Nati a Milano nel 2017, i Ghostheart Nebula si sono rapidamente imposti all’attenzione degli appassionati grazie a sonorità doom/death metal melodiche che fondono growling, suadenti voci femminili, tastiere e gelide sfuriate; il tutto è condito da un immaginario a tema spaziale che vede l’uomo osservato da lontano e disperso nell’infinito, metafora della solitudine che circonda le nostre esistenze.
Se il loro esordio “Ascension”, pubblicato tre anni fa, rappresentava una sorpresa, con il nuovo disco “Blackshift” il gruppo lombardo, nel frattempo diventato un sestetto, conferma di voler proseguire su un tracciato personale e colmo di idee originali, in totale continuità con il suo predecessore, pur alzando ulteriormente l’asticella in termini di scrittura e di personalità.
Ne parliamo con il chitarrista Nick Magister in questa interessante chiacchierata.
CIAO NICK, BENVENUTO SU METALITALIA.COM E COMPLIMENTI PER IL NUOVO ALBUM.
PARTIAMO PERO’ DA “ASCENSION”, IL VOSTRO PRIMO DISCO PUBBLICATO NEL 2021: COME LO VEDI TRE ANNI DOPO? QUALI SONO STATE LE REAZIONI? VI HA PERMESSO DI RAGGIUNGERE UN PUBBLICO PIU’ AMPIO?
– Tornando a qualche anno fa, “Ascension” è un album che ci ha permesso di introdurci un po’ di più nella dimensione cosmica, rispetto al nostro EP di debutto “Reveries”.
Se dobbiamo fare un paragone di sound e contenuti, crediamo che questo nuovo disco, “Blackshift”, sia un bel passo avanti rispetto al precedente. Al tempo stesso, consideriamo ogni nostro lavoro un’evoluzione di noi stessi, come persone e musicisti, quindi non possiamo che essere più che soddisfatti di come “Ascension” è stato accolto dalla critica e dagli ascoltatori e non smetteremo mai di amarlo.
Sicuramente il nostro primo album ci ha dato la possibilità di entrare in contatto con un pubblico italiano ed estero che si è rivelato molto affezionato, e siamo molto grati per questo!
QUAL E’ LA STRADA CHE, INVECE, VI HA CONDOTTO A “BLACKSHIFT”? QUALI SONO LE ANALOGIE E LE DIFFERENZE TRA I DUE DISCHI? AVETE UTILIZZATO LO STESSO PROCESSO COMPOSITIVO?
– “Blackshift” è il primo album, in realtà, in cui suoniamo tutti e crediamo che già questo sia un fattore decisivo per una maturazione sonora.
La parte compositiva non è cambiata molto tra i due dischi, è sempre un processo molto intimo, non siamo la classica band che si mette a jammare e tira fuori i pezzi. Di solito siamo io e Bolthorn che creiamo e proponiamo le prime bozze, e poi tutti insieme lavoriamo per arrivare ad ottenere un risultato finale che ci soddisfa.
Rispetto al primo album, che purtroppo è stato un po’ segnato dal periodo pandemico e da tutte le conseguenze che ne sono derivate, questa volta abbiamo avuto la possibilità di registrare tutto in studio, cercando di mettere molta più cura sia negli arrangiamenti che nelle scelte sonore. Abbiamo avuto molto più tempo a disposizione in studio, specialmente con le batterie, Aron (Corti, chitarre, ndr) e Andy Testori hanno sfruttato ogni centimetro dello StreetRec Studio per ottenere un suono più naturale e imponente possibile!
Inoltre, l’ingresso in formazione di Lucia Amelia Emmanueli, anche se a processo compositivo avviato, ha ampliato le possibilità per quanto riguarda le parti cantate: avere a disposizione due voci così diverse rende fattibili molte più combinazioni ed interazioni, che di conseguenza a volte possono influenzare le scelte compositive e di struttura dei brani.
DAL PUNTO DI VISTA TEMATICO, “BLACKSHIFT” E’ IN LINEA CON “ASCENSION”. PENSI CHE QUESTO TIPO DI CONCEPT, SE COSI’ LO POSSIAMO DEFINIRE, ACCOMPAGNERA’ I VOSTRI LAVORI ANCHE IN FUTURO O POTRESTE CAMBIARE IL SOGGETTO DEI VOSTRI TESTI?
– C’è un vero e proprio collegamento tra i due dischi, non solo concettualmente: verso la fine delle registrazioni di “Ascension” abbiamo iniziato a maturare l’idea di “Blackshift” e, infatti, nella chiusura del primo disco, nel finale atmosferico di “Ascension Pt. III – Nebula” si può sentire un codice Morse che, se decifrato, porta proprio al titolo del successore. Abbiamo voluto quindi creare un ponte tra i due lavori, che in realtà è una richiesta di aiuto tra il protagonista di “Ascension” e un’altra versione di se stesso che comincia con “Blackshift”.
D’altronde anche nel nostro moniker si può intuire una certa ispirazione spaziale, è il mare in cui ci piace nuotare, una matrice cosmica in cui la miseria della condizione umana è protagonista.
IN “NAUGHT, I”, AVETE INSERITO UN CELEBRE DISCORSO DI CARL SAGAN, SCIENZIATO, DIVULGATORE SCIENTIFICO ED AUTORE DI FANTASCIENZA. QUAL E’ IL MESSAGGIO CHE VOLETE INVIARE CON QUESTE PAROLE?
– “Pale Blue Dot” è un messaggio di estrema umiltà. Ogni volta che ci crediamo superiori a qualcuno o qualcosa, ci dobbiamo ricordare che siamo solamente minuscoli esseri limitati nel tempo e nello spazio, insignificanti rispetto alla vastità dello spazio stesso, che abitano un pallido puntino blu nell’universo.
L’idea di guardarsi da lontano e da una prospettiva diversa genera nell’essere umano che possiede una certa dose di sensibilità alcune domande, e allora esso viene pervaso da un misto di sensazioni contrastanti: gioia per il dono della vita e delle magnifiche esperienze terrene, ma anche angoscia, perché sa di essere vuoto e destinato all’oblio.
CI SPIEGHI IL TITOLO DEL PRIMO PEZZO, “VdB 141 IC 1805”?
– “VdB 141” e “IC 1805” sono i nomi di due nebulose, rispettivamente la “Ghost Nebula” e la “Heart Nebula”, che danno origine al nostro nome.
Nelle nostre teste “Blackshift” prende vita in un’ambientazione cosmica in cui si colloca fisicamente, una proiezione subconscia di tutte le tematiche del disco e che trova spazio all’interno della nostra nebulosa.
L’ARTWORK DI “ASCENSION” ERA STATO REALIZZATO DA GOGO MELONE, COSA CI DICI INVECE DI QUELLO DI “BLACKSHIFT”? CHI L’HA DISEGNATO E QUAL E’ IL SUO SIGNIFICATO?
– Lo splendido artwork di “Blackshift” è opera di Heike Langhans (Remina, ex Draconian, ex Ison), e non avremmo potuto pensare ad una artista migliore per rappresentare graficamente ciò che volevamo raccontare con questo disco.
I colori rosso e verde riprendono le palette dei nostri precedenti lavori e si intrecciano tra di loro in un campo toroidale che si muove tra due elementi opposti che si compenetrano: buio e luce.
Questo schema di energie rappresenta per noi il flusso della vita stessa, in costante interscambio tra oscurità e chiarore.
LUCIA E’ ENTRATA IN FORMAZIONE IN PIANTA STABILE DALL’ANNO SCORSO E, NEL NUOVO ALBUM, LA SUA VOCE SI SENTE TANTISSIMO. QUANTO E’ IMPORTANTE IL SUO CONTRIBUTO IN QUESTI NUOVI PEZZI? COSA E’ CAMBIATO NELL’EQUILIBRIO DELLA VOSTRA MUSICA?
– L’entrata in formazione di Lucia ci ha permesso di ampliare i nostri orizzonti specialmente riguardo le soluzioni vocali e avere la possibilità di muoverci verso lidi a volte più eterei.
Come già accennato prima, il suo ingresso in formazione è avvenuto quando la scrittura di “Blackshift” era ad uno stadio già molto avanzato, ma nonostante questo il completamento dei brani e l’inserimento delle sue idee e soluzioni sulle parti vocali, lavorando insieme a Maurizio (Caverzan, voce, ndr), si è sviluppato in modo molto naturale ed in linea con le atmosfere che avevamo immaginato per i nostri brani.
L’intenzione che abbiamo per il futuro è di cercare di cucire addosso ad ognuno di noi un abito musicale sempre più peculiare e sperimentare nuove soluzioni, cercando di sviluppare parti più interessanti e particolari, sempre restando in una matrice doom/death metal.
ANCHE PER QUESTO ALBUM VI SIETE AFFIDATI A ØYSTEIN GARNES BRUN PER LA PRODUZIONE. SIETE SODDISFATTI DEL SUO LAVORO?
– Øystein è una persona fantastica ed è bellissimo lavorare con lui, perché ogni volta riesce a dare molto di più di quello che gli si chiede. Il lato umano riflette la sua professionalità e siamo assolutamente contenti di come ha lavorato per la resa sonora del disco.
Non avevamo alcun dubbio che sarebbe riuscito a tirare fuori il meglio dalle nostre registrazioni e quello che ci ha assolutamente stupito, e di cui gli saremo eternamente grati, sono le sue parti di chitarra acustica su “Infinite Mirror”, che oltretutto sono state registrate a Bergen nello studio del compositore Mono Martian. Anche qui, assolutamente in linea con il tema cosmico!
AVETE ANCHE UNA NUOVA ETICHETTA, PASSANDO DA BLACK LION RECORDS A MEUSE MUSIC RECORDS. QUALI SONO STATI I MOTIVI DI QUESTO CAMBIAMENTO? COME VI TROVATE CON LA NUOVA LABEL?
– In passato avevamo già collaborato con Meuse Music Records per la stampa dei vinili di entrambi i nostri primi due lavori. Successivamente ci hanno invitato a partecipare al festival Haunting The Castle ed è stata per noi la prima occasione di varcare il confine, salendo su un palco in un castello sperduto tra le nebbiose pianure belghe, tra l’latro in un’atmosfera incredibile.
Tutto è avvenuto poi in modo molto naturale, mentre cercavamo un’alternativa valida a Black Lion Records, abbiamo parlato con i ragazzi di Meuse Music Records e, in poco tempo, dopo aver fatto loro sentire le pre-produzioni, avevamo già un accordo in mano.
Siamo molto onorati di far parte del loro roster, che comprende tante band che stimiamo e con cui abbiamo costruito un rapporto fraterno nel doom underground italiano e internazionale e anche dal lato umano ci sentiamo assolutamente in buonissime mani.
A volte la comunicazione con le etichette non è la cosa più facile del mondo da gestire, ma sentiamo di trovarci nella nostra giusta dimensione in questo momento e speriamo di riuscire a crescere con loro.
C’E’ UNA CANZONE DEL NUOVO ALBUM ALLA QUALE TIENI IN MODO PARTICOLARE E CHE PENSI VI RAPPRESENTI?
– Probabilmente “The Opal Tide”. Questo brano è per noi speciale perché rappresenta il vero battesimo di Lucia come membro effettivo della formazione ed è stato il primo singolo che abbiamo lanciato per la promozione dei disco.
“The Opal Tide” descrive un costante flusso di emozioni nel quale ci ritroviamo persi per colpa della nostra fragile natura umana. Quando le nostre difese sono basse, veniamo sopraffatti dalle finzioni della vita, con il suo carico di menzogne e false speranze, e veniamo intrappolati in una spirale, un’onda funerea che ci fa perdere ogni riferimento; cerchiamo una via di fuga dalla fatica e dal dolore, fino al momento in cui troviamo la forza necessaria per ristabilire l’equilibrio e dominare ancora una volta la marea.
MOLTI DI VOI HANNO ALTRI PROGETTI OLTRE A GHOSTHEART NEBULA. STATE LAVORANDO A QUALCOSA IN QUESTO MOMENTO?
– Possiamo tranquillamente dire che anche gli altri progetti sono decisamente attivi e siamo praticamente tutti al lavoro su nuovo materiale che vedrà la luce nel 2025. Fare una lista di tutto quello che è in cantiere sarebbe davvero impegnativo, senza tralasciare il fatto che anche noi Ghostheart Nebula siamo già al lavoro su parecchie idee per i passi successivi a “Blackshift”!
AVETE IN PROGRAMMA UNA SERIE DI CONCERTI PER PROMUOVERE “BLACKSHIFT”?
– Assolutamente sì!
Innanzitutto abbiamo avuto l’onore di portare il nostro nuovo disco sullo storico palco del Bloom di Mezzago lo scorso 26 ottobre e da qui alla fine dell’anno abbiamo alcune date nel centro/nord Italia, tra cui una domenica 17 novembre al Centrale di Erba con Aeonian Sorrow e Marianas Rest (l’intervista si è tenuta ad inizio novembre, ndr), ed altre cose interessanti per il 2025 anche fuori dai confini nazionali.