(ECHO) – Il buio dell’isolamento

Pubblicato il 04/01/2023 da

Vaga nelle sofferenze interiori dei suoi creatori “Witnessess”, il quarto album dei bresciani (Echo). Un lavoro travagliato, frutto del disagio accumulato nel primo periodo pandemico, un racconto a cuore aperto di mesi prostranti, difficili da sopportare e superare. La band era reduce dal suo terzo disco “Below The Cover Of Clouds” e si apprestava a promuoverlo adeguatamente, quando tutti i loro progetti sono crollati per via di quelle circostanze esterne che hanno segnato la vita un po’ di tutti. Il quartetto con quest’album dimostra però di aver saputo risollevarsi, di aver trovato in tutta questa negatività il carburante per una reazione, concretizzatasi in un disco dolente, molto personale, fedele all’impianto death-doom melodico suo marchio di fabbrica, costellato di una serie di azzeccate invenzioni melodiche e di un taglio intimo e narrativo molto autentico. Come nella musica, con noi la formazione si è aperta su quello che è stato il vissuto degli ultimi tempi, come è stato realizzato “Witnessess” e più in generale quello che muove gli (Echo) nel profondo.

“WITNESSES” ARRIVA A TRE ANNI DA “BELOW THE COVER OF CLOUDS” E, SENZA VOLER STRAVOLGERE LE VOSTRE COORDINATE SONORE, NE DÀ UN’INTERPRETAZIONE PIÙ ASPRA E SOFFERTA DI QUANTO ASCOLTATO NEL DISCO PRECEDENTE. COME NASCE QUESTO QUARTO ALBUM E CHE TIPO DI EMOZIONI E PENSIERI VI AVETE CONVOGLIATO?
– “Witnesses” nasce fondamentalmente come diario della nostra esperienza durante la pandemia e i primi lockdown; gran parte della musica è stata composta in quei giorni e finita nell’estate successiva, mentre i testi, scritti in toto dal nostro cantante Fabio, vengono direttamente da lì, dai mesi di isolamento più totale che lui si è trovato a vivere. Per noi è stato uno dei periodi più bui e complicati e livello emotivo, e se la cosa traspare chiaramente nella musica che ne deriva, missione compiuta!

PARTENDO DAL VISSUTO SOFFERTO DEI MESI PANDEMICI, QUALI SONO STATI I PUNTI CARDINE DA CUI SIETE PARTITI NELLA COMPOSIZIONE DELL’ALBUM?
– “Witnesses” è stata la risposta all’esigenza di incanalare tutta la rabbia e la tristezza accumulate in questi ultimi due anni in qualcosa che ci facesse bene, che per noi è scrivere musica. Il 2020 doveva essere un anno dedicato alla promozione del nostro precedente album, da marzo a giugno avevamo organizzato diverse date, di cui molte all’estero. Avevamo inoltre appena perso un membro fondatore e due altri membri della band stavano inoltre affrontando delle grosse difficoltà personali. Vedere vanificati i nostri sforzi è stato frustrante e deludente. La voglia di scrivere musica è nata per caso, perché in quel momento non c’era alcuna esigenza di farlo. Poi, più per diletto che per altro, Simone ha scritto un paio di pezzi che ha poi mandato agli altri, da lì si è deciso di provare a scrivere qualcosa di nuovo. Inizialmente si era pensato di fare solo un EP, composto di pezzi prettamente doom, ma dopo aver scritto altri brani con parti più melodiche, che funzionavano bene con quelli più ‘arrabbiati’, si è deciso di optare per un album completo. Detto ciò, non credo che ci sia mai stato alcun vero o proprio riferimento in fase compositiva.

VI È UN FILO CONDUTTORE NELLA NARRAZIONE, I TESTI HANNO DEI COLLEGAMENTI PIÙ O MENO EVIDENTI, OPPURE OGNI SINGOLA TRACCIA PARLA DI QUALCOSA A SÉ E NON SI AVVICINA COSÌ TANTO ALLE ALTRE NEI CONTENUTI?
– L’album non è un concept in sé e per sé, quindi non c’è un vero e proprio filo conduttore ‘ufficiale’ che lega i brani, sicuramente però questi sono tutti figli di quel particolare momento, come se fosse un rullino di fotografie scattate durante lo stesso viaggio: diversi soggetti, magari completamente scollegati fra di loro, ma tutti provenienti da un’esperienza comune.

PARLANDO DELLE SINGOLE CANZONI, SPICCANO LE DUE TRACCE DOVE COLLABORATE CON HEIKE LANGHANS, EX DRACONIAN. SI SENTE UN LIEVE SPOSTAMENTO STILISTICO VERSO IL GOTHIC METAL NOVANTIANO, ACUITO OVVIAMENTE DAL CONTRIBUTO VOCALE ESTERNO. PERCHÉ QUESTE DUE TRACCE NECESSITAVANO DI UNA VOCE ESTERNA E COME AVETE LAVORATO CON HEIKE PER RAGGIUNGERE L’EQUILIBRIO SONORO DESIDERATO?
– Dunque, noi di norma non scriviamo mai le canzoni per l’artista ospite, nel senso che pensiamo al musicista che potrebbe funzionare su un brano dopo averlo composto. L’idea è che le canzoni debbano funzionare per noi prima di tutto, in seconda battuta se pensiamo che un musicista esterno possa aggiungere qualcosa di più, contattiamo l’artista e vediamo se e come lavorare con lui/lei. Nel caso di Heike le abbiamo dato una selezione dei brani del disco che secondo noi potevano essere interessanti per la sua voce, dicendole di scegliere quello che sentiva più suo, e di fare quello che voleva con la traccia. Con nostra sorpresa ne ha scelti due anziché uno. Lavorare con lei è stato strano in quanto comunque è stata una sessione in remoto, e non è stato nemmeno semplicissimo, dato che quando ha registrato le sue parti era bloccata in Sudafrica e alle prese con dei lockdown abbastanza marziali. Fortunatamente è riuscita a trovare dell’attrezzatura per registrare tramite degli amici di una radio locale e ci ha regalato queste due fantastiche performance.

NEL DISCO SONO PRESENTI DIVERSI OSPITI, I QUALI MI PARE ABBIANO INCISO PARECCHIO NEL DARE L’IMPRONTA SONORA AL DISCO. VOLEVO CHIEDERVI PERCHÉ ABBIATE SENTITO L’ESIGENZA DI AVERE TUTTI QUESTI MUSICISTI A SUPPORTARVI E IN CHE MODO SI SIANO SVOLTE LE SINGOLE COLLABORAZIONI.
– Non è esattamente un’esigenza, però abbiamo sempre apprezzato una partecipazione esterna. Siamo abbastanza lenti nel comporre, quindi da quando un brano ‘nasce’ al momento in cui arriva alla sua forma finale possono anche passare dei mesi, nei quali siamo molto concentrati sulla scrittura, il che spesso può portare (almeno per noi) a perdere un po’ di oggettività su quello che stiamo facendo. Un input esterno spesso è utile a reindirizzare il pezzo verso dove deve andare, anche per questo quando lavoriamo con un musicista esterno, salvo a volte fornire un testo o parte di un testo, lasciamo libertà totale sulle loro parti. Addirittura il nostro secondo album prende il titolo da un verso che Jani dei Callisto ha scritto per la sua guest. Gli ospiti lavorano quasi sempre in remoto, gli unici con cui abbiamo potuto lavorare di persona sono stati Greg Chandler sul primo disco e Nino e Manuel dei Plateau Sigma sul terzo, per il resto a volte il musicista riesce a registrare le sue parti nel proprio home studio, altre volte è necessario mandarlo in uno studio di registrazione nella sua zona. A livello di scelta delle partecipazioni esterne è una cosa che avviene senza una regola precisa: come dicevo prima, spesso se un musicista è interessato a lavorare con noi gli forniamo una o più tracce fra cui scegliere, e poi lui/lei ha libertà totale su quello che vuole fare, cosa che a volte li spinge fuori dalla loro comfort zone, che però secondo noi è proprio il
momento in cui nascono le cose più interessanti.

COLLABORAZIONI ALLE QUALI AVETE ATTINTO DIVERSE VOLTE ANCHE IN PASSATO. A LIVELLO GENERALE, COSA VI PIACE DELL’AVERE MUSICISTI ESTERNI PRESENTI SUI VOSTRI DISCHI? DI QUELLE AVVENUTE FINORA, CE N’È UNA CHE SPICCA PER QUALCHE MOTIVO, PER IL TOCCO DATO ALLA MUSICA E LE EMOZIONI CHE VI SUSCITA?
– Sicuramente il lavorare con musicisti esterni ci offre una prospettiva diversa e aiuta a dare forma alle canzoni, specie quando ci si trova bloccati; è capitato in passato di avere canzoni quasi scartate e grazie agli ospiti riconsiderarle, è anche una gran bella sensazione essere sorpresi da creazioni altrui sulla propria musica, è una forma di collaborazione, almeno per come la gestiamo noi, estremamente genuina. Certamente è stato stupendo vedere Greg Chandler all’opera quando abbiamo registrato il nostro primo album nel suo studio, e vederlo registrare chitarre e voci su “Sounds From Out Of Space” è stata un’emozione unica, anche se quel pezzo purtroppo è risultato poi impossibile da suonare live; inoltre, secondo me le due voci che più hanno valorizzato i nostri pezzi (senza nulla togliere agli altri) sono state sicuramente Jani dei Callisto su “Gone” e Heike su quest’ultimo disco, mentre a livello strumentale Don degli Evoken ha fatto un ottimo lavoro sui nostri brani. Lui ha una maniera di comporre estremamente diversa dalla nostra e senza dubbio l’album non avrebbe suonato in questo modo senza di lui.

SUONATE UNA FORMA DI DEATH-DOOM MELODICO PER ALCUNI VERSI ABBASTANZA CANONICA, NEL SENSO CHE NON AZZARDATE GROSSE SPERIMENTAZIONI O COSTRUZIONI DEI BRANI PARTICOLARMENTE PERSONALI; È ANCHE VERO, PERÒ, CHE PREDILIGETE UN MODO DI SUONARE CHE NON SI PRESTA A UNA FORTE ORECCHIABILITÀ, NÉ A UN IMPATTO FRAGOROSO. IL VOSTRO È UNO STILE CHE RICHIEDE ATTENZIONE E TEMPO PER ESSERE COMPRESO APPIENO, FORSE ANCORA DI PIÙ IN “WITNESSES” CHE NON IN PASSATO. PENSI CHE CIÒ SIA UN OSTACOLO AL PIENO APPREZZAMENTO DEGLI (ECHO), OPPURE È QUALCOSA CHE VI FA PIACERE?
– Sicuramente non aiuta a livello ‘commerciale’, ma sappiamo perfettamente di suonare un genere che è una minuscola nicchia dentro una nicchia già di per sé piccola, quindi non ci facciamo grosse illusioni di successo e siamo ben consci di dove stiamo andando a parare. Noi nella composizione siamo sempre stati molto genuini, e scriviamo molto ‘di pancia’, quello che senti nell’ascoltare la nostra musica è la perfetta rappresentazione di noi nel momento in cui quella musica è stata composta, e niente di più. Inoltre abbiamo influenze molto disparate, anche in contrasto le une con le altre, all’interno della band, il che probabilmente rende il nostro sound più sfaccettato rispetto a, magari, altre band che tendono ad essere più monotematiche, spesso per scelta. Per il discorso sperimentazione non abbiamo mai preteso di reinventare la ruota, anche se cerchiamo di non ripetere mai quello che abbiamo fatto in precedenza, e molto onestamente non ci è mai interessato appartenere a un genere, nel senso che non ci interessa che in un disco ci siano dei cliché particolari, a meno che non troviamo abbia senso a livello musicale.

DA “DEVOID OF ILLUSION” AD OGGI, IN QUALI ASPETTI PENSATE DI ESSERE MIGLIORATI COME BAND? C’È QUALCOSA CHE RIMPIANGETE, DEI VOSTRI PRIMI TEMPI, E CHE VI DAVA CARATTERISTICHE SONORE DIFFERENTI DA QUELLE ATTUALI?
– Sì e no: i cambi di formazione sono stati pesanti, alcuni più di altri, e nonostante la formazione attuale sia molto stabile, avremmo fatto volentieri a meno di vivere certe situazioni, per chi non fa musica è difficile da capire quanto sia difficile a volte interrompere dei rapporti fra i membri di una band. Quindi sì, nonostante siamo totalmente soddisfatti di dove siamo ora, avremmo sicuramente fatto volentieri a meno di alcuni cambi di formazione. Detto questo, dal punto di vista musicale/compositivo, se escludiamo le accordature più basse che utilizzavamo nei primi due dischi, dal nostro punto di vista in realtà poco è cambiato, come dicevo noi siamo sempre molto genuini in quello che facciamo, quindi siamo persone diverse da quelle che eravamo nel 2010 quando abbiamo registrato “Devoid of Illusions” (intendo dire chi fa ancora parte della band), perché di sicuro siamo cresciuti, abbiamo anche ascolti differenti da allora. I nuovi membri sicuramente hanno portato il loro nel sound della band, soprattutto l’aver cambiato cantante, e aver scelto di prendere una persona con una voce totalmente diversa da quella del nostro cantante originario.

LA VOSTRA MUSICA È STATA ACCOSTATA, OGGI E IN PASSATO, A NOMI MOLTO DIVERSI TRA LORO E A SCENE MUSICALI CON QUALCHE SIMILITUDINE E ALCUNE SPECIFICITÀ: IL GOTHIC DOOM INGLESE, IL DEATH-DOOM NORDICO, IL FUNERAL DOOM DEGLI AHAB, GRUPPI DI ASCENDENZE POST-METAL COME ROSETTA E CALLISTO. COME SI MESCOLANO QUESTE INFLUENZE PER DARE VITA AL VOSTRO SUONO? E PARLANDO DELLA VOSTRA PROVENIENZA, DA DOVE VENITE E VIVETE, PENSI VI SIA QUALCHE ELEMENTO CHE È RISULTATO DETERMINANTE NEL FARVI SUONARE IN UNA CERTA MANIERA?
– Gli ascolti dei membri attuali sono molto diversi tra di loro, e questo è probabilmente il motivo principale del nostro suono. Fabio ad esempio ha sempre ascoltato tantissimo hardcore-punk, sempre accostato al goth sia di matrice europea che statunitense; Simone e Mauro invece sono avidi fruitori di sludge-doom e post-metal, anche strumentale, e sono molto attaccati a band come Deftones e Helmet, ma gli ascolti comuni si fermano più o meno lì, parlando solo di quelli prettamente metal. Aggiungi poi che il ruolo del compositore è passato di mano in mano nel corso della nostra esistenza, anche all’interno dei singoli album. Rispondendo alla seconda parte della tua domanda, penso che essere bresciani ci abbia sicuramente aiutato a trovare una nostra direzione. Nella nostra zona non è mai fondamentalmente esistita una ‘scena’, quindi fino ad oggi non ci siamo mai trovati a confrontarci con altre band con sonorità simili. Inoltre, ad essere sinceri, non siamo mai stati bravi a farci voler bene dai nostri concittadini, ma è anche vero che quando si è suonato nelle nostre zone i riscontri sono sempre stati molto tiepidi. Ciò ci ha sempre motivato a seguire la nostra strada e guardare oltre i confini della nostra provincia.

QUELLA CHE SUONATE È SICURAMENTE MUSICA PIUTTOSTO INTROVERSA E CHE HA MOLTO DEL VOSTRO VISSUTO PERSONALE. IL METAL INTIMISTA, SOFFERTO E MALINCONICO SI È PORTATO MOLTO IN PROFONDITÀ SIA SUL PIANO STILISTICO, CHE SU QUELLO DELL’EVOCATIVITÀ DELLE ATMOSFERE. SE DOVESTE CITARE UN GRUPPO CHE VI HA PARTICOLARMENTE COLPITO NEGLI ULTIMI ANNI PER COME SA SCRIVERE MUSICA TRISTE, INTENSA E AUTENTICA NEL SUO EMANARE DOLORE, CHI NOMINERESTE?
– Credo che una band che ci abbia colpito tantissimo nell’ultimo periodo siano sicuramente gli Hangman’s Chair. Il loro ultimo album “A Loner” è stato letteralmente divorato da noi tutti. La loro capacità di scrivere musica che dà voce ai disagi e ai mali del nostro tempo, una scelta di suoni ricercatissima e la capacità di portare sul palco tutto ciò rende questa band straordinaria. Consigliamo assolutamente l’ascolto.

SIETE SODDISFATTI FINORA DI QUELLO CHE SIETE RIUSCITI A PRODURRE COME (ECHO)? PENSATE CHE FINORA SIATE RIUSCITI AD ESPRIMERE AL MEGLIO LE VOSTRE IDEE E IL VOSTRO POTENZIALE?
– Non si smette mai di crescere e di imparare, guardando indietro sicuramente ci sono cose che cambieremmo, o che col senno di poi avremmo fatto in maniera diversa, ma siamo sicuramente fieri della nostra produzione. Dopo due anni abbondanti di fermo quasi totale ci manca molto il palco, e speriamo di recuperare, aprendoci nuovi orizzonti dal punto di vista dei live, per quanto difficile possa essere in questo periodo storico.

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