GHOST – The b(r)and “Ghost”

Pubblicato il 11/05/2017 da

Che dietro le varie incarnazioni di Papa Emeritus, voce e anima dei Ghost, altri non vi fosse che Tobias Forge era da tempo un segreto di Pulcinella. Ma chi è Tobias Forge, dietro i paramenti del ‘suo’ diabolico prelato? Difficile dirlo, specie se le circostanze mettono insieme tempi molto stretti, un interlocutore un po’ enigmatico e il divieto categorico di fare domande su ciò che tutti vorremmo sapere – ovvero quali siano la sua posizione e i suoi sentimenti rispetto allo sgradevole ritratto che i suoi ex colleghi stanno tracciando di lui in questi giorni, per la delizia cannibale della stampa internazionale. Tuttavia, nel poco tempo concessoci in udienza telefonica con un Nameless Ghoul dalla fin troppo ovvia identità, una mezza idea di chi sia Tobias Forge ce la siamo fatta: professionale fino al parossismo, calato con fedeltà quasi stanislavskijana nei panni del suo personaggio (non lo molla nemmeno al telefono), prossimo al maniacale nel far musica e nel parlar di essa. Uno che, più che una band, ha messo consapevolmente in piedi un vero e proprio ‘brand’. Eppure, tanta scrupolosità non gli è bastata, a pochi secondi dalla fine, per resistere alla tentazione di togliersi un sassolino dalla scarpa… Dopotutto, anche il Papa è umano.

Artista: Ghost | Fotografo: Francesco Castaldo | Data: 19 aprile 2017 | Venue: Alcatraz | Città: Milano

 

PARLIAMO SUBITO DI “POPESTAR”. NON  È LA PRIMA VOLTA CHE ALTERNATE LA PUBBLICAZIONE DI UN COVER EP ALL’USCITA DEI VOSTRI ALBUM E TEMPO FA, NEL CORSO DI UN’INTERVISTA, AVETE DICHIARATO CHE DIETRO QUESTA SCELTA CI SONO RAGIONI PRATICHE, OLTRE CHE ARTISTICHE. CONFERMI?
“Direi di sì, anche se all’inizio volevo fare un’unica suite (di ‘Meliora’ e ‘Popestar’, ndR). Nel 2014, l’idea era di registrare una quindicina di pezzi ma il produttore di ‘Meliora’ non era interessato a lavorare su delle cover. La scelta è comprensibile: non voleva perdere tempo su musica che non fosse originale e lo capisco. In principio, il piano era di concludere le registrazioni entro la fine del 2014, ma poi la cosa si è prolungata fino al 2015 e ciò che doveva essere pronto a gennaio ha finito per concludersi a maggio, quando ho terminato i mixaggi a New York. Così, in buona sostanza, i piani se ne sono andati al diavolo. ‘Meliora’ è un ottimo disco, sono molto soddisfatto di come è venuto, ma è stato posticipato di parecchio: doveva uscire in aprile e i lavori, come dicevo, si sono conclusi a maggio. Quindi non abbiamo mai avuto tempo di registrare l’EP. Avevamo un b-side, ‘Zenith’, ma non è che con potessimo farci gran che. Quindi avevamo queste cover, che originariamente dovevamo registrare come b-side, e un brano che avevo scritto durante le registrazioni di ‘Meliora’ – ‘Square Hammer’-  che ci potevamo aggiungere. Da qui l’idea di fare un EP. Insomma, si è trattato di risolvere un problema. Problem solving: è quello che faccio tutto il giorno”.

QUINDI “SQUARE HAMMER” ERA STATA COMPOSTA PER ESSERE INCLUSA IN “MELIORA”? O POSSIAMO GIÀ CONSIDERARLA UN ASSAGGIO DEL PROSSIMO ALBUM?
“Non direi. ‘Square Hammer’ è un pezzo speciale. In realtà, voglio pensare che anche la maggior parte dei brani che scrivo lo siano: non mi sono mai detto ‘Ora mi metto qui e scrivo un’altra ‘Ritual’’. Un pezzo così lo avevamo già fatto e io volevo pubblicare dieci brani che fossero nuovi. ‘Square Hammer’ è, o era, il pezzo che ci mancava. Ci serviva una grande opener, una nostra ‘Run To The Hills’. Un pezzo che dicesse: ‘Siediti immediatamente’. Niente intro prog… niente prog in generale (ridacchia, ndR). Un pezzo che andasse dritto al cuore. E ho pensato che ‘Square Hammer’ fosse perfetto per quella release, perché sapevo che non sarebbe stata bene nel prossimo album. Già due anni fa sapevamo di cosa avrebbe parlato il prossimo album che pubblicheremo ed è per questo che ho deciso di escludere ‘Square Hammer’ dal nuovo disco e di farne, invece, un tramite con ‘Meliora’”.

I BRANI CHE AVETE COVERIZZATO IN “POPESTAR” SONO ACCOMUNATI DA UN CERTO IRONICO RIFERIMENTO A TEMI RELIGIOSI E, AL TEMPO STESSO, SI SPOSANO PERFETTAMENTE COL VOSTRO STILE MUSICALE. INDIVIDUARLI NON DEVE ESSERE STATA UN’IMPRESA FACILE. 
“Ho scelto le cover basandomi su quello che pensavo sarebbe stato il risultato una volta registrate. Ci sono pezzi che sono finiti su un album e che magari partivano da una buona idea, ma che a posteriori non mi soddisfano completamente: è il caso, ad esempio, di ‘Waiting For The Night’ (cover dei Depeche Mode inclusa in “Infestissummam”, ndR). Penso che la mia idea iniziale fosse buona, ma poi l’abbiamo rovinata. Potendo tornare indietro, credo che non la rifarei o almeno non la includerei nell’album o su ‘If You Have Ghost’. Il fatto è che sono molto scrupoloso. Per me, ogni canzone deve avere un certo valore di originalità, anche se è una cover: far passare un pezzo attraverso il ‘brand’ Ghost, significa sottoporlo ad una metamorfosi e credo che questo sia molto importante. Bisogna che quella canzone aggiunga qualcosa all’universo dei Ghost. È difficile da spiegare. Certo, se il tema è in qualche modo religioso, aiuta”.

CREDO CHE QUESTO PUNTO SIA MOLTO INTERESSANTE. DA FAN DEI GHOST, HO LA NETTA SENSAZIONE CHE ATTORNO AI VOSTRI COVER EP SI CREI UN’HYPE PARTICOLARE, DIVERSO DA QUELLO CHE POSSONO GENERARE QUELLI DI ALTRI GRUPPI. E CREDO CHE QUESTO HYPE SIA DOVUTO IN BUONA PARTE PROPRIO ALLA VOSTRA CAPACITÀ DI PROPORRE NON SOLO ‘SEMPLICI’ COVER, MA APPUNTO DI CATAPULTARE BRANI ALTRUI IN UN VOSTRO UNIVERSO. IN ALTRE PAROLE, DI FARNE DEI VERI E PROPRI PEZZI DEI GHOST.
“Beh, grazie! È esattamente il nostro intento quando lavoriamo alle cover e credo sia uno dei motivi per cui fare un’EP è meglio che fare semplicemente dei b-side. Cerco sempre di metterci questa intenzione, al massimo: a volte funziona, a volte no. Ci sono un sacco di brani che non abbiamo mai registrato o che non sono finiti da nessuna parte e il motivo principale è che sono estremamente critico. Lo sono anche nei confronti dei pezzi che compongo interamente; se non funzionano, non ne voglio sapere. Oppure lascio il materiale ‘in attesa’: se un pezzo è buono, lo sarà anche tra due anni. Molto del materiale che ascolterete in questo nuovo album l’ho composto due, quattro, sei anni fa. Magari ci aggiungo qualche nuova parte o faccio delle modifiche. È un po’ come stendere uno script o una sceneggiatura… Ecco, mi sento un po’ come un attore comico: una battuta ritrita non funziona; se tutti conoscono la barzelletta, non fa ridere. Generalmente lavoro ‘grattando via’ ciò che non va, è molto raro che io registri qualcosa dandomi carta bianca: questo mi spinge ad essere molto concreto e poco sentimentale, nei confronti dei miei brani. Se non funziona, via. Se funziona, si va avanti. A volte capita anche che parte di qualcosa che avevo scritto perché fosse un brano originale finisca in una cover. Per esempio, il solo di ‘I’m A Marionette’ era stato scritto per un brano originale. Oppure il riff di ‘Missionary Man(canticchia la strofa, ndR): quello non c’è nel pezzo degli Eurythmics, e originariamente si intitolava ‘From The Pinnacle To The Pit’. Poi ‘From The Pinnacle To The Pit’ ha avuto un altro nome, quel riff è finito su ‘Missionary Man’ e il titolo ‘From The Pinnacle To The Pit’ è stato assegnato ad un altro brano ancora. Si fanno un sacco di cambiamenti, in fase di registrazione”.

COMPONI TUTTO DA SOLO?
“Per lo più, sì. Negli anni sono subentrate anche altre situazioni, ci sono casi in cui il produttore ha una certa influenza e magari ci fai anche delle demo assieme. Ci sono persone nella band a cui mi piace chiedere un parere: ‘Questo lo ripetiamo due volte? O ne basta una? Cambiamo qualche nota qua e là?’. Ma il brano in sé lo ‘dirigo’ io”.

IL TEMPO STRINGE, QUINDI VORREI FARTI UN’ULTIMA DOMANDA. I GHOST HANNO AVUTO UN SUCCESSO STREPITOSO IN UN TEMPO STREPITOSAMENTE BREVE. COME TE LO SPIEGHI?
“Credo sia dovuto a molti fattori, ma penso che parte del nostro successo sia dovuta al fatto che nel corso degli anni siamo riusciti a creare qualcosa di diverso. Non credo che siamo migliori o peggiori di altri, credo che siamo diversi dalla maggior parte delle band che sono emerse tra il 2010 e il 2016. Penso che la chiave stia anche nella nostra intensa attività live e che la nostra immagine sia stata molto rilevante. E penso che abbiamo un brand molto forte: abbiamo un bel logo e facciamo belle magliette. E se possiamo vendere magliette, possiamo andare in tour. Se non vendessimo tante magliette, i tour sarebbero fuori discussione! Voglio dire, devi pagare i membri della band, la crew, il bus…e se non avessimo potuto farlo, non saremmo qui oggi. Penso che il logo e l’immagine abbiano fatto molto. Ma logo, merchandise e immagine nulla avrebbero potuto se non avessimo avuto buone canzoni. E ovviamente abbiamo avuto molta fortuna”.

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