FORGOTTEN TOMB – Nel segno del dolore

Pubblicato il 10/08/2024 da

Il nuovo “Nightfloating” ci ha consegnato dei Forgotten Tomb a metà strada tra nostalgia per i tempi andati e la consueta voglia di guardare avanti. Un disco con qualche spunto che rimanda agli esordi e ai classici depressive black metal di una volta, ma al contempo pieno di commistioni inusuali, con una tracklist estremamente variegata e capace di sorprendere a ogni episodio.
Del resto, i Forgotten Tomb sono diventati una band nota anche per la loro capacità di evolversi e innovare nel corso degli anni: in questo caso, i tipici temi di malinconia, alienazione e introspezione cari al gruppo di origine emiliana sono stati filtrati attraverso trame musicali che non hanno paura di recuperare del vecchio black metal norvegese, così come di flirtare con il metal classico in certi assoli o di sperimentare con il dungeon synth in una traccia come la strumentale “Drifting”.
In questa nuova intervista con il leader Ferdinando ‘Herr Morbid’ Marchisio andiamo a esplorare il processo creativo dietro le nuove canzoni, le sfide affrontate durante la realizzazione dell’album, ma anche e soprattutto le riflessioni su una carriera che proprio quest’anno ha spento le venticinque candeline.
Senza ulteriori indugi, entriamo nell’affascinante oscurità dei Forgotten Tomb con il loro chitarrista/cantante…

“NIHILISTIC ESTRANGEMENT” È USCITO IN PIENO PERIODO COVID: PENSI CHE LA SUA PROMOZIONE NE ABBIA UN PO’ SOFFERTO? COME VEDI OGGI QUEL DISCO? PERSONALMENTE PENSO CHE BRANI COME “ACTIVE SHOOTER”, LA TITLE-TRACK E “RBMK” SIANO INVECCHIATI BENE, RIASCOLTANDOLI OGGI.
– Il disco mi piace ancora, trovo che sia uscito come doveva uscire, era un album senza troppi ragionamenti dietro, molto ‘rock’ nell’approccio, ma pur sempre black metal nell’attitudine e in certe soluzioni. Mi piace molto la produzione, come è normale che sia dato che l’avevo curata personalmente, con scelte molto precise e un approccio “vintage” e analogico nei limiti del possibile; credo abbia giovato al disco. Dal vivo continueremo a proporre almeno uno o due brani del disco perchè funzionano molto bene.
Il periodo Covid per certi versi ha aiutato la promozione del disco, dato che c’erano meno uscite e la gente era perlopiù chiusa in casa la maggior parte del tempo, quindi ha goduto di una certa attenzione. Il problema è stato ovviamente per la parte live, dato che nel 2020 avevamo già in fase di organizzazione un tour europeo, un tour americano, il Quebec Death Fest (che ad oggi credo non abbiano più ripreso) e altre cose e nessuno di questi è stato poi recuperato.
Il riuscire a riprendere le attività live a pieno regime per noi è stata molto dura, un processo del quale vediamo finalmente i risultati quest’anno, dato che abbiamo parecchie cose già confermate e altre in cantiere a riguardo.

VI SIETE PRESI IL VOSTRO TEMPO PER TORNARE CON UN NUOVO ALBUM, QUALI STEP AVETE SEGUITO DAL 2020 A OGGI? COME AVETE TRASCORSO QUESTI QUATTRO ANNI? AVETE COMPOSTO LENTAMENTE O IL SONGWRITING SI È CONCENTRATO SOLTANTO IN UN DETERMINATO PERIODO?
– Durante il Covid, oltre alla promozione del disco precedente (nei limiti del possibile), ognuno nella band si è preso del tempo per lavorare ai propri side-projects. La delusione per i tour saltati e una serie di seccature che si protraevano da tempo hanno un po’ smorzato gli entusiasmi e io stesso non ero nemmeno sicuro di voler fare un altro disco, almeno fino a quando non si fosse vista una fine a tutta la faccenda Covid.
Ho dovuto risolvere una serie di beghe burocratiche e mi sono concentrato sulla nostra legacy, per così dire, per sistemare alcune questioni relative ai diritti sul catalogo FT, quelli sul digitale e via dicendo, e devo dire che è stato un processo sfiancante anche se necessario. Per una disillusione nei confronti della scena attuale e dell’ambiente discografico in generale non ero comunque convinto di fare un altro disco e tecnicamente il nostro contratto con Agonia Records era comunque esaurito.
Nel 2022 ho avuto anche varie cose da affrontare nella vita privata, positive e negative, che hanno dovuto avere la priorità su tutto. Alla fine, nel 2023 ho ricominciato a scrivere del materiale e dopo lunghe trattative ho firmato di nuovo con Agonia per questo disco, così ho completato i brani in pochi mesi e ci siamo buttati direttamente in studio.
È un disco che ho scritto quasi tutto ‘a mente’, mi venivano in mente dei riff o delle melodie e li registravo a voce o con una chitarra acustica sul telefono, poi riprendevo queste idee in un secondo momento e le completavo, registrando le demo complete dei brani come faccio sempre. Alex, il nostro bassista ha contribuito con metà del brano “Unsafe Spaces”, mentre io ho scritto tutto il resto, oltre ai testi. Jöschu ha contribuito con qualche solo.
È un album fresco perchè è stato scritto e registrato quasi tutto in un breve periodo, tolta qualche idea che avevo in archivio da tempo. La produzione è stata impegnativa e ce ne siamo occupati principalmente io e Alex insieme al nostro fonico da studio Daniele Mandelli.

“NIGHFLOATING” È UN ALBUM DECISAMENTE VARIO: A LIVELLO STILISTICO SI PASSA DA SPUNTI TRADIZIONALI A QUALCHE ESPERIMENTO. IN GENERALE, SEMBRA PRENDERE LE DISTANZE DA QUANTO FATTO NEGLI ULTIMI LAVORI, SE NON ALTRO PERCHÉ LA COMPONENTE DOOM/SLUDGE ESPLORATA IN CERTI DISCHI SEMBRA QUI ESSERE STATA RIDOTTA PER TORNARE A UN SUONO COMPLESSIVAMENTE PIÙ MELODICO. SEI D’ACCORDO?
– Non c’è mai un’idea fissa su come sarà un nuovo disco di FT, di solito mi baso sull’ispirazione del momento, tuttavia a questo giro nella band si avvertiva il desiderio di tornare a un suono più ascrivibile alla sfera black metal, per cui ho cercato di non deviare eccessivamente da quella direzione. Pur mantenendo sempre il nostro trademark, negli anni abbiamo sperimentato varie soluzioni e a me piacciono tutti i dischi che abbiamo fatto, anche quelli più ‘inusuali’, per così dire, ma stavolta avevo voglia di ricongiungermi maggiormente alle radici della band, pur in una chiave attuale.
Non mi piacciono i dischi ‘revival’, trovo che non funzionino mai e suonino spesso posticci, quindi va bene riprendere maggiormente certe soluzioni, ma secondo me vanno sempre reinterpretate secondo l’esperienza accumulata in carriera.
È certamente un disco più black metal e meno doom/sludge, più vicino al suono ‘classico’ della band, anche se permangono retaggi più rock e dark-wave, perchè ci sono sempre stati fin dal primo disco. È in generale un album più melodico degli ultimi, ma trovo sia piuttosto compatto come stile, pur avendo varietà e alcuni elementi molto più evidenti del solito, come i soli di chitarra che ci siamo scambiati io e Jöschu su brani come “A Chill That You Can’t Taint” e “Unsafe Spaces”, a richiamare un po’ certi ‘guitar duo’ del metal classico.

LA TITLE-TRACK E “A CHILL THAT YOU CAN’T TAINT”, IN PARTICOLARE, SEMBRANO RIMANDARE AL PERIODO “UNDER SATURN RETROGRADE” / “… AND DON’T DELIVER US FROM EVIL”. LE PERCEPISCI ANCHE TU COSÌ?
– La title-track la trovo più vicina alle nostre prime cose, a partire dal riff iniziale con quel tempo di batteria, che è decisamente classico di FT, o il finale con lo stacco acustico e poi le twin-guitar tipiche del nostro stile. “A Chill…” può ricordare alcune cose di “Under Saturn Retrograde” per l’andamento abbastanza rock, ma tecnicamente è un brano molto più complesso, con alcune soluzioni di chitarra piuttosto elaborate e anche uno scambio di veri e propri soli tra me e Jöschu, come accennavo prima.
Come ogni disco di FT, trovo sia diverso dai precedenti e non troppo paragonabile, anche se direi che a tratti può ricordare alcune cose dei nostri primi due album per le atmosfere più black metal e malinconiche, così come qualcosa dal nostro periodo ‘centrale’, per il tiro più rock e per certe soluzioni melodiche. Ha anche alcuni punti di contatto col precedente “Nihilistic Estrangement”. Trovo che comunque suoni FT al 100%, è forse il disco più vicino al nostro sound ‘classico’ da parecchi anni a questa parte.

DA DOVE DERIVA INVECE UNA TRACCIA COME “DRIFTING”? COME MAI AVETE DECISO DI INCLUDERE QUESTA PARENTESI DUNGEON-SYNTH NELLA TRACKLIST?
– Questo è uno di quei brani che avevo in archivio da una vita: l’avevo originariamente scritto su una chitarra acustica ancor prima della formazione di FT, credo intorno al ’97/’98, per nessun progetto in particolare. Ho sempre accumulato un sacco di materiale diverso, ho archivi pieni di cose che a volte decido di recuperare in un determinato momento perchè prima non avrei saputo dove inserirle.
Per farti un paio degli esempi più eclatanti, “Joyless” (da “Under Saturn Retrograde” del 2011) nella sua interezza era stata scritta addirittura appena dopo “Love’s Burial Ground”, nel 2005! O il riff finale di “Negative Megalomania” (2007), quello col tapping, era stato scritto nel ’97.
Tornando a “Drifting”, ho trasposto sui synth quelle melodie che avevo scritto all’epoca, utilizzando volutamente i suoni di sintetizzatori degli anni ’90 come la Casio CZ-5000 e altri della Alesis o Kawai. Volevo ricreare il feeling di quegli anni, dato che i primi esperimenti dungeon-synth si affidavano a questo genere di mezzi e anche perchè, avendo scritto la melodia in quel periodo, l’ho sempre avuta in testa con quegli specifici suoni.
È stato un rischio, non so se piacerà o meno, ma quando l’ho sottoposta agli altri della band me l’hanno promossa tutti, quindi abbiamo deciso di includerla. L’ho specificatamente messa prima di “A Despicable Gift” perchè trovo che funzioni benissimo con l’inizio di quel brano, crea un effetto molto ‘burzumiano’.

“A DESPICABLE GIFT” È POI UNA COMPOSIZIONE MOLTO ARTICOLATA, CON ALCUNE SOLUZIONI CHE MI HANNO APPUNTO RIMANDATO A CERTA VECCHIA SCUOLA BLACK METAL NORVEGESE. È UN ALTRO ESEMPIO DELLA VARIETÀ DI QUESTO DISCO.
– Come dicevo, l’inizio del brano ha quel feeling un po’ ‘burzumiano’, poi c’è uno stacco più rock, un po’ alla Danzig, per poi tornare su lidi più black metal.
Ma è un brano di undici minuti che contiene tante cose, un vero e proprio viaggio; c’è persino uno stacco atmosferico quasi ‘pinkfloydiano’ verso il finale, dove sono riuscito anche stavolta a inserire una slide-guitar, che sfocia in un bell’assolo di Jöschu.
È decisamente uno dei miei brani preferiti del disco e trovo sia una buona fotografia di quello che è FT oggi e di quello che la band è in grado di creare; questo mix di elementi è una nostra prerogativa e trovo che “A Despicable Gift” sia un bel biglietto da visita, anche se non l’abbiamo scelta come singolo per via della durata importante. Potrebbe essere anche un ottimo punto di partenza dal quale sviluppare il prossimo disco, anche se è prematuro parlarne adesso. Da qualche anno, parto sempre dal presupposto che ogni disco che facciamo potrebbe essere l’ultimo, non dò nulla per scontato e nemmeno gli ascoltatori dovrebbero farlo.

COME SIETE SOLITI VALUTARE LA QUALITÀ DELLA VOSTRA MUSICA OGGIGIORNO? QUALI PARAMETRI AVETE IN TESTA QUANDO SI TRATTA DI DECIDERE SE UN BRANO È DEGNO DI FINIRE SUL DISCO O MENO?
– Ho sempre mantenuto gli stessi parametri: non scrivo quando non ho ispirazione e non scrivo più materiale di quello necessario per un disco. I riff inutilizzati che finiscono ‘in archivio’, semplicemente sono materiale che in quel momento non si riesce ad agganciare a quello in produzione, e quindi viene accantonato temporaneamente fino a quando tornerà utile. Come accennavo prima, a volte anche molti anni dopo.
Ma non sono di quelli che scrivono quindici pezzi e ne scelgono sei: io ne scrivo sei dove non c’è nulla da scartare. Facciamo dischi con sei-sette brani di solito, quindi non voglio ci siano filler. Preparo delle demo complete dei brani già arrangiati e le sottopongo agli altri della band, ma generalmente quando propongo qualcosa è perchè so già che è degno di finire sul disco.
È più unico che raro che si discuta se includere un brano o meno. A seconda dei dischi, a volte qualcuno della band contribuisce con alcuni riff che si sposano stilisticamente con quanto già scritto da me, o che può offrire qualche sfumatura differente e quindi unisco le cose e curo tutti gli arrangiamenti finali.

CON “NIGHTFLOATING” CELEBRATE VENTICINQUE ANNI DI ATTIVITÀ. IN PRINCIPIO TI ERA MAI CAPITATO DI IMMAGINARE CHE AVRESTE AVUTO UNA CARRIERA TANTO LUNGA?
– Non mi sono mai posto neanche il problema. In vari frangenti della mia vita non sapevo neanche se sarei arrivato vivo al giorno dopo, quindi non pensavo troppo al futuro. Ci sono certamente state alcune occasioni nell’arco della carriera nelle quali ho fantasticato sull’idea di smettere, più che altro per una mia insofferenza a certe dinamiche malate della scena e dell’ambito discografico, ma tutta la negatività che ho assorbito paradossalmente mi ha sempre portato avanti.
Capita sempre che vedo qualcosa o qualcuno che mi ricorda la promessa che ho fatto a me stesso, quella di non smettere fino a quando non vedrò sepolta tutta la gente che ha cercato di osteggiarmi in un modo o nell’altro.
Forgotten Tomb è stata l’unica costante della mia vita, non ho mai avuto un piano B, cerco di non fermarmi nemmeno a pensare perchè lo faccio. Mi prendo delle pause, ma non smetto mai veramente di lavorare alla band, in un modo o nell’altro. C’è sempre stato anche un po’ uno spirito di rivalsa, che credo sia una delle cose comuni che ha tenuto insieme il fulcro della line-up per così tanti anni.
Siamo gente che fa musica, tutta la nostra vita gira intorno a quello, il resto è un contorno. Da quando ho diciannove anni, questa band è la prima cosa a cui penso quando mi sveglio e l’ultima prima di andare a dormire.

SE DOVESSI SCEGLIERE IL MOMENTO PEGGIORE E IL PICCO DI QUESTO ORMAI LUNGHISSIMO PERCORSO, COSA MENZIONERESTI?
– Il migliore probabilmente è stato quello tra il 2011 e il 2013, perchè è quando il valore della band è stato riconosciuto a livello più ampio e di conseguenza abbiamo suonato davvero molto e ovunque, con partecipazioni anche a grossi festival come Hellfest ed altri; venivamo continuamente contattati per suonare e non avevamo nemmeno un’agenzia di booking, abbiamo sempre fatto tutto da soli.
Di momenti brutti ce ne sono stati diversi, sicuramente quello che ha coinciso con il mio grave incidente d’auto a fine 2016 e che ha sospeso le registrazioni di “We Owe You Nothing” per mesi, oltre a dover cancellare il relativo tour. Anche i tour saltati per il periodo Covid sono stati una grossa delusione.
Ci sono state tante delusioni nell’arco di vita della band, o momenti in cui c’erano pochi live e poche soddisfazioni. È una ruota che gira, non puoi essere sempre al top. Vedo spesso molte band più giovani che al primo traguardo si montano la testa, ma per reggere sulla distanza bisogna mettere in conto anche che le cose non vanno sempre così, specialmente nel mondo attuale, e spesso non dipendono nemmeno dall’impegno che ci metti o dalla qualità di quello che proponi.

HAI DEI RIMPIANTI? PENSI CHE AVRESTE POTUTO OTTENERE QUALCOSA IN PIÙ A LIVELLO DI POPOLARITÀ? DOPO TUTTO, ALCUNE VOSTRE CANZONI HANNO UN TAGLIO MELODICO, SE NON ADDIRITTURA ORECCHIABILE, CHE AVREBBE POTUTO APRIRVI QUALCHE PORTA VERSO GIRI MENO UNDERGROUND.
– Senza girarci troppo attorno, credo che FT sia una band parecchio sottovalutata, o quantomeno poco celebrata, anche se poi a ben vedere abbiamo fatto tante delle stesse cose e degli stessi numeri – se non di più – di altre band più blasonate e magari con più esposizione mediatica di noi. Per qualche motivo, spesso non ci vengono riconosciuti i traguardi raggiunti, quasi a voler costantemente cercare di sminuire l’influenza che abbiamo avuto su una determinata scena e la mole di lavoro che abbiamo fatto in tutti questi anni.
Per fortuna non è sempre così, abbiamo anche ricevuto riconoscimenti importanti e attestati di stima da una parte della scena e da personaggi di rilievo, ma spesso ci siamo trovati a doverci far rispettare, con le buone o con le cattive. Non credo comunque che il tipo di melodia che abbiamo debba coincidere per forza con un maggior successo commerciale: rimaniamo una band con concetti molto estremi e poco incline a compromessi e a tutto l’aspetto ‘social’ in voga oggi, così come ai vari orpelli scenici, per cui è difficile entrare – o rimanere – in certi meccanismi e situazioni più generaliste.
Siamo un gruppo che comunica solo quando c’è qualcosa da comunicare, non siamo né intrattenitori, né gente che “se la canta e se la suona” a ogni pie’ sospinto. Anche l’humus culturale di questi ultimi dieci anni non ci ha certo aiutato, specialmente in determinati paesi e in contesti più grossi.
È chiaro che in retrospettiva ci sono sempre cose che avresti gestito diversamente e con un’altra attitudine, ma sono robe che si imparano con l’esperienza e con l’età, specialmente per gente come noi che comunque è cresciuta senza grossi riferimenti nell’ambiente, con esempi molto diversi da quelli di oggi e senza alcun aiuto da parte di nessuno.
Ad ogni modo, la nostra carriera non è certo finita, quindi è giusto fare bilanci ogni tanto ma penso ci sia ancora spazio per un’ulteriore crescita, anche se ovviamente a quarant’anni passati non ti aspetti certo di diventare una rockstar.

DOMANDA PROBABILMENTE DIFFICILE, MA QUALI SONO LE TRE CANZONI DEI FORGOTTEN TOMB ALLE QUALI TI SENTI PIÙ LEGATO E PERCHÉ?
– È una domanda a cui non sono in grado di rispondere, un po’ per la mole di brani e un po’ perchè ogni disco ha rappresentato una fase della mia vita, con i suoi avvenimenti peculiari. Probabilmente direi qualcosa dei primi tre dischi, perchè mi ricordano quando ero giovane e le emozioni si vivevano più intensamente. Mi fanno riflettere sul tempo che è passato troppo in fretta e su quanto sono cresciuto, per certi versi; mi riportano a sensazioni che non proverò più e a un’epoca che non esiste più. Ci sono però altri brani più recenti che hanno significato molto per me.

AL DI LÀ DI FORGOTTEN TOMB, È ORMAI PIUTTOSTO NOTO IL TUO IMPEGNO NEL GRUPPO SLUDGE/DOOM FORMALIST, MENTRE SI SA MENO DEI MACABRE IDOLATRY. QUESTO È UN PROGETTO DEATH METAL CHE HAI AVVIATO PIÙ DI RECENTE. TI VA DI PARLARCENE?
– Fin da quando ero un teenager, ho sempre voluto fare una band death metal e ci ho provato varie volte, ma per un motivo o per l’altro o mancava la gente giusta, o dovevo scendere a compromessi stilistici; nell’età adulta poi ho sempre lavorato a FT e ho fatto pochi side-project. Finalmente nel periodo del Covid ho avuto tempo di dedicarmi a questa mia passione mai sopita e ho fondato Macabre Idolatry, occupandomi di tutti gli strumenti tranne della batteria, suonata da Jöschu, il chitarrista di FT.
Adesso si direbbe che è ‘old school death metal’ circa 1987-1992, ma per me che sono cresciuto nei 90’s è semplicemente l’unico modo in cui mi piace suonarlo, anche a livello di suoni prettamente analogici e di attitudine oscura. Abbiamo registrato quello che – in altri tempi – sarebbe stato un 7″ autoprodotto; è uscito invece in digitale nel 2022 su Bandcamp e sui vari canali, ma è solo un antipasto dell’album che verrà. Al momento stiamo finendo le registrazioni, alle quali abbiamo lavorato molto, speriamo di trovare un modo per farlo uscire in maniera degna l’anno prossimo.
Sono cosciente che è in corso un revival del genere e che l’ambiente è piuttosto affollato, ma credo che il materiale sia molto buono e che il disco avrà qualcosa da dire. Penso si noteranno alcuni elementi tipici del mio modo di scrivere e di suonare la chitarra, specialmente a livello solista.

QUALI SONO ORA I VOSTRI PIANI PER IL FUTURO? SUONARE LIVE IL PIÙ POSSIBILE O FARE IN MODO DI LASCIAR TRASCORRERE MENO TEMPO PRIMA DEL PROSSIMO ALBUM?
– Al momento abbiamo confermate parecchie date live da Agosto fino a fine Novembre, tra cui un tour europeo insieme ai Nocturnal Depression e un mini-tour in Kazakistan, Kirghistan, Georgia e Turchia; abbiamo anche un paio di date italiane ed altre in fase di conferma, sia per quest’anno che per i primi mesi del 2025. Credo che per le mosse successive molto dipenderà dal successo del disco: è chiaro che quando c’è interesse attorno alla band anche per noi c’è più entusiasmo e voglia di fare le cose, quindi magari per il disco dopo bisognerà attendere meno; di questi tempi però è meglio prendere la vita giorno per giorno e vedere cosa succederà.

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