Fedeli ad un iter che li vede riaffacciarsi sul mercato soltanto quando sentono di avere davvero qualcosa da dire, la scorsa primavera i Grave Miasma ci hanno regalato quello che probabilmente si rivelerà essere il disco death metal dell’anno. Un’opera confezionata con estrema calma e pazienza, dicevamo, e che ci mostra il gruppo britannico dei fratelli Dani e Yoni Ben-Haim mai così aggressivo e fiero delle proprie barbare origini metallare, con soluzioni che questa volta guardano insistentemente al Brasile dei Sarcófago e alla Florida dei primi Morbid Angel, oltre che alle tipiche visioni cavernose esplorate nei capitoli precedenti. Più riff, più soluzioni ritmiche, più impatto, ma non per questo meno malvagità, nel segno maledetto di una realtà ormai imprescindibile all’interno del circuito underground mondiale, qui rappresentata dal suo cantante/chitarrista…
QUAL ERA LA VOSTRA IDEA QUANDO AVETE INIZIATO A PENSARE AI GRAVE MIASMA E ALLA DIREZIONE STILISTICA DA INTRAPRENDERE? E COME SI È EVOLUTA NEL CORSO DEL TEMPO?
– La band si è formata nel 2002, con influenze subito identificabili e prive di ogni sottigliezza. La scena metal è cambiata parecchio da allora: il symphonic black e il melodic death erano estremamente popolari, ed essere influenzati da un certo tipo di gruppi non era così comune come può invece esserlo oggi. Si può dire che il nostro fanatismo e zelo verso il black/death di fine anni Ottanta e primi anni Novanta non sia affatto diminuito, tuttavia nel tempo la band ha assunto la propria identità invece di cercare di emulare i suoi album e demo preferiti.
“ABYSS OF WRATHFUL DEITIES” È PROBABILMENTE IL VOSTRO LAVORO PIÙ DIRETTO E AGGRESSIVO. COME VI SIETE MOSSI IN QUESTA DIREZIONE E COSA – A VOSTRO AVVISO – LO DISTINGUE DAI SUOI PREDECESSORI?
– È sicuramente il nostro album più vario, con le influenze sudamericane e statunitensi di fine anni Ottanta da sempre insite nel DNA della band più che mai in evidenza, e che si sommano ai tipici elementi atmosferici del nostro repertorio. Quando ci troviamo a comporre un disco non pensiamo per forza in anticipo a quale direzione o approccio conferirgli; tutti noi ascoltiamo molti sottogeneri metal, oltre ad altri generi che sottilmente si insinuano in ciò che scriviamo.
IL DISCO SEGNA LA VOSTRA TERZA COLLABORAZIONE CON JAMIE GOMEZ ARELLANO PRESSO GLI ORGONE STUDIOS, E COME AL SOLITO IL RISULTATO FINALE È ECCELLENTE. AVETE MAI PRESO IN CONSIDERAZIONE L’IPOTESI DI RIVOLGERVI A QUALCUN ALTRO PER LA PRODUZIONE? MI DOMANDAVO ANCHE SE UNA VOLTA IN STUDIO FOSTE SOLITI RICREARE UN CERTO TIPO DI ATMOSFERA PER CONVOGLIARE MEGLIO IL FEELING DELLA MUSICA DURANTE LE REGISTRAZIONI…
– Ovviamente abbiamo preso in considerazione diverse opzioni, tuttavia Jamie è una persona che comprende benissimo il nostro messaggio e cosa vogliamo trasmettere come band. Tanti, troppi dischi nella storia del metal sono stati caratterizzati da produttori in contrasto con la visione artistica del gruppo. In studio non ricreiamo alcuna atmosfera particolare, dato che è un processo che riguarda soprattutto la precisione e la concentrazione, mentre nelle fasi iniziali del songwriting gli abbellimenti atmosferici possono essere sicuramente utili. Detto questo, le tre sessioni presso gli Orgone Studios si sono svolte in estate, e l’insolito calore sperimentato ne ha in qualche modo accentuato l’intensità.
L’ARTWORK È STATO INVECE REALIZZATO DALL’ARTISTA BRASILIANO PEDRO FELIPE, UN NOME ANCORA POCO CONOSCIUTO NELLA SCENA UNDERGROUND. GLI AVETE DATO PRECISE INDICAZIONI SUL SOGGETTO DA RITRARRE O AVETE PREFERITO LASCIARGLI CARTA BIANCA?
– Ci siamo tenuti costantemente in contatto con Pedro per tutta la durata del lavoro. L’artwork si compone di tre tavole, diverse per stile ed effetto. La stessa copertina ha comportato molta comunicazione, dalle fasi iniziali per delineare alcuni riferimenti visivi fino agli ultimi dettagli del soggetto finito.
DA UN PUNTO DI VISTA LIRICO, L’ALBUM È DESCRITTO COME “UN’ADORAZIONE DEI MISTERIOSI RITUALI DI SEPULTURA TIBETANI E DEI PASSAGGI SCIAMANICI PER ALTRI MONDI”. VI ANDREBBE DI APPROFONDIRE MEGLIO L’ARGOMENTO? LE CANZONI SONO IN QUALCHE MODO LEGATE AD UN CONCEPT?
– Tre canzoni (“Guardians of Death”, “Rogyapa” e “Kingdoms Beyond Kailash”) abbracciano temi della tradizione tibetana. Le prime due, che sono anche poste in apertura di disco, descrivono nel dettaglio la mia interiorizzazione del processo di phowa e della pratica della sepoltura celeste di bya gator. “Kingdoms Beyond Kailash”, invece, parla del fallito afflusso del cristianesimo nestoriano nell’estremo Oriente dell’altopiano tibetano, e il suo scontro con le tradizioni che circondano l’area di Kailash/Monte Meru. Le restanti tracce affrontano diverse tematiche, come riti di sepoltura, l’incontro con i demoni o l’avvicinamento alle porte verso mondi paralleli dell’esistenza spirituale.
FIN DAI VOSTRI PRIMI LAVORI, AVETE AFFRONTATO TEMATICHE INDUISTE E ORIENTALI. COME SIETE ENTRATI IN CONTATTO CON GLI ELEMENTI DI QUESTE CULTURE? AVETE MAI VISITATO QUEI LUOGHI?
– Viviamo in un’epoca in cui è possibile accedere alle informazioni con facilità, e dove la verità può essere estratta ed esplorata da una comprensione concettuale e intellettuale. Inoltre, interpretazioni e commenti possono creare una connessione a dispetto delle opache astrazioni che rafforzano le fonti originali. Ad esempio, posso leggere la Katha Upanishad e ricavare valore dai suoi principi nella misura in cui li capisco, e metterli in relazione con la mia visione del mondo e con ciò che il death metal rappresenta per me. Non affermerei mai di saperne di più attraverso la lettura, dato che ovviamente c’è una grande differenza tra la comprensione intima e la conoscenza delle informazioni. Ci saranno sempre misteri nascosti, così come ci sono tombe perdute che non verranno mai portate alla luce. La mia unica visita in India ha rivelato che non basterebbero diverse vite per comprendere anche solo una piccola frazione della conoscenza custodita in quella terra.
PARALLELAMENTE A QUESTO, È SEMPRE POSSIBILE UDIRE DEGLI STRUMENTI ETNICI NEI VOSTRI DISCHI. COME VI SIETE APPROCCIATI A QUESTI SUONI?
– Amo il suono dell’oud (strumento a corda simile al liuto, tipico di una certa tradizione araba e persiana, ndr) fin da quando ero bambino, e al momento di scrivere il materiale di “Exalted Emanation” ho cercato di trovare uno spazio sonoro per incorporare la tonalità che questi strumenti possono aggiungere e che non possono essere ricreate dalle chitarre. Li trattiamo quasi come se fossero sintetizzatori, anche per il posto che riserviamo loro nel mix, piuttosto che come gli elementi dominanti di certi abomini folk metal. Concettualmente, c’è anche un’affinità. Gli oud sono riportati nei sigilli mesopotamici del 3000 a.C., oltre che in raffigurazioni artistiche egizie del 1800 a.C. circa. Sembra che i musicisti venissero sepolti vivi con i morti regali, alludendo alla santità delle melodie per l’accompagnamento del defunto nell’Aldilà. Quindi immaginiamo quelle melodie e le integriamo nel death metal; in fondo, cosa c’è di più death metal di una melodia vecchia di tremila anni dal profondo di una cripta egizia?
CHE PESO DATE ALL’ORIGINALITÀ MUSICALE? PENSATE CHE UNA BAND POSSA ESSERE GRANDE ANCHE SENZA ESSERE ORIGINALE?
– Concedo il mio tempo a molti album etichettabili come ‘Total (inserisci il nome che preferisci) worship!’, e riconosco anche che molti ottimi dischi sono stati scritti sull’onda dell’esuberanza giovanile e dell’ascolto dei vari Nihilist o Carnage. Ma mentre mi avvicino ai quarant’anni mi rendo sempre più conto che gli album sfacciatamente ispirati alle band vecchie mi lasciano assetato dei classici originali. Tuttavia, un gruppo può suonare alla grande a prescindere, facendo magari leva su una scrittura e un’onestà degne di nota.
TROVATE DIFFICILE COMPORRE NUOVI RIFF E USCIRVENE FUORI CON IDEE INTERESSANTI IN UN GENERE COSÌ SOVRAFFOLLATO?
– È impossibile ascoltare a fondo ogni nuovo disco death metal, quindi adotto un approccio ‘less is more’, mantenendomi più o meno ignaro di quali idee vengano utilizzate o abusate. Con quasi vent’anni di esperienza spalle, siamo certi di ciò che deve essere trasmesso da ogni nostro disco e di ciò che costituisce l’identità della band, per non parlare dei nostri punti di forza e dei nostri limiti come musicisti. Inoltre, non siamo un gruppo che vive delle rendite dei tour e degli album. Pertanto, quando sentiremo che non ci saranno più territori musicali da conquistare o cose da dire, non ci sarà bisogno di andare avanti.
HO COME L’IMPRESSIONE CHE IL DEATH METAL SIA QUALCOSA DI PROFONDAMENTE SPIRITUALE PER QUESTA BAND; COSA SIGNIFICA PER VOI SUONARE QUESTO TIPO DI MUSICA? CHE PESO HA AVUTO SULLE VOSTRE VITE E SULLA VOSTRA VISIONE DELLE COSE?
– Naturalmente la vita presenta una moltitudine di impegni che ostacolano la piena attività della band, tuttavia la mondanità di molti aspetti della vita quotidiana aggiunge benzina sul fuoco e fornisce i periodi di concentrazione necessari a scrivere materiale con una particolare urgenza e vitalità. A parte questo, non potrei immaginare la mia vita senza lo scopo dato dal suonare death metal o, più in generale, dall’essere un musicista. Allo stesso modo, con il passare degli anni, i classici del genere che tutti veneriamo suonano sempre meglio e acquisiscono un impatto ancora maggiore. Suonare death metal rispecchierà sempre questo attaccamento, e la visione delle cose e la produzione della band – in quanto intrecciate fra loro – raggiungeranno una maggior congruenza con la discesa verso la decrepitezza. Il pellegrinaggio è infinito e il male non ha confini.
A QUESTO PROPOSITO, HO LETTO CHE “DEATH’S MEDITATIVE TRANCE” (BRANO CONTENUTO IN “ODORI SEPULCRORUM, NDR) VENNE REGISTRATA DOPO UN’ESPERIENZA DI MORTE APPARENTE INDOTTA DA DROGHE. LE SOSTANZE PSICOTROPE O QUESTO TIPO DI ESPERIENZE SONO PARTE INTEGRANTE DEL VOSTRO PROCESSO CREATIVO?
– È capitato che fossero una parte intrinseca del processo. Anche se sappiamo che il trip scorre a ondate.
PENSATE MAI AL GIORNO IN CUI MORIRETE? CHE VALORE O SIGNIFICATO ATTRIBUIRESTE A QUEL MOMENTO?
– L’obiettivo sarebbe quello di ripetere l’esclamazione finale di Timothy Leary “Bellissimo!”, quando riconobbe che il processo successivo del viaggio dell’anima era in corso sul suo letto di morte. Tuttavia, il mietitore non conosce vincoli né compassione quando la clessidra della vita è infranta. Accettare la transizione lungo il corridoio cosmico richiede molto allenamento e posso solo lasciare la mia coscienza in mani sconosciute, dichiarando resa all’Abisso delle Divinità Adirate in un momento simile.