GIÖBIA – L’idolo che si plasma

Pubblicato il 27/06/2020 da

Sicurezza nostrana in ambito heavy-psych, i milanesi restano ancora una volta preda dei dettami della psichedelia fumosa e godereccia, distorta e allucinata. “Plasmatic Idol” è il loro nuovo lavoro che, senza grandi scossoni o virate di stile, si setta sulle coordinate proprie del gruppo di Bazu e Detrji, con cui abbiamo avuto modo di chiacchierare per qualche battuta in merito alla situazione della psichedelia e dell’ambito – tutto italiano – dei concerti e della fruizione musicale underground. Ancora immersi in qualche riverbero sonico da dancefloor settantiana, con qualche spettro iconico di qualche idolo cangiante nel fumo, sia esso Charles Manson o Timothy Leary, ecco le loro risposte. 

GIÖBIA, DUNQUE. COSA SI NASCONDE DIETRO L’ORIGINE DEL NOME. E IN CHE MODO SI INTEGRA CON IL PROGETTO E LE SUE LITURGIE MUSICALI?
– Abbiamo scelto questo nome agli inizi, negli anni ’90, quando la nostra musica era influenzata principalmente dal folk, oltre che dalla psichedelia. Il nome deriva da una tradizione pagana del nord Italia secondo la quale l’ultimo giovedì di gennaio è di buon auspicio bruciare un pupazzo di paglia che simboleggia una strega, appunto chiamata Giobia anticamente nel dialetto lombardo. L’animo folk negli anni è stato messo un po’ da parte, ma il lato esoterico è rimasto e questo nome continua a rappresentarci.

LA VOSTRA STORIA COME GRUPPO – SI LEGGE – RISALE DAL 1994. COME È CAMBIATO ALLORA IL MODO IN CUI VOI VEDETE LA BAND? E COME È CAMBIATO IL MODO IN CUI LA BAND VIENE OGGI RITENUTA, A VOSTRO PARERE?
– Il nostro approccio verso la musica è identico a quello che avevamo in origine, ci troviamo in sala prove con lo stesso spirito di allora. La formazione è stabile da molto tempo e ciò che ci lega è proprio l’intesa reciproca e la sintonia creatasi negli anni passati insieme a suonare. Ciò che è cambiato forse è l’intento del nostro far musica: a vent’anni era un passatempo, adesso è un impegno stabile e costante che richiede molte energie, ma che ne restituisce altrettante in termini di soddisfazione personale quando sentiamo l’affetto del nostro pubblico. Sicuramente dagli esordi ad oggi c’è stato un percorso di crescita come band che va in parallelo con la nostra crescita come individui, siamo passati dal fare molte date locali in Lombardia negli anni ’90-2000, a suonare più all’estero che in Italia dall’uscita di “Introducing Night Sound” con l’etichetta tedesca Sulatron Records.

IL MASH-UP DI INFLUENZE DI QUESTO NUOVO DISCO POTREBBE RIEMPIRE BACHECHE E MENSOLE FINO ALLA FINE DEI TEMPI. TRA HAWKWIND, KRAUT, FU MANCHU E CHI PIÙ NE HA PIÙ NE METTA, CHI SCEGLIERESTE VOI COME TRIADE FONDAMENTALE D’INFLUENZA?
– Tre nomi senza dubbio di riferimento e importante ispirazione per questo album sono Goblin, Blue Cheer e Hawkwind. Ci affascinano da sempre le atmosfere cinematografiche horror da pellicola noir anni ’70 e queste band nella nostra concezione di musica psichedelica sono quelle che maggiormente richiamano uno scenario da colonna sonora, sognante e inquietante al tempo stesso. In Plasmatic Idol l’idea iniziale era quella di mantenere suoni più crudi rispetto alle precedenti produzioni, abbiamo iniziato a lavorare con Hammond e chitarre distorte, per poi cambiare preferendo chitarre elettriche dodici corde ed organi vintage effettati con suoni più moderni, alla ricerca di un risultato finale più originale. Tutti i nostri album sono diversi tra loro, cerchiamo volutamente di variare strumentazione e trovare sempre nuove ispirazioni, ma “Plasmatic Idol” volevamo che suonasse in maniera davvero personale.

E PER QUANTO RIGUARDA IL CINEMA, LA LETTERATURA, L’ARTE? ANCHE LÌ AVETE RIFLESSI PARTICOLARI SENZA I QUALI I GIÖBIA NON ESISTEREBBERO?
– Come ti dicevo, il cinema – e più di tutti quello di genere italiano – è sicuramente una delle nostre principali ispirazioni. Siamo affascinati dalle pellicole di Bava, Fulci, Dario Argento, per citarne alcuni, e crediamo che chi ascolta la nostra musica possa trovarvi all’interno un’oscurità simile. Allo stesso modo troviamo delle assonanze nella pittura, se i nostri brani dov’essero essere un’opera d’arte probabilmente sarebbero un dipinto di Goya, Bosch o Gustave Doré, con quelle atmosfere sinistre e una pluralità di significati da decifrare o da inventare, perché i nostri brani spesso non hanno un significato univoco, ma ognuno dentro può sentirvi cose diverse a seconda del proprio modo di essere.

PERCHÈ “THE PLASMATIC IDOL”? UN IDOLO LIQUIDO, CHE SI PLASMA INSIEME ALLA SUA SOCIETÀ, ALLE SUE MUSICHE, ALLE SUE DIRAMAZIONI CANGIANTI?
– Il “Plasmatic Idol” racchiude in sé la materia e l’antimateria, è il corpo e lo spirito che convivono in un’unica entità, il terreno e l’astrale che si incontrano. Rappresenta l’uomo con le sue pulsioni e desideri terreni, come il plasma, la materia, ma che talvolta sente il bisogno di aggrapparsi a qualcosa di superiore, trascendentale, può essere una divinità, un credo religioso, o un idolo in senso lato, una forma d’arte, la musica ad esempio, la dea di noi musicisti, nostra massima forma di espressione, che rende immortale e immutabile nel tempo il nostro essere umani ed effimeri.

SIETE SEMPRE STATI, ALMENO NEGLI ULTIMI TEMPI, ALLE PRESE CON LA SITUAZIONE LIVE, SOPRATTUTTO DALLE NOSTRE PARTI. COME CREDETE SI POSSA FAR FRONTE A QUESTA SITUAZIONE GENERALE DELLA MUSICA SUONATA DAL VIVO? SIA DAL PUNTO DI VISTA DEI LOCALI CHE DELLE PERSONE.
Probabilmente per i live si prospetta un periodo molto difficile, soprattutto per il mondo del rock e derivati, dove spesso il pubblico si ritrova ad essere tutto ammassato e gasato sotto al palco, a pogare e ballare. E’ evidente che col dilagare del contagio da coronavirus e con le conseguenti e dovute restrizioni, la vicinanza tra il pubblico e quella dei musicisti con la folla, che per noi è fondamentale, verrà meno per un lasso di tempo ancora indefinito. Non sappiamo come si potrebbe ovviare nel breve periodo a questa condizione, forse per quanto ci riguarda con spettacoli più introspettivi che permettano alle persone di godersi lo show mantenendo le debite distanze, ma per molti club diventerebbe complicato un approccio di questo tipo per problemi di spazio. Purtroppo personalmente non ci sentiamo rappresentati dai live in streaming o soluzioni tipo drive in, come musicisti abbiamo il bisogno del contatto col pubblico, diversamente suonare con troppe limitazioni sarebbe estraniante e poco coinvolgente.

SE POTESTE SCEGLIERE UN FEATURING IDEALE, CHI SCEGLIERESTE?
– Se fossero ancora in vita Charles Manson e Timothy Leary.

IN SEDE DI RECENSIONE ABBIAMO DEFINITO COME UNO DEI NOSTRI PEZZI PREFERITI “FAR BEHIND” CHE, SIMPATICAMENTE, ABBIAMO RIPORTATO COME “UN PEZZO CAPACE DI RISULTARE SERPEGGIANTE COME UNA GORGONE, PROGRESSIVO COME UN VECCHIO GENTLEMAN INGLESE DEGLI ANNI SETTANTA E STRAFATTO COME UN RAGAZZO DI QUARTIERE CHE VA PER LA PRIMA VOLTA AD AMSTERDAM A FARSI DI FUNGHETTI”. È L’EFFETTO DELLA MUSICA CHE CI PARLA O ANCHE PER VOI, QUANDO COMPONETE, È PIÙ O MENO COSÌ CHE VI SENTITE?
– Varia molto da brano a brano per alcuni sicuramente è così per altri brani , magari il gentlemen inglese prova tutto quello che è presente nel coffe shop, in altri ancora dopo Amsterdam prende un volo per Bombay, diciamo che sperimentiamo molto, in molti brani cerchiamo diverse soluzioni prima di trovare quella definitiva.

IL VOSTRO PEZZO PREFERITO DI SEMPRE, VOSTRO, NATURALMENTE. QUELLO CHE CONSIGLIERESTE A CHI SI APPROCCIA PER LA PRIMA VOLTA AL NOME GIÖBIA.
– Difficile sceglierne uno, forse ora sceglierei “Haridwar”, del nostro ultimo disco “Plasmatic Idol”, anche “Sun Specrtre” di “ Magnifier” nata in un improvvisazione alla Sauna Studio in riva al lago in un atmosfera unica. In ogni nostro disco ci sono almeno tre canzoni che per noi rappresentano davvero molto, per significato o per come sono nate.

QUALE È IL FUTURO DELLA PSICHEDELIA?
– Il futuro della psichedelia sta nella gente che lo ascolta e lo suona, in chi lo fa proprio, anche rivisitandolo, come noi cerchiamo da sempre di fare. Il fatto che in Europa ci siano diversi festival underground focalizzati sulla psichedelia al di là del susseguirsi delle mode, lascia ben sperare per questo genere che nasce negli anni ’60 ma che per continuare a vivere ha bisogno di linfa nuova.

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