In attesa di ammirarne le gesta il prossimo 1 giugno all’edizione 2019 del Metalitalia.com Festival, riaccogliamo sulle nostre pagine l’istituzione italiana che risponde al nome di Fleshgod Apocalypse, fresca reduce dalla pubblicazione del suo quinto full-length, “Veleno”. Un’opera che, come sottolineato dagli stessi Francesco Paoli e Francesco Ferrini, ha tutti i presupposti per diventare uno degli snodi cruciali della loro carriera, combinando una rinnovata passione per il riffing (non sempre espressa dai precedenti “King”, Labyrinth” e “Agony”) con velleità compositive ormai ambiziosissime e libere da vincoli. A voi il resoconto di questa lunga e mai banale chiacchierata, svoltasi nel pieno della tournée sudamericana con i Wolfheart…
“VELENO” SEGNA UN NUOVO ASSESTAMENTO NELLA LINE-UP DEI FLESHGOD APOCALYPSE, CON IL RITORNO DI FRANCESCO PAOLI NEI PANNI DI CANTANTE/CHITARRISTA DOPO ANNI TRASCORSI ALLA BATTERIA. COME AVETE VISSUTO LO SPLIT CON TOMMASO RICCARDI? AVETE MAI PRESO IN CONSIDERAZIONE L’IPOTESI DI ARRUOLARE UN ALTRO FRONTMAN?
Francesco Paoli: – No, non avrebbe avuto alcun senso. In fondo, sono sempre stato un frontman costretto a ricoprire un ruolo diverso per via delle circostanze; tornare davanti era la cosa più logica da fare, una sorta di cerchio che si chiude. Ho fondato questo gruppo da leader/songwriter e non ho mai smesso di esserlo, nonostante suonassi la batteria in sede live. Questa consapevolezza ha in qualche modo reso la separazione meno dolorosa e preservato l’amicizia con i vecchi membri. Nonostante rispetti la scelta di Tommaso di allontanarsi dalla vita di musicista professionista per dedicarsi maggiormente ai propri affetti, non nego di essere stato colto di sorpresa. Il cambio di line-up è stato probabilmente il momento peggiore, nonché il punto più basso, mai toccato dalla band. Inoltre, il fatto che tutto questo abbia coinciso con la fase di maggior notorietà fino ad allora raggiunta, ha reso le cose ancora più delicate. Ciò che ci ha aiutato è stata la condivisione unanime delle scelte, la comunione di intenti dei membri restanti e indubbiamente il coraggio di metterci in discussione ancora una volta. Oggi, con il senno di poi e gli incredibili risultati prodotti da questo cambio, è facile parlarne e minimizzare. La verità è che in un primo momento ce la siamo fatta addosso, ma siamo stati bravi a mantenere la calma e a tenere botta, consapevoli di voler percorrere la strada più rischiosa ma anche più logica nel lungo periodo. E i fan ce ne sono grati.
ALLA BATTERIA, ALMENO PER QUANTO CONCERNE LA DIMENSIONE LIVE, VI SIETE AFFIDATI A DAVIDE FOLCHITTO, UNA VECCHIA CONOSCENZA DELL’UNDERGROUND ROMANO…
Francesco Paoli: – Sì, è un amico di vecchia data ed un grande professionista. È stato importante coinvolgere da subito persone capaci di integrarsi perfettamente sia sul piano artistico/professionale, che su quello personale. David e Fabio sono due eccellenti musicisti, estremamente motivati, e con una grande capacità di adattamento, cosa non scontata e sempre più richiesta nel nostro lavoro.
DOPO IL GRANDE SUCCESSO DI PUBBLICO E CRITICA DI “KING”, QUALI OBIETTIVI AVEVATE IN MENTE DI RAGGIUNGERE CON “VELENO”? DA CHE BASI SIETE PARTITI AL MOMENTO DI COMPORRE?
Francesco Ferrini: – Un album di grande successo è sempre un’arma a doppio taglio per chi lo scrive: da un lato ti appaga profondamente, ma dall’altro ne sei addirittura intimorito, perché sai bene che il passo successivo rappresenterà una sfida ancora maggiore. Se è vero che ogni nuovo disco è il frutto di un percorso, e come tale non può e non deve prescindere dalle passate esperienze, è altrettanto vero che non amiamo ripeterci, magari imbellettando formule collaudate e riproponendole con un titolo differente. Buona parte della scena metal odierna si muove così, per inerzia, affollata com’è da musica che si ricicla all’infinito. È una filosofia che non ci appartiene. Per questo abbiamo voluto spalmare la fase di composizione in un arco di tempo più ampio, anziché concentrarla in pochi mesi di ‘isolamento forzato’, per renderla più spontanea e, soprattutto, libera da scadenze o pressioni esterne. Abbiamo lavorato alla stesura in ogni momento utile, anche in tour, senza forzare nulla. L’ispirazione, per sua natura, non si manifesta a comando e questo nuovo approccio ci ha permesso di sperimentare ancor più che in passato, esplorando generi anche lontanissimi dal nostro. Credo che tutto ciò sia piuttosto evidente anche per chi ascolta.
TROVO CHE “VELENO” SIA MOLTO PIÙ GUITAR-ORIENTED DEGLI ULTIMI DISCHI. COM’È MATURATA QUESTA SCELTA? SI È TRATTATO DI UN PROCESSO SPONTANEO O VI SIETE MOSSI INTENZIONALMENTE IN QUESTA DIREZIONE?
Francesco Ferrini: – Sicuramente abbiamo voluto dare un peso maggiore al riffing, soprattutto per quanto riguarda le parti più heavy dei brani. Abbiamo adottato un approccio più diretto e viscerale, dando il giusto peso ai riff come struttura portante di intere sezioni, senza tuttavia perdere di vista il nostro sound caratteristico. In questo senso il pianoforte gioca davvero un ruolo chiave, sia come voce principale, sia nel contrappunto con gli altri strumenti. La sua estrema versatilità ci ha permesso di sfruttarlo nei contesti più svariati, da arpeggi in chiave classicheggiante a furiosi pattern percussivi à la Emerson, Lake & Palmer, all’unisono con basso e chitarre. Non per questo, però, l’orchestra ne viene penalizzata; semplicemente, è usata in modo differente. Abbiamo voluto sfruttare tecniche più innovative e moderne (soprattutto con gli archi) che trasformassero strumenti tradizionali in puri generatori di suoni, effetti, atmosfere alienanti, atonali e oscure. Si tratta di un mondo già ampiamente esplorato da grandi compositori contemporanei, come Penderecki o Ligeti, e che estende a dismisura il range di timbri ottenibili dagli strumenti orchestrali o dal coro. In questo senso, ci siamo concentrati in modo mirato su singoli strumenti, o sezioni, rinunciando in parte all’effetto avvolgente e ‘bombastico’ che ci caratterizza e utilizzando arrangiamenti più massicci laddove ne sentissimo davvero il bisogno. Il risultato, a mio modestissimo parere, è un album ancora più dinamico e imprevedibile rispetto ai precedenti.
L’ASPETTO LIRICO HA SEMPRE AVUTO UN FORTE PESO NEI FLESHGOD APOCALYPSE. QUALI TEMATICHE AFFRONTA IL NUOVO DISCO?
Francesco Paoli: – Il nuovo disco è una raccolta di brani che tratta in maniera più o meno metaforica il rapporto che c’è tra uomo e natura, intesa sia come ciò che ci circonda, che come ‘natura umana’. Nel primo caso si fanno considerazioni su come l’uomo interagisce con fattori esterni e come l’ignoranza, o anche la sola poca lungimiranza, abbiano innescato processi catastrofici dei quali l’uomo stesso è vittima; nel secondo caso, invece, si affrontano temi legati alla sfera interiore, alle proprie fragilità, alle proprie paure. Volevamo mettere in evidenza come la reazione dell’uomo a ciò che non riesce a capire o controllare si traduca sempre in un auto-sabotaggio, e che attraverso la creazione di sovrastrutture come le religioni, le filosofie di vita o le superstizioni ci si sia ritrovati in un mondo malato, popolato da infelici. È un avvelenamento continuo. Ovunque ti giri c’è qualcuno che ti propina una verità, ti offre una droga, ti propone una soluzione a costo zero. Tutto questo è veleno, e la responsabilità è solo nostra. Spero che anche in momento così frenetico, in cui si tende a consumare voracemente senza approfondire più di tanto, le persone possano trovare il tempo di dare un’occhiata ai testi. Ci ho lavorato tanto e sono ricchi di riflessioni e spunti. Non cambieremo il mondo con “Veleno”, ma almeno abbiamo dato un senso alla nostra opportunità di comunicare a un vasto pubblico e, seppur mantenendo un registro poetico, abbiamo cercato di riportare l’attenzione su temi trascurati da tanti perché ritenuti poco commerciali o obsoleti. A buon intenditor…
DAL PUNTO DI VISTA DELLA RESA SONORA, SI PUÒ DIRE CHE CON IL NUOVO DISCO ABBIATE RAGGIUNTO IL VOSTRO APICE. OLTRE CHE CON MARCO MASTROBUONO (CON IL QUALE AVEVATE GIÀ COLLABORATO PER “KING”) COM’È STATO LAVORARE CON JACOB HANSEN?
Francesco Ferrini: – Sì, la produzione è probabilmente la migliore della nostra carriera. Siamo rimasti letteralmente esterrefatti dalla competenza, l’esperienza e, soprattutto, l’umiltà di Jacob. Solo un produttore del suo livello poteva permetterci di raggiungere un simile risultato. Da uno così, che vanta addirittura una candidatura ai Grammy, potresti aspettarti un ego smisurato, atteggiamenti paternalistici o quantomeno un amore incondizionato per le proprie opinioni. Niente di tutto questo: anche sul piano umano, Jacob Hansen è davvero una delle persone migliori che ci sia capitato di incontrare nell’industria musicale. Tra l’altro, c’è da dire che anche come cuoco non ha niente da invidiare agli ‘stellati’. Provare per credere!
COME GIUDICATE LA VOSTRA EVOLUZIONE DAGLI ESORDI DI “ORACLES” E “MAFIA” AD OGGI? IN MOLTI CONTINUANO A RIMPIANGERE LA FORTE COMPONENTE ESTREMA DI QUELLE OPERE…
Francesco Paoli: – La nostra evoluzione è stata dettata dall’impellente necessità di sperimentare e di ‘sconfinare’, artisticamente parlando. Siamo come dei tossici in cerca di nuove emozioni, ciò che abbiamo già provato non basta, serve altro. Così abbiamo lasciato che la nostra creatività venisse influenzata da qualsiasi cosa, senza pregiudizi, percorrendo una strada un po’ più insidiosa, che prevede la costante infrazione di regole legate ad un genere specifico. Non c’è arte senza evoluzione e, sebbene sia fondamentale non perdere di vista le proprie radici, è altrettanto importante spingersi oltre, seguendo la propria ispirazione e sconvolgendo i canoni di un sound che a lungo può andare stretto. Sarò impopolare, ma onestamente non mi importa cosa rimpiangano gli altri e tantomeno che capiscano la natura di questo progetto. Del resto, neanche noi conosciamo fino in fondo quale sia la natura di un progetto così caotico. Mi interessa invece cosa potrei rimpiangere io, e cioè la possibilità di esprimermi liberamente come artista. Non sono più quello di dieci anni fa, e di conseguenza non lo è la musica che scrivo, sarebbe preoccupante il contrario. Sono un forte oppositore dell’applicazione della ‘formula’, e per quanto a volte sia io stesso il primo a rimpiangere la qualità delle opere prime di molti artisti, capisco la necessità di cambiare e di provare, anche quando il risultato è deludente. Per questo accetto serenamente le critiche e che ad alcuni possa non piacere il nuovo materiale.
CHI PENSATE SIA IL FAN ATTUALE DEI FLESHGOD APOCALYPSE?
Francesco Ferrini: – Chiunque ne rimanga colpito, a prescindere dai suoi gusti musicali.
DA ANNI ORMAI SIETE MUSICISTI A TEMPO PIENO. CHE IMPATTO HA AVUTO QUESTA SCELTA SULLE VOSTRE VITE? QUALI SONO I PRO E I CONTRO DELL’ITER “TOUR-ALBUM-TOUR” RICHIESTO DA QUESTA PROFESSIONE?
Francesco Paoli: – È un bel casino (ride, ndR)! Come molte altre attività libero-professionali, è un lavoro che ti impegna a tempo pieno e spesso assorbe tutte le tue energie… è difficile avere orari o fare programmi, anche solo a breve termine. Inoltre, ti tiene lontano da casa per molto tempo, sia fisicamente che mentalmente, visto che anche quando non siamo via abbiamo sempre qualcosa da fare. Inizialmente ha avuto un impatto devastante sulla mia vita privata, ridotta ai minimi termini nei ritagli di tempo tra tour, studio e sala prove… direi che trovare un equilibrio tra lavoro e vita privata è stato lo scoglio più grande per me, e forse rimane ancora la vera sfida quotidiana. Per il resto, che dire, trasformare una passione nel proprio lavoro è sempre una grande fortuna. Viaggiare così tanto, conoscere tantissima gente con abitudini ed idee diverse, affrontare situazioni spesso al limite, mi ha sicuramente reso una persona migliore. Dovessi fare un bilancio, pur considerando l’enorme quantità di bestemmie dette finora, posso assicurare che non cambierei mai la mia vita e, se fosse necessario, rimangerei tutta la merda da capo.
QUALI TOUR RICORDATE CON PIÙ AFFETTO E CHE DIFFERENZE RISCONTRATE TRA IL PUBBLICO AMERICANO E QUELLO EUROPEO? QUAL È LA CONDIZIONE PIÙ STRANA IN CUI VI È CAPITATO DI ESIBIRVI?
Francesco Ferrini: – È davvero difficile dirlo… per me probabilmente è stato il primo tour in Giappone, nel 2014. L’impatto con quel mondo, quel pubblico e, soprattutto, quella cultura così lontana e affascinante rimarrà indimenticabile. Oltretutto è il Valhalla dei nerd e io, modestamente, lo sono da sempre. Il nostro legame con le tradizioni europee, musicali e non, è probabilmente l’aspetto che più incuriosisce il pubblico americano. Si tratta di suggestioni molto lontane dal loro background e questo li affascina profondamente. Gli europei, ovviamente, hanno una mentalità molto più simile alla nostra, ma proprio per questo sono più portati a cogliere certe sfumature, grazie al nostro ‘habitat’ comune. Ricordo ancora un concerto del 2011 negli Stati Uniti, l’ultimo di quel tour. Nel pacchetto c’erano i Powerglove, un gruppo che propone cover di cartoni animati e videogame in chiave metal. Per l’ultima data decidemmo di scambiarci i costumi e così ci ritrovammo sul palco vestiti come personaggi di un arcade Nintendo. Il pubblico ci rimase di sasso (giusto per non menzionare altri materiali più malleabili). Rimane a tutt’oggi un evento unico e irripetibile nella storia dei Fleshgod, quindi pregherei chiunque trovi foto o video sul web di girarmele a frabemolle@gmail.com, grazie.
LO SCORSO ANNO SIETE STATI VITTIMA DI UN GRAVE FURTO DELLA STRUMENTAZIONE IN SVEZIA. COSA PENSATE SI POSSA TRARRE O IMPARARE DA UN SIMILE AVVENIMENTO?
Francesco Paoli: – Ben poco purtroppo. Siamo sempre stati molto attenti al nostro gear, e anche in quel caso abbiamo cercato di prendere tutte le precauzioni possibili. Purtroppo chi fa questo lavoro sa che deve fare i conti con furti, atti vandalici o smarrimenti; sono cose all’ordine del giorno. Non esistono assicurazioni che garantiscano copertura, soprattutto per merce che viaggia su mezzi privati, in paesi sempre diversi, in modi sempre diversi. A conti fatti, le poche opzioni disponibili sono sempre svantaggiose. Non esistono condizioni di completa sicurezza per i mezzi ed il loro contenuto maggiori di quelle che già richiediamo per contratto. È un rischio che va calcolato. Per questo dopo aver subito il furto non abbiamo chiesto elemosina con campagne di crowdfunding o cagate simili. Non lo trovavamo giusto o dignitoso, visto che è una cosa del genere può capitare a qualsiasi professionista. La notorietà non ti rende diverso da nessun altro. Chi ha voluto rifinanziare le nostre casse, ha potuto farlo regolarmente acquistando il nostro merch, come è giusto che sia.
FIN DOVE PENSATE DI POTERVI SPINGERE COME MUSICISTI? PENSATE DI AVER GIÀ RAGGIUNTO IL VOSTRO APICE?
Francesco Ferrini: – Credo che la crescita di un musicista, come di un qualsiasi artista, possa durare all’infinito. Basta volerlo, in fondo. Non credo che raggiungerò mai un livello in cui possa definirmi ‘arrivato’. Sono troppo curioso e ho la sensazione costante di aver scoperto appena la punta dell’iceberg. C’è così tanto da imparare, da studiare, da ascoltare che non basta una vita intera. O una manciata di dischi.
IL PROSSIMO 1 GIUGNO SARETE CO-HEADLINER DELL’EDIZIONE 2019 DEL METALITALIA.COM FESTIVAL. COSA PUÒ ASPETTARSI IL PUBBLICO DALLA VOSTRA ESIBIZIONE?
Francesco Paoli: – Sicuramente sarà uno show speciale. Tanto per cominciare sarà la prima data ufficiale dall’uscita del nuovo disco “Veleno”, suoneremo sicuramente dei brani mai fatti dal vivo e avremo una nuova produzione. E poi, si sa, suonare a casa propria è sempre particolarmente emozionante. Ho dei ricordi bellissimi della vecchia edizione a cui partecipammo, anche se sono sicuro che questa volta sarà ancora più intenso, soprattutto per me, visto che me la vivrò da frontman e non da batterista. È senza dubbio uno dei migliori festival metal mai organizzati in Italia, in un locale strafigo e con gente competente… non si può mancare!