GREEN CARNATION – Lunghi giorni senza luce

Pubblicato il 28/05/2016 da

In un’epoca di riscoperta e rivitalizzazione di album ed epoche passate, il ritorno sulle scene dei Green Carnation e la rivisitazione integrale del capolavoro “Light Of Day, Day Of Darkness” ha costituito uno degli eventi underground più gradevolmente estastianti di questa prima metà del 2016. Poche date, al Blastfest norvegese, al Roadburn, al ProgPower statunitense e, ultima in ordine di tempo, quella nella natia Kristiansand, per riportare sotto la luce dei riflettori una band unica nel perseguire un delicato assemblato di doom, progressive, hard rock, psichedelia e finezze acustiche. Parlando poi nello specifico del secondo album partorito in carriera, formato da una singola traccia di circa un’ora, stiamo parlando di un esperimento con pochi eguali nel mondo metal, ed è arduo ritrovare una composizione di questo tipo che abbia al suo interno un tale grado di fluidità, immediatezza e assenza di vere pause nel normale dipanarsi del suono. Di quanto sia stata appagante l’esperienza live in compagnia dei Green Carnation vi abbiamo narrato nel report del Blastfest di qualche mese fa. Qui vi riportiamo il resoconto della nostra chiacchierata, avvenuta proprio il giorno dell’esibizione in quel di Bergen, avvenuta con il simpatico cantante Kjetil Nordhus, carico di entusiasmo e positività per questa riaccensione dei motori in casa Green Carnation.

Green Carnation - immagine band - 2016
AVETE FERMATO L’ATTIVITÀ DELLA BAND NEL 2007 E VI SIETE RIFORMATI NEL 2014. QUALI SONO STATI I MOTIVI DI QUELLA PAUSA E QUANTO È STATO IMPORTANTE NEL PERMETTERVI DI RECUPERARE ENERGIE ED ISPIRAZIONE PER COMPORRE E SUONARE NUOVA MUSICA?
“Quando ci siamo fermati come Green Carnation, ognuno di noi aveva altri progetti in ballo. È sempre stato così per noi ed è il motivo per cui tutti i nostri dischi, e ‘Light Of Day, Day Of Darkness” in particolare, sono così vari e pieni di input diversi. Quindi negli anni di stop come Green Carnation non siamo rimasti senza combinare nulla a livello musicale, abbiamo assorbito influssi di altri generi, altri stili. Da quando abbiamo ripreso l’attività ci siamo rimessi a scrivere nuovo materiale, anche se non abbiamo ancora deciso se registreremo un album di inediti. L’obiettivo di questo 2026 è quello di celebrare i quindici anni dall’uscita di ‘Light Of Day, Day Of Darkness’. Suonerà diverso dal vivo rispetto al disco, perché sono passati quindici anni e siamo ora musicisti diversi, con più esperienza alle spalle e maggiori conoscenze, e non avremo a disposizione la stessa produzione che avevamo in studio all’epoca. Alcune parti sono state di fatto ricomposte e suonate in maniera differente dall’originale. Gli abbiamo dato una nuova vita, anche se questi spezzoni non risulteranno sicuramente irriconoscibili per chi conosce l’album!”.

OGGI (L’INTERVISTA SI È SVOLTA IL GIORNO STESSO DELL’ESIBIZIONE AL BLASTFEST NORVEGESE, NDR) SUONERETE PER LA PRIMA VOLTA DAL VIVO NELLA SUA INTEREZZA “LIGHT OF DAY, DAY OF DARKNESS”. QUALI SONO I VOSTRI FEELING A RIGUARDO, COME VI SENTITE ORA CHE SIETE IN PROSSIMITÀ DI UN EVENTO COSÌ SPECIALE, ALL’INTERNO DI UN FESTIVAL INTERAMENTE DEDICATO ALLA SCENA NORVEGESE?
“È un album speciale per noi e per molte persone nel mondo. Per quanto abbia suonato con quattro-cinque band diverse, il materiale dei Green Carnation mi dà vibrazioni molto forti, mi dà emozioni che gli altri gruppi non riescono a darmi con tanta intensità. So che quel disco contiene uno spettro di sensazioni e significati molto importanti per me, gli altri membri della band e tante altre persone e quando siamo stati chiamati a suonare al Blastfest la scelta non poteva che ricadere sul suonare ‘Light Of Day, Day Of Darkness’, perché ha uno spazio tutto suo, seppur non enorme, all’interno della scena metal norvegese, grazie al suo mix di progressive, doom, hard rock. Ci sembrava potesse essere la scelta più adatta per celebrare al meglio un evento così unico come quello del Blastfest 2016”.

IN STUDIO, DURANTE LA REGISTRAZIONE DI “LIGHT OF DAY, DAY OF DARKNESS”, USASTE UN CORO DI BAMBINI E UNA CANTANTE LIRICA. COME È STATO POSSIBILE RIPRODURRE LO STESSO FEELING DOVENDO RIARRANGIARE LE PARTI DOV’ERANO PRESENTI QUESTE LINEE VOCALI?
“Quando registrammo il disco, ci trovammo nella situazione di decidere se certe parti avremmo dovuto includerle o lasciarle fuori, proprio perché eravamo consci del fatto che non avremmo potuto riprodurle dal vivo. Nella versione in studio, è come se si sovrapponessero cinque-sei tracce diverse, per forza di cose live dovremmo avere moltissimi musicisti per ottenere esattamente quello che senti sull’album. Là dove c’erano il sassofono e il soprano abbiamo dovuto riorganizzare la musica e cercare di darle lo stesso feeling, le stesse vibrazioni, senza perdere nulla di com’era in origine. Il non aggiungere ulteriori musicisti rispetto a quelli che ci saranno a Bergen e altrove dove suoneremo quest’anno risponde prima di tutto a una ragione di costi, ma anche all’idea di dare qualcosa di nuovo ai nostri fan, rendere unica questa esperienza. Non abbiamo cercato dei compromessi per suonare interamente dal vivo ‘Light Of Day, Day Of Darkness’, abbiamo piuttosto cercato di rivitalizzare alcune sezioni, mantenendone lo stesso mood: noi siamo contenti dei cambiamenti, speriamo che anche chi ci viene ad ascoltare la pensi alla stessa maniera”.

NELLA VOSTRA CARRIERA AVETE FREQUENTATO MOLTI STILI MUSICALI DIVERSI. QUALI SONO I PUNTI IN COMUNE FRA LE DIVERSE FASI ATTRAVERSATE IN CARRIERA?
“Quando ci siamo sciolti nel 2007 avevamo chiuso un cerchio, completando tutto lo spettro stilistico a nostra disposizione. Per noi è stato naturale esplorare di album in album differenti vie della musica progressiva, cercando aria fresca ed esplorando strade mai battute in precedenza. Molti ci dicono che sentono forti legami fra ‘Light Of Day, Day Of Darkness’ e il materiale acustico di ‘The Acoustic Verses’. Se riascolto il nostro live album acustico ‘A Night Under The Dam’ ci posso sentire emozioni simili a quelle di ‘Light Of Day, Day Of Darkness’. A un ascolto superficiale i nostri album non sembrano avere grandi punti in comune, ma se si va in profondità, al cuore della musica, ci si accorge che c’è un unico filo conduttore a unire tutto quanto abbiamo prodotto in carriera. Nella band ci siamo sempre sentiti a nostro agio nel continuare ad andare in cerca di nuovi approcci compositivi, tutti nella band non abbiamo mai voluto fossilizzarci e abbiamo perennemente guardato avanti. Una delle cose più belle dell’essere in un gruppo è quella di crescere assieme, di sviluppare la propria personalità e di compiere, noi assieme a chi ci segue, un lungo viaggio. In tanti dei nostri fan ci hanno seguito nel corso dei cambiamenti apportati negli anni, anche se qualcuno magari ha smesso di ascoltarci dopo il secondo disco, ci sono molti altri che si sono avvicinati a noi e non ci hanno lasciato soli”.

FINITE LE CELEBRAZIONI DI “LIGHT OF DAY, DAY OF DARKNESS”, QUALI SARANNO I VOSTRI PROGETTI FUTURI?
“È presto per dirlo, siamo al primo appuntamento live dell’anno e dobbiamo ancora capire bene come funzioniamo assieme dal vivo. Non so ancora pensare a quali saranno le nostre mosse future. Dipenderà molto anche da come ci troveremo tra di noi in questi concerti, ora come ora siamo ancora in una fase di apprendimento, non sappiamo esattamente come andremo e se le esibizioni saranno un successo o meno. In base alle sensazioni che avremo, potremo decidere di fare qualcosa di nuovo, magari già il prossimo anno. Abbiamo alcune ore di materiale da parte, ci sarebbe già della musica su cui lavorare. Potremmo riuscire a pubblicare un disco di inediti per l’autunno del 2017, ma è ancora troppo presto per formulare delle previsioni”.

NELLA COMPOSIZIONE, TCHORT È SEMPRE STATO LA LINEA GUIDA E COLUI CHE HA PRESO LE PRINCIPALI DECISIONI SULL’ATTIVITÀ DELLA BAND. QUALI SONO LE RELAZIONI FRA LUI E GLI ALTRI MEMBRI DELLA BAND, SIA PER QUANTO RIGUARDA LA DIVISIONE DEL LAVORO CHE DAL PUNTO DI VISTA DEI RAPPORTI UMANI?
“Quando mi sono unito all’attuale line-up, quando ognuno di noi l’ha fatto concretamente, l’unico membro rimanente delle precedenti formazioni era proprio Tchort. Quindi lui è stato fin dall’inizio il punto di riferimento per tutti noi. ‘Light Of Day, Day Of Darkness’ nasceva dalla sua ispirazione, è farina del suo sacco musicalmente e sotto l’aspetto lirico, noi non abbiamo fatto altro che seguirlo. Sui dischi successivi, partendo da ‘A Blessing In Disguise’, abbiamo ottenuto la possibilità di scrivere anche noi qualcosa, progressivamente la composizione si è allargata agli altri soggetti coinvolti nella band. La maggior parte delle idee arriva tutt’oggi da Tchort, attorno ad esse lavoriamo tutti assieme. Questo coinvolgimento nel processo di scrittura si è ampliato negli anni, mentre prima era più concentrato su Tchort medesimo. Lui per qualche tempo, circa due anni, non è stato operativo con nessun gruppo. Dopo un po’ questa situazione ha cominciato a pesargli, sentiva il bisogno di riprendere a suonare e ha formato i The 3rd Attempt, quindi siamo stati ben contenti di riaccorglierlo all’interno dei Green Carnation. Anche per il nostro attuale tastierista e il produttore di ‘Light Of Day…’ ricominciare a lavorare assieme ha significato molto sul piano personale, tutti hanno avuto giovamento dall’aver iniziato nuovamente l’avventura con la band”.

RISPETTO A QUELLI CHE SONO I NUOVI MEMBRI COINVOLTI PER QUESTA TORNATA DI CONCERTI, MI PIACEREBBE SAPERE DI CHI SI TRATTA E COME LI AVETE RECLUTATI.
“Rispetto alla line-up che aveva registrato l’album in studio, sono rimasti gli stessi il cantante, cioè il sottoscritto, il bassista (Stein Roger Sordal, ndR), i due chitarristi, Tchort e Bjørn Harstad, e il tastierista (Endre Kirkesola, ndR). Michael (Krumins, ndR), il terzo chitarrista, è stato nella band dal 2003 al 2006. Il nostro nuovo batterista, Jonathan Perez, ha suonato nei Trail Of Tears alcuni anni fa ed è attualmente il drummer dei Sirenia. Con lui ho anche una cover band dei Faith No More. Tchort lo conosce molto bene, è stato session drummer dei Carpathian Forest e dei Gothminister, è una artista con una certa esperienza alle spalle. Era un nostro obiettivo quello di coinvolgere quanta più gente possibile proveniente dalla line-up originaria o che comunque avesse già militato in passato nei Green Carnation”.

A PROPOSITO DELLE TRE CHITARRE, NON CI SONO MOLTE METAL BAND CHE LE UTILIZZANO. COME SI RIESCE A DARE A OGNUNA IL SUO SPAZIO ED EVITARE CHE ALMENO UNA DI ESSE VENGA SCHIACCIATA E MESSA IN UN ANGOLO DALLE ALTRE?
“È un punto importante quello delle tre chitarre, al quale abbiamo dedicato molto tempo. Non avrebbe avuto senso avere tre chitarristi per fargli suonare esattamente le stesse cose! Data la complessità del disco, avevamo di fronte due opzioni: o avere tre chitarristi, oppure due tastieristi. Eventualità accaduta a Wacken, nel 2002 se non ricordo male. Regolare i suoni per due tastieristi non è nemmeno un’impresa di poco conto ed è anche abbastanza strana come visione da parte del pubblico. Infatti uno dei nostri chitarristi finisce, in alcuni momenti, per suonare qualcosa che sarebbe normalmente deputato alle tastiere. Abbiamo la fortuna di avere tre strumentisti di grande talento, molto versatili, che si possono occupare di partiture molto diverse. Michael poi suona anche il bouzouki e il theremin durante lo show, mentre io suono un secondo sintetizzatore e il vocoder”.

CHE TIPO DI ATMOSFERA SI RESPIRA ADESSO NELLA BAND RISPETTO AI VOSTRI PRIMI ANNI DI ATTIVITÀ? COSA È CAMBIATO IN VOI COME ARTISTI E COME PERSONE?
“Abbiamo accumulato esperienza, sicurezza e consapevolezza di noi stessi. In questo i sette anni di pausa ci hanno dato una personalità più solida. Oggi sono eccitato dall’idea di percepire cosa il pubblico attualmente pensi di noi e se dal suo punto di vista il concerto sarà fantastico, buono o solamente okay. Quest’aspettativa mi dà una grande carica. Siamo felici di sapere che ora siamo musicisti migliori di quanto non lo fossimo sette anni fa. Speriamo che le persone che ci vedranno saranno d’accordo con noi e gradiscano quanto andremo ad offrire loro!”.

QUAL È LA CANZONE CHE MEGLIO RAPPRESENTA IL VERO SPIRITO E L’ANIMA DEI GREEN CARNATION?
“Direi ‘Light Of Day, Day Of Darkness’, perché è quella che ha permesso di presentare i Green Carnation a un’audience più vasta. Il testo è molto introspettivo, riguarda emozioni molto intime. Nell’introversione di cui è pervaso molte persone vi ci sono ritrovate e identificate, questo ha fatto sì che in tanti riflettessero se stesse nella musica di ‘Light Of Day, Day Of Darkness’. Dal disco successivo, siamo diventati più espliciti nello svelarci al pubblico, mentre col nostro secondo album facevamo ancora riferimento a delle emozioni molto forti legate al nostro vissuto interiore. Può apparire assurdo che serva una canzone lunga addirittura un’ora per spiegare la nostra natura, ma è così”.

QUAL È LA TUA OPINIONE SUL BLASTFEST, SU UN’OCCASIONE COSÌ UNICA E PARTICOLARE, DOVE È STATA RACCHIUSA UNA VASTA FETTA DEI GRUPPI METAL NORVEGESI PIÙ IMPORTANTI DI SEMPRE? SI AVVERTE UN GROSSO SENSO DI COMUNITARIO AL BLASTFEST, C’È UN’ATMOSFERA DI VICINANZA FRA I GRUPPI E COL PUBBLICO DAVVERO UNICA, DIFFICILE DA RISCONTRARE ALTROVE.
“La prima volta che ci hanno parlato di quest’idea di una line-up solo norvegese sono rimasto impressionato, nessuno aveva mai pensato una cosa del genere! Intanto che la lista degli act presenti andava formandosi e il festival prendeva la sua fisionomia definitiva, mi sono accorto che l’idea era stata davvero fantastica. Noi siamo un paese piccolo, è facile conoscersi tra i musicisti e vedersi spesso ai concerti. Ma tutti assieme nella stessa location, è qualcosa di incredibile. Il senso di comunità di cui mi parli è appunto dovuto all’essere un paese raccolto, con una popolazione ridotta ed essere noi musicisti metal e parte di un ambiente ancora più ristretto, di nicchia. Tutti si conoscono, magari non si vedono spessissimo, ma c’è molta conoscenza reciproca e questo si riflette nel sentimento di sentirsi tutti parte di qualcosa di piccolo ma molto importante”.

QUAL È LA TUA BAND NORVEGESE PREFERITA?
“Difficile rispondere, anche perché dovrei allargare il campo al di là del mondo metal per avere una quadro completo. Diciamo che dalla musica cerco qualcosa pieno di inventiva, innovativo, che possa portare una ventata d’aria fresca e dia un impulso allo sviluppo di certi suoni. Per tutti questi motivi, credo che potrei individuare nel primo disco degli Emperor tutti gli elementi di valore artistico, innovazione, creatività che vado cercando nella musica che ascolto”.

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