Dopo aver parlato in maniera approfondita dell’album di ritorno dei mitici statunitensi Exhorder, abbiamo voluto cogliere l’occasione per scambiare due parole col simpatico vocalist Kyle Thomas, ultimo membro originale rimasto insieme al chitarrista Vinnie LaBella; non soltanto per conoscere quelle che sono le sue personali opinioni in merito al prodotto appena uscito, ma anche per farci raccontare qualche retroscena in merito al ritorno sulle scene della band che ha gettato le basi per quello che sarebbe divenuto uno dei generi più popolari in assoluto negli anni Novanta, ovvero il groove/thrash. Il nostro Kyle ha da subito suscitato in noi un forte senso di tenerezza, poiché si è messo personalmente in contatto con noi subito dopo aver accompagnato a scuola i suoi bambini, il che non può che farci sorridere al pensiero di un uomo che, prima di essere un frontman metal, è innanzitutto un papà affettuoso. Detto questo, vi auguriamo una buona lettura e vi invitiamo, nel caso non lo aveste ancora fatto, a dare un ascolto all’album di cui ci accingiamo nuovamente a parlarvi, poiché sicuramente vi stimolerà numerosi spunti di dibattito, come ha fatto anche con noi.
CIAO KYLE, PRIMA DI PARLARE DEL NUOVO ALBUM “MOURN THE SOUTHERN SKIES”, VORREMMO SAPERE DA TE COM’É AVVENUTO, UN PAIO DI ANNI FA, UN RITORNO INASPETTATO COME QUELLO DEGLI EXHORDER.
– Ti confesso che mi provoca ancora un discreto senso di stranezza pensarci, soprattutto alla luce del fatto che, qualche anno fa, dissi a una rivista che questo non sarebbe mai accaduto. Ma come si suol dire: mai dire mai! Ricordo che, tramite l’ausilio di social e metodi di comunicazione vari, ebbi modo di rimettermi in contatto con Vinnie dopo moltissimo tempo, inizialmente con l’intenzione di ricordare i vecchi tempi con un sorriso; ma da questo, ne è derivata la possibilità di incontrarci di persona, col conseguente risultato di farci tornare la voglia di suonare insieme. Al che, grazie anche al contributo di alcune presenze esterne, abbiamo deciso di rimettere insieme la band; questo naturalmente avrebbe richiesto qualche anno di assestamento, ma alla fine gli Exhorder hanno preso di nuovo vita.
AD ECCEZIONE DI VOI DUE LA FORMAZIONE RISULTA ESSERE COMPLETAMENTE NUOVA, COME SONO STATI SELEZIONATI I MUSICISTI CHE ORA VI AFFIANCANO ON STAGE?
– Tutto sommato è stato abbastanza semplice, in realtà: inizialmente avevamo pensato di ricontattare gli altri ragazzi della vecchia formazione, ma purtroppo nessuno di loro si è dimostrato disponibile, per un motivo o per un altro. Fortuna ha voluto che Vinnie fosse coinvolto nel progetto Year Of The Tyrant, dai quali abbiamo avuto modo di prelevare bassista e batterista, i quali si sono dimostrati da subito entusiasti al pensiero di poter essere parte della nuova incarnazione degli Exhorder. Naturalmente ci serviva una seconda chitarra, e a questo ho potuto pensare io: Marzi Montazeri suona con me nel progetto Heavy As Texas, e anch’egli ha dato sin da subito segno di massima eccitazione e buona volontà. Con lui siamo nuovamente in cinque, e posso dire che l’intesa che c’è tra noi sia assolutamente degna di nota.
ESSENDO PASSATI QUASI TRENT’ANNI DA “THE LAW”, COME AVETE MESSO INSIEME LE IDEE PER IL SONGWRITING DEL NUOVO ALBUM?
– Tieni conto che buona parte dell’album è composta da brani composti parecchi anni fa: basti pensare che “Ripping Flesh” fu inserita originariamente nel nostro primissimo demo datato 1986. Invece, per quanto riguarda le altre, si tratta di lavori che erano già stati abbozzati verso la fine degli anni ’90 e nei primi del ‘2000, quando gli Exhorder stavano già tentando di rimettersi sulle scene a seguito del primo scioglimento avvenuto nel 1994. Vinnie, dal canto suo, nel corso degli anni aveva composto ben quattro pezzi da lui gelosamente custoditi, in attesa della giusta occasione per poterli raffinare, completare ed inserire in un album completo. Una volta messe insieme tutte le idee già assemblate, è bastato operarci sopra per ottimizzare il risultato ed eliminare gli elementi più inutili o grezzi, e ovviamente aggiungere le mie parti cantate là dove non fossero presenti. In tutta sincerità, posso dire che gran parte del risultato si deve proprio a Vinnie e alla sua passione mai venuta a mancare, nonostante tutti gli anni passati.
COME TI SEI APPROCCIATO ALLA STESURA DEI TESTI CHE RITROVIAMO NELL’ALBUM?
– Si tratta principalmente di argomentazioni e rivisitazioni di fatti che hanno in parte caratterizzato la mia vita, o comunque di esperienze che ho avuto modo di vivere durante il corso degli anni; nonché di alcuni episodi potenzialmente interessanti da trattare all’interno di un disco metal. Comunque è giusto che i testi di un disco riflettano ciò che è l’artista che lo ha composto, e non avendo più vent’anni come ai tempi di “Slaughter In The Vatican” ho voluto prendere in parte le distanze da quel tipo di tematiche, in favore di altre decisamente più personali per quello che Kyle è adesso.
ANCHE LA PRODUZIONE APPARE MOLTO CURATA, ESSENDOCI DI MEZZO NUCLEAR BLAST, COME SONO INIZIATI I CONTATTI CON LORO?
– Anche questo è stato tutto sommato piuttosto semplice: i ragazzi che hanno iniziato a lavorare con noi al momento di rimettere in moto la carretta erano già in contatto con la label Nuclear Blast, che attualmente gode della fama di essere la più grande e proficua in assoluto per chi bazzica il genere metal. Da lì tutto è venuto abbastanza naturale: ci siamo messi in contatto con loro, abbiamo iniziato a lavorare alla produzione di “Mourn The Southern Skies” utilizzando tutti gli ammennicoli potenzialmente efficaci per la buona riuscita del prodotto e i risultati non sono tardati ad arrivare.
A TAL PROPOSITO, IL SOUND RISULTA ESSERE ABBASTANZA DIFFERENTE RISPETTO A QUELLO DEI VOSTRI LAVORI ICONICI. COME ARGOMENTERESTI QUESTA COMPONENTE?
– Sicuramente è stato a modo suo più semplice lavorare al suono per ovvie ragioni: a partire dalla tecnologia drasticamente superiore, passando per il budget fino a giungere al fatto che gli Exhorder sono comunque una realtà in parte diversa rispetto a quella che erano ai tempi. “Slaughter In The Vatican” e “The Law” sono comunque due prodotti figli del loro tempo, mentre in questa occasione la nostra intenzione era quella di avvicinare il più possibile il suono a quello di una live band a tutti gli effetti, ottenendo anche un risultato che potesse evidenziare quello che la formazione rappresenta tutt’ora. L’ascoltatore potrebbe semplicemente pensare che il sound degli Exhorder sia cambiato, ma la verità è che ora il nostro modo di suonare è questo, soprattutto dal vivo, e su disco volevamo assolutamente avvicinarci il più possibile a questa determinata componente, poiché è indice di genuinità come poche altre cose.
POTETE QUINDI RITENERVI SODDISFATTI DEL RISULTATO COMPLETO?
– Assolutamente sì, sia dal punto di vista del songwriting che da quello del suono. Abbiamo voluto curare adeguatamente i vari elementi in modo da poter ottenere una forte presenza di richiami al thrash metal, e quindi con molti brani violenti ed aggressivi, ma anche enfatizzare ulteriormente l’elemento groove, che qui si è fatto decisamente più presente. Il tutto con un sound che potesse risultare più moderno e compatto possibile, essendo che comunque siamo nel 2019 e questo nessuno lo può negare; oltre al fatto che, come ti dicevo, io e Vinnie non siamo più dei ventenni e il mondo è cambiato rispetto ai tempi, e noi con esso. Alla fine riteniamo giusto mettersi al passo coi tempi, confezionando un prodotto che ci identifichi per quello che siamo ora, e non tanto per ciò che eravamo alla fine degli anni ’80.
COSA PUOI DIRCI DELL’ATTIVITÀ LIVE PREVISTA DOPO L’USCITA DEL DISCO?
– Potenzialmente, la nostra intenzione principale verte sulla possibilità di poter suonare pressoché ovunque nel mondo (ridiamo, ndr), anche perché ai tempi non ci è stato possibile riuscire ad andare incontro a tutte le nostre esigenze in merito, e per questo siamo vogliosi di recuperare il tempo perso. Però chiaramente questo dipenderà da molteplici fattori, tenendo conto il dispendio in termini di tempo che intraprendere un lungo tour può comportare, dal momento che io stesso ho un altro lavoro e una famiglia di cui occuparmi, e questo non è un dettaglio da trascurare. Certamente faremo in modo di presenziare in più occasioni possibili e portare la nostra musica ovunque ci sarà permesso.
ESSENDOCI QUESTA MODA, TERRESTE MAI IN CONSIDERAZIONE L’IDEA DI RI-REGISTRARE O RIPROPORRE UNO DEI VOSTRI VECCHI LAVORI?
– Abbiamo pensato più volte alla possibilità di ri-registrare o remixare il nostro prodotto più riuscito, ovvero “Slaughter In The Vatican”, così come a riproporlo interamente in un live da registrare e immettere sul mercato; ma la verità è che nessuno di noi vede una valida ragione per impegnarsi in un’operazione simile. Molte di quelle canzoni sono lo specchio di ciò che siamo stati in passato, e nessuno di noi vuole tornare a essere la stessa persona di quei tempi, o diventare servo di un album solo perché è quello che ci ha permesso di scolpire maggiormente il nostro nome all’interno della scena. Al contrario, tutti noi siamo vogliosi di proporre tanta nuova musica e cimentarci in lavori nuovi e ricchi di ispirazione attuale.
ESSENDO TORNATI SULLE SCENE DOPO TANTI ANNI: CHE DIFFERENZE PRINCIPALI AVETE AVUTO MODO DI NOTARE TRA IL MODO DI FARE MUSICA OGGI E QUELLO DEI VOSTRI TEMPI?
– Dal punto di vista puramente pratico, ho notato che oggi giorno si da molta importanza ad un certo tipo di comparto melodico, così come alla necessità di risultare pesanti e compatti nel proprio sound; questo anche dando un ascolto, seppur di sfuggita, a svariate realtà attuali che stanno divenendo sempre più popolari oggi giorno, e questa è un’altra ragione per cui abbiamo voluto rendere “Mourn The Southern Skies” un prodotto in linea con gli stilemi moderni sotto diversi punti di vista. Invece quello che è totalmente differente è naturalmente il metodo di diffusione e promozione della musica: ricordo ancora che ai tempi ci scambiavamo le tape come se fossero figurine, e ovviamente eravamo molto affascinati ogni volta che avevamo modo di comprare un disco in vinile; oggi invece tra i servizi streaming e altro è tutto molto più immediato, anche se chiaramente ogni facilitazione ha i suoi pro e i suoi contro.
CAMBIANDO ARGOMENTO: RICORDIAMO TUTTI LA VOSTRA PRESENZA NELLO SPLIT “LIVE DEATH” INSIEME A SUFFOCATION, MALEVOLENT CREATION E CANCER, USCITO NEL 1994 SOTTO RESTLESS RECORDS. TERRESTE IN CONSIDERAZIONE L’IDEA DI RIPROPORRE UN’OPERAZIONE SIMILE, MAGARI CON ALTRE FORMAZIONI SOTTO NUCLEAR BLAST?
– Buona domanda, sarebbe sicuramente un’ottima idea e stavo già sinceramente pensando di proporla ai produttori, poiché questo tipo di operazione rappresenta sempre un’ottima possibilità per diverse band per farsi conoscere e per stuzzicare l’orecchio di alcuni potenziali estimatori. Inoltre, spesso gli ascoltatori apprezzano la possibilità di poter udire proposte differenti all’interno di un unico prodotto, quindi sarebbe sicuramente molto interessante condividere uno stesso spazio in compagnia di alcune tra le varie band affini che ad oggi si possono trovare tra le fila di Nuclear Blast.
PRIMA DI CHIUDERE, VORRESTI DESCRIVERE BREVEMENTE LA VOSTRA ESPERIENZA IN ITALIA, IN OCCASIONE DEL ROCK THE CASTLE DELLO SCORSO ANNO?
– Non c’è dubbio che si sia trattato di un’esperienza esaltante e a suo modo nuova per tutti noi; anche se il più eccitato al pensiero era proprio Vinnie, in quanto italo-americano orgogliosissimo delle proprie origini. Non soltanto la location ci è parsa suggestiva come nessun’altra prima, nella nostra carriera, ma anche i fan sono stati molto calorosi e accoglienti, tant’è che abbiamo voluto rimanere all’interno del castello fino alla fine per poter ascoltare un po’ di musica insieme a loro, fare foto, bere birra e così via. Ci auguriamo di poter tornare presto dalle vostre parti.