Al telefono Mark Lynn dei Gotthard ci appare tranquillo e calmo, finalmente sicuro della direzione che lui e gli altri membri della band hanno scelto per i Gotthard all’indomani del terribile evento occorso al cantante Steve Lee, deceduto a Las Vegas l’anno scorso a causa di un incidente motociclistico. Riprendere le fila di quindici anni di carriera dopo un lutto così inaspettato non deve essere stato semplice, ma la band pare aver fatto il punto del proprio passato, decidendo al fine quale strada intraprendere per i prossimi anni di carriera. Proprio del futuro dei Gotthard e dell’appena pubblicato live “Homegrown, Alive in Lugano” noi di Metalitalia.com abbiamo deciso di parlare in questa intervista, una lunga chiacchierata che poi è passata a trattare anche temi quali emozioni, vita on the road e strani posti dove suonare…
SIETE APPENA TORNATI SUL MERCATO CON IL LIVE “HOMEGROWN, ALIVE IN LUGANO”. CI SPIEGHI LA GENESI DI QUESTA INCISIONE? L’AVEVATE PROGRAMMATA DA PRIMA DEL FATALE INCIDENTE OCCORSO A STEVE?
“Sì, giusto. Avevamo già finito l’incisione di questo live più di un anno fa, perché la nostra idea originaria dopo il tour era quella di lavorare all’incisione di un nuovo album unplugged. L’ultima nostra uscita in questo senso risale a tredici anni fa, e avevamo pensato che nel frattempo molti bei pezzi più recenti meritavano una reincisione in una bella veste acustica, anche per staccarsi dal solito ritmo disco inedito-tour-disco inedito-tour, che ha caratterizzato i nostri ultimi dieci anni. Un disco acustico però avrebbe richiesto più tempo di una normale uscita elettrica, e avevamo pensato che una registrazione live sarebbe stata bene in questo punto della nostra carriera. Così abbiamo registrato tanti concerti durante l’ultimo tour, tra cui anche appunto la serata di Lugano. Ci siamo accorti subito che quella registrazione era speciale: sia perché tornare a casa dai tuoi amici e parenti è sempre un’emozione, ma anche perché in quella serata si teneva una grandissima festa della Harley Davidson, un pallino di noi tutti nella band, come ovviamente già saprete. Era l’ambiente giusto… una piazza piena di amici, un ambiente tremendo… una serata davvero magica. Abbiamo capito subito che quello sarebbe stato il concerto giusto per il live. Dopodiché siamo andati in vacanza in America, dove è successo l’incidente, ma a quel punto l’album era già pronto. Doveva uscire tra il gennaio e la primavera del 2011, nelle nostre intenzioni, ma dopo quanto successo durante questo viaggio abbiamo ovviamente rimandato a causa del lutto. Non ci è sembrato opportuno uscire con un disco che è pieno di vita, di emozioni positive, così vicino ad un simile brutto evento e quindi ci siamo fermati. Il momento perfetto era invece adesso, ad un anno dalla sua scomparsa, per ricordarci e ricordare a tutti la sua stupenda voce. Noi speriamo tanto che anche i fan la pensino così”.
MA QUINDI CON QUESTO ‘TESTAMENTO’ PER STEVE INTENDETE CHIUDERE UN CAPITOLO E COMINCIARNE UNO NUOVO? IL LIVE HA ANCHE QUESTO SIGNIFICATO?
“Sì, ma non è una cosa negativa. Dopo un anno di tristezza, dobbiamo per forza chiudere il libro e pensare al nostro futuro, non possiamo rimanere fermi nel dolore. Con questo non voglio dire che dobbiamo dimenticare Steve, anzi, tutt’altro, ma è giunto per noi il momento di continuare. Anche se ancora ogni giorno alle nostre mail ci arriva un cuore, o un pensiero di conforto o una frase su Steve, questo brutto evento è successo e non possiamo cambiarlo. E’ ora di andare avanti con la nostra vita”.
BE’, QUESTO DIREI CHE RISPONDE PIENAMENTE ALLA DOMANDA SULL’INTENZIONE DI CONTINUARE DOPO QUANTO ACCADUTO O SE LA CARRIERA DEI GOTTHARD SIA DA CONSIDERARSI TERMINATA…
“Esatto. Continueremo. Come ti dicevo, il libro è chiuso, ora dobbiamo scrivere nuove pagine, sperando che siano belle come le vecchie”.
RIMANENDO SUL TEMA DI “HOMEGROWN, ALIVE IN LUGANO”… CI PARLERESTI DELL’INEDITO PRESENTE, LA BELLA “THE TRAIN”? E’ ACUSTICA, DOVEVA INIZIALMENTE ESSERE INCLUSA NEL DISCO UNPLUGGED DI CUI CI PARLAVI PRIMA?
“In realtà non è proprio così. La canzone ha circa un anno e mezzo di vita, ed era stata composta prima che cominciassimo a sviluppare l’idea del futuro disco acustico. Steve e Leo l’hanno composta a quattro mani, registrandola immediatamente nel nostro studio privato in versione demo. E’ rimasta lì per un po’ ma qualche tempo dopo, visto poi che la registrazione era decisamente buona, l’abbiamo rispolverata perchè appunto era adattissima al disco unplugged che pensavamo di fare. Le cose non sono andate così, ma ‘The Train’ è finita lo stesso sul live ‘Homegrown’ come inedito, soprattutto per via delle sue parole. Il concetto del treno che va avanti, che non si può fermare, e che ti porta dove c’è il tuo destino ad attenderti… a posteriori sembra quasi che Steve avesse presagito il destino gli si stava avvicinando. Come un treno, appunto. Inoltre era un bel regalo per i fan, per far sentire loro ancora una volta una canzone originale registrata da lui, anche un anno dopo la sua morte”.
MA CHIARISCIMI ALLORA ANCORA UNA COSA. QUESTO DISCO UNPLUGGED VEDRÀ MAI LA LUCE O NO? LA VOSTRA IDEA É ANCORA QUELLA DI PUBBLICARLO? NEL CASO, C’E’ GIÀ UNA PREVISIONE SUI TEMPI?
“No, non ci abbiamo nemmeno lavorato su. Come ti dicevo l’idea era di uscire con il live nella primavera scorsa, e poi avere quindi più tempo per lavorare al disco acustico. Poi, con l’incidente, abbiamo dovuto ripensare a tutto, e a parte l’ovvio momento di pausa, ora ci sono altre cose di cui occuparsi. La ricerca di un nuovo cantante, ad esempio… l’unplugged è finito per forza in secondo piano, anche perché con un nuovo vocalist, la prima cosa da fare è un album normale, per presentarlo al pubblico… non credo questo progetto vedrà mai la luce. E’ uno stralcio del passato e come ti dicevo il libro è chiuso. Ora c’è altro da fare, un unplugged di pezzi vecchi con una voce nuova non avrebbe alcun senso. Con un cantante nuovo servono pezzi nuovi, anche se ovviamente in concerto non taglieremo via quelli vecchi, non preoccupatevi!”.
LA SVIZZERA E’ TORNATA TANTE VOLTE NELLA VOSTRA CARRIERA. MA PENSI CHE LA VOSTRA PROVENIENZA ABBIA IN QUALCHE MODO INFLUITO SUL VOSTRO SOUND?
“Penso proprio di sì. Come tu vivi, suoni anche, quindi essere venuti da questo specifico posto ha contribuito a renderci ciò che siamo. Se fossimo nati a Londra, Los Angeles o altrove, probabilmente avremmo suonato in maniera diversa. Anche per via della difficoltà ad uscire dalla ‘piccola’ realtà della Svizzera… il successo arriva solo dopo e con determinate condizioni. Si può dire che la nostra patria ci abbia fatto del bene e del male: bene perché quando vuoi stare in pace in questa piccola realtà nessuno ti disturba, però male perchè la sua chiusura ti frena in qualche modo. Ti faccio un esempio: i primi album li abbiamo registrati a Los Angeles, e proprio a causa della nostra provenienza là tutto ci sembrava bello e fantastico, ed eravamo sempre gasati durante le registrazioni, con un’idea nuova ogni giorno! Probabilmente, posso pensare che non avremmo avuto la stessa emozione se fossimo nati lì, magari la vita in una città così aperta ci avrebbe influenzato a livello di suono facendoci seguire le mode… invece, nella chiusa realtà svizzera, abbiamo davvero fondato il nostro stile, senza per così dire essere ‘contaminati’ dall’esterno. Sì, penso comunque che la propria patria influisca tantissimo sulla musica che componi”.
PARLANDO DI CONCERTI… TI RICORDI IL POSTO PIÙ STRANO IN CUI HAI SUONATO?
“Uh, questo è difficile… posti ce ne sono stati tanti… una volta in Svezia per esempio siamo andati in un club dove il proprietario ci aveva fatto venire, ma di organizzato non c’era proprio nulla, né impianto né nulla. Non si poteva quasi suonare e quindi avevamo deciso che ce ne saremmo andati, facendo saltare la serata. Ma tanti fan, avendo visto la pubblicità, erano accorsi per vederci… abbiamo suonato lo stesso, nonostante la situazione ed il concerto è stato bestiale! Più simile ad un party che un concerto… nel mezzo del concerto ci siamo interrotti e ci siamo fatti pure una birra con il pubblico! Per ‘vendicarci’ del trattamento dell’organizzatore l’abbiamo costretto a pagare anche qualche birra ai fan… Non che lui abbia apprezzato molto l’idea, ma visto il trattamento che ci aveva inflitto era proprio il minimo che potesse fare (ride, ndR)! Anche se il concerto in sé non ci ha fatto guadagnare nulla, è stata una cosa da ricordare. Un’altra cosa strana dei paesi nordici sono i concerti sui traghetti, navi per il trasporto passeggeri su cui i nordici tengono ogni tanto dei festival e su cui l’alcool costa molto poco! Suonare in questi posti è stato effettivamente strano per noi”.
STIAMO PARLANDO TANTO DI LIVE E CONCERTI… LA VITA ON THE ROAD TI PIACE O ALLA FINE LA TROVI STANCANTE?
“La vita on the road è bellissima, e mi manca tantissimo al momento. Non potrei farne a meno. Adoro la vita in tour e insieme ad essa anche tutta la stanchezza e lo stress che ovviamente essa comporta. Mi piace comunque troppo essere in giro con un gruppo, provare ogni sera un emozione diversa o un esperienza diversa. In tour nessun giorno è uguale all’altro… No, non c’è storia, adoro assolutamente questa vita un po’ da zingaro. Stare in studio mi piace molto di meno… ci vado solo per finire il disco, e dopo non vedo l’ora di essere di nuovo in giro per suonare”.
MI PUOI DIRE QUALI SONO GLI ASPETTI DELL’ESSERE UN MUSICISTA CHE IT PIACCIONO DI PIÙ? HAI MAI PENSATO DI MOLLARE E FARE QUALCOSA DI PIÙ ‘NORMALE’?
“Be’, sì, questo pensiero ci è venuto tante volte. Ovvio, dopo l’incidente di Steve mi sono chiesto di continuo se dovevo smettere con la musica. Ma è sempre solo un pensiero che dura pochi secondi. Succede sempre anche quando qualcosa non va bene, o sei stufo di alcune situazioni… ma un attimo dopo ti rendi conto che non puoi smettere. E’ la tua vita, non potrebbe essere diversa. E’ il mio cuore, la mia anima, che vivono per la musica e per questo alla fine non ho mai considerato di smettere per più di qualche secondo e solo sull’impulsività del momento. La musica dà tantissimo alla mia vita, mi dà la senzazione di essere uno degli ultimi pirati, degli ultimi Jack Sparrow, nel mondo. Ci sono alti e bassi, come in ogni cosa, ma alla fine a piacermi più di tutto è l’imprevedibilità della vita rock. Magari puoi pensarlo un minuto prima di un concerto in cui tutto sembra andare male e credi che quella sarà una serata di merda, ma invece il minuto dopo mentre stai suonando ti rendi conto che è può diventare una delle migliori che hai mai avuto… questo è il rock, questo è il cuore della mia vita, senza dubbio”.
QUINDI IMMAGINO CHE I MOMENTI SUL PALCO, QUANDO TI RENDI CONTO CHE TUTTI I PRESENTI CONOSCONO LE TUE CANZONI E CHE TUTTI SONO LI’ PER TE, PER LA TUA MUSICA, TI EMOZIONINO TANTISSIMO… E’ DAVVERO COSÌ?
“Sì, assolutamente. Quando vai sul palco il tuo scopo è quello di portare il divertimento, quello di fare dimenticare i problemi alla gente e di fargli fare festa con te. Quando vedi che tutti cantano un pezzo che hai composto, sai che ci sei riuscito. Che loro sono veramente con te. E questo ti dà un feeling tremendo, incredibile. E’ il punto in cui qualcosa ti dice veramente che fare musica è una cosa fantastica”.
VOI FATE ANCHE COVER TALVOLTA, COME “MIGHTY QUINN” SUL DISCO “G.”. MA IN UNA COVER SECONDO TE E’ IMPORTANTE CATTURARE IL FEELING ORIGINALE O METTERCI IL PROPRIO?
“Sì, è vero, abbiamo fatto circa sette cover, ma quelle veramente riuscite bene che poi abbiamo inciso sono appunto ‘Mighty Quinn’ e ‘Rush’. Ogni volta però abbiamo sempre suonato come la sentivamo noi, non l’abbiamo mai voluta rieseguire uguale, perché risuonare un pezzo senza reinterpretarlo è una cosa che fai nei primi gruppetti della tua giovinezza. Metterci del tuo è tutto, in una cover, è fondamentale”.
PARLANDO ALLORA DI CANZONI COMPOSTE DAGLI ALTRI, QUALI SONO I PEZZI CHE TI STANNO DI PIU’ A CUORE?
“Domanda difficilissima! Ci dovrei pensare su a lungo… Al momento ti direi di istinto ‘Hotel California’ degli Eagles. Quando eravamo in USA quest’anno l’abbiamo sentita spesso, ed è perfetta per i viaggi con la moto. E’ mentre sei in viaggio che la capisci veramente, che ti entra nel cuore. La conoscevo da prima, ma l’ho veramente compresa solo nell’ultimo anno”.
COME ULTIMA DOMANDA, RITORNO UN ATTIMO SU “HOMEGROWN, ALIVE IN LUGANO”. COSA RAPPRESENTA IN DEFINITIVA PER TE PERSONALMENTE? E’ UNA USCITA CHE AVEVATE PREVISTO, UN TESTAMENTO, UN REGALO AI FAN… QUAL E’ IL SIGNIFICATO CHE GLI DAI ALLA FINE DI TUTTO QUESTO DISCORSO?
“Be’, per me è tutto quanto hai detto, certamente. Ma è difficile spiegarlo. Per i fan dovrebbe essere il ricordo di una bellissima serata che dipinge la band in un occasione in cui si è divertita e ha dato il massimo. Non importa altro. Per noi ovviamente questa registrazione ha molti significati in più, e non tutti belli… io stesso non l’ho ancora ascoltato tutto di fila, e per ora non penso lo farò. I sentimenti miei non riguardano il disco, e non voglio perdermi nella tristezza che si accompagna ad essi, ma questo riguarda me. Per tutti, spero solo che sia un ricordo fantastico di una serata speciale”.
UN’ULTIMA COSA CHE VUOI DIRE AI NOSTRI FAN?
“Voglio ringraziare tutti per il supporto datoci nei momenti più difficili dell’ultimo anno. Se anche per voi la scomparsa di Steve è stata un momento brutto, speriamo di superarlo tutti insieme con questo nuovo disco live, che ci permette di ricordarlo in modo positivo in una serata speciale. Noi stiamo facendo di tutto per partire con un nuovo capitolo con un nuovo cantante, ma il processo di selezione sarà lungo e duro, e ci vorrà tanto tempo perché noi non vogliamo semplicemente sostituire Steve, ciò non sarebbe possibile, ma vogliamo piuttosto che il nuovo cantante possa realmente entrare nella band, e possa con il proprio lavoro ed impegno portare veramente qualcosa di nuovo, che mandi avanti i Gotthard per almeno altri quindici anni. Questo è quello che vi promettiamo”.