO, O INDIRETTO, CON L’AMBIENTE MUSICALE ITALIANO, CHE OPINIONE TI SENTIRESTI DI ESPRIMERE IN MERITO?

– La caratteristica principale che devo riconoscere è una capacità quasi innata di raggiungere dei livelli musicali elevatissimi dal punto di vista strumentale e compositivo. Come penso ben saprai, il chitarrista del mio progetto solista è Marco Sfogli, che per me è di diritto tra i chitarristi migliori con cui ho mai avuto il piacere di entrare in contatto, e come lui anche numerosi altri artisti italiani riescono a incarnare un’essenza musicale come pochi altri riescono a fare in giro per il mondo. Ovviamente non entro nel merito dei grandi compositori del passato, poiché si aprirebbe un altro capitolo a dir poco immenso.

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