GHOST – L’oscurità nel cuore

Pubblicato il 30/04/2022 da

Istrionici intrattenitori? Ruffiani venduti? Geniali? Insulsi? Comunque li vogliate definire, è innegabile che i Ghost siano uno dei gruppi più chiacchierati all’interno del panorama metal, specialmente ad ogni nuova uscita bollata col sigillo di Papa Emeritus ed i suoi Nameless Ghouls: l’ultimo “Impera” non è un’eccezione, dimostrando ancora una volta come si possano coniugare orecchiabilità, heavy metal, puzza di zolfo e ritornelli da stadio in una miscela unica e immediatamente riconoscibile, parte di un’identità dai chiaroscuri ben definiti, sia nelle luci che nelle proprie ombre. Abbiamo raggiunto telefonicamente la mente, il braccio ed il cuore dell’entità Ghost: Tobias Forge (‘nascosto’ dietro al personaggio di Mary Goore), nonostante un velo appena percettibile di stanchezza dovuta dal tour in corso, si è dimostrato – ancora una volta – un interlocutore brillante, capace di giudicare con lucida consapevolezza il proprio operato senza per questo rinunciare a togliersi qualche sassolino dalla scarpa; è però, come spesso succede, quando si gratta un po’ la superficie fatta di intrattenimento e spettacoli – cui comunque non vediamo l’ora di assistere anche nella data italiana, il prossimo 5 maggio al Forum di Assago – che viene fuori il lato più emozionale del musicista, capace di dipingere un ritratto innamorato e accorato del proprio percorso e delle proprie radici, saldamente ancorate nelle propaggini più estreme della nostra musica preferita. 

UN NUOVO ALBUM DEI GHOST È SEMPRE UN PO’ UN EVENTO NEL MONDO METAL, E ANCHE QUEST’ULTIMO NON È DIFFERENTE. “IMPERA” È IN QUALCHE MODO PIÙ ‘ATTUALE’ DEI LAVORI PASSATI, CON IL FOCUS PRINCIPALE PUNTATO SULL’ETERNA SPIRALE DI POTERE, ASCESA E CADUTA DI IMPERI E GOVERNI, FILTRATO CON UN CERTO SENTORE RÈTRO E QUASI STEAMPUNK. IN CHE MODO IL PASSATO RECENTE E IL PRESENTE HANNO INFLUENZATO IL PROCESSO DI SCRITTURA DELLA MUSICA E DEI TESTI DEL NUOVO ALBUM – MI RIFERISCO IN PARTICOLARE A CANZONI COME “TWENTIES” E “DOMINION”?
– Si, sicuramente sono riflessioni che mi influenzano molto, anche quelle che riguardano il futuro. Sono sempre stato interessato alla storia, e con essa inevitabilmente si intrecciano la politica, vari dittatori, guerre, malattie o epidemie; proprio per questo sono molto attento nel guardare come si sviluppano gli eventi più attuali. Come tutti gli scrittori – di libri, poesie o film – scrivo di quello che vedo, di quello che sento, e in qualche modo quello che sta succedendo ora nel mondo si è ritrovato al centro dei testi dell’album.

D’ALTRA PARTE, “IMPERA” È PIENO DI UNA SOLITA ED IN QUALCHE MODO CONFORTANTE PRESENZA LUCIFERINA, ALLETTANTE E TENTATRICE (COME IN “CALL ME LITTLE SUNSHINE” O “GRIFTWOOD”) OPPURE NASCOSTA IN RIFERIMENTI ESOTERICI, COME PUÒ ESSERE L’OMAGGIO IN COPERTINA ALLA ICONICA FOTO DI ALESTEIR CROWLEY. ALCUNE PERSONE SONO SPAVENTATE DA QUESTE TEMATICHE A PRESCINDERE DAL GENERE SUONATO, ALTRI – NELL’AMBIENTE PIÙ PRETTAMENTE METAL – RIPUDIANO I GHOST COME UNA BAND MAINSTREAM E PLASTICOSA, QUASI CHE SIATE DEI ‘TRADITORI’ DI UN CERTO MODO DI INTENDERE LA FIGURA DI SATANA E TUTTO QUELLO CHE È DI CONTORNO. QUAL È LA TUA OPINIONE RIGUARDO QUESTA ‘QUERELLE’?
– In realtà, non so bene cosa pensare: alla fine sto facendo solo quello che amo, lavorando con i riferimenti e le ispirazioni che preferisco. Se questo si scontra con la sensibilità di qualcun altro, se qualcuno pensa che gli stia ‘rubando’ la scena – beh, mi dispiace, ma siete più che liberi di fare voi le cose, se pensate di farle meglio, non c’è nessuno che vi ferma (ride, ndr). Vengo dalla scena underground estrema, quindi so bene che c’è un certo grado di – come posso chiamarlo? – ‘separatismo’ in questo ambiente: uno vuole essere separato dal resto e tenersi le cose per la propria nicchia, sentendosi in qualche modo ‘superiore’ proprio perché se ne sta nascosto e si tiene tutto per sé. Più uno rimane lì, a lucidare il proprio tesoro, più questo gli sembra prezioso; davvero, non ho problemi a capire da dove derivi questo atteggiamento, ma alla fine di tutto non è che chi crea musica abbia il dovere morale di rimanere nascosto, di non cercare il successo, perché in realtà per una band è frustrante. È facile e fa la sua figura per molte di queste persone dire “abbiamo scelto noi di non avere successo, di rimanere nella nostra nicchia”: si certo, come no, ci credo proprio (sghignazza, ndr). Non è per niente vero.
Ci sono molti modi per avere successo – io adoro davvero un sacco di gruppi che non sono mai diventati davvero famosi, ho molti dischi cui sono affezionato di band che non fanno o non hanno mai fatto praticamente un concerto. Non ho remore ad inchinarmi davanti a loro per quello che mi hanno trasmesso nonostante non abbiano mai avuto uno straccio di fama, non vedo dove sia il problema… Se è davvero quello che vogliono, va bene così, ma non capisco come il fatto che i Ghost siano arrivati ad un certo livello sia di ostacolo a quello che fanno altri band.

CREDO CHE IL FATTO CHE TU FACCIA IL TIPO DI MUSICA CHE VUOI FARE E LO FACCIA PRIMA DI TUTTO PER TE STESSO FORSE SIA IL MODO MIGLIORE DI VIVERE LA MUSICA IN SÉ. MA PARLANDO DI SUCCESSO E FAMA, IN CHE MODO RIESCI A BILANCIARE LA TUA ROUTINE QUOTIDIANA COME MUSICISTA E IL PERSONAGGIO DI PAPA EMERITUS CHE HAI SUL PALCO? LO VEDI PIÙ COME UN RIPARO DAI LATI PEGGIORI DEL SUCCESSO, OPPURE CON IL TEMPO È DIVENTATO PIÙ UN PESO?
– Non ho difficoltà a separare me stesso dal personaggio che interpreto sul palco, perché quello che faccio con i Ghost – con tutte le possibili derive e ramificazioni che comporta una band simile – è il mio lavoro; ed il mio lavoro è quello di recitare una parte, quindi la gente non si aspetta di trovarsi davanti il personaggio, quando ha a che fare con me fuori dal palco. E va bene così, mi piace molto il fatto che non ci si aspetti che io mi comporti come Papa Emeritus sempre; quello sarebbe diventato un problema, e sicuramente lo è per molti cantanti, soprattutto: se uno ha sempre addosso la pressione di dover ‘rimanere nel personaggio’ anche nella propria vita privata, magari mentre è seduto ad un bar, col tempo finisce per andare fuori di testa.

PARLANDO DI SHOW, DOPO QUASI DUE ANNI LE PERSONE (CHE SIANO MUSICISTI, PUBBLICO, CREW) SONO AFFAMATE DI CONCERTI. VOI SIETE ATTUALMENTE IMPEGNATI IN UN TOUR EUROPEO, E TRA POCO MENO DI UN PAIO DI SETTIMANE SUONERETE ANCHE IN ITALIA, A MILANO: COSA POSSIAMO ASPETTARCI, IN QUELL’OCCASIONE? HO LETTO RECENTEMENTE CHE – FORSE PROPRIO PER QUELLE ATMOSFERE UN PO’ STEAMPUNK DI CUI PARLAVO PRIMA – CI SIANO STATE DELLE MIGLIORIE SIA A LIVELLO DI SCENOGRAFIA CHE DI COSTUMI (PENSO AD ESEMPIO A QUELLI DEI NAMELESS GHOULS, ISPIRATI AI TUSKEN RAIDERS, IL POPOLO DELLA SABBIA DI STAR WARS)…
– Beh, abbiamo una struttura scenografica e una produzione abbastanza imponente, ora come ora. Quello di cui sono davvero contento è che in questo modo siamo in grado di portare lo stesso concerto in ogni data, dando la possibilità a chiunque di assistere allo stesso spettacolo a prescindere dal posto in cui suoniamo. Ed effettivamente è un bello show, con un sacco di momenti teatrali, spettacolari, con effetti pirotecnici e molte altre cose.
Tutto ciò, in questo momento, ha un valore se vuoi ancora più speciale: l’Europa è in tumulto per diverse ragioni, c’è molta preoccupazione ed il sentimento più diffuso è la paura, insieme con lo stato perenne di incertezza riguardo il futuro. Ovviamente una situazione simile fa sentire il proprio peso anche in un tour come il nostro: moltissime persone hanno paura ad andare ad un concerto o non si sentono sicure di trovarsi insieme a così tanta gente, altri magari non sono vaccinati e in molte venue non possono entrare per i protocolli sanitari. Noi non ci possiamo fare niente, ma ovviamente tutto questo si ripercuote sull’organizzare una cosa simile; molti gruppi per questo motivo stanno cancellando i tour – non tanto per gli effetti della pandemia come poteva essere prima, ma più da un punto di vista economico. Il risultato è che noi siamo una delle poche band che attualmente è in tour, ed è speciale: ogni sera suoniamo davanti a moltissime persone che magari non sono state ad un concerto in due anni e il fatto di poter tenere in questo momento un cazzo di concerto ogni sera mi rende dannatamente orgoglioso (ride, ndr), perché ciascuna di quelle persone che ci saranno avranno un momento unico, speciale, appunto! È una cosa bellissima e importante. Io non sono un politico, né un militare, perciò non posso cambiare molto la realtà attuale, ma l’unica cosa che posso fare è quella che so fare meglio: intrattenere. Sono felice (e fiero) di essere un intrattenitore in questo momento, a differenza di altri che mal sopportano questa etichetta o lo fanno solo per essere pagati profumatamente, sono contento di andare fuori lì sul palco ogni sera e rendere delle persone felici. Questo settore ha incontrato delle difficoltà enormi negli scorsi anni: non solo le band, ma anche le crew che lavorano ai live, l’intera industria musicale ha sofferto molto, e ogni sera ciascuno di noi è davvero contento di tornare a fare il proprio lavoro… È bello, e importante.

DALL’ESSERE OSPITE NELL’ULTIMO LAVORO DI ME AND THAT MAN, PASSANDO PER IL REMIX DI “DANCE MACABRE” DI CARPENTER BRUT O PER I VARI SPLIT USCITI RECENTEMENTE, MI SEMBRA CHE I GHOST SIANO SEMPRE PRONTI A UNIRE LE FORZE CON ALTRI, ED IL FATTO CHE NELL’ULTIMO ALBUM CI SIA ANCHE FREDRIK ÅKESSON DEGLI OPETH NE È UNA DIMOSTRAZIONE. VOLEVO CHIEDERTI QUALI ALTRI PROGETTI O COLLABORAZIONI TI PIACEREBBE AVERE IN FUTURO E INVECE IN CHE MODO SCEGLI UNA CANZONE DA ‘GHOSTIZZARE’ PER UNA COVER?
– (Ci pensa un attimo, ndr) Partiamo con le cover: normalmente deve esserci qualcosa che possa mettere una canzone in relazione con i Ghost; ovviamente deve essere un brano che mi piace e che siamo in grado di suonare bene, e poi ovviamente nella scelta aiuta molto il fatto che nel testo sia presente un elemento che rimandi all’oscurità, al demoniaco (e non è facile), oppure a temi esistenziali, capaci di risuonare nelle parole del testo in un modo che si avvicini a quello dei Ghost. Ecco perché magari ci sono grandi canzoni pop o rock di cui non faremo mai una cover, perché non rientrano nel discorso che facevo poco fa, magari perché parlano di cose ‘mondane’ o ‘normali’, tipo le strade… Tipo “Streets Of Philadelphia” (risate generali, ndr)! No davvero, è una canzone bellissima, la adoro e adoro anche il film, ma se dovessi sceglierne una di Bruce Springsteen da coverizzare sarebbe, non so, “Cover Me”… Oppure, ad esempio, “Born in the USA” no, ma invece “Darkness At The Edge Of Town” si!
Per quanto riguarda gli altri progetti in cui sono stato coinvolto, non sempre è successo nel modo in cui avrei voluto: conosco Nergal, e quando mi ha chiesto in primo luogo di collaborare con lui (per il progetto Me And That Man, ndr) è stato come per gli altri musicisti coinvolti, ovvero scambiarsi i materiali per la musica e le voci tramite internet… Però non mi piace, non mi piace per niente: sarei più che contento di esplorare nuove collaborazioni, ma vorrei farlo nella stessa stanza, incontrandosi e lavorando spalla a spalla, perché mi sembra l’essenza stessa della parola ‘collaborare’, è il modo migliore per cementare le idee: a distanza è solo sommare la mia parte con quella di qualcun altro, mentre vedersi e suonare insieme dà modo di discutere se c’è qualcosa che non piace; è anche più divertente e se vuoi si risparmiano tempo ed energie. In futuro mi piacerebbe molto lavorare come hanno fatto Dave Grohl e John Paul Jones, riunendosi e mettendo insieme i Them Crocked Vultures (con Josh Homme, ndr) – mi attrae molto l’idea di far parte di un gruppo in cui non sono il cantante, ma in cui sono semplicemente un chitarrista, un bassista o un batterista, insieme a tre o quattro altre persone, sarebbe davvero bello, mi piacerebbe moltissimo!

PARTENDO DA QUESTO E DA QUANTO HAI DETTO ALL’INIZIO RIGUARDO LA TUA PROVENIENZA DALLA SCENA PIÙ ESTREMA, COME ULTIMA DOMANDA TI CHIEDO QUALI SONO I TUOI RICORDI DEI REPUGNANT E DEL PERIODO DI “EPITHOME OF DARKNESS”? QUALI MEMORIE, ESPERIENZE O RIFF SONO RIMASTE CON TE DI QUEI GIORNI E SONO CONFLUITE IN QUELLO CHE SUONI CON I GHOST?
– I Repugnant sono stati la mia prima ‘vera’ band e avranno sempre un posto speciale nel mio cuore, un po’ come la prima storia d’amore. Ho ancora una profonda infatuazione per quel modo di suonare e quel genere musicale, adoro quanto uscito negli anni Ottanta ed il death metal in generale, l’immaginario che lo circonda… Colleziono demo e cassette di quel periodo, poster di concerti, magliette, riviste, fanzine e tutto quello che poteva circolare allora e all’inizio degli anni Novanta. C’è qualcuno tra i lettori che è fan di Bulldozer e Necrodeath? Ecco, sappiate che fanno parte anche loro della mia collezione, per dire, e sono sempre alla ricerca di nuove chicche (risate, ndr)! Anche per questo i Repugnant avranno sempre un valore immenso e profondissimo per me, ma in quegli anni, soprattutto quando registrammo quell’album, eravamo tristi perché non eravamo riusciti a consegnarlo a nessuna etichetta, ero frustrato dal fatto che non stavamo andando da nessuna parte. Volevo che fossimo in grado di raggiungere quel minimo di successo che ci permettesse di andare in tour, firmare un contratto con un’etichetta reale… Speravo potessimo avere avuto quella possibilità, ma d’altro canto se fosse accaduto forse non ci sarebbero stati i Ghost – è difficile da valutare a posteriori. È come per l’amore, in un certo senso: uno vorrebbe rimanere sempre con la prima persona che ha amato? Non è semplice dare una risposta. Quella persona, è stata importante ed avrà sempre un valore particolare? Certo che si, però appunto non vuol dire che uno voglia rimanere con lei per tutta la vita. Per me è stata un’esperienza di crescita, ho imparato moltissimo da quel periodo perché tutta la strada su cui ho camminato parte da lì, ci ho lasciato davvero un pezzo di cuore. Sono orgoglioso dei Repugnant e di aver scritto e suonato “Epithome Of Darkness”.

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