Come abbiamo avuto modo di dire in sede di recensione, “Opera” dei Fleshgod Apocalypse non è l’ennesimo disco della band, ma mette in chiaro praticamente subito che Francesco Paoli e soci hanno una loro idea di evoluzione musicale.
“Opera” mescola infatti in maniera spontanea ed immediata molti generi, allontanando forse per sempre il baricentro musicale dei nostri dal death metal tecnico, ma regalandoci una serie di brani di altissima qualità che si muovono senza paura nel mondo del metal.
Ne abbiamo parlato con un entusiasta Francesco Paoli, soffermandoci anche spesso sullo stato di salute della nostra musica del cuore: digitale, live, promozione e… i Gojira alle Olimpiadi.
PER TUTTA UNA SERIE DI MOTIVI C’È STATA UNA LUNGA PAUSA FRA IL PRECEDENTE “VELENO” E QUESTO NUOVO “OPERA”. HAI VOGLIA DI RIASSUMERCI UN PO’ COSA È SUCCESSO NEL FRATTEMPO?
– E’ successo davvero di tutto! Ovviamente la pandemia, per prima cosa. Il disco era uscito nel 2019 e avevamo già tour programmati per tutto il 2020 che sono ovviamente saltati per i vari lockdown. Il Covid ha interrotto la vita musicale di tutti, ma soprattutto quella di artisti con un disco in promozione come noi. Il disco era davvero appena uscito. E’ stato un duro colpo anche rispetto alla motivazione e alla determinazione, visto che non si capiva nemmeno veramente bene quanto sarebbe durato questo momento di stallo. Nel 2020 abbiamo comunque fatto un live streaming e qualcos’altro, ma non c’era una vera motivazione e dei reali programmi.
Ad agosto 2021 invece, appena si vedeva un po’ di luce in fondo al tunnel, ho avuto invece un incidente sportivo io, veramente un punto di non ritorno. L’incidente, il recupero e la riabilitazione sono diventati il concept del disco nuovo. Grazie all’incidente – è buffo dirlo ma è reale – abbiamo ritrovato ispirazione sia musicale che sui testi e le storie da raccontare, io in prima persona.
E’ stata la prima volta per me in cui ho voluto parlare di questioni personali. Adesso che ho ricevuto un numero sufficiente di feedback da chi ha ascoltato “Opera”, posso dire che questo tipo di approccio è stato visto positivamente.
CI SONO DISCHI PIÙ IMPORTANTI DI ALTRI NELLA CARRIERA DELLE BAND, ANCHE SE SI RIESCE A RICONOSCERLO OVVIAMENTE A POSTERIORI. VISTO QUANTO CI STIAMO DICENDO – PER QUANTO POSSIAMO DISCUTERNE – SENTI CHE “OPERA” POTREBBE ESSERE UN DISCO DI SVOLTA E DI CAMBIAMENTO PER I FLESHGOD?
– E’ il primo disco di una seconda giovinezza. I Fleshgod sono una band che ha attraversato una evoluzione costante. Nel bene o nel male è musica sempre autentica, con relativi alti e bassi. Io lo vedo come un percorso in crescita graduale fino ad arrivare a “Veleno”.
Dopo quel capitolo sento che le cose sono ripartite da capo, in qualche modo. Tra l’altro c’è una nuova formazione, anche se non ha inciso più di tanto sulla scrittura dei brani. “Opera” è un disco che mostra tutta la maturità di una band che ormai ha quindici anni di storia, ma ha anche la freschezza di un gruppo appena nato.
In questo senso io lo percepisco davvero come un disco di svolta: molti dei feedback che ho avuto finora lo descrivono come i Fleshgod dei primi tempi, ma con le competenze e le capacità musicali di un gruppo che ormai conosce la propria fanbase e ha idea di come si costruisce un concept.
QUANDO HAI PARLATO DI “ALTI E BASSI”, RIFERENDOTI AI BASSI COSA HAI IN MENTE? PENSI A QUALCOSA DI SPECIFICO?
– Ciò che ha reso meno costante la qualità delle nostre produzioni è stato il nostro coinvolgimento, fin da subito, nell’industria musicale. E’ un ambiente che ha dei tempi e dei ritmi che non sempre vanno di pari passo con le esigenze artistiche e di scrittura. Più che errori, vedo cose incomplete nel nostro percorso.
QUINDI MAGARI CON SEI MESI IN PIÙ…
– Magari anche solo una settimana, a volte. E’ quello il grosso rammarico! Dopo tanti sforzi, mesi di lavoro, anche se il risultato non è perfetto non è pensabile non far uscire una canzone o un disco! Gestire i tempi è complicato, anche se ritengo che solo un 10% di quanto fatto non sia completamente soddisfacente. Con il tempo poi ritengo che i nostri risultati abbiano alzato continuamente il tiro.
DI FANBASE ALL’ESTERO E IN ITALIA NE VOGLIAMO PARLARE? PERCEPISCI QUESTA DISTINZIONE? STAVOLTA I RIMANDI ALL’ITALIANITÀ NELL’ALBUM SONO PARECCHI…
– Sì, è vero. Sono personalmente stanco dei pregiudizi dall’Italia verso di noi: anche se poi vengono negati, io li percepisco ancora. Quindi posso dire di essermi in qualche modo stancato e di essermi rivolto direttamente al mio Paese. Non siamo mai stati esterofili, tra l’altro, in Italia abbiamo raggiunto i risultati che potevamo raggiungere e semplicemente la band ha ottenuto maggior successo all’estero che in Italia.
E’ principalmente una questione di stile: quello che facciamo probabilmente piace di più all’estero. Poi eh, non mi pare di vedere chissà quali e quanti gruppi death metal che hanno successo in Italia e anche all’estero, mentre ci sono realtà solide che fuori dai nostri confini si muovono bene mentre qui da noi raggiungono un numero limitato di persone.
Il nostro percorso è stato analogo a quello di molti altri gruppi, comunque, non siamo né i primi né gli ultimi. Nella nostra musica ci sono sempre stati elementi tipici della nostra cultura: l’opera, la teatralità, il concerto come performance musicale a tutto tondo quindi non vedo perché se i Rammstein sono fieri della loro germanicità tanto quanto finlandesi, svedesi e norvegesi, perché non possiamo esserlo noi? Il metal che viene dai paesi mediterranei non vale meno del ‘true Norwegian black metal’ o dello ‘Swedish death metal’.
Il metal italiano vale come quello anglosassone: abbiamo storie diverse, magari nel nostro percorso siamo strutturalmente più indietro, ma ci arriveremo. La dignità del nostro metal è la stessa!
PORTARE SUL PALCO UNO SPETTACOLO COME IL VOSTRO NON È SEMPRE SEMPLICE. SUONARE SOTTO IL SOLE, AVERE SLOT E PALCHI RIDOTTI… NON PROPONETE MUSICA COSÌ IMMEDIATA DA ASSIMILARE CHE FUNZIONA IN QUALSIASI SITUAZIONE, A QUALSIASI ORA DEL GIORNO O CON QUALSIASI ALLESTIMENTO DI PALCO. TI PONI MAI IL PROBLEMA QUANDO COMPONI?
– No. E’ un bene ed un male allo stesso tempo. La musica viene prima di tutto. Il percorso è stato travagliato, lo ammetto, soprattutto liricamente, dove io ho appena fatto un disco in cui racconto le mie fragilità, le mie paure e anche la mia voglia di mollare in alcuni momenti. E’ tutto molto spontaneo ciò che esce dai Fleshgod Apocalypse. Non mi pongo mai il problema di ‘ciò che sarà’.
La musica che abbiamo voluto creare si è sempre portata dietro altri ambiti dello spettacolo, come il teatro: non ne abbiamo mai visto i limiti ma piuttosto le possibilità per creare qualcosa di nuovo. “Opera” porterà con sé un grande salto in avanti a livello di produzione dei live-shows e si è già visto con i videoclip e il set fotografico.
Non pensiamo mai se suoneremo alle tre del pomeriggio al Metal Park o a mezzanotte a Wacken. E’ un dato di autenticità, in fondo. E’ tutto parte di un’avventura , è parte del gioco.
VEDI IL FUTURO DELLA MUSICA CON PIGLIO POSITIVO O NEGATIVO? STIAMO PASSANDO ATTRAVERSO RIVOLUZIONI CONTINUE: IL DIGITALE, LA ‘MORTE’ DEL FISICO, I CAMBIAMENTI ALL’INDUSTRIA DEI LIVE DOPO LA PANDEMIA…
– L’industria è sicuramente cambiata e sono cambiate le dinamiche e le opportunità per la musica. Noi, anagraficamente parlando, siamo tra gli ultimi della vecchia generazione ed abbiamo avuto ancora la possibilità di crescere insieme ad una etichetta sfruttando le possibilità che ci sono state date. Ora riconosco che molte cose siano diverse. Si partiva dal garage e si cresceva, più o meno organicamente, mentre oggi sembra che per fare musica in futuro in maniera professionale sia necessario avere successo immediato.
Di conseguenza c’è un impoverimento della qualità della musica e non parlo della crisi dei formati. Parlo invece di qualità: sembra quasi che i gruppi debbano riuscire a trovare una quadra subito per avere successo, altrimenti non diventa sostenibile economicamente. Questo sembra essere, a mio modo di vedere, il cambiamento più importante. Il fisico non farà più i numeri di una volta, vero, ma vedo che cinquecento copie di pre-order del vinile le abbiamo fatte fuori abbastanza velocemente. Spotify e le altre piattaforme non pagheranno molto, altrettanto vero, ma offrono un’esposizione notevolissima che poi si capitalizza in altri settori, come il pagamento che può essere chiesto ai concerti.
Non saranno più gli anni Ottanta ma chi ha voglia di fare, riesce ancora a fare! Riguardo alla digitalizzazione, fino all’uso dell’AI, ogni volta che c’è stata una rivoluzione nel settore della musica, sembrava che tutto sarebbe finito. Non sono proprio d’accordo, la parte strettamente artistica sarà sempre insostituibile. Un live streaming di un concerto non sarà mai l’esperienza live reale. Un mondo reale sarà sempre superiore ad un mondo ‘simulato’, se mi passi i termini.
TI SEI MAI SENTITO IMPREPARATO AD AFFRONTARE GLI STUDI DI REGISTRAZIONE E LE ESPERIENZE DA STUDIO? C’È STATO UN MOMENTO IN CUI TI SEI SENTITO DAVVERO ‘AL TIMONE’?
– Tecnicamente, per quello che avrei dovuto fare in studio, mi sono sentito adeguato in ogni esperienza da studio. Da un punto di vista emotivo e di contributo artistico invece – che è ben diverso dalla scrittura della musica in pre-produzione – non sarò mai completamente al timone perché ogni volta provo a fare qualcosa che fino a quel momento non ho mai fatto.
L’introduzione della voce pulita, lo scream più o meno alto, la registrazione del basso… è sempre stato così. Ogni esperienza da studio è stata una sfida e mi sono misurato con competenze che non sapevo se avrebbero funzionato.
E’ psicologicamente distruttivo, una sorta di masochismo (ride, ndr) ma è il mio modo di affrontare la musica dei Fleshgod. Quando compongo lo faccio nel modo più dettagliato possibile, in modo da non avere sorprese durante le registrazioni, mentre per esempio per le voci sperimento sul momento e cerco di imparare approcci che finora non erano ‘miei’. “Opera” vocalmente è un nuovo test: sto imparando proprio ora, prova dopo prova, a cantare in un determinato modo. Essere sempre al timone di tutto non è proprio stimolante: fa troppo comfort zone (ride, ndr).
NON SENTI IL BISOGNO DI ESPRIMERTI ARTISTICAMENTE IN ALTRI MODI, PROPRIO ADESSO CHE I FLESHGOD SONO PIENI DI INFLUENZE DA GENERI DIVERSI? NON SCRIVI SOLO DEATH METAL…
– No, ma è esattamente per il motivo che dici tu. I Fleshgod vanno da una ballad acustica ai growl e ai blastbeat estremi. Da un certo punto di vista sono sempre stato poco rispettoso del mio pubblico, perché ho sempre fatto quello che volevo e sempre sotto il nome Fleshgod. Ho sempre pensato “perché no?” e “A chi devo rendere conto, poi?”. I generi che non ho affrontato finora, probabilmente non mi appartengono così tanto da essere suonati, semplicemente.
QUESTO È UN DISCO DI SINGOLI FORTISSIMI. ORMAI MOLTI GRUPPI FANNO USCIRE PRATICAMENTE TUTTO IL DISCO UN PEZZO ALLA VOLTA, FINO QUASI A RENDERLO PRATICAMENTE TUTTO EDITO, QUANDO ESCE IN FORMATO FISICO. CHE NE PENSI DI QUESTE STRATEGIE PERSONALMENTE?
– La campagna promozionale è gestita dalla label, quindi sono loro a decidere come muoversi. E’ sicuramente mutato il metodo classico, ma una volta si sentiva un singolo su dodici pezzi, mentre nel nostro caso arriveremo ad avere grosso modo mezzo disco edito, fino al momento della release date ufficiale.
In questo caso però, “Opera” resta un concept con una storia e secondo me merita di essere sentito tutto, anche per apprezzarne le differenze e le sfumature al suo interno.
VUOI DIRE QUALCOSA DEI GOJIRA ALLE OLIMPIADI? SE LE OLIMPIADI FOSSERO STATE IN ITALIA PIÙ DI QUALCUNO HA SUGGERITO CHE POTRESTE ESSERE STATI VOI AD ESIBIRVI ALLA CERIMONIA DI APERTURA O CHIUSURA…
– Il fatto che i Gojira abbiano preso parte ad un evento simile è uno dei segnali più importanti che potevamo avere come community metal. Al di là che siano più o meno estremi, più o meno metal, è musica che è nata underground, è cresciuta e ha finalmente il rispetto che merita. Il fatto che i Gojira siano stati trattati come Lady Gaga vuol dire che il movimento metal riceve finalmente il rispetto che merita. Noi siamo i più bravi di tutti a fare musica e siamo stati considerati spesso secondari perché in termini di numeri la musica è meno fruibili.
E’ per me clamoroso ed è un grande momento. Detto questo, i Fleshgod devono andare alle Olimpiadi invernali perché io sono un grande fan degli sport invernali e devo assolutamente esserci! (Ride fragorosamente, ndr).
Capisco che a qualcuno possa non piacere che alcune band dall’underground possano entrare nel mainstream, ma se non succede così, l’underground a lungo andare cessa di esistere e scompare! Il fatto che ad Umbria Jazz venga invitato Lenny Kravitz spiega molto bene la logica. Se io porto numeri in un evento in teoria dedicato alla musica di nicchia, offro spazio e risorse alla musica di nicchia.
Se invece organizzo il mio Umbria Jazz superintegerrimo e superintegralista, dopo una decina di anni avrò un evento pronto a scomparire. I Gojira hanno fatto il bene di tutte le micro band black metal che suonano in garage con tre like sui social, perché hanno dato lustro ad un genere e quei tre like se diventeranno dieci, lo diventeranno anche per i Gojira.