I Furor Gallico sono una band che da sempre raccoglie consensi ed è stata in grado, sin dagli esordi, di crearsi una fedele fan-base grazie ad una costante presenza sul palco e pubblicando lavori in studio qualitativamente sempre più validi. “Dusk Of The Ages” si pone come il disco della consacrazione stilistica e lirica dei Nostri. Dalle ballate scanzonate degli esordi, dal sapore tipicamente folk, ad un metal più complesso ed articolato sottolineano una maturazione personale e musicale della band. Siamo quindi tornati a fare una chiaccherata con questa realtà in ascesa nel panorama underground parlando del nuovo lavoro, della loro crescita (musicale e non) e di altro ancora.
ANCHE PER QUEST’ALBUM VI SIETE FATTI ATTENDERE! È PERCHÉ AVETE BISOGNO DI QUESTO TEMPO PER FARE LE COSE COME VOLETE VOI (QUINDI CI DOBBIAMO ADATTARE A QUESTE TEMPISTICHE) O C’È STATO QUALCHE INTOPPO DURANTE LA REALIZZAZIONE DI “DUSK OF THE AGES”?
– Nessun intoppo! In un primo momento c’è voluto un naturale periodo di assestamento per la nuova formazione, molto rimaneggiata rispetto a quella che ha composto e registrato il precedente “Songs From The Earth”. Dopodiché ci siamo presi il tempo che ritenevamo necessario per dare ai nostri fan un prodotto di qualità superiore. Le regole del mercato moderno sono cambiate molto rispetto al passato: quindici anni fa se passavano quattro anni tra un album ed un altro non erano un’eternità come ora! Semplicemente, non abbiamo voluto fare le cose di fretta ed abbiamo curato nella maniera più minuziosa possibile ogni singolo passaggio, dal songwriting all’arrangiamento.
NEL DISCO PARTENDO DALL’ARTWORK NOTIAMO UNA VENA COMBATTIVA CHE FA DA CONTRALTARE AD UNA EMOZIONALITÀ PIÙ MARCATA RISPECCHIANDOSI ENTRAMBE NEI NUOVI BRANI. COSA PUOI DIRCI DELLE LIRICHE E DEI TEMI DI QUESTO LAVORO? DA DOVE TRAGGONO ISPIRAZIONE?
– Quando abbiamo cominciato a lavorare ai nuovi brani abbiamo voluto ispirarci agli elementi (terra, aria, fuoco e acqua) che sono essenziali della cultura celtica e non solo. Non si tratta di un concept, quindi, ma una sorta di filo conduttore che ritorna in tutti i pezzi. Così, per esempio, abbiamo nel disco canzoni legate all’acqua come “Waterstrings”, ispirato alle antiche leggende irlandesi dei viaggi per mare (reali sì, ma mezzi anche di rinnovazione spirituale), o “Aquane” ch’è retaggio di tradizioni alpine che narrano di ninfe delle sorgenti. “The Phoenix” è chiaramente legata al fuoco ed al concetto di morte e rinascita. “Nebbia Della Mia Terra” invece è dedicata alla terra ed al contatto con essa. Anche l’aria è presente: “Canto D’Inverno” evoca lo spirito femminile dell’inverno e della neve mentre “The Gates of Annwn” è un’invocazione al ritorno dell’orda selvaggia della caccia morta, tema a noi caro e che abbiamo voluto riprendere anche come soggetto della copertina. Gli elementi si manifestano in diversi modi, caratteristica a cui ci siamo ispirati nel comporre i pezzi più battaglieri od intimistici come appunto “The Gates Of Annwn” e “Canto D’Inverno”. Ci dicono che alcuni brani sono quasi delle poesie e non potremmo che essere soddisfatti delle diverse atmosfere che abbiamo creato.
A PROPOSITO SEMPRE DEL COMPARTO LIRICO: LE VOCI, SPECIE QUELLA DI DAVIDE PIÙ COMPLETA E VERSATILE, IN “DUSK…” FANNO LA DIFFERENZA. LE LINEE E GLI STILI
SCELTI SONO FIGLI UNA MATURAZIONE ARTISTICA PERSONALE O RIENTRANO NEL LAVORO D’ARRANGIAMENTO?
– Le scelte stilistiche vocali sono frutto di entrambi i punti da te citati. Col passare degli anni, come è giusto che sia, si cresce e si va incontro a quella che tu hai giustamente definito maturazione personale. Ci si conosce meglio e s’ impara sempre più a mettere sul tavolo tutte le proprie carte. Il tutto condito con la maturazione anche della band, che in fase di scrittura ed arrangiamento dei brani non ha lasciato nulla al caso, dando molta più libertà di espressione vocale.
RIMANENDO SUL DISCORSO DELLA MATURITÀ, LA SI PUÒ NOTARE IN TUTTO IL DISCO, L’AVETE RISCONTRATA ANCHE VOI NEL PROCESSO DI COMPOSIZIONE? NEL SENSO: VI SENTITE PIÙ ‘CRESCIUTI’ COME PERSONE O COME MUSICISTI?
– Sono cambiate diverse teste in fase compositiva ed il risultato è frutto di un approccio più serio e professionale. Col passare degli anni cambiano anche le ambizioni… non ci siamo dimenticati dell’aspetto ludico della cosa, ovviamente, ma rispetto ai lavori precedenti tutti noi ci siamo posti in maniera più seria non accontentandoci subito del primo risultato! La maturazione personale e musicale in questo mondo è un tutt’uno. Crescendo umanamente si apprezzano nuovi aspetti musicali. Dunque ciò che mi sento di dire è che siamo cresciuti sia come persone che come musicisti, non ci troviamo molte differenze.
INVECE A LIVELLO STRUMENTALE IL MIX CHE VI CARATTERIZZA DA SEMPRE È STATO RESO PIÙ ETEROGENEO EPPURE IL RISULTATO È PIÙ UNIVOCO STILISTICAMENTE PARLANDO, PUÒ ESSER QUESTA LA VERA NATURA MUSICALE DEI FUROR GALLICO?
– Esattamente. Abbiamo cercato di mettere più influenze possibile prendendo spunto dai background di tutti noi. Con l’obiettivo però di rendere il tutto più omogeneo possibile all’ascolto senza perdere di vista il trademark della band. Speriamo di esserci riusciti e da quello che dici, oltre che dalle recensioni che stiamo ricevendo, sembra che il messaggio che volevamo dare sia stato colto appieno.
SAPPIAMO DEL TOUR CHE VI PORTERÀ IN GIRO PER L’ITALIA A PROMUOVERE IL NUOVO LAVORO, VUOI DIRCI QUALCOSA IN PIÙ? E SOPRATTUTTO PER L’ESTERO C’È STATO QUALCHE PASSO IN AVANTI O AVETE GIÀ PIANIFICATO QUALCOSA?
– Da febbraio ad aprile saremo in giro per tutt’ Italia come nostra consuetudine. Per quanto riguarda l’estero saremo al Cernunnos Pagan Fest di Parigi il 24 febbraio, insieme a Finntroll, Manegarm e Skiltron. Mentre il 15 giugno saremo allo Skaldenfest Open Air in Germania con i Moonsorrow. Nei prossimi mesi avrete altre news al riguardo.
LA COSA CHE SI APPREZZA DEI FUROR GALLICO È LA CONTINUA VERSATILITÀ STILISTICA PERÒ SUONATE SPESSO IN EVENTI DI STAMPO FOLK. PER QUELLO CHE PROPONETE L’ETICHETTA DI ‘BAND FOLK METAL’ NON VE LA SENTITE STRETTA?
– Nel 2015 dicevamo che ‘il folk metal non esiste’ proprio perché è la fusione di due generi di per sé non ben definiti. Korpiklaani ed Eluveitie hanno ben poco in comune, eppure suonano entrambi folk metal. Dunque no, quest’etichetta non ci sta stretta proprio per niente! Noi siamo i Furor Gallico, suoniamo la musica dei Furor Gallico e cerchiamo di dare un senso a quello che abbiamo da dire. Con questo lavoro abbiamo cercato di dare un tono più serio, più maturo e – passami il termine – più cattivo. Definiteci folk metal, melodic death metal tanto è uguale. Quello che conta è che quello che abbiamo da dire arrivi. Dell’etichetta ci interessa poco.
SICURAMENTE POTETE ESSERE FIERI DEL VOSTRO PERCORSO ARTISTICO E DELLA VOSTRA FANBASE, DECISAMENTE FEDELE. VI SIETE MAI PREFISSATI DEGLI OBIETTIVI DA RAGGIUNGERE O PREFERITE VIVERE NATURALMENTE L’EVOLUZIONE DEL PROGETTO DELLA BAND?
– La nostra cerchia di fan è cresciuta esponenzialmente sin dai primi concerti quando nel 2009, ad un concerto in supporto dei nostri amici FolkStone, abbiamo venduto diverse decine di copie del nostro demo “390 b.C. – The Glorious Dawn” (alcune addirittura autografate). In quel momento ci siamo resi conto che qualcosa stava succedendo. L’obiettivo che ci siamo sempre posti è quello di dare sempre il massimo per noi e per il nostro pubblico con la consapevolezza che ogni cosa deve essere spontanea. Nel corso degli anni abbiamo sempre ottenuto risultati, sia in termini di concerti che di vendite, ben oltre le nostre aspettative e ciò non ha fatto altro che accrescere in noi la certezza che il nostro unico obiettivo doveva essere quello di essere noi stessi al 100%, senza strafare, ma seguendo la naturale evoluzione della band.
NELLA PRODUZIONE DEL DISCO VI SIETE FATTI AFFIANCARE DA PROFESSIONISTI CONSOLIDATI, PUOI DIRCI QUALCOSA IN PIÙ SUL PROCESSO PRODUTTIVO?
– La produzione artistica del disco è stata seguita da Ralph Salati (chitarrista dei Destrage) e dal nostro chitarrista Gabriel Consiglio. Ralph ci ha sicuramente aiutato ad inquadrare al meglio le nostre idee ed a rendere il tutto nel modo più compatto e ‘in your face’ possibile. Per quanto riguarda il mix ed il master ci siamo affidati a dei giganti del calibro di Tommy Vetterli (Eluveitie, Coroner, Kreator) e Jens Bogren (Opeth, Amon Amarth, Dimmu Borgir). Il loro infinito talento e la loro professionalità hanno segnato indelebilmente il nostro prodotto e non a caso per la prima volta possiamo veramente dire di avere un disco con una produzione degna del suo nome.
QUESTA È UNA CONSIDERAZIONE FORSE UN PO’ PERSONALE, MA POSSIAMO DIRE CHE “DUSK…” SIA IL VOSTRO MIGLIOR LAVORO?
– Beh, nonostante siamo molto affezionati ai nostri lavori precedenti non possiamo che dirti di sì. Siamo convinti di aver fatto un notevole passo avanti sia per quanto riguarda il songwriting che la produzione.
GENERALMENTE COME FUNZIONA IL VOSTRO PROCESSO CREATIVO? ADATTATE LE MUSICHE AL CONCEPT O VICEVERSA?
– Partiamo sempre dalla musica. La maggior parte dei brani sono nati dall’unione delle melodie celtiche della nostra arpista Becky e dal riffing di Gabriel, più vicino a generi come il melodic death svedese e il prog-death. Una volta completati i brani strumentali passiamo alla stesura dei testi. Spesso l’ispirazione viene direttamente dal mood della brano stesso, altre volte invece, ci rifacciamo a tematiche che ci affascinano o ci interessano in particolar modo.
CONSIDERANDO LA VOSTRA PARTICOLARE REALTÀ ARTISTICA RITENETE CHE IL PANORAMA ITALIANO DIA ABBASTANZA SPAZIO ALLE NOVITÀ? E COSA POTETE CONSIGLIARE AD UNA BAND EMERGENTE DAL SOUND PERSONALE COME IL VOSTRO PER POTER EMERGERE SENZA COMPROMESSI STILISTICI?
– La musica è una ruota che gira con le sue tendenze musicali, con le sue strategie di marketing e con le sue piattaforme di ascolto. Purtroppo oggi viviamo nell’epoca di internet dove il valore di una band si misura in like ed in visualizzazioni. Noi abbiamo fatto in tempo a nascere quando il parametro di valutazione erano i live, i chilometri, il sudore e le ore di sonno (queste ultime rigorosamente in negativo!). L’unica cosa che possiamo dire (e sembrerà pure una banalità ma oggi come non mai credeteci, non lo è!) è di essere sempre se stessi. Tanti scimmiottano qualcun altro e tanti suonano qualcosa di già sentito. Fai il tuo successo per due o tre anni, poi finisci di nuovo nel dimenticatoio. E non è solo un discorso di talent show o del panorama commerciale. Questo è un discorso validissimo anche nell’underground. Suona quello che devi suonare, come vuoi (e sai) suonarlo. Se quello che hai da dire funziona non sta a te deciderlo, ma al pubblico. Il rock ed il metal non hanno bisogno delle fighette in cerca di alberghi a cinque stelle ma hanno fame di zingari disposti a suonare per un panino ed una birra. Per il successo ed i compromessi c’è sempre tempo!
PER CONCLUDERE UNA DOMANDA PIÙ LEGGERA, QUALI SONO PER VOI LE RIVELAZIONI MUSICALI DELL’ULTIMO ANNO? O QUALI ALBUM VI HANNO COLPITO DI PIÙ?
– Per noi è sempre difficile rispondere a domande di questo tipo dato che le diverse influenze musicali di ciascuno di noi, talvolta diametralmente opposte, non ci permetterebbero di arrivare a stabilire un solo album od una sola band rivelazione del 2018. Più che rivelazione citiamo le solite conferme: giusto qualche nome: gli ultimi lavori di Behemoth, At The Gates, Amorphis, Tesseract, Ihsahn, Haken e Primordial.