Un rapporto complicato quello tra il pubblico italiano e i Godsmack, capaci di vendere milioni di dischi in madrepatria ma con solo due apparizioni negli ultimi vent’anni nel Belpaese, nonostante le origini tricolori del frontman Sully Erna. La recente cancellazione dello show di Milano ha acuito il rimpianto di chi non era presente quattro anni fa ai Magazzini Generali, ma nonostante “Lighting Up The Sky” sia annunciato come il canto del cigno discografico, sembra che la band continuerà ad esibirsi dal vivo, come confermatoci dal cantante e chitarrista italo-americano. Con un pizzico di boria compensata da una buona dose di simpatia, ecco a voi il resoconto della chiacchierata con il leader maximo della band di Boston…
HAI DETTO CHE QUESTO POTREBBE ESSERE IL VOSTRO ULTIMO ALBUM: COME MAI?
– Sai, credo sia ora d’iniziare a goderci il resto della nostra vita e la nostra famiglia: siamo in giro da quasi trent’anni e ci siamo tolti tante soddisfazioni, anche se la fine dell’attività discografica non significa sciogliere la band. Ad oggi abbiamo ventisei canzoni che sono entrate nella Top ten e dodici al numero uno, quindi ipotizzando di avere altri due-tre singoli in classifica da questo album saremmo ad una trentina, quanto basta per suonare due sere di fila senza ripetizioni in scaletta e al tempo stesso senza sacrificare nessuno dei pezzi che la gente vuole sentire. Alla fine dal punto di vista del fan quando vai a vedere gli Aerosmith tutti vogliono sentire “Dream On” o “Walk This Way” più che le nuove canzoni, quindi diciamo che per noi più che la fine in senso assoluto sarà l’inizio di un nuovo capitolo nella storia dei Godsmack.
NEGLI ULTIMI VENT’ANNI SIETE PASSATI POCHISSIMO IN ITALIA: COME MAI?
– Sarò brutalmente onesto: nell’ultimo tour abbiamo avuto dei problemi tecnici (la data di Milano è saltata insieme a Zurigo pochi giorni prima dello show, ndr), ma al di là di questo abbiamo bisogno del supporto di gente come te per poter suonare in Italia, perché ormai andare in tour è diventato sempre più costoso: dal bus ai voli alla crew è aumentato tutto dopo il Covid, quindi se non ci sono numeri (di ascolti, di prevendita dei biglietti, eccetera) tali da giustificare una data non è possibile per noi venire a suonare a Milano o altrove, nonostante l’Italia sia da sempre nel mio cuore (mio padre è nato e cresciuto in Sicilia, mia madre è di origini napoletane).
QUAL E’ L’ULTIMO CONCERTO A CUI SEI ANDATO DA SPETTATORE?
– Sono talmente abituato a viaggiare in tour che quando torno a casa dev’essere qualcosa di veramente epico per convincermi a lasciare il divano… Credo l’ultima volta sia stato per vedere Elton John.
COSA RAPPRESENTA LA COPERTINA?
– Il concept del disco vuole essere una metafora di tutto il viaggio che abbiamo fatto nella nostra carriera, e l’ultima canzone rappresenta quello che il me di oggi racconterebbe al me da giovane, ma la verità è che tornando indietro non cambierei una virgola di quello che ho fatto, perchè la persona che sono ora è frutto di tutte queste esperienze. La copertina nella fattispecie rappresenta il mondo che abbiamo girato come Godsmack cercando di illuminarlo, appunto citando il titolo dell’album “Lighting Up The Sky”.
CHIUSO IL CAPITOLO COI GODSMACK SI APRIRA’ UN SECONDO CAPITOLO DEL TUO LIBRO?
– E’ una buona idea e credo prima o poi lo farò, anche se l’unico problema è che questo capitolo della mia vita è ancora da scrivere, quindi mancherebbe il finale. Ti dò una notizia in anteprima: abbiamo appena finito di realizzare la sceneggiatura per un documentario basato su “The Paths We Choose” (libro autobiografico del 2007 che racconta la storia di Sully Erna dalla sua nascita fino alla firma del primo contratto discografico, ndr) e lo stiamo proponendo a diverse case di produzione, quindi spero che entro l’anno possa vedere la luce in televisione.
IN FUTURO TI VEDI ANCORA NEL MUSIC BUSINESS, O MAGARI AL CINEMA COL TUO VECCHIO AMICO THE ROCK?
– Non ne ho davvero idea. Per il momento sono concentrato a chiudere al meglio questo capitolo discografico e relativo tour, poi prendere del tempo per me stesso e poi si vedrà: di sicuro se The Rock mi chiamasse andrei di corsa, ma per il momento sono concentrato sulla musica.
SIETE TORNATI A LAVORARE CON MUDROCK, PRODUTTORE DEI PRIMI DUE DISCHI: UN MODO DI CHIUDERE IL CERCHIO?
– Sì, quando ho deciso che sarebbe stato il nostro epitaffio discografico ho voluto richiamare chi era stato con noi fin dall’inizio. Come dicevo la title-track posta in chiusura parla del viaggio della mia vita, ma nella coda finale puoi sentire in sottofondo un richiamo alle nostre vecchie hit, proprio per il concetto del cerchio che si chiude. Per questo era importante avere lo stesso team del primo album.
OLTRE ALLA CHITARRA SUONI ANCHE IL PIANO: TI SENTIREMO DI PIU’ IN QUESTA VESTE?
– Sì, lo suono dagli anni Novanta, insieme ad altri quattro-cinque strumenti; il piano è sempre stato protagonista del mio disco solista, e recentemente è entrato anche in alcuni pezzi dei Godsmack.
I TUOI TRE DISCHI PREFERITI DEI GODSMACK?
– Sicuramente “Lighting Up The Sky”, poi direi “When Legends Rise” e anche “1000 HP” ha un posto speciale nel mio cuore, anche se non ho avuto il successo che avremmo immaginato. Amo molto ovviamente anche i nostri vecchi dischi, che per me sono tutti come fossero dei figli, ma mi hai chiesto solo tre quindi mi devo limitare a questi.
I TESTI DELLE CANZONI, COME AD ESEMPIO “BEST OF TIMES” O “GROWING OLD”, SONO DIVENTATI PIU’ RIFLESSIVI…
– “Best Of Times” è una sorta di ringraziamento ai miei compagni di band, per essere stati così comprensivi e pazienti nei miei confronti negli ultimi trent’anni, riponendo fiducia in me anche in momenti in cui magari non sono stato al meglio delle mie possibilità. “Growing Old” invece è dedicata a mia figlia, che ormai è diventata una donna e quindi è un augurio a vivere la sua vita al meglio ricordandosi ogni tanto del suo vecchio papà.
TEST SUL TUO RAPPORTO CON L’ITALIA: HAI ANCORA CASA QUI DA NOI?
– Sì, ho comprato la vecchia casa dei miei genitori in Sicilia, e cerco almeno una volta all’anno di passare lì un po’ di tempo con la famiglia così da allenare un po’ il mio italiano.
PARLI ITALIANO?
– Un poco, ma sono felice di esser qui oggi (in italiano, ndr).
PIATTO PREFRITO?
– Adoro la vostra pasta, ne mangio davvero tanta qui a Boston dove c’è una folta comunità italiana e degli ottimi ristoranti, anche se non buoni come in Italia.
CONOSCI QUALCHE NUOVA BAND ITALIANA, TIPO I MANESKIN?
– (Ci pensa, ndr) No, qui devo dire di no, al massimo qualche vecchio cantante.
SUONATE INSIEME DA SEMPRE: QUAL E’ IL VOSTRO SEGRETO?
– Il segreto è semplicemente restare uniti, nei momenti belli come in quelli brutti, perchè alla fine tutto passa e si risolve nel momento in cui le cose si affrontano come una vera famiglia, mettendo da parte ego o altre sciocchezze di questo genere. Oltre a questo è importante continuare a divertirsi, continuando a suonare quello che ci piace anche ora che ci concentreremo soltanto sulla musica dal vivo.
LA SODDISFAZIONE PIU’ GRANDE CHE VI SIETE TOLTI FINORA?
– Non saprei, dato che ci siamo tolti davvero tante gratificazioni ma non vedo l’ora che il nuovo disco veda la luce perché sono davvero convinto sia il nostro migliore di sempre e spero che venga apprezzato non solo in America ma anche nel resto del mondo. Come dicevo ci piacerebbe davvero poter suonare di nuovo in posti dove siamo stati di meno, come ad esempio in Italia.
QUAL E’ LA BAND CHE TI HA AVVICINATO ALLA MUSICA?
– Probabilmente gli Aerosmith, anche loro di Boston. Ancora oggi comunque ascolto musica in vinile e sono soprattutto classici: Led Zeppelin, Black Sabbath e appunto la band di Steven Tyler.
LA COSA PIU’ STRANA FATTA DA UN VOSTRO FAN?
– Una volta un fan con una gamba artificiale è venuto da noi, si è tolto la gamba per farsela firmare e poi se l’è rimessa… È stato abbastanza surreale.