FALLS OF RAUROS – Stregati dall’oceano

Pubblicato il 01/10/2019 da

In epoca di globalizzazione spinta e distanze azzerate, ammirare un prodotto artistico radicato e ispirato da un determinato contesto territoriale assume sempre un innegabile fascino. I Falls Of Rauros sono ormai uno dei punti cardini del poetico scenario del black metal atmosferico, forti di una discografia lunga e intensa, che ha il potere di trascinare in un mondo tutto suo, perso fra le foreste, le montagne e soprattutto le acque lambenti le coste del Maine. Un gruppo di pensatori, prima ancora che musicisti, quello che con “Patterns In Mythology” ha sfornato un disco impetuoso e viscerale, animato da una sensibilità rara, eternamente sospeso fra candore acustico ed energia black metal. Era il momento di conoscere meglio questa orgogliosa realtà underground, che si racconta a noi sincera e appassionata, per voce del suo chitarrista/cantante Aaron, toccando tanti temi con argomentazioni acute e profonde, un po’ com’è la loro musica, dopo tutto.

DOPO AVER REALIZZATO CINQUE ALBUM IN QUINDICI ANNI DI VITA DEI FALLS OF RAUROS, A CHE PUNTO PENSATE SIA GIUNTO IL VOSTRO SOUND? COME AVETE GESTITO LA VOSTRA COMBINAZIONE DI BLACK METAL, FOLK E CLASSIC ROCK PER CONCRETIZZARLA IN QUANTO UDITO DURANTE “PATTERNS IN MYTHOLOGY”?
– Ci è difficile indicare con esattezza dove siamo giunti, perché penso che abbiamo spinto noi stessi sempre più avanti ad ogni uscita. Non vi è stato alcun album dove ci siamo completamente reinventati e abbiamo sepolto il passato; si è trattato finora di un lento e costante viaggio, durante il quale abbiamo levigato il nostro suono e la nostra identità. “Patterns In Mythology” è la nostra ‘dichiarazione’ musicale più completa e sviluppata, ma mi sento di dire che ogni album ha costituito una tappa importante per arrivare dove siamo adesso e lo stesso “Patterns In Mythology” rappresenta un passo fondamentale per quanto arriverà in futuro. Ad ogni modo, vedo in “Believe In No Coming Shore” del 2014 un imprescindibile punto di svolta, il primo album ad incorporare elementi rock nel nostro bacino di influenze. Quel disco ci vede mutare direzione in modo netto e chiaro per la prima volta da quando ci siamo formati. Bilanciare le diverse influenze che confluiscono nella nostra musica è, quasi sempre, una questione di gusto e intuizione: ci possiamo accorgere abbastanza facilmente se una canzone è in quel momento sbilanciata e apportare le necessarie correzioni perché suoni come dovrebbe.

QUAL È IL VOSTRO RAPPORTO CON L’OCEANO LE COSTE CHE LAMBISCE, RICHIAMATE NELL’ARTWORK DI “PATTERNS IN MYTHOLOGY”?
– Noi tutti siamo nati e cresciuti nella zona costiera del Maine, la prossimità all’oceano è stata una costante nelle nostre vite. Nonostante le montagne e le foreste siano disseminate ovunque nel Maine, crescere lungo il tratto costiero ha avuto un ruolo primario nel formare l’identità visuale della band. Quando una persona respira costantemente aria salmastra e ascolta i gabbiani sopra di sé, la presenza dell’oceano diventa qualcosa di così forte da far percepire le dense foreste del Maine e le sue aspre montagne come elementi distanti, per quanto pure questi paesaggi esercitino su di noi un certo ascendente. Tutto l’artwork è presto in prestito da dipinti di Winslow Homer, che ha vissuto e lavorato nella città dove siamo vissuti in età giovanile, Scarborough. Homer aveva uno studio sulla spiaggia a soli dieci minuti dalle case dove siamo cresciuti.

QUANDO PARLATE DI MITOLOGIA, QUALI SONO I VOSTRI RIFERIMENTI? QUALE TIPO DI STUDI E LETTURE VI HANNO INFLUENZATO NELLA COMPOSIZIONE DI TESTI E MUSICA?
– L’unica lettura che posso riportare come influenza diretta per questo disco è “Sull’Autogestione della Vita Quotidiana” di Raoul Vaneigem, anche se in fondo tutto quello che leggiamo e vediamo plasma le nostre percezioni e la relazione che abbiamo col mondo. Per dirla in maniera più esplicita, la mitologia citata in “Patterns In Mythology” va solo a lambire i miti popolari più noti, quelli greci, romani, scandinavi. Quei miti certamente hanno una loro imprescindibile valore, però nel nostro discorso ci riferiamo a miti, diciamo, su scala minore; i piccoli miti conosciuti dalla gente comune e tramandati col passaparola ai contemporanei e alle future generazioni. Parliamo dell’esaminare con occhio critico le nozioni e le tradizioni conosciute, così come la veridicità e validità (o la loro mancanza) di ciò che ci raccontiamo l’un altro, fatti e informazioni che mantengono a galla la società moderna e la civilizzazione umana, sia nel bene che nel male. Miti che ci consentono di lavorare proficuamente contro l’imbruttimento collettivo. Esaminando la pervasività della mitologia a un livello microscopico, l’argomento rimane vastissimo, le nostre liriche, a dirla tutta, possono solo scalfire la superficie di queste immense tematiche. Sono tentato dal rivisitare alcune di queste idee nel prossimo disco e di andare ancora più in profondità su alcuni aspetti solo accennati, ma vedremo cosa ci dirà il futuro. Potrebbe anche darsi che rivolgeremo le nostre attenzioni verso qualcos’altro.

QUANTO SIETE INFLUENZATI DAL LUOGO IN CUI VIVETE E DALLA PARTICOLARE NATURA DEL TERRITORIO? SI PERCEPISCE CHE QUANTO SUONATE SIA STRETTAMENTE CONNESSO CON L’INTERPRETAZIONE E LA CELEBRAZIONE DELLA NATURA E DEI SUOI POTERI.
– Il Maine esercita un’influenza determinante su di noi e la musica che creiamo. Più spesso di quanto si possa immaginare, l’ambiente naturale presente in Maine influenza il ‘come’ suona la nostra musica. I testi solo occasionalmente danno diretti interpretazioni, o raccomandazioni, riguardanti l’ambiente naturale, più di frequente ci concentriamo su aspetti personali, filosofici, politici o altro che sta nel mezzo fra quanto già accennato. Certo, in fondo tutti questi temi possono essere fatti confluire nel mondo naturale e alle sensazioni che si provano quando si è a contatto con la natura, che sia nel Maine o in altri posti meravigliosi poco popolati. La nostra musica e i testi esprimono una dicotomia fra la natura e il suo potere e l’impatto umano, la sua complessità e il ‘talento’ per la corruzione della nostra specie.. Ma non è tutto idealismo, intendiamoci: nel mondo naturale ci sono tante cose orribili e senza cuore, come di converso ci sono molte meravigliose creazioni umane, potenti e fonte di ispirazione per il prossimo. Ci sono molteplici contraddizioni da esplorare.

IL PRODUTTORE DELL’ULTIMO ALBUM È COLIN MARSTON, CHE RITENGO VI SIA STATO DI GRANDE AIUTO PER OTTENERE UN SUONO CHIARO E DETTAGLIATO, CAPACE DI VALORIZZARE E FAR RISALTARE AL MEGLIO LE INTERAZIONI FRA CHITARRE E TASTIERE. QUALI SONO LE DOTI DI COLIN CHE HANNO MAGGIORMENTE CONTRIBUITO A FORGIARE IL SOUND DI “PATTERNS IN MYTHOLOGY”?
– Colin è formidabile nel trovare un suono il più possibile naturale, l’opposto delle comuni produzioni ipercompresse che vanno molto di moda nel metal moderno (e anche in altri generi). Sa cavalcare sulla linea sottile e acuminata nella quale convivono chiarezza e pesantezza; i suoni su cui lavora sono molto aperti e posseggono un’elusiva e non ben definibile organicità. Evita di comprimere eccessivamente i master, come accade per altri ingegneri del suono nel tentativo di avere un suono molto rumoroso, lascia piuttosto sufficiente spazio agli strumenti per respirare; così ottiene un suono ‘live’ e dinamico, purché l’ascoltatore abbia la pazienza di alzare la manopola del volume per far risaltare le qualità del disco. Il lavoro con Colin è andato benissimo, ha tradotto perfettamente le nostre canzoni nella forma finale dell’album. E ciò è avvenuto senza che lavorazione fosse eccessivamente stressante.

UTILIZZATE ANCHE DEI FIELD RECORDING NELL’ULTIMO ALBUM. DOVE AVETE EFFETTUATO TALI REGISTRAZIONI E COME AVETE SCELTO I PUNTI DELLE CANZONI NEI QUALI INSERIRLI?
– Negli album precedenti avevamo catturato dei field recording in autonomia, con un piccolo registratore portatile. Ci eravamo avvicinati alle acque dell’East End di Portland, o lo avevamo portato con noi per una breve escursione nella foresta, per provare a capire cosa avremmo potuto registrare. A dire il vero, per “Patterns In Mythology” non ne abbiamo inseriti molti, volevamo evitare di avere molti filler tra un brano e l’altro, così da avere un approccio più diretto e maggiore continuità. Ci sono alcuni soundscape nell’album, ma l’unico field recording propriamente detto è quello nel mezzo di “Weapons Of Refusal”, che fa ascoltare i rumori sommessi di un accampamento e della natura selvaggia lì attorno. La melodia suonata dalla chitarra in quel punto lascia molto spazio per altro, così abbiamo pensato che integrarla con dei rumori ambientali avrebbe meglio espresso il mood del momento. Questa sezione contempla anche un cambiamento brusco nelle liriche: i suoni fugaci del riposo, in un luogo comunque vulnerabile, si legano per assonanza alle parole che seguono appena dopo. Per non abbassare il livello qualitativo della registrazione di Colin, abbiamo portato con noi un registratore di Colin, invece che usare il nostro registratore portatile, che avrebbe comportato una qualità audio inferiore.

PER QUANTO RIGUARDA L’USO DELLE CHITARRE ACUSTICHE, QUALI SONO GLI ARTISTI CHE VI HANNO INFLUENZATO MAGGIORMENTE E COME GESTITE L’INTERAZIONE FRA FURIBONDE PARTI BLACK METAL E QUELLE ACUSTICHE?
– Il bilanciamento fra parti heavy e acustiche o di chitarra pulita avviene con molta naturalezza. Il trucco è di non preoccuparsi se la tua musica viene in contatto con i classici die-hard fan del black metal, quelli che porterebbero volentieri ogni canzone verso un barbaro black metal: se ritieni che stiano bene delle soluzioni soft, è giusto che le adotti. Allo stesso tempo, non ci sforziamo di avere per forza delle chitarre acustiche quando non sentiamo che siano necessarie. In effetti, il nostro ultimo album ha meno parti acustiche di quelli precedenti, semplicemente perché quando abbiamo scritto le canzoni queste non sembravano necessitare di tante sezioni tranquille. Vero, di norma nelle nostre composizioni arriva sempre il momento di sentire delle chitarre acustiche, ma il loro uso in questa occasione si è nettamente ridotto. Gli artisti non-metal che ci hanno influenzato? Te ne do un piccolo spaccato: John Fahey, Jason Molina, Neil Young, Joanna Newsom, Robbie Basho, Jack Rose, Six Organs of Admittance, Smog, Will Oldham, Nick Drake, Radiohead, Phil Elverum, Mark Kozelek… Ce ne sarebbero molti altri, questi sono i primi che ci vengono in mente.

IL TIPICO APPROCCIO BASATO SUL FOLK-BLACK METAL IMPLEMENTATO IN PRIMIS DAGLI AGALLOCH, GRAZIE A BAND COME VOI, PANOPTICON, ALDA, SKAGOS, È DIVENUTO UNO STANDARD E UN MODELLO PER NUMEROSI GRUPPI DI BLACK METAL ATMOSFERICO. PERCHÉ È COSÌ SPECIALE QUESTO ‘AMERICAN SOUND’ E QUALI SONO LE PRINCIPALI DIFFERENZE FRA VOI E LE ALTRE BAND APPENA MENZIONATE?
– Penso anch’io che vi sia un ‘suono americano’ nel black metal perfettamente identificabile che, in parte, ha avuto gli Agalloch come pionieri. Ma penso anche che la questione sia più complessa: fino a quando non hanno realizzato “Marrow Of The Spirit”, non ho mai considerato gli Agalloch una black metal band. Prima di allora, li consideravo un gruppo di estrazione avant-garde doom/gothic/neofolk, vicini a cose come Green Carnation, The Gathering, Novembers Doom. Il black metal si è manifestato in maniera molto più chiara con i loro ultimi dischi ed è proprio in quel periodo che ha iniziato a farsi strada questo suono americano o, come spesso si dice, ‘cascadico’. Uno stile che prendeva con sé una forte influenza dagli allora newcomer Wolves In The Throne Room, Drudkh, Windir, pure Burzum e andava anche a incorporare degli influssi crust, d-beat e lo screamo di fine anni ’90/primi 2000. Se noi e gli altri gruppi che hai citato hanno quel tipo di origine in comune, credo che ci distinguiamo in mezzo a gruppo dello stesso genere perché ci siamo in parte allontanati dalle influenze che ho elencato prima, incorporando molti elementi ‘rock’ nel sound e una cura particolare per gli assoli. Assoli che di solito sono utilizzati con molta moderazione nel black metal atmosferico, noi in questo facciamo eccezione.

QUALI SONO GLI STILI MUSICALI FUORI DAL METAL CHE PIÙ HANNO INFLUENZATO GLI ALBUM DEI FALLS OF RAUROS?
– Gli artisti nominati poco sopra sono un buon punto di partenza per capire le nostre influenze fuori dal metal. Sono personaggi che cadono nella categorie di american primitive, folk rock, lo-fi folk, indie rock e altri generi ben lontani dal metal estremo. Ci piace molto anche il jazz, ogni tipo di jazz, io in particolare sono appassionato di quello dai tardi anni ’40 ai primi ’60. La fusion mi interessa meno, anche se sono interessato al primo Herbie Hancock e agli album fusion di Miles Davis. Jordan è molto coinvolto nella musica classica e nella musica classica contemporanea. Ha studiato musica all’università, con quel tipo di materiale ha molta famigliarità. Devo dire che è difficile tracciare una linea per identificare esattamente cosa ci influenzi: alcuni generi che adoriamo come ascoltatori possono non esercitare alcun tipo di influsso su quanto suoniamo, ma suppongo che in fondo, a livello non percepibile, qualsiasi cosa sentiamo porta qualcosa in come scriviamo e componiamo. Ascolto anche molto hip-hop, ma quello ben difficilmente finisce per aver a che fare con la musica di Falls Of Rauros in modo tangibile. Lo stesso accade per il jazz. Ascolto tonnellate di jazz, per tantissimo tempo, ma non so improvvisare e non improvvisiamo mai come band, salvo per alcuni arrangiamenti e decisioni di produzione prese in studio.

QUALI SONO GLI ALTRI ARTISTI IN CAMPO METAL CON CUI COLLABORATE NEL VOSTRO STATO? LA SCENA METAL DEL MAINE NON È POI MOLTO VASTA, NÉ GRANCHÈ CONOSCIUTA…
– Il nostro batterista, Ray, suona in un gruppo della Bindrune Recordings, gli Obsidian Tongue, e nella death-black metal band Shabti. Jordan ha una one-man band chiamata Feral, dove io stesso ho suonato il basso in passato. Questo è quanto, se guardiamo alle collaborazioni dirette, ma ti posso dire che siamo amici con la maggior parte di quelli che fanno parte della scena, almeno per quella di Portland e dintorni. È una scena piccola e isolata, per cui tutti più o meno si conoscono. In effetti, il Maine non è conosciuto per la sua scena metal, o per la musica in generale. Il Maine è noto per i parchi, le spiagge, il cibo e i liquori. D’estate, è un parco giochi per turisti, d’inverno è un posto freddissimo e fuori da tutto.

I FALLS OF RAUROS SONO LE STESSE QUATTRO PERSONE – TU, JORDAN, EVAN E RAY – DAGLI INIZI, NON AVETE MAI CAMBIATO FORMAZIONE. COME DEFINIRESTI LA RELAZIONE CHE VI LEGA L’UNO ALL’ALTRO E COME SI COMBINANO LE VOSTRE PERSONALITÀ, MANTENENDO LA BAND COESA?
– In origine il gruppo era formato da me e Ray, Jordan è arrivato in un secondo tempo, all’inizio del 2007, quando comunque ci eravamo formati da poco. Nel primo album c’eravamo noi tre e un diverso batterista, mentre nel secondo c’era Austin Lunn dei Panopticon alla batteria. Evan è entrato solo nel 2014, in occasione dello split coi Panopticon e il terzo album, “Believe In No Coming Shore”. Comunque ci conosciamo da quando siamo ragazzini, siamo cresciuti nella stessa zona e abbiamo frequentato le scuole assieme. Questo rende le cose più semplici quando si lavora assieme, fa diventare ogni attività qualcosa di più profondo di semplici ‘questioni di business’. Ci diamo vicendevolmente spazio per provare qualcosa di nuovo e sperimentare a piacimento, rispettiamo le opinioni di ognuno e discutiamo in modo tranquillo delle idee che portiamo alla band e non c’è nessun problema nel far notare che qualcosa non va nella giusta direzione. Non facciamo drammi quando le cose non vengono come vorremmo, scrivere musica assieme difficilmente diventa un processo pieno di patimenti, a volte ci vuole solo più tempo che in altri casi, dipende dalle circostanze. In fondo il comporre musica diventa per me un’attività terapeutica, che mi fa stare bene, per questo sono sempre contento quando è il momento di rimettersi al lavoro su nuova musica.

CHE COSA SIGNIFICA PER VOI SUONARE BLACK METAL NEL 2019? E QUANTO È RIMASTO DELLO SPIRITO BLACK METAL DEI PRIMI ANNI ’90 NELLA MUSICA DEI FALLS OF RAUROS?
– Siamo coinvolti nel black metal da così tanto tempo che ormai è parte di noi stessi, ma quando andiamo a scrivere un nuovo pezzo non pensiamo che dobbiamo creare per forza una black metal song.. Scriviamo quello che ci viene naturale, mentre cerchiamo un pizzico di originalità. Nonostante amiamo moltissime band black metal, ci viene ormai difficile trovare ispirazione in musica di quel tipo. E penso di parlare anche per gli altri membri del gruppo. Amiamo musica dei generi più disparati, non vogliamo restringerci nello scrivere puro black metal, specialmente quando ci sono già così tante formazioni che lo fanno. Ma siamo molto contenti di far parte di questo genere, se ci pensi anche negli anni ’90 al suo interno vi era un’ampia gamma di sonorità; “Anthems To The Welkin At Dusk” non suona come “Filosofem”, che a sua volta non suona come “The Oath Of Black Blood”. C’è sempre stato spazio per sperimentare nel black metal, quindi mi piace che tale termine sia utilizzato per i Falls Of Rauros. Suonare black metal nel 2019, per me, significa spingermi nell’evoluzione del sound, essere senza paura, prendere rischi. Non ha nulla a che spartire con l’essere il più estremo, dissonante, cattivo o qualsiasi altro eccesso. Tutti questi limiti sono stati raggiunti già da parecchio.

DUE DI VOI – TU E RAY – AVETE SUONATO LIVE DI RECENTE CON PANOPTICON. CHE COSA CI PUOI RACCONTARE DI QUESTA ESPERIENZA, UN MOMENTO IMPORTANTE PER IL PROGETTO DI AUSTIN LUNN, IN QUANTO ERANO I PRIMI LIVE SHOW DI SEMPRE PER LA BAND?
– Ray ha suonato dal vivo con Panopticon fin dai suoi primi concerti, io mi sono unito in un secondo tempo, ho rimpiazzato il loro precedente chitarrista, Jake Quittschreiber, che se n’è andato per perseguire altri obiettivi. Farò il mio debutto live con loro solo l’anno prossimo, quindi. È una prospettiva che mi elettrizza, siamo amici di Austin da tanto tempo, abbiamo già collaborato in passato e sarà una bella esperienza viaggiare e condividere il palco con persone che sento molto vicine a me. Terremo pochi concerti, distanziati gli uni dagli altri, principalmente nei festival, però stiamo anche pensando a qualche breve tour. Al momento mi è impossibile entrare in ulteriori dettagli.

 

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