Rimasti a lungo in un limbo, appena discreti, volenterosi ma poveri di reale brillantezza nel contesto di un solido ma incolore thrash metal old-school all’americana, gli emiliani Game Over hanno compiuto un improvviso – quanto gradito – balzo in alto, verso i piani alti della categoria, con l’ultimo disco “Hellframes”.
Quasi per magia, il quartetto è giunto a piena maturazione, eventualità che in precedenza era probabilmente difficile da pronosticare, nonostante qualche leggero miglioramento conseguito nella forma e nella sostanza attraverso il precedente “Claiming Supremacy”. “Hellframes” spazia però in contesti ben più autorevoli, spargendo e facendo ben germogliare i semi di un thrash metal potente, cupo, ramificato in atmosfere malinconiche, come inesorabile nelle sue fasi più potenti e galoppanti.
Uno stile che richiama paragoni di rilievo, come i Metallica del periodo di “Master Of Puppets” e, allargando il discorso, tutto quel thrash che a un certo punto è diventato più serio, pensoso, se ci passate il termine, senza perdere un grammo di pesantezza, né smussando i suoi angoli. Mentre, ed è il caso proprio dei Game Over, si assisteva a un arricchimento del songwriting, nel verso di strutture molto articolate, per nulla rigide e capaci di aprire le porte a influenze prima neanche immaginate.
È la band al completo, un po’ a turno nei suoi elementi, a offrirci una orgogliosa panoramica sul mondo Game Over, ad oggi una realtà thrash che non si può proprio più sottovalutare o, peggio, ignorare.
“HELLFRAMES” È IL VOSTRO QUINTO DISCO E, A MIO GIUDIZIO, PRESENTA UN NETTO SALTO QUALITATIVO RISPETTO AGLI ALBUM PRECEDENTI. DA DOVE SIETE PARTITI PER ELABORARE LE SUE CANZONI? COSA SENTIVATE DI VOLER MIGLIORARE MAGGIORMENTE, DELLA VOSTRA IMPRONTA STILISTICA?
Vender (batterista, ndr): – Grazie delle belle parole, Giovanni! Diciamo che per “Hellframes”, come per tutti gli album precedenti, i brani nascono in maniera molto naturale. Molto spesso partono da un’idea più o meno sviluppata di uno di noi, per poi essere lavorata da tutti assieme.
In fase di songwriting un elemento sicuramente importante, a mio avviso, sta nell’evoluzione e nella crescita musicale che ognuno di noi ha maturato negli anni, le quali ci hanno permesso di poterci approcciare a questa fase in maniera del tutto nuova, non tanto dal punto di vista della metodologia quanto a quello della forma.
PREMETTENDO CHE IN “HELLFRAMES” SENTO MIGLIORAMENTI RISPETTO AGLI ALBUM PRECEDENTI SOTTO OGNI PUNTO DI VISTA, HO APPREZZATO IN PARTICOLARE L’INSERIMENTO DI ELEMENTI PIÙ MALINCONICI, DI MELODIE MESTE E RIFLESSIVE, UN PO’ COME AVEVANO INIZIATO A FARE I METALLICA DOPO GLI ESORDI. VI VA DI PARLARCI DI QUESTO ASPETTO E PERCHÉ È DIVENUTO COSÌ IMPORTANTE NELL’ULTIMO DISCO?
Reno (cantante/bassista, ndr): – Probabilmente è vero, che c’è questa attenzione a melodie un po’ tristi, anche se, in sede di songwriting, non si è trattato di una scelta presa a tavolino. I primi due singoli che abbiamo proposto sono comunque molto più ‘freschi’ nell’attitudine, anche se sicuramente sfumature malinconiche sono presenti in quasi ogni altra traccia dell’album.
I testi riprendono parzialmente il mood della musica e le tematiche più leggere, che hanno contraddistinto i nostri album precedenti, sono quasi del tutto assenti. Direi che è il primo album a non contenere alcun riferimento a filmografia horror di serie Z (anche se due tracce sono collegate e legate ad una storia).
Gli argomenti trattati sono più esistenziali, forse. Alcuni testi parlano di esperienze dirette relative a situazioni di vita talvolta molto precise ed abbastanza complesse, altre volte invece sono riflessioni generali, ma in ogni caso abbiamo cercato di rendere l’aspetto lirico e quello musicale un unicum coerente.
IL SUONO NEL SUO COMPLESSO SI È FATTO PIÙ PESANTE, DETTAGLIATO, PIÙ ‘ADULTO’, SE MI PASSATE IL TERMINE. QUAL ERA L’OBIETTIVO IN STUDIO DI REGISTRAZIONE? C’È QUALCHE ALBUM CHE AVEVATE PRESO COME PUNTO DI RIFERIMENTO PER DEFINIRE LA PRODUZIONE DI “HELLFRAMES”?
Vender: – Il nostro obiettivo in studio di registrazione è sempre quello di tirare fuori il meglio dalla musica che scriviamo e che riflette un determinato periodo della nostra crescita, senza forzature e senza soluzioni dettate da particolari trend o mode, il tutto mantenendo ben chiaro chi siamo a livello di band.
Parallelamente a ciò, è indubbio che il vissuto musicale di ognuno di noi vada ad influenzare quello che è poi il lavoro finito: influenze che possono partire dalle band storiche del genere della Bay Area e della NWOBHM, passando per il sound degli anni ’90, colonne sonore horror, per arrivare fino ai giorni nostri con lavori più attuali anche di band del panorama thrash/crossover.
PASSANDO ALLE SINGOLE CANZONI, UNA DELLE MIE PREFERITE È “DELIVER US”, UN THRASH ANTHEM COI FIOCCHI, FEROCE E ACCATTIVANTE, CON DEGLI STACCHI ATMOSFERICI D’EFFETTO E ASSOLI CHE SI STAMPANO SUBITO NELLA MENTE. DI COSA PARLA E COME AVETE CONCEPITO QUESTO BRANO?
Reno: – “Deliver Us”, musicalmente, nasce da un’idea di Ziro e Vender, mentre testo e parte vocale sono fatti da me. Il testo è una specie di riscrittura in inglese di una poesia che avevo steso qualche anno fa e, come si può intuire dal titolo, ha le sembianze di una preghiera in cui, però, si chiede liberazione dalla vacuità, dalle angosce del nulla, dalle debolezze e dalle paure.
Ziro (chitarrista, ndr): – Aggiungerei solamente, rispetto a quanto detto da Reno, che l’idea per questo brano era quella di creare qualcosa che unisse l’aggressività a momenti più atmosferici, come hai detto tu, concentrando tutto in una durata complessiva della canzone che non fosse esagerata, per renderla anche più catchy.
AZZECCATA ANCHE LA SCELTA DI “SYNTHETIC DREAMS” COME SINGOLO, PROBABILMENTE È IL PEZZO PIÙ ‘FACILE’ E IMMEDIATO DI TUTTO IL DISCO. IL TITOLO MI PARE UN RICHIAMO A CERTE TEMATICHE TIPICAMENTE OTTANTIANE, ANCHE L’ATMOSFERA GENERALE SEMBRA UN PO’ PIÙ LEGGERA DI ALTRE TRACCE. QUALI SONO I ‘SOGNI SINTETICI’ AI QUALI FATE RIFERIMENTO?
Reno: – Sì, sicuramente è il brano più immediato, leggero e ‘tradizionale’, anche per un richiamo estetico ad un immaginario ottantiano abbastanza tipico.
In realtà voleva essere proprio una sorta di storia sci-fi in cui un personaggio, raccontato in seconda persona, riceve sostanze e trattamenti bizzarri per perdere il suo stato di coscienza e rifugiarsi in una dimensione lisergica, rassicurante ma lontana dalla realtà. Chi racconta la vicenda in prima persona, colui che lo soggioga promettendogli mondi irreali e utopici, si pone come il suo burattinaio.
LA TITLE-TRACK IN CHIUSURA VI VEDE AZZARDARE SOLUZIONI PIUTTOSTO COMPLESSE E UNO SCHEMA NARRATIVO DI AMPIO RESPIRO, UN PO’ ALLA MANIERA DI QUANTO FATTO DAI METALLICA ALL’EPOCA DI “MASTER OF PUPPETS”,OVVERO IDEARE EPISODI THRASH METAL CARICHI DI EPOS, OSCURITÀ, PATHOS, IMMETTENDO ANCHE DIVERSI ELEMENTI DEL METAL CLASSICO PIÙ ELABORATO. A UN CERTO PUNTO, IN “HELLFRAMES” SI SENTONO ADDIRITTURA ECHI DOOM! COME SI ARRIVA A UN PEZZO SIMILE E QUANTO SI È AVVICINATO IL RISULTATO FINALE A QUELLO CHE AVEVATE IN MENTE?
Sanso (chitarrista, ndr): – La creazione della title-track è stato un processo collaborativo dove ognuno di noi ha contribuito con le proprie idee e influenze. Il tema principale che si ripete più volte nel corso del brano mi è venuto in mente durante una serata malinconica.
L’intenzione era di creare un’unione tra i Forbidden e l’heavy metal più oscuro. Volevamo anche incorporare elementi horror per dare al brano una profondità e complessità aggiuntive. Il risultato finale è stato un pezzo che includeva diverse sfumature musicali dove Dome dei Fulci, col suo progetto Tv-Crimes, ha contribuito ad arricchire il pezzo con synth malvagi molto fighi. Alla fine, siamo molto soddisfatti del risultato e crediamo che “Hellframes” rappresenti appieno la nostra visione di un brano epico e maligno allo stesso tempo.
Vender: – Il brano che chiude il disco, che è anche quello che gli conferisce il nome, è quello che ha richiesto più tempo sia in fase di scrittura in sala prove, sia in fase di arrangiamento in studio di registrazione: doveroso a questo punto citare l’ottimo lavoro svolto da Matteo ‘Ciube’ del Raptor Studio di Vicenza.
Tutto il processo ci ha visti coinvolti in maniera collaborativa, dove ognuno di noi ha contribuito portando le proprie idee e le proprie influenze.
L’intero brano, musicalmente parlando, è sorretto da un unico tema centrale il quale nel corso del tempo muta forma e colore, in linea con quello che è l’andamento narrativo del testo. L’idea di questo tema centrale è di Sanso, il quale voleva creare un’unione tra il sound dei Forbidden, dei Death Angel e dell’heavy metal più oscuro, per un risultato che si sposava alla perfezione con l’idea che avevamo in mente per il testo. Alla fine ne è uscito un brano che può muoversi libero all’interno della propria struttura e, come già detto da Sanso, guadagna maggiore spessore, densità e ricchezza grazie all’aggiunta delle parti di synth.
SE GUARDATE ALLA VOSTRA ATTIVITÀ FIN QUI, CHE COSA VI RENDE PIÙ ORGOGLIOSI? E IN COSA SENTITE DI AVER COMMESSO QUALCHE ERRORE?
Ziro: – La cosa che penso ci renda più orgogliosi è che, coi mezzi e la scarsa consapevolezza che abbiamo sempre avuto in passato, siamo riusciti a fare cose che mai avremmo pensato fossero alla nostra portata.
Non saremo andati sulla Luna, ma partendo da una piccola città emiliana abbiamo portato la nostra musica in tre continenti diversi. In relazione a questo, però, l’errore principale è stato proprio la mancanza di consapevolezza, il non essersi addentrati meglio in determinate questioni fondamentali per la crescita di una band, per poter maturare prima e più rapidamente e, soprattutto, l’essere stati in stand-by per più di quattro anni.
Ma ora si apre un nuovo capitolo per noi, e abbiamo intenzione di affrontarlo con la maturità e consapevolezza attuale, quella che in precedenza non avevamo.
OSSERVAVO CHE SIETE ININTERROTTAMENTE IN ATTIVITÀ DA CIRCA QUINDICI ANNI: UN TEMPO CHE VI FA ORMAI ENTRARE TRA LE FORMAZIONI ‘STORICHE’ DEL NOSTRO PAESE.
SE LA MEMORIA NON MI INGANNA TROPPO, ALMENO FINO A UNA DECINA DI ANNI FA VI ERA UN CERTO FERMENTO IN AMBITO THRASH ITALIANO, MENTRE ORA MI PARE SIATE TRA I POCHI ‘SUPERSTITI’ DI QUEGLI ANNI, O FORSE QUELLI CHE HANNO AVUTO PIÙ CONTINUITÀ. COME VALUTERESTE IL CAMBIAMENTO NELLO SCENARIO THRASH ITALIANO TRA DIECI-QUINDICI ANNI FA E OGGI?
Ziro: – Quando abbiamo iniziato eravamo tutti ragazzini, io avevo appena quattordici anni e solo Reno era diciottenne. Ci siamo tuffati in una realtà ormai già sviluppata da alcuni anni e composta per lo più da persone e band più grandi di noi. C’era molta partecipazione ma tutto si è esaurito nel giro di tre/quattro anni. Spesso, crescendo, molti abbandonano o cambiano le proprie passioni, e senza ricambio generazionale qualsiasi cosa poi muore. Questo è quello che ho notato io in Italia, all’estero invece la partecipazione è sempre stata costante.
Noto che in questi due anni scarsi post-Covid, invece, molti nuovi ragazzi si sono affacciati alla scena metal, alcuni proveniente anche da quella hardcore/punk. Però se prima era tutto organizzato per compartimenti stagni e chi suonava thrash ascoltava spesso generi estremamente affini, oggi invece i ragazzi che vedo ai concerti se ne sbattono altamente e spaziano molto di più tra heavy metal anni ’80, nu metal e rap, addirittura. E secondo me fanno bene, denota un’apertura mentale molto maggiore, spesso accompagnata anche da curiosità e ciò giova anche a noi che possiamo portare la nostra musica a più persone e magari essere apprezzati.
Sanso: – Dieci anni fa, l’ambiente thrash in Italia era molto figo, con tante band e una scena molto attiva. Nel corso del tempo però abbiamo assistito a diversi cambiamenti e molte band negli anni si sono sciolte o hanno abbracciato nuovi stili musicali.
Personalmente valuto positivamente questi cambiamenti, perchè adesso ai concerti mi pare che ci sia molta più curiosità e voglia di supportare i gruppi.
IL THRASH È UN GENERE CHE NEL TERZO MILLENNIO SI È RIPRESO COMPLETAMENTE I RIFLETTORI E HA GODUTO E STA GODENDO DI GRANDE SUCCESSO. QUALI PENSATE SIANO STATI I DISCHI THRASH PIÙ SIGNIFICATIVI DEGLI ANNI 2000 E LE BAND, FUORI DAI GRANDI NOMI IN GIRO DAGLI ANNI ’80, CHE HANNO DATO I CONTRIBUTI PIÙ SIGNIFICATIVI AL SETTORE?
Sanso: – Tra i migliori dischi thrash metal degli anni 2000, sicuramente metterei “Manifest Decimation” dei Power Trip, “Hazardous Mutation” dei Municipal Waste e “Chemical Assault” dei Violator sul podio.
Tra le band che hanno dato un contributo direi: Toxic Holocaust, Ghoul, Dr. Living Dead, Lich King e pochi altri.
QUALI SONO I VOSTRI ASCOLTI PIÙ ‘STRANI’ E IMPENSABILI, IN RELAZIONE AL VOSTRO ESSERE UN THRASH METAL BAND PIUTTOSTO TRADIZIONALE NELL’IMPOSTAZIONE?
Sanso: – Ultimamente mi è capitato di ascoltare su Spotify i suoni registrati della LIDL e devo dire che è stata un esperienza molto coinvolgente.
Ziro: – Se controllo la mia cronologia Spotify, direi principalmente punk rock californiano fine ‘90 inizi ’00, perché ancora reduce dall’estate.
Vender: – Beh, essendo cresciuto negli anni 90’, come Ziro citerei il punk rock californiano di quegli anni, e poi ci metterei anche, tra le altre cose, del pop anni ’80 alla Phil Collins.
RIMANENDO INVECE ALL’INTERNO DEL METAL, SIETE ATTUALMENTE – OPPURE SIETE STATI – ATTIVI ANCHE IN ALTRI GRUPPI AL DI FUORI DEI GAME OVER.
C’È QUALCHE SONORITÀ, ALL’INTERNO DEL METAL, CHE AVRESTE SEMPRE VOLUTO ESPLORARE E CHE FINORA, PER UN MOTIVO O PER L’ALTRO, NON SIETE MAI RIUSCITI A SVILUPPARE IN UN VOSTRO PROGETTO PERSONALE?
Sanso: – In ambito metal (più crossover-thrash in realtà) siamo attivi io e Ziro in un progetto, i Rough Touch, dove tiriamo fuori la nostra voglia di fare qualcosa di più estremo, ma con stile. Per quanto riguarda il voler esplorare nuove sonorità, ho avuto occasione con un altro mio gruppo, i Joke, di esplorare nuove sfumature del thrash anni ’90, miste al groove dei primi Red Hot Chili Peppers e 24-7 Spyz.
Vender: – Su questo fronte è da un po’ di tempo che lavoro ad un progetto black metal. In realtà ho mosso i primi passi sul mio strumento proprio spaziando all’interno di questo genere e mi piacerebbe riproporre qualche cosa rimanendo nell’alveo delle sonorità di band come gli Immortal, gli Emperor o i primi Satyricon. Sono un po’ claudicante nel procedere a causa del poco tempo a disposizione che ho per dedicarmici, ma sono fiducioso.