FIVE FINGER DEATH PUNCH – La terapia del pugno

Pubblicato il 17/03/2020 da

Domenica 16 febbraio 2020 è stato il giorno dei Five Finger Death Punch, protagonisti di un concerto sold out all’Alcatraz di Milano che ne ha decretato il successo anche sul suolo nostrano. Con un gran senso di inadeguatezza per l’ambiente da milionari (un hotel a cinque stelle che certifica lo status nel mainstream del gruppo, con un paio di Ferrari parcheggiate all’esterno) ci siamo accomodati col bassista Chris Kael per entrare nel tumultuoso universo della band, allora in procinto di pubblicare l’ottimo “F8”. Kael, un personaggio singolare che sembra uscito dal set de “I Pirati dei Caraibi”, è una persona che riesce immediatamente a mettere a proprio agio l’interlocutore: semplice, accomodante e molto comunicativa. Dalla sua energia positiva si capisce perché sia stato scelto anni fa per un gruppo con le ambizioni dei Death Punch, una formazione dalle mille risorse che in un modo o nell’altro si è dimostrata sempre in grado di rimettersi in carreggiata.

 

QUAL E’ STATA LA TUA PRIMA REAZIONE QUANDO HAI SAPUTO DEL TOUR COI MEGADETH?
– La mia mascella è caduta a terra! Ero in una minivacanza alle Filippine, durante un break dalle registrazioni del nuovo album, quando Zoltan mi inviò un messaggio: ‘Hey, volevo farti sapere che saremo in tour coi Megadeth in Europa’. Risposi: ‘Alla grande, suoneremo, poi toccherà a loro e avremo la possibilità di vederli suonare tutte le sere, magari anche di uscire un po’ con loro…’, e la risposta fu ‘No, no: portiamo i Megadeth in tour con noi’. ‘Che cazzo stai dicendo? Megadeth? Uno dei Big Four? Suoniamo dopo di loro?!’. E’ stato uno shock per tutti, per me per i fan e per tutti coloro là fuori nell’universo metal. E’ un’opportunità incredibile. Mettersi a suonare dopo leggende come i Megadeth significa per forza giocare tutte le sere a livelli da Serie A.

IN ITALIA E’ DIFFICILE MISCHIARE NUOVA E VECCHIA SCUOLA. SEI COSCIENTE CHE CI SARÀ QUALCUNO, QUESTA SERA, CHE POTREBBE LASCIARE LO SHOW DOPO CHE I MEGADETH HANNO FINITO DI SUONARE?
– Non ho ancora visto una scena del genere. Anche io lo pensavo, devo dire la verità, perché ho la massima considerazione dei Megadeth, ma abbiamo già fatto qualche data ed ogni sera almeno il 25% dei presenti poteva essere identificato come fan dei Megadeth, ma le arene sono rimaste sempre piene fino alla fine. Ne parlavo con Dave Ellefson e mi ha detto che anche per loro è un’esperienza interessante, perché sono in giro da talmente tanto tempo – da quando io avevo tredici/quattordici anni – e la loro audience è invecchiata, mentre il nostro pubblico è più giovane in media. Unendoci possiamo coprire ogni fascia d’età, e per loro è un po’ una novità potersi esporre a un pubblico nuovo. E’ meraviglioso, ogni sera guardo il loro concerto dal lato del palco, e osservare persone che li scoprono sera dopo sera, sapere che c’è molta gente che non ha mai ascoltato “Peace Sells” o “Holy Wars” è letteralmente irreale.

PARLIAMO DEL DISCO: QUANTO TEMPO AVETE PASSATO A REGISTRARE?
– Ci abbiamo messo un annetto. “And Justice For None” era pronto da parecchio tempo quando è stato pubblicato per le ragioni contrattuali che tutti sanno, per questo ci siamo presi tutto il tempo necessario e siamo stati in studio sei mesi assieme a Kevin Churko, poi siamo usciti per un tour di tre settimane negli States, per poi tornare in studio. E’ stato un processo inedito per noi quest’ultima volta, in quanto molte cose con cui dovevamo avere a che fare in passato non erano più un problema. Io e Ivan siamo sobri ora, ed affrontare per la prima volta il processo di scrittura era un’incognita: da dove sarebbe arrivato il carburante, l’energia sarebbe stata la stessa? E se fossero state droga e alcool a creare la bestia chiamata Five Finger Death Punch? Poi abbiamo buttato giù le prime tre canzoni ed erano mostruose. Questo risultato, combinato alla pausa nel mezzo delle sessioni dove abbiamo avuto un responso calorosissimo di un pubblico che si è trovato davanti dei nuovi Death Punch, ci ha fatto tornare in studio carichi a molla.

IVAN HA DICHIARATO CHE IL PERIODO STRESSANTE CHE HA DOVUTO FRONTEGGIARE IL GRUPPO VI HA AIUTATO A SCRIVERE UN DISCO MIGLIORE.
– Senz’altro. C’è una canzone del disco che si chiama “Death Punch Therapy”, ma devo dire che tutto il disco è stato terapeutico: abbiamo avuto problemi molto ben documentati, alcuni sono finiti anche in video, abbiamo tenuto qualche show disastroso a causa dell’abuso di sostanze, abbiamo litigato furiosamente tra di noi sempre a causa di alcool e droga, che facevano diventare enorme anche la più minuscola delle cazzate. Questo disco è stato usato, da Ivan in particolare, come una sorta di epurazione per buttar fuori tutta quella roba e costruirci sopra qualcosa di positivo. A volte penso che, senza quel periodo assurdamente negativo che abbiamo avuto negli ultimi tre o quattro anni, non saremmo in grado di apprezzare la condizione in cui siamo ora che siamo usciti dalla tempesta. E’ stato un processo lungo e abbiamo dovuto imparare da zero come comunicare tra di noi, ma ne è valsa la pena. Ivan sta arrivando ai due anni di sobrietà, traguardo che io ho superato da poco. Il disco esce a fine febbraio e stiamo suonando in arene sold-out in tutta Europa, arene che avevamo visto solo nel nostro tour con gli Avenged Sevenfold parecchio tempo fa. Oggi siamo noi gli headliner e stiamo facendo numeri ancora più grandi. E’ stato un periodo difficile che è durato parecchio, ma devo dire che il sapore dei successi di oggi è davvero incredibile.

PARLANDO DI SOBRIETÀ OGGI SIETE UN PO’ UN MODELLO DI COMPORTAMENTO PER TUTTI I VOSTRI ASCOLTATORI. E’ FACILE PER TE PARLARE DI QUESTE COSE?
– Parlo per me personalmente, ho discusso moltissimo di questa cosa con Ivan ma non voglio dire nulla per lui. Per me essere molto comunicativo da questo punto di vista è importante. Sono andato in riabilitazione il 3 febbraio di due anni fa per la prima volta, e non l’ho detto quasi a nessuno. Lo facevo privatamente, entravo e uscivo e lo dicevo solo quando il periodo di rehab era finito. Nessuno lo sospettava quasi, nascondevo molto bene la mia assuefazione, quando hai un frontman su cui sono puntati i riflettori che sta passando dei problemi importanti è anche più facile nascondersi. Poi ad un tratto mi sono reso conto quanto mi aiutassero le storie delle altre persone durante le mie prime fasi di sobrietà, e mi sono chiesto come avessi potuto aiutare qualcuno io, standomene sempre zitto. Mi sono anche reso conto di avere una platea enorme a cui parlare. Le persone che ci seguono lo fanno in maniera molto fedele, a volte condividono il problema che avevo io con l’alcool. Per me saper portare una testimonianza autentica, reale e genuina è davvero importante, perché so che le persone possono identificarsi nei miei problemi e possono riflettersi nella mia esperienza. Se ce l’ho fatta io può farcela chiunque. In questo mestiere ti buttano addosso tentazioni ogni giorno, da ogni angolazione. Se sono in grado di respingere queste tentazioni posso essere un esempio concreto. E’ bello sapere che funziona, perché nell’era dei social media le persone sono in grado di raggiungerti e di condividere le loro esperienze, quello che li ha ispirati e quello che ha dato loro speranza. Un paio di anni fa ero ai minimi storici, lottavo con la depressione e la mia mente era focalizzata sulle cose sbagliate, non ero in grado di godermi nulla tranne l’alcool. Lasciando quelle sostanze fuori dal mio organismo sto iniziando a rimettere a posto chimicamente il mio corpo e la mia mente e tutto sta cominciando a rimettersi insieme, come dovrebbe essere. Parlare esplicitamente della mia situazione mi aiuta anche a responsabilizzarmi, nel senso che se tornassi a far uso di alcool in molti saprebbero che c’è qualcosa che non va. Non voglio essere un ipocrita, uno che predica bene ma poi appena spenti i riflettori ed il telefono fa il contrario di ciò che va dicendo.

AVETE CONFERMATO KEVIN CHURKO COME PRODUTTORE. ESSENDO AUTORE E MUSICISTA HA CONTRIBUITO A QUALCHE CANZONE DEL DISCO?
– Kevin espande le idee che portiamo in studio. All’inizio del processo portiamo tutti una serie di bozze che abbiamo composto singolarmente, e teniamo una sorta di ‘riff listening party’. A volte ci sono canzoni ad uno stadio avanzato, che non hanno bisogno di molto lavoro per essere considerate compiute. Altre volte uno di noi ha un’idea che si incastra con l’idea di qualcun altro. Kevin, con la sua barba da mago, riesce a vedere questi collegamenti, mette insieme i pezzi e li trasforma in… magia. Noi portiamo le bistecche e le patate e lui aggiunge qualche spezia qua e là, dandoci consigli per la cottura. Fa parte del nostro arsenale dal secondo album, è il sesto uomo dei Death Punch.

NEL DISCO C’È’ UNA RICERCA EVIDENTE VERSO UN SUONO DI CHITARRE E DI BATTERIA PIÙ CORPOSO ED HEAVY…
– Hai pienamente ragione, l’intento era quello. Ora che abbiamo Charlie (Engen, sostituto di Jeremy Spencer, ndR) a bordo siamo stati in grado di scrivere sfruttando il suo bagaglio tecnico, raggiungendo livelli superiori rispetto al passato. Zoltan è quello che ne ha tratto uno spunto maggiore a livello di ispirazione: vogliamo essere una hard rock/metal band fondata sulle chitarre, abbiamo ridefinito il nostro suono ed evoluto la band in questo senso.

QUINDI CHARLIE HA REGISTRATO TUTTE LE PARTI DI BATTERIA, CORRETTO?
– Sì, è il nostro uomo ora.

COME PARTE DELLA SEZIONE RITMICA, COME TI SEI TROVATO CON LUI?
– Per me è stata una gran boccata d’aria fresca. Sono ormai otto anni che faccio parte della band, e attraverso di lui sto rivivendo le sensazioni di essere l’ultimo arrivato. E’ il suo primo tour in Europa, è euforico riguardo a tutto. Anche in una situazione bella, divertente e movimentata come far parte dei 5FDP, prima o poi si entra in una sorta di routine. Avere l’esplosione di energia e la positività di un nuovo membro ci dona una nuova botta di vita, la puoi sentire nel disco. C’è una passione nuova, del fuoco più intenso, anche i testi di Ivan sono più personali. Dopo otto dischi resti fedele a te stesso ma cerchi comunque di espandere il tuo suono in qualche maniera. Ho sempre detto che un nuovo disco piacerà ai vecchi fan e non piacerà a chi ci ha sempre odiato, stavolta penso ci sia quel quid, quella novità, quella marcia in più per cui anche chi non ha mai amato i Death Punch potrà cominciare ad apprezzarci. Le arene dove suoniamo sono sempre più grandi, non penso la nostra crescita si fermerà.

DOPO “BLUE ON BLACK” E LA CANZONE DI IVAN ASSIEME A CODY MARKS MI ASPETTAVO QUALCHE EPISODIO COUNTRY ROCK…
– Guarda, sono contento e anche un po’ stupito che quegli esperimenti siano riusciti bene, ma siamo troppo legati al mondo hard rock/heavy metal, non ci vedrai mai virare completamente sul country, non tutti insieme e non nel futuro prossimo. Non penso proprio.

QUESTA VOLTA NON VEDO NEMMENO LA VOSTRA MASCOTTE SULLA COPERTINA. COME MAI?
– Si tratta di togliere uno strato superficiale e concentrarsi sulla sostanza. Con il grande passo verso la sobrietà di Ivan è un passo importante lasciarsi alla spalle certi dettagli, soprattutto in questo album vogliamo concentrarci e ritrovare il nostro suono e la nostra anima, con convinzione e dito medio alzato.

QUANDO SALITE SUL PALCO LA SITUAZIONE E’ DIVERSA, LA VOSTRA PRODUZIONE CONTINUA A DIVENTARE SEMPRE PIÙ IMPONENTE. E’ COMPLICATO SUONARE CON TUTTI QUEGLI ELEMENTI, FUOCHI IN PRIMIS?
– Ho visto gruppi che con fuochi, laser e un grande palco mi hanno davvero impressionato, ma in una location minore senza questi effetti speciali hanno fatto praticamente schifo. Qualcuno fa troppo affidamento sul contorno andando a perdere quella connessione individuale che oggi i Death Punch hanno più di ogni altro gruppo là fuori. Noi abbiamo un frontman unico, che è capace di connettersi con le persone di prima fila tanto quanto il ragazzo in cima al palazzetto che ha comprato un biglietto da dieci dollari. Quando sono arrivati gli effetti pirotecnici mi sono spaventato: abbiamo perso lo smalto? Ci sono stati dei concerti in cui ci è stato vietato di portare i fuochi sul palco ma lo show è stato viscerale, punk, diretto e pieno di energia, rassicurandomi molto da quel punto di vista.

OLTRE A QUELLO, IL FUOCO E’ FISICAMENTE PERICOLOSO…
– Il fuoco brucia cazzo, puoi dirlo forte! Ma parliamo di heavy metal, quindi c’è anche l’headbanging che ti spacca il collo, le corse da un lato all’altro del palco, istigare il pubblico coi pugni in aria, suonare in maniera energica: sono tutte attività che necessitano una grande fisicità.

DEL GRUPPO TU SEI QUELLO CHE HA SEMPRE AVUTO UN OCCHIO ATTENTO SULLA SCENA METAL E HARDCORE ATTUALE, DANDO RISONANZA A GRUPPI COME CODE ORANGE E UPON A BURNING BODY. COSA CONSIGLI OGGI?
– Ti dico al 100% Code Orange, anche se mi ripeto. Non vedo l’ora di sentire il nuovo disco, fanno davvero qualcosa di unico a mio parere. Se parliamo di band più recenti non posso non citare i Knocked Loose, di cui mi sono appena levato la felpa. “A Different Shade Of Blue” è di gran lunga il mio disco preferito dello scorso anno. Quei ragazzi stanno portando un po’ di novità nell’hardcore e hanno quell’energia vitale che possiedono i giovani, sanno scrivere belle canzoni, il cantante Brian è diverso da tutti, è un ragazzo attraente con la faccia pulita. Mi piacerebbe portarli in tour con noi. Oggi stavo ascoltando il nuovo Suicide Silence: il disco precedente non mi aveva preso, hanno provato a fare qualcosa di diverso ma non calzava loro a mio parere. Ora sono tornati a fare quello che sanno fare meglio, un bel disco.

PER CONCLUDERE COSA VI ASPETTA ADESSO? QUANTI MESI DI TOUR HAI DAVANTI?
– Abbiamo davanti altri cinque show di questo tour, con date a Sofia in Bulgaria e a Budapest, in Ungheria. Quest’ultima è una data molto importante perché non abbiamo mai suonato in Ungheria, è la patria natale di Zoltan e vogliamo assolutamente fare bella figura. In più Zo avrà la possibilità di tornare a casa dopo tempo immemore. Finito questo ‘Megadethpunch’ sarà la volta degli Stati Uniti, dove abbiamo delle date in programma coi Papa Roach ad aprile e maggio per poi una lunga sessione estiva. Contiamo di tornare in inverno, il nostro ciclo di tour dura solitamente diciotto mesi. Vorremmo toccare il Sud America, il Giappone e l’Australia. Oggi abbiamo una forte fanbase negli Stati Uniti e, finalmente posso dirlo, una base di fan altrettanto forte in Europa, che abbiamo coltivato duramente con tour quasi in perdita, a volte. Oggi possiamo contare sul nostro pubblico fedele anche qui, di conseguenza vorremmo concentrarci sul resto del mondo.

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