Stanno compiendo un bel percorso, i lombardi Furor Gallico. Autori oramai cinque anni fa di un pregevole debutto poi ristampato per Massacre Records, li troviamo ora sul mercato sotto Scarlet con un nuovo album di inediti. Tra nuove tematiche, cause del lungo silenzio discografico e la definizione stessa di folk metal, di argomenti da chiarire con loro ce ne erano tanti, e il cantante Davide Cicalese al telefono è stato disponibilissimo a parlarne con noi…
PARTIAMO DA UN DISCORSO SULLA LABEL… VI AVEVAMO LASCIATO CON QUESTO STESSO ALBUM IN LAVORAZIONE BEN DUE ANNI FA, SOTTO MASSACRE… ADESSO VI VEDIAMO INVECE USCIRE CON SCARLET. COS’ È SUCCESSO NEL FRATTEMPO?
“In realtà abbiamo firmato con Massacre subito dopo l’uscita del debutto ‘Furor Gallico’, nel 2011 cioè. Di fatto. la ristampa di quell’album è in effetti uscita regolarmente per loro. Semplicemente poi però il contratto con Massacre è arrivato al termine, giacché ci vincolava all’etichetta per soli due anni. Quando ci siamo trovati a dover cercare un nuova label per ‘Songs From The Earth’, quelli di Bagana Rock, l’agenzia di booking con la quale collaboriamo, ci hanno consigliato però subito la Scarlet. E’ stato un discorso puramente legato alla scadenza temporale del contratto, niente di più”.
E COME VI TROVATE ADESSO? VI SIETE GIÀ FATTI UN’IDEA SULLA NUOVA ETICHETTA?
“E’ un po’ presto per dirlo, abbiamo firmato da appena un mese, e quindi alcune cose si devono ancora scoprirsi. Per adesso però ci siamo trovati bene, sono stati molto disponibili soprattutto a livello umano. Dal punto di vista professionale per ora non ci possiamo lamentare, il lavoro di promozione sta andando bene e le tempistiche di uscita del disco sono state rispettate. Diciamo che motivi di lamentarci appunto proprio non ne abbiamo”.
TEMPISTICHE, TOCCHI UN TASTO FORSE DOLENTE… DAL PRIMO DISCO SONO TRASCORSI BEN CINQUE ANNI. SI È TRATTATO D’IMPREVISTI O I FUROR GALLICO SI PRENDONO TANTO TEMPO PER USCIRE CON UN PRODOTTO DI CUI SONO VERAMENTE SICURI?
“Un po’ e un po’. Ci sono stati molti imprevisti, però. A pensarci adesso, quello che è successo alla band in questi cinque anni sembra quasi un film, sono accadute così tante cose! Non ti nego che abbiamo avuto un po’ di problemi, infatti il disco era già pronto e registrato addirittura nel 2013, due anni dopo il debutto, un tempo generalmente accettabile. Ma non ci piaceva affatto come era venuto a livello sonoro… non eravamo soddisfatti proprio del sound. Le registrazioni ci erano anche piaciute, ma da quel momento in poi abbiamo realizzato sempre master, perché non ci soddisfaceva mai il suono definitivo. Come sai ogni volta la creazione di un master porta via una fetta considerevole di tempo… Poi ci sono stati anche i cambi di lineup, il disco è stato infatti registrato con Stefano (Centineo, chitarra, ndR) e Laura (Brancorsini, violino, ndR) ma già il tour successivo l’abbiamo fatto con Mattia (Pavanello, chitarra, ndR) e Riccardo (Brumat, violino, ndR). Sì, ripeto, ci sono stati un nel po’ di imprevisti”.
NON VI HA CREATO PROBLEMI AVERE LE CANZONI GIÀ PRONTE DA ANNI E PUBBLICARLE SOLO ADESSO? PER ESPERIENZA SO CHE I BRANI QUANDO RESTANO FERMI A LUNGO, POI VIENE SEMPRE FUORI LA VOGLIA DI CAMBIARLI, DI MIGLIORARLI…
“Aspettare tanto quando un disco è già pronto non è facile, ti dò ragione in pieno. Ed è anche vero che ogni volta che ascolti un brano da te scritto qualche anno prima ti rendi conto che qualcosa lo avresti fatto magari in maniera diversa. Ci può addirittura stare che trovi qualcosa che non ti piace proprio più, come ci è successo con alcuni brano del debutto, che ora rifaremmo in ben altro modo. Ma devo dirti che per queste nove canzoni mi sento veramente convinto di tutte. L’album è stato scritto tre anni fa, è vero, è stato registrato e mai più toccato se non nel suono sempre due anni fa; ma ancora adesso sono convinto che così andava composto e che non vi erano migliorie da fare. Sono convintissimo di tutto il materiale”.
QUINDI NON CI SONO RIMPIANTI…
“Qualche piccolezza. Stupidate… un brano come ‘Diluvio’ che inizialmente aveva delle parti in growl e poi è passato solo al tono pulito, o qualche altro pezzo dove abbiamo modificato solo in seguito piccole linee vocali. Tutto qui, abbellimenti più che altro… elementi legati più alla performance che alla composizione”.
ESSENDO PASSATO PERÒ TANTO TEMPO, AVETE GIÀ DEL MATERIALE NUOVO PRONTO PER IL PROSSIMO ALBUM?
“In realtà non siamo una band metodica, però abbiamo già alcune idee e pezzi di brano pronti. Semplicemente non ci siamo ancora messi a registrarli e a finalizzarli. Appena avremo una pausa dalla promozione che sta per iniziare di ‘Song From The Earth’, penso ci metteremo a lavorarci sopra”.
ENTRIAMO UN PO’ IN DETTAGLIO SU QUESTO ALBUM… CI PARLI DI “LA NOTTE DEI CENTO FUOCHI”, UNO DEI PEZZI CHE PIÙ CI È PIACIUTO?
“E’ uno dei pezzi che più è piaciuto anche a noi (ride, ndR)!. E’ un brano al quale siamo parecchio legati, ed è uno dei primi che abbiamo scritto per questo disco. Parla della tradizione popolare delle nostre zone secondo cui secoli fa, sul finire della primavera, per festeggiare il solstizio i vari villaggi accendevano grandi fuochi nel buio della notte. Sono fiamme che simbolicamente servono a collegare la terra al cielo, un’immagine molto poetica. Musicalmente, è uno dei miei preferiti. Pensa che mentre la registravamo dicevamo che il finale di questa canzone poteva essere il finale di tutto un disco! Apprezziamo molto l’effetto epico di questi cori così maestosi, che riflettono il fatto che il lato importante della tradizione in questione era che l’accensione dei fuochi si facesse in comunità… Penso che il risultato renda bene l’idea”.
LA ‘RICERCATRICE’ DELLE VOSTRE LEGGENDE È SEMPRE BECKY, VERO?
“Becky è una vera e propria appassionata. Non è che studi storia o antropologia, anzi fa tutt’altro, però se ne esce sempre con leggende e storie mai sentite! Penso che ciò derivi dal fatto che lei vive fuori dalla città, col suo compagno. Nella città industrializzata, qualcosa della tradizione la perdi per forza, mentre in questi paesini di montagna, i vecchi abitanti ne parlano ancora, e lei è molto brava ad ascoltare”.
TRA L’ALTRO I TEMI DELLE LIRICHE SONO MATURATI… OLTRE ALLE LEGGENDE E A QUELLE CANZONI PIÙ SCHERZOSE, TROVIAMO UN NUOVO TEMA IMPORTANTE CHE È IL RAPPORTO TRA L’UOMO MODERNO E LA NATURA. CE NE PARLERESTI?
“Sulle tematiche hai ragione, sono davvero un po’ cambiate. Persistono ancora quegli argomenti principali trattati sul primo disco come le leggende e le ballate popolari, ma perchè quelle sono le radici delle nostre liriche. Stavolta siamo andati un po’ oltre, esponendo in maniera più marcata la nostra posizione sul rapporto tra uomo e natura, proprio come dicevi tu. Ci sono due brani, ‘Steam Over The Mountain’ e ‘To The End’ che parlano proprio di questo. La prima racconta del grande divario esistente tra il mondo artificiale e quello naturale. Siamo giunti ad un punto in cui c’è piena incompatibilità trai due mondi e non può esserci più un eventuale punto di contatto. ‘To The End’, che è la sua diretta continuazione, presenta invece la Natura che in qualche modo rimprovera l’uomo per essere giunti a questo punto. Gli rimarca il fatto di aver dato all’umanità tuta se stessa, e di averne ricevuto in cambio solo rovina. Troviamo che siano argomenti estremamente attuali e quindi interessanti”.
ORAMAI AVETE RAGGIUNTO UN CERTO LIVELLO DI SUCCESSO. E’ UNA FRASE APPROPRIATA PER LO STATO ATTUALE DELLA VOSTRA BAND IN TERMINI GENERALI, MA VOLEVO CHIEDERTI INVECE, IN TERMINI PERSONALI, TU COME MISURI IL SUCCESSO DEI FUROR GALLICO. NUMERO DI PERSONE AI VOSTRI CONCERTI? VENDITE?
“Ci sono diversi aspetti. Ci stavo pensando nemmeno tanto tempo fa, sai? Io dico che i Furor Gallico hanno successo perché nel momento in cui fanno dei concerti e, anche se magari non c’è tantissima gente, ognuno di loro ricanta le canzoni indietro. Quello per me è un buon metro di giudizio, perché sai che hai raggiunto il cuore di qualcuno. I Furor Gallico restano comunque una realtà piccola, sia chiaro, ma vediamo molta fedeltà nei nostri fan. Per la questione puramente numerica, a questi livelli non ha senso parlare di numeri ai concerti o di copie vendute. Non nel metal. Semplicemente la cosa non si applica. Certo qui in Italia il metal è un genere in crescita, ma ancora non è il mainstream, quindi rimane in un limbo dove il valore dei numeri lascia il tempo che trova. Ma la fedeltà dei fan è misurabile, con parametri tipo quante foto ti chiedono, da quanti autografi vogliono sul disco… ed è questo il metro di giudizio che voglio adottare”.
ABBIAMO PARLATO DI METAL, QUINDI ANDIAMO PIÙ SULLO SPECIFICO: ‘FOLK METAL’. ‘SONG FROM THE EARTH’ È PIÙ FOLK O PIÙ METAL?
“Sembra una domanda a trucco! Però ti posso rispondere tranquillamente. Su questo disco ci sono brani che non ti aspetteresti da noi, come ‘Steam Over The Mountain’ o ‘Diluvio’. Però a tempo debito ci siamo seduti e ci siamo chiesti: ‘che vuol dire folk metal’? Beh, Niente. Non vuol dire niente. C’è la parola ‘folk’ che è quanto di più ampio possa esserci come definizione: comprende tutta la musica popolare, dalla tradizione celtica, alla tarantella, alla musica araba fino ad arrivare alla serenata napoletana! Anche la parola metal non definisce nulla. Death metal? Black metal? Thrash metal? Semplicemente folk metal è l’insieme di due parole dai molti significati, e non è che dica molto. Proprio perché non diamo importanza a questa etichetta, ti posso dire: ‘Songs From TheEarth’ è decisamente un album heavy. Rispetto al primo c’è più growl, ci sono meno puliti, la batteria è più cattiva. Ci piace pensare che questo sia un album più appoggiato al versante metal, nonostante se poi Laura Brancorsini (violino, ndR) si è concentrata davvero molto sugli arrangiamenti acustici di ciascuna canzone. Semplicemente, nel contesto generale il lato classicamente metal esce un pochino più fuori rispetto al debutto…”.
BEH, FATE COMUNQUE MUSICA SU UNA PALETTE UN PO’ PIÙ AMPIA RISPETTO ALLA MEDIA DELLE BAND METAL. USANDO PIÙ COLORI RISPETTO A CHI FA MUSICA SU GENERI PIÙ CONVENZIONALI, NON SENTITE UNA MAGGIORE DIFFICOLTÀ A TRACCIARE UNA VOSTRA PERSONALITÀ DEFINITA?
“A noi interessa solo che il pezzo fili. Non ci facciamo troppe menate su originalità e personalità. C’è da dire anche che ci siamo accorti di una certa eterogeneità nella nostra proposta. Dopotutto abbiamo nello stesso album una sparata quasi death come appunto ‘Steam Over The Mountain’, un pezzo magari corale come ‘La Notte Dei Cento Fuochi’ e ancora una ballad atipica come ‘Diluvio’. Certo in tutto questo speriamo di avere comunque tracciato una nostra personalità definita… Penso però che in ultima battuta non stia a me dirlo. Per ora, la cosa funziona che a noi una canzone piace, e ve la proponiamo. Poi, è ancora presto forse per pensare ad altri modi di comporre”.
PARLANDO DELLA SFERA LIVE, HAI MAI PENSATO ALLA POSSIBILITÀ DI SUONARE UNO SHOW SENZA L’USO DEL WARPAINT MAGARI PER QUALCHE PROBLEMA? LA COSA VI DAREBBE PROBLEMI? SAPPIAMO CHE UN KING DIAMOND SENZA TRUCCO PERDEREBBE BUONA PARTE DELL’IMPATTO VISIVO SU CUI INNEGABILMENTE LO SHOW SI BASA…
“Non credo che avremmo proprio problemi. Suonare siamo capaci comunque, grazie a Dio, ma c’è da dire che anche noi abbiamo anche un’immagine che ci teniamo molto cara. Suoniamo spesso in festival folk metal, dove il nostro aspetto è in linea con la proposta musicale, ma ti dico che se suonassimo in altri contesti dove eventualmente stoneremmo, lo faremmo comunque tenendo i warpaint. Quelli siamo noi, con i kilt e la faccia dipinta. Se saliamo su un palco vogliamo farlo in quella maniera. Poi, è capitato di arrivare tardissimo a un concerto e di non avere tempo di sistemarci, salendo quindi sul palco in jeans e maglietta però non è che abbiamo suonato in modo diverso… Siamo sempre noi dopotutto…”.