EVERGREY – Perdita di valori

Pubblicato il 07/06/2022 da

A cura di Elio Ferrara e Giovanni Mascherpa

Toccano il traguardo del tredicesimo album gli Evergrey di Tom Englund, a soli undici mesi di distanza dal fortunato predecessore “Escape Of The Phoenix”. Passata indenne la pandemia, la compagine svedese da questo evento nefasto pare aver attinto forza e fulgore, considerando la recente prolificità e l’entusiasmo col quale lo stesso Englund pare attraversare questi tempi incerti. Il mastermind della band non nasconde la soddisfazione per quanto compiuto di recente, osservando inoltre come la parabola del gruppo sia in costante ascesa e che, al momento, nulla paia turbare i pensieri di questo musicista. Con Englund abbiamo spaziato in lungo e in largo su vari aspetti del nuovo album “A Heartless Portrait: The Orphean Testament”, concentrandoci su di esso ma anche sul rapporto speciale tra il cantante/chitarrista e la musica. Il prog/power metal degli Evergrey cambia negli anni ma rimane forte la sua identità e il collegamento a un certo tipo di immaginario, quello che il suo leader custodisce gelosamente e cerca di rinnovare costantemente, per la gioia dei suoi fan.

IL NUOVO ALBUM SI INTITOLA “A HEARTLESS PORTRAIT (THE ORPHEAN TESTAMENT)”, CHE FAREBBE PRESUPPORRE L’ESISTENZA DI UN CONCEPT A LEGARE LE CANZONI DEL DISCO. DI COSA SI PARLA AL SUO INTERNO, SIAMO EFFETTIVAMENTE IN PRESENZA DI UN CONCEPT ALBUM?
– Sì, possiamo definirlo una specie di concept album, in effetti. Per quanto riguarda la parte “A Heartless Portrait” del titolo, la si può vedere come un riassunto dei tredici dischi precedenti, nel senso che va a racchiudere quello che sono io, in questo momento della mia esistenza, dopo tutti questi anni trascorsi alla guida degli Evergrey. Mentre per quanto riguarda “The Orphean Testament”, vado a collegarmi ad alcuni significati della mitologia greca. Faccio una riflessione tra le vicende del mito di Orfeo ed Euridice e molti comportamenti che osservo nel genere umano attualmente. Sai, le persone oggi hanno prospettive molto limitate, pretendono la soluzione di tutto in quindici secondi o giù di lì, come se tutto dovesse essere immediato. Si è perso il senso di quello che è importante nella vita. Siamo circondati da persone che vivono su Tik-Tok o Instagram, invece di preoccuparsi della vita vera. La famiglia e gli amici per queste persone passano in secondo piano.

AI PRIMI ASCOLTI (L’INTERVISTA SI È SVOLTA A METÀ APRILE, NDR) IL SUONO APPARE MOLTO DIRETTO E PLUMBEO, SI PERCEPISCE UN TASSO DI AGGRESSIVITÀ SUPERIORE ALLE ULTIME USCITE. QUALCOSA CHE TRASPARE ANCHE DALLE VOSTRE IMMAGINI PROMOZIONALI E I VIDEO GIRATI PER PROMUOVERE I SINGOLI, COME SE VOLESTE PRESENTARVI SOTTO UNA NUOVA VESTE, PIÙ MALIGNA.
– A dire il vero non mi sono soffermato granché su questo aspetto che mi fai notare. Io penso a scrivere la musica, lo faccio spontaneamente e non rifletto molto sulla direzione che sto prendendo. Non abbiamo piani in mente, non ci sono calcoli preventivi dietro la nostra musica. L’unico nostro obiettivo è quello di migliorarci da un disco all’altro. “Escape Of The Phoenix” è uscito undici mesi fa e non ho mai staccato veramente dal processo compositivo. Sono ripartito praticamente subito. Non sono nemmeno abituato a riascoltare le uscite precedenti quando mi appresto a comporre del nuovo materiale. Non pondero molto le cose, adesso ho già ricominciato a scrivere per quello che sarà il prossimo disco degli Evergrey. Se “A Heartless Portrait…” suona oscuro, per me va bene, come andrebbe bene se mi fosse fatto notare che è molto melodico. L’importante è che la qualità delle canzoni rimanga alta.

QUANDO STAI COMPONENDO NUOVE CANZONI, SECONDO QUALI CRITERI CAPISCI CHE È QUALCOSA ALL’ALTEZZA E MERITA DI FINIRE IN UN ALBUM DEGLI EVERGREY?
– Per me comporre è come affrontare una conversazione: ti accorgi quando è il momento che finisca, quando non c’è altro da aggiungere. Non procedo per fasi consolidate e ben determinate. Faccio qualcosa, lo cambio, lo stravolgo, finché arrivo a un punto in cui penso che non ci sia spazio per andare oltre e allora mi fermo.

IL NUOVO ALBUM PROPONE UNA TRACKLIST PIUTTOSTO VARIA, AL SUO INTERNO TROVIAMO EPISODI MOLTO AGGRESSIVI ED ALTRI DI TONALITÀ PIÙ MORBIDE E MELODICHE. EMERGE AD ESEMPIO “WILDFIRES”, UNA DEI BRANI PIÙ ATMOSFERICI DELLA VOSTRA PRODUZIONE. CI PIACEREBBE CONOSCERE QUACHE DETTAGLIO IN PIÙ SU QUESTO PEZZO, COME NASCE E DI COSA PARLA.
– Mi piace l’idea che alla fine di un disco ci sia una canzone più ‘libera’, che si stacca da quello che hai sentito in precedenza e ti permette anche di ripensare a quello che hai ascoltato. Per questo “Wildfires” è così pacata rispetto alla maggior parte del resto della tracklist. Le liriche riflettono sulla nostra capacità come esseri umani di cambiare, di fare scelte nella vita che non tengano conto del parere degli altri, che ci spingano a fare quello che vogliamo senza dover rendere conto al prossimo delle nostre azioni.

ALCUNE CANZONI DI “A HEARTLESS PORTRAIT (THE ORPHEAN TESTAMENT)” CONTENGONO DEI CONTRIBUTI VOCALI DA PARTE DEI FAN, CHE PARTECIPANO NEI CORI. COME AVETE RACCOLTO QUESTI INTERVENTI PER INSERIRLI NEL DISCO?
– L’idea mi è venuta mentre stavo camminando vicino casa, un’attività alla quale mi dedicavo spesso durante la pandemia. Un periodo che, a causa dello stop forzato ai tour, mi ha e ci ha portato ad avere anche un rapporto più diretto coi fan e a cercare di coinvolgerli maggiormente in quello che facciamo. Una mattina, appunto, stavo cantando nel mio smartphone alcune linee vocali, una cosa che faccio abbastanza spesso per fissare le idee che ho in testa. Ho riflettuto sulla qualità della compressione audio del dispositivo, quello di fatto usato dalla maggior parte delle persone che ci seguono. Ho cominciato a urlare “Save Us” nel microfono per registrarmi e ascoltare il risultato. Mi è venuto in mente che potevo chiedere ai nostri fan di fare lo stesso e poi mandarci gli audio, per inserirli sull’album. Alla fine, tolto un dieci per cento del materiale che non era utilizzabile, circa duecento persone sono entrate a far parte dell’album, con le loro urla inserite all’inizio di “Save Us”.

L’ESSERE RIMASTO PIÙ TEMPO A CASA A CAUSA DELLA PANDEMIA TI HA PORTATO A QUALCHE CAMBIAMENTO, SIA NEI TUOI COMPORTAMENTI CHE NEL MODO DI APPROCIARTI ALLA MUSICA? PIÙ IN GENERALE, I TUOI LUOGHI DI PROVENIENZA COME HANNO INFLUITO IN PASSATO E ADESSO SULLA MUSICA DEGLI EVERGREY?
– Dove abiti, dove vivi, va sempre in qualche maniera a influenzare quello che fai, impossibile sfuggire a questa dinamica. Vivo esattamente dove avrei voluto stare da circa ventidue anni e non potrei essere più felice di così, per quanto riguarda il luogo dove ho deciso di stabilirmi. Sono molto vicino all’oceano, non è un caso che nelle liriche degli Evergrey vi siano spesso riferimenti alle sue acque, al suo ambiente.

NEL TROVARE ISPIRAZIONE PER GLI ALBUM DEGLI EVERGREY, COSA È CAMBIATO DAI PRIMI ALBUM AD OGGI?
– Sia il trovare ispirazione, che il processo di scrittura e affinamento della musica, sono migliorati nel corso del tempo, consentendomi di lavorare meglio adesso di quanto non accadesse nei primi anni di attività. Non penso che il mio metodo di lavoro si sia modificato chissà quanto nel tempo, soltanto ogni aspetto del comporre e creare nuova musica, con la pratica e l’esperienza, è divenuto un po’ più facile. Il mezzo sul quale riverso la gran parte delle idee è il mio telefono, ovviamente questo non accadeva i primi tempi degli Evergrey. Ma è solo un mezzo, quello che faccio non è cambiato moltissimo. Prima semmai le tematiche erano più cupe, parlavo di disperazione, angoscia, senso di vuoto, adesso l’approccio è tendenzialmente più positivo, si sente che è pieno di energia, speranza, affronto magari gli stessi soggetti e i medesimi tempi, mentre lo sguardo che vi do non è pessimista come in passato.

RISPETTO AI MOLTI ELEMENTI CHE CARATTERIZZANO LA MUSICA DEGLI EVERGREY, PENSI CHE RISALTINO MEGLIO IN STUDIO O DAL VIVO? C’È DIFFERENZA TRA QUELLO CHE SONO GLI EVERGREY SU DISCO E SUL PALCO?
– Ci sono canzoni che non sono scritte per essere suonate dal vivo, per come sono costruite non sono pensate, non hanno le caratteristiche, per essere suonate in un concerto. Non renderemmo loro giustizia se provassimo a proporle live. Al contrario, ci sono brani che esplodono completamente quando li suoniamo di fronte al pubblico. In particolare per quelle canzoni che chiamano il pubblico a cantare, a partecipare, senti un’energia indescrivibile, una gratificazione che solo il suonare live ti può donare. Non servono audience sterminate per darti i brividi, basta anche una sola persona che ti ascolti appassionatamente.

ARRIVATO A QUESTO PUNTO DELLA TUA CARRIERA DI MUSICISTA, QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DELL’ESSERE MUSICISTA CHE TI PIACCIONO DI PIÙ, E QUELLE INVECE CHE PROPRIO NON SOPPORTI?
– Non mi piace parlare di me stesso, espormi per raccontare quello che faccio (risate, ndR). Intendiamoci, mi piace l’idea di parlare ad altri della mia musica, ma alla prova dei fatti mi rendo conto che fatico a esprimere un parere su cose come quale dei nostri dischi sia il migliore, oppure spiegare altri dettagli della mia attività. Realizzo musica essenzialmente per me stesso, quando mi viene chiesto di andare in profondità su vari ambiti di quello che scrivo e suono mi mette in difficoltà, devo mettermi a nudo in quel caso e mi sento un poco a disagio. Passando invece a quello che mi piace, che trovo eccitante del mio lavoro è potermi occupare di tante attività diverse allo stesso tempo. In questo senso uno dei periodi migliori è proprio quello attuale per me; oltre agli Evergrey canto nel progetto Silent Skies (duo formato da Englund e dal tastierista Vikram Shankar dei Redemption, ndR), sono il cantante degli americani Redemption, quindi mi divido tra gruppi dal suono diversificato e peculiare. Ah, scrivo anche musica per videogame! Gli Evergrey rimangono sempre la mia creatura personale, il mio ‘bambino’: con loro ho possibilità quasi infinite di esprimermi, le sfumature, le coloriture della nostra musica possono cambiare più volte e non ho da pormi limiti a quello che voglio fare.

IL NUMERO DEI FAN DEGLI EVERGREY IN ITALIA PARE ESSERE IN COSTANTE AUMENTO: COME SPIEGHERESTI QUESTO FATTO E IN GENERALE COME GIUDICHI LA POPOLARITÀ DELLA BAND ATTUALMENTE?
– Non so come spiegartelo, sono sincero. C’è da dire che, più in generale, il nostro status è cresciuto molto dal 2014, con l’uscita di “Hymns For The Broken”. L’interesse per il gruppo è andato sempre in lento crescendo da un disco all’altro, ma con quell’album abbiamo notato un balzo in avanti, da lì in poi ci siamo accorti che il numero delle persone che ci seguiva era aumentato di tanto. E questo tipo di dinamica è andata acuendosi in positivo anche con gli album successivi, fino ad oggi. Se devo provare ad analizzare questa situazione, ritengo che abbia contribuito parecchio come abbiamo mixato gli ultimi dischi: Jacob Hansen, che si occupa di questa attività per noi dal 2014, ha fatto sì che il suono degli Evergrey diventasse più accessibili e malleabile per un ampio numero di persone. A ciò possiamo aggiungere una migliore cura per video e artwork, mettendo tutto assieme siamo riusciti a trovare il modo per aprirci a una fetta di pubblico più ampia.

SECONDO TE, FINORA QUALE È STATO IL MOMENTO MIGLIORE NELLA CARRIERA DEGLI EVERGREY E QUALE QUELLO PIÙ DIFFICOLTOSO?
– Comincio con la seconda parte della tua domanda: il momento peggiore è stato quando ho deciso di lasciare la band nel 2010. Ero deciso a mollare, dedicarmi agli studi universitari e mettere la musica da parte. Avevamo ancora due show programmati, quando ci siamo ritrovati a suonare assieme mi sono accorto che la magia c’era ancora, così sono tornato sui miei passi e gli Evergrey sono ripartiti. Il momento migliore è probabilmente quello attuale, ad ogni album recente il nostro successo commerciale è migliorato, adesso siamo più liberi, abbiamo più tempo per pensare a quale tipo di musica vogliamo dedicarci e abbiamo anche spazio per fare le cose con calma, coi nostri tempi. Possiamo dedicarci interamente alla musica e concederci anche sei mesi per concludere le registrazioni.

PER COLMARE IL VUOTO DI QUESTI DUE ANNI SENZA CONCERTI, AVETE IN PROGRAMMA QUALCHE EVENTO SPECIALE, TIPO ALCUNE DATE SUONANDO PEZZI CHE NON SUONATE DA MOLTO, AD ESEMPIO, OPPURE RIPRENDERETE SEMPLICEMENTE CON UN TOUR PROMOZIONALE PER IL NUOVO ALBUM?
– Ci concentreremo prevalentemente, nei prossimi concerti, sugli ultimi tre-quattro album. È quasi un obbligo verso chi compra e sostiene la nostra musica, perché quelli dal 2014 in avanti sono i dischi che hanno avuto più successo per noi. Quasi il settanta per cento della nostra fanbase ci conosce grazie a questi lavori. Nella setlist, fuori da quest’ultimo periodo, trovano spazio due-tre canzoni ‘classiche’, quelle che tutti i fan degli Evergrey conoscono. Non attueremo per ora ripescaggi di brani dimenticati, sarebbe stupido secondo il mio punto di vista suonare pezzi che risalgono a venticinque anni fa e che conoscono sì e no tre persone (risate, ndR).

VISTO CHE FINALMENTE, COME DICEVAMO PRIMA, I CONCERTI STANNO RIPARTENDO DOVUNQUE, QUALI SONO I VOSTRI PIANI PER IL 2022?
– Abbiamo un tour di sei settimane che partirà a settembre. Non ricordo se verremo in Italia in questa parte del tour, abbiamo dovuto riprogrammare le date almeno cinque volte e quindi non ricordo esattamente dove andremo (la risposta è no, nessuna data italiana è finora prevista per il prossimo tour europeo degli Evergrey, ndR). Nel 2023 dovremmo avere una seconda parte del tour, dove cercheremo di recarci in quei paesi trascurati nel 2022. Abbiamo ben due album da supportare, spero che tutti i concerti si possano tenere e ci potremo divertire assieme ai nostri fan!

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