Chi ha avuto almeno una volta l’occasione di incontrare Ivar Bjornson, principale songwriter degli Enslaved e di numerosissimi progetti in ambiente avantgarde/black, avrà sicuramente constatato con piacere la sua vena ironica e simpatica, senza contare il suo smisurato fanatismo per i Griffin. Quello che c’è stato stavolta dall’altra parte della cornetta, però, era un Ivar leggermente più serioso del solito, visto che si è andato a parlare nel profondo del nuovo album “E” e delle sue numerose interpretazioni (qui la nostra recensione), specialmente legate alla mitologia norvegese. La chiave di lettura che ci ha suggerito il leader della band è stata quella di accettare le sei canzoni che compongono il disco come un fiume di musica alla riscoperta del nostro rapporto con il mondo che ci circonda, senza domandarsi troppe cose sui significati nascosti delle canzoni (che, comunque, trattano nella maggior parte di rune e mitologia). Non si può dire, comunque, che Ivar non si sia divertito a raccontarci determinate dinamiche intervenute nella composizione del disco, dimostrandoci comunque che si può avere un modo di leggere il mondo complesso ed introspettivo, indipendentemente dal proprio carattere simpatico e gioviale.
CIAO IVAR E BENVENUTO SU METALITALIA.COM. PERCHÉ CON “E” HAI DECISO DI AFFRONTARE UN TEMA COME QUELLO DELLA COMUNIONE TRA UOMO E NATURA?
– Ci sono molte relazioni tra l’uomo, il mondo che lo circonda e i suoi simili, ma penso che il più importante sia proprio quella che manteniamo con la natura intesa come gli animali e l’ambiente. In realtà era tanti anni che ci stavo pensando: anche durante quest’ultimo percorso, in cui lo studio della psiche umana ci ha portati fino ad “In Times”, la correlazione uomo-mitologia-natura è sempre stata presente anche solo di sottofondo nei nostri dischi. Stavolta abbiamo voluto provare a mettere proprio questo legame in primo piano, concentrandosi esclusivamente su questo.
QUINDI “E” SI PONE COME UNA SPECIE DI SEGUITO DI “IN TIMES”?
– Si, penso che sia una specie di passo in più che abbiamo fatto, anche se diverso. “In Times” andava molto verso temi astratti e quasi più ‘scientifici’, trattando appunto della relazione tra il sé e il tempo utilizzando la mitologia come chiave di lettura. Sono costrutti mentali intellegibili, praticamente metafisici, ai quali se vogliamo è abbastanza difficile approcciarsi. Cosa c’è invece di più materiale e fisico della natura stessa? Penso che “E” sia sostanzialmente un disco su qualcosa che possiamo direttamente toccare con mano, rispetto a qualcosa a cui possiamo solo pensare.
LA COPERTINA CI SEMBRA SEGUIRE PIÙ LO STILE DI “RIITIIR” CHE QUELLO DI “IN TIMES”, MOLTO PIÙ DIRETTA ED ESSENZIALE.
– In effetti può sembrare, sopratutto a livello di colore e altri elementi in cui siamo stati molto più minimalisti. Comunque tra le due non c’è nessuna connessione, anche i temi dei due dischi ormai sono completamente differenti.
NELLE INTERVISTE CHE HAI RILASCIATO PRIMA DELL’USCITA DEL DISCO HAI DETTO CHE “E” È UN DISCO IL CUI SIGNIFICATO “DIPENDE DAL MOMENTO DELL’ASCOLTO E CAMBIA DA PERSONA A PERSONA”. DOBBIAMO QUINDI ASCOLTARLO ATTRIBUENDOGLI OGNUNO IL SENSO CHE MEGLIO CREDE?
– Si, spero che chi lo ascolta ne tragga un particolare significato. Ovviamente penso dipenda dall’umore in cui una persona è al momento e sopratutto da quello che sta ‘cercando’ nel nostro disco. Nonostante tutto è possibile che una persona provi le stesse emozioni che ho provato io quando ho scritto i pezzi: c’è chi dice che arrivare al significato emotivo dietro a un’opera d’arte sia impossibile, eppure io ci sono riuscito tante volte con i libri che leggo o le band che ascolto. Vorrei, comunque, che il senso della mia musica e dei testi che scrivo non ci sia o che resti aperto all’interpretazione dei singoli. Non voglio dire a nessuno “In questo testo ho fatto questo, in quello quest’altro”, non c’è niente di dogmatico nel significato del disco.
LA COLLABORAZIONE CON EINAR SELVIK DEI WARDRUNA TI HA IN QUALCHE MODO INFLUENZATO DURANTE LA SCRITTURA DI QUESTO DISCO?
– Assolutamente si, è stata una grossa influenza. L’esperienza che abbiamo fatto con il nostro progetto precedente e che stiamo attualmente portando avanti è stato un bel passo in avanti a livello di songwriting. È la migliore persona con cui avrei potuto collaborare per qualcosa di simile, perché quello che abbiamo fatto è stato combinare le nostre identità musicali, con la sfida di non farci influenzare troppo l’uno dall’altro. Quando abbiamo cominciato a lavorare su Skuggsjá mi sono reso subito conto di come la sua ispirazione sia molto forte: guardare Einar lavorare è come vedere un artista all’opera, specialmente per quanto riguarda le voci.
DOPO CHE HERBRAND LARSEN HA LASCIATO LA BAND AVETE INGAGGIATO IL GIOVANE HÅKON VINJE AL SUO POSTO. AVETE CERCATO SIN DA SUBITO UN TASTIERISTA CON FORTI INFLUENZE ANNI ’70 O QUESTA COSA È SUCCESSA PER CASO?
– No, sapevamo perfettamente il musicista che volevamo nella band. Quando Herbrand ci ha detto di voler lasciare gli Enslaved è stato un duro colpo, ma abbiamo pensato che potesse essere la giusta occasione per trovare una persona con una mentalità al cento per cento da tastierista. Quando hai dietro a quello strumento una persona che come influenze ti cita Jon Lord, Rick Wakeman e artisti di questo tipo l’obiettivo è anche fare in modo che la tastiera non diventi solo un riempitivo dei pezzi, ma che si ritagli uno spazio suo all’interno delle composizioni. Le cose sono cambiate molto anche perché Herbrand, di base, era un cantante e un produttore che successivamente ha cominciato a suonare. Questo è il motivo per cui sul disco potete sentire cose come l’assolo di “Sacred Horse”, completamente nuove per il nostro stile. Inoltre Håkon si è anche rivelato essere un buon cantante, con un timbro molto simile a quello di Herbrand: siamo stati davvero fortunati a trovare uno come lui!
AVETE DECISO DI INCLUDERE DUE STRUMENTI TOTALMENTE DISTANTI DALLA VOSTRA MUSICA, CIOÈ IL FLAUTO E IL SASSOFONO, SULLE ULTIME DUE TRACCE. COME TI È VENUTA QUESTA IDEA?
– È stata una cosa dettata dalle nostre influenze progressive rock e comunque da molto rock anni ’70 che ascoltiamo spesso. Per esempio David Bowie aveva un sacco di sax e mi piaceva l’idea di traslare le sue atmosfere nell’ultimo pezzo del disco, con un mood ispirato a quello che molti chiamano ‘Coast Jazz’, uno stile molto ambient e malinconico. Kjetil Møster è una nostra conoscenza comune, non aveva mai suonato in un disco con forti influenze black metal e quindi l’ha presa come una sfida: la sera in cui è venuto a registrare le parti che gli avevo proposto, lasciandogli larga parte per l’improvvisazione, siamo rimasti talmente stupiti dal suo lavoro che l’abbiamo chiamato al telefono dicendogli che volevamo assolutamente che tornasse a registrare altro! Per quanto riguarda il flauto, volevo che su “Feathers Of Eolh” si respirasse una atmosfera molto vicina al progressive sinfonico della fine anni ’70. Abbiamo contattato Daniel Måge, flautista di una band delle nostre parti, e anche con lui ci siamo trovati molto bene. Avere un elemento in più che partecipa alla creazione di un pezzo è sempre divertente e sono molto contento dei risultati che abbiamo ottenuto!
VISTA LA TUA ESPERIENZA A LIVELLO DI MUSICISTA E APPASSIONATO DI CULTURA NORRENA, PENSI CHE STUDIARE IL MODO IN CUI MITOLOGIA E RELIGIONI ANTICHE INTERPRETAVANO IL MONDO POSSA ESSERE UTILE PER LA SOCIETÀ DI OGGI?
– Assolutamente si. Penso che la mitologia e le religioni antiche e pagane siano le uniche in grado di comunicare con i lati nascosti della psiche umana. Le storie narrate nelle saghe contengono dei sistemi su cui la nostra intera civiltà si basa: studiarle è l’unico modo per capire come siamo arrivati a questo punto oggi e per tornare indietro nel tempo cercando di capire perché determinate scelte sono state fatte. È come se fossero l’artwork o il libretto del CD chiamato ‘umanità’!
VENENDO A COSE PIÙ MATERIALI: IN GIRO ABBIAMO LETTO COMMENTI DOVE SI PARLA DEGLI ENSLAVED COME SE FOSSERO ‘I NUOVI OPETH’, DOPO CHE LA BAND DI ÅKERFELDT HA PRESO LA STRADA DEL PROG PURO. COSA NE PENSI?
– Trovo che sia abbastanza triste fare dei paragoni tra noi e gli Opeth. Io non esprimo nessuna opinione sulla band di Mikael, perché credo che ogni musicista abbia il diritto di prendere la strada che vuole musicalmente parlando. Poi su internet la gente ha meno filtri e probabilmente si diverte a scrivere opinioni strane o fuori contesto. Vedrai che questa cosa andrà avanti per anni, con i classici ascoltatori di black che si lamenteranno perché siamo diventati ‘più Opeth’ e i fan del prog che magari di fronte a una canzone più black storceranno il naso dicendo che ‘siamo meno Opeth’ (ride ndR).
SEI UN MUSICISTA CON MOLTISSIMI PROGETTI, ALCUNI DEI QUALI TOTALMENTE ESTRANEI AL MONDO METAL. DEDICARTI AD ALTRE CORRENTI MUSICALI TI STA AIUTANDO ANCHE PER QUANTO RIGUARDA IL SONGWRITING DEGLI ENSLAVED?
– Si, assolutamente! Come musicista e compositore lavorare anche in ambienti esterni al metal mi ha sempre portato ispirazione e nuove sfide da affrontare. Certo, non è facile adattare il tuo modo di comporre quando hai suonato metal per una vita, ma c’è una storia in ogni corrente musicale che ti porta a fare nuova esperienza. Con Bardspec, per esempio, ho fatto un vero e proprio salto nel buio e non avevo idea di come sarebbe andata. È stato come tornare indietro ed imparare qualcosa da zero lavorando per tentativi ed errori.
DOPO HUGSJÁ VEDREMO MAI UN NUOVO DISCO CON TE ED EINAR SOTTO IL MONICKER SKUGGSJÁ?
– Probabilmente si. Come ti dicevo prima stiamo lavorando a qualcosa insieme, vedremo dove ci porteranno l’ispirazione e la musica!