GHOST – Tra il bianco e il nero

Pubblicato il 06/05/2023 da

Geniali, controversi, dissacranti, blasfemi: indipendentemente da come vengano definiti, i Ghost sono una delle band di maggiore impatto nel panorama rock moderno. Il gruppo svedese, che calca le scene da più di una decade, si ripropone al pubblico con “Phantomime”, un EP completamente composto da cover rivisitate nel loro inconfondibile stile, da sempre in grado di fondere in un marchio di fabbrica unico melodie orecchiabili e puzza di zolfo, testi sopra le righe, sonorità rock (con appena qualche reminiscenza di certa pesantezza doom classicheggiante degli esordi) ed un Papa Emeritus in grado di regalare una performance vocale sempre degna del suo nome.
In attesa di vederli a Milano alla fine del mese, abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Tobias Forge, il carismatico e polarizzante frontman da sempre alla guida della band.

IL NUOVO ALBUM “PHANTOMIME” È ESCLUSIVAMENTE COMPOSTO DA COVER. SOLITAMENTE ALBUM DEL GENERE SONO ABBASTANZA RARI IN QUANTO DIFFICILI DA PROMUOVERE (TOUR BASATI SU UN ALBUM DI COVER NON SONO DI CERTO COMUNI) E IL PUBBLICO TENDE A PREFERIRE MATERIALE SEMPRE INEDITO. QUESTO TUTTAVIA NON SEMBRA ESSERE UN PROBLEMA PER I GHOST, E DOPO ALBUM COME “IF YOU HAVE GHOSTS” E “POPESTAR”, FARE COVER SEMBRA QUASI ESSERE UNA TRADIZIONE PER LA TUA BAND. PER QUALE RAGIONE PROPONETE COSÌ SPESSO COVER DI ALTRI ARTISTI?
– Innanzitutto voglio sottolineare che l’uscita di questo album non coincide con un nuovo tour, questo è ancora l’Imperatour, che abbiamo iniziato per far conoscere l’album “Impera”.
Un anno fa abbiamo deciso che il tour sarebbe stato diviso in due parti principalmente perché ci siamo trovati in una situazione alquanto singolare, in cui molte band volevano tornare a calcare i palchi di tutto il mondo allo stesso momento e si era creato un certo ‘affollamento’.
L’EP è stato registrato contemporaneamente ad “Impera”, ed è stato una sorta di continuazione di questo. Tendiamo a rilasciare nuovo materiale durante il tour perché solitamente siamo in giro per molto tempo, e questa è un ottima opportunità per condividere materiale aggiuntivo con i nostri fan.
Fare cover è anche una cosa che mi piace. E’ un po’ come gestire un teatro, alcune volte si propongono spettacoli inediti, completamente nuovi, altre volte invece si punta sui classici, come Shakespeare. Questo alternarsi aiuta a continuare la produzione e a mantenerla attiva. “Phantomime” è stato registrato allo stesso tempo di “Impera”, avevo uno studio, un ingegnere del suono e registrare un EP di cover ci ha permesso di rimanere operativi anche quando le idee migliori per “Impera” faticavano ad arrivare.
Per fare un’altra analogia, è un po’ come essere uno scrittore che, di tanto in tanto, mette in pausa la stesura del suo romanzo per leggere qualcosa di nuovo, mettere a fuoco le proprie idee e ritrovare la prospettiva. Registrare una cover è la stessa cosa per me, mi permette di tornare indietro da dove ho iniziato e, nel migliore dei casi, mi ritrovo con un nuovo pezzo da aggiungere al mio repertorio.

ANALIZZANDO LA TRACKLIST DI “PHANTOMIME” POSSIAMO VEDERE CHE LE COVER SONO STATE ESTRATTE DA UNO SPETTRO MUSICALE MOLTO AMPIO. PASSIAMO DAL ROCK DEI GENESIS ALL’HEAVY METAL DEGLI IRON MAIDEN, PER ARRIVARE FINO ALL’R&B DI TINA TURNER. QUAL È IL FILO LOGICO CHE HAI SEGUITO PER SCEGLIERE I BRANI?
– Alcune delle cover presentate sono state sulla mia lista per anni. Questa cosa succede molto spesso e mi ritrovo a ripescare idee per le canzoni, oppure per gli show, che sono state inserite nella mia lista personale molti anni fa, mentre altre volte sfrutto delle idee che mi sono venute in mente solo qualche giorno prima. Non sono il tipo che si siede e pensa a delle possibili cover da proporre, anzi, molto spesso mi viene un’idea e voglio provare qualcosa di nuovo con una canzone che mi piace, altre volte registro delle demo per poi scoprire che non mi piacciono affatto.
Ho registrato molto materiale per “Phantomime”, all’inizio volevo produrre qualcosa come dieci canzoni e sono finito per rilasciarne solo cinque. Ho scelto questi cinque brani perché il risultato era esattamente quello volevo. Specialmente pezzi come “Jesus He Knows Me” e “We Don’t Need Another Hero” hanno un significato importante che ha a che vedere con il mondo in cui viviamo in questo momento, soprattutto per quanto riguarda i loro testi.

LE CANZONI DEI GHOST SONO SEMPRE STATE CARATTERIZZATE DA UNA FORTE CRITICA VERSO LA RELIGIONE. IL SINGOLO “JESUS HE KNOWS ME” SEMBRA SEGUIRE LO STESSO FILONE E SI FOCALIZZA MOLTO SULL’IPOCRISIA CHE SPESSO SI CELA DIETRO UN CULTO. IN CHE MODO UTILIZZI LA TUA MUSICA PER PARLARE DI TEMI DEL GENERE, COME, APPUNTO, LA RELIGIONE?
– Vorrei innanzitutto specificare che io non sono contro la religione in sè. Avere fede, oppure credere in qualcosa di soprannaturale, non è necessariamente una cosa negativa; quello che io critico sono le religioni lineari, viste come multinazionali che vogliono fare soldi sulle spalle della gente. Queste religioni non sono mai state create per condividere idee, ma piuttosto per controllare le persone, e questo è il loro scopo ancora oggi. Questo è stato il principale focus dei Ghost, descrivere come le persone reagiscono davanti al tumulto e il tormento creato da queste ideologie.

TESTI BLASFEMI, FACE PANTING E UNA FORTE OPPOSIZIONE ALLA RELIGIONE SONO SEMPRE STATI ASPETTI CARATTERIZZANTI DELLA MUSICA HARD ‘N’ HEAVY (BASTI PENSARE AD ARTISTI COME KISS, BLACK SABBATH E MARILYN MANSON). 
CONSIDERANDO CHE TEMI COME LA RELIGIONE SONO ANCORA CONSIDERATI CONTROVERSI, CREDI CHE LA MUSICA METAL ABBIA ANCORA QUEL POTERE PROVOCATORIO CHE AVEVA UN TEMPO, OPPURE QUESTO ASPETTO STA DIVENTANDO SEMPRE MENO IMPORTANTE?
– Se avessimo avuto questa conversazione sei o sette anni fa, sarei stato d’accordo con te. Ma al giorno d’oggi possiamo notare una tendenza diversa nel mondo occidentale, e mi riferisco al mondo occidentale perché il rock si avvicina principalmente a persone culturalmente associate ad uno stile di vita basato sui canoni dell’Occidente.
Dal punto di vista culturale, specialmente se parliamo di cultura pop, mi piacerebbe essere ancora nel il 1985, quello era un periodo molto più figo. Sfortunatamente oggi la tendenza non è quella di tornare agli ideali degli anni Ottanta, ma piuttosto quella di tornare ai tempi in cui la terra era considerata piatta, ad una sorta di Medioevo dove le persone non si pongono più domande. Penso che questo sia il risultato di altri aspetti che si combinano nella nostra società, una società in cui una larga fetta della popolazione fatica a trovare una dimensione. Il risultato è che in molti decidono di chiudersi all’interno del proprio mondo e buttare via la chiave.
Canzoni come “Jesus He knows Me” furono molto rilevanti nel 1991, anno in cui i Genesis la scrissero, ma una decina di anni fa anche io avevo l’impressione che queste tematiche fossero vecchie e superate nella nostra società. Negli ultimi anni, tuttavia, mi rendo conto che temi come questi stanno tornando attuali e importanti. Io non faccio il predicatore o il politico, io sono un artista rock e faccio intrattenimento, ma tutto ad un tratto sento che la provocazione ricopre nuovamente un ruolo fondamentale.

PAPA EMERITUS SEMBRA ESSERE LA SPINTA CREATIVA DIETRO I GHOST E L’ANONIMATO DEI NAMELESS GHOULS (E GHOULETTES) È SEMPRE STATO UN MARCHIO DI FABBRICA DEL GRUPPO.
QUANTO SPAZIO CREATIVO LASCI AGLI ALTRI MEMBRI DELLA BAND DURANTE LA COMPOSIZIONE DI UN NUOVO ALBUM?
– Io ho una band con cui vado in tour e un insieme di persone, completamente diverse, con cui collaboro durante la stesura dell’album.
Le persone con cui collaboro durante la realizzazione del disco mi aiutano ad avere un punto di vista differente. Se scrivessi le mie canzoni completamente da solo, senza nessuno che mette in discussione le mie idee, mi ritroverei in una sorta di ‘echo chamber’, una specie di comfort zone dove tendo a semplificare troppo le cose.
Per questo motivo mi piace invitare qualcuno dall’esterno ed avere dei feedback sui brani che compongo. Questo processo molto spesso avvia un flusso di idee che porta a considerare questa persona come un coautore per il pezzo che sto scrivendo (ride, ndr). Io non chiedo mai a qualcuno di scrivere un pezzo per me, è sempre un invito a lavorare insieme su delle componenti musicali scritte da me, anche perché i Ghost hanno bisogno di seguire il mio stile per avere il sound che hanno.
Per quanto riguarda la parte strumentale, tendo a registrare tutte le parti per essere sicuro che il brano suoni esattamente come voglio. Per fare un esempio, io so suonare la batteria ma non pratico attivamente lo strumento da anni, quindi dopo aver registrato una versione iniziale preferisco assumere un batterista professionista, in grado di portare il pezzo ad un altro livello. La stessa cosa vale per le chitarre, per questo ho collaborato con Fredrik Åkesson degli Opeth su un paio di tracce. Questo è anche un modo per avviare collaborazioni con altri artisti.
Il motivo per cui non porto queste persone nella mia band live è che siamo in nove sul palco. I miei collaboratori sono dei validi musicisti, ma spesso non ho bisogno di tutti loro in uno show, senza considerare il fatto che vivono sparsi per tutto il mondo. Se volessi portare in tour con me i miei collaboratori dovrei selezionare solo i musicisti di cui ho bisogno e questo creerebbe dei dissapori, per questo mi rivolgo a persone completamente diverse, così nessuno si sente escluso.

TOBIAS FORGE E PAPA EMERITUS SEMBRANO ESSERE DUE PERSONE MOLTO DIVERSE. QUANTO DI PAPA EMERITUS POSSIAMO TROVARE IN TOBIAS FORGE E QUANTO DI TOBIAS FORGE POSSIAMO TROVARE IN PAPA EMERITUS? CERCHI SEMPRE DI TENERE QUESTE DUE ENTITÀ SEPARATE OPPURE CREDI CHE QUESTE TENDANO A FONDERSI SOTTO CERTI ASPETTI?
– Se vediamo quello che faccio come una forma di recitazione, allora posso dire che ogni attore che interpreta un personaggio porta con sè alcune sfumature di questo. Essenzialmente è come amplificare all’estremo una parte importante della tua personalità mentre altre ne vengono escluse.
Io dico sempre che Papa Emeritus è un mix di Dracula, Vito Corleone e Jacques Clouseau, tre personaggi che mi piacciono molto. In lui si mescolano il super macho con il buffone che dice sempre quello che pensa, senza filtri o paura per il giudizio altrui. Ovviamente queste caratteristiche vengono enfatizzate dal personaggio, e sta al pubblico indovinare quale aspetto sto rappresentando.

“MARY ON A CROSS” HA RECENTEMENTE RAGGIUNTO LE 500.000 COPIE VENDUTE. QUESTO SUCCESSO PUÒ ESSERE VISTO COME UN GRANDE PASSO NEL VIAGGIO EVOLUTIVO DI UNA BAND. QUANTO SEI CAMBIATO, COME ARTISTA E COME PERSONA, DURANTE QUESTO VIAGGIO?
– (Ci pensa, ndr) Bella domanda! C’è sicuramente stata una trasformazione non solo per me ma anche per la band e per il progetto stesso. Il successo è stato alquanto inaspettato perché, nonostante io volessi scrivere una bella canzone, questa doveva essere un B-side, una specie di scherzo che è andato avanti troppo a lungo. Se pensiamo a “Mary On A Cross” e “Kiss The Go-Goat”, i due brani che compongono “Seven Inches Of Satanic Panic”, questi non erano altro che la colonna sonora di uno dei nostri buffi siparietti. Una volta rilasciati questi brani lo ‘scherzo’ è andato avanti, e ci siamo ritrovati a suonarli come parte del nostro repertorio. Non fraintendermi, io adoro queste canzoni, specialmente “Mary On A Cross”, penso che sia davvero un ottimo brano, ma rimane comunque parte di un B-side.
Il fatto è che, mentre eravamo in tour, promuovendo un album completamente diverso, TikTok è impazzito per “Mary On A Cross” e questo ha cambiato moltissime cose, ad iniziare dalla composizione della nostra fanbase. Prima che questo brano diventasse famoso, la fanbase dei Ghost era una sorta di grande ‘culto’ che ritrovava in me la figura dell’alternativo, del ribelle, di quello che veniva messo da parte a scuola perché ascoltava musica che agli altri non piaceva. Ovviamente un gruppo di persone alternative può diventare molto grande, specialmente quando molti individui si identificano in quello stereotipo e seguono determinati modelli di riferimento.
Pensiamo a band come The Cure o i Depeche Mode: sono band che vengono definite ‘alternative’ ma riempiono gli stadi. Questo è sempre stato il mio obiettivo, volevo creare una grandissima band alternativa in grado di vivere di un successo lontano dal mondo mainstream. Ho sempre pensato che questa fosse una cosa possibile, voglio dire, guarda i Rammstein, queste persone non rilasciano interviste ed è difficile vedere una delle loro canzoni in cima alle classifiche nazionali, eppure hanno un successo incredibile.
“Mary On A Cross” è stata una sorta di porta aperta sul mondo dei Ghost, improvvisamente le persone sono venute in contatto con la nostra musica attraverso questo brano. Tuttavia varcare quella porta ha avuto anche lati negativi, molte persone sono rimaste affascinate da “Mary On A Cross” per essere poi disgustate dal lato più provocativo della band, che emerge solo ascoltando altri brani del nostro repertorio. Questo, sinceramente, non è più il mio obiettivo, perché non sono più il musicista black metal tredicenne che vuole semplicemente urlare contro il mondo; oggi voglio intrattenere il mio pubblico e non trasmettere sentimenti negativi. Non voglio rivolgermi ai miei fan con rabbia, non voglio che le persone si sentano a disagio per il fatto che ascoltano i Ghost. Molti di questi sentimenti sono venuti a galla solo perché la canzone ha ottenuto questa enorme esposizione mediatica, insomma, come sempre, ci sono stati aspetti positivi ed aspetti negativi.

LA MUSICA DEI GHOST È SEMPRE STATA POLARIZZANTE NELLA COMUNITÀ HARD ‘N’ HEAVY. E’ QUASI IMPOSSIBILE LEGGERE UNA NOTIZIA SU DI VOI SENZA NOTARE I MESSAGGI ENTUSIASTI DEI VOSTRI FAN PIÙ ACCANITI INSIEME A QUELLI DEGLI HATER CHE VI CRITICANO COSTANTEMENTE. QUALE È LA TUA RELAZIONE CON IL WEB, SPECIALMENTE ORA CHE QUESTO STRUMENTO PUÒ ESSERE COSÌ CENTRALE NELLA VITA DI UN ARTISTA?
– Mi tengo lontano dai social, completamente: non ho profili personali su Instagram, Twitter o Facebook e uso i profili ufficiali dei Ghost solo per controllare il materiale che viene condiviso con i fan. Mi sono rifiutato di entrare nel mondo dei social sin dall’inizio, nel 2008 con il boom di Facebook, perchè ho subito intuito che non era una cosa buona.
Certo, in alcuni casi i social possono essere utili, durante una guerra ad esempio, oppure nelle zone del pianeta in cui le persone sono oppresse da dittature: in questi casi sono l’unico mezzo per raggiungere il resto del mondo e raccontare la verità. In altre situazioni, però, i social non hanno portato nulla di buono, specialmente per quanto riguarda la salute mentale delle persone che li utilizzano, per questo me ne tengo alla larga.
Per quanto riguarda la polarizzazione che la nostra musica spesso crea, bisogna capire che io vengo dal mondo underground, sono cresciuto come un ribelle alternativo e mi sento ancora molto controcorrente sotto certi punti di vista. Il metal e il rock sono movimenti giovanili nati per portare una ventata di novità ma, allo stesso tempo, sono movimenti molto conservativi e io mi ritrovo molto in questo conservatorismo. Quando parlo di metal estremo, ad esempio, sono convinto che la scena sia completamente scomparsa dopo il 1993 e odio tutto quello che è stato prodotto dopo quella data, ad eccezione di un paio di gruppi. Tutto questo per dire che io capisco perfettamente le persone che parlano di come dovrebbe suonare qualcosa per essere ‘considerata’ rock o metal. Il teenager ribelle che è in me capisce questo modo di vedere le cose mentre il Tobias adulto, padre di due figli, comprende che questo comportamento è solo frutto dell’estremismo precedentemente citato. Per fare un esempio, io stesso capisco che dovrei essere più aperto ma, allo stesso tempo, non posso fare a meno di pensare che “Scream Bloody Gore” e “Leprosy” dei Death siano gli unici due dischi death metal degni di nota.
Il rovescio della medaglia di tutto questo sta nella grandissima visibilità che abbiamo ottenuto negli ultimi tredici anni anche grazie a persone che scrivono post solo per dire quanto odiano la nostra musica. Volendo essere opportunista, dovrei quasi ringraziare questa gente perché tutta la negatività che ci tirano addosso non fa altro che aiutarci.

DURANTE IL PROSSIMO TOUR EUROPEO FARETE TAPPA ANCHE A MILANO, IL 29 MAGGIO. OLTRE CHE I DEATH SS E I LUCIFER, CHE APRIRANNO IL VOSTRO CONCERTO, C’È QUALCHE ALTRA BAND ITALIANA CHE CONSIDERERESTI PER UNA COLLABORAZIONE OPPURE PER APRIRE UN VOSTRO SHOW? 
– (Ci pensa un attimo, ndr) Vorrei sottolineare la differenza tra condividere il palco per un paio di date di un tour e instaurare una vera e propria collaborazione ma, al di là di questo, sono assolutamente entusiasta di avere i Death SS con noi.
Ho incontrato Steve Sylvester qualche anno fa e sono stato un fan della sua band dalla metà degli anni Novanta. C’è stato un momento nella nostra carriera in cui non ci saremmo mai sognati di chiedere a questi artisti di suonare con noi, tanto era il rispetto che avevamo per loro.
Ho chiesto ai Death SS di suonare insieme perché volevo supportarli e volevo organizzare una bella serata, piena di gente a cui piace questa musica, anche se i Ghost e i Death SS appartengono a due generi molto diversi.
Parlando della scena hard ‘n’ heavy italiana devo dire che molti gruppi mi hanno colpito nel corso degli anni: ssono un grande fan di molte band progressive degli anni Settanta, anche di quelle realtà piccolissime che hanno rilasciato un solo album prima di scomparire. Sono molto affezionato anche a band come i Bulldozer o i Necrodeath, per non parlare dei Mortuary Drape o i Devil Doll, che sono state due band decisamente influenti per me. La musica italiana ha avuto un grande impatto sulla mia vita e sul mio stile musicale, quindi posso dire di essere un grande fan dell’Italia dal punto di vista artistico e, ovviamente, culinario (ride, ndr).

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