Gli Hail Spirit Noir fanno parte di quella manciata di band che mescolano black metal, rock psichedelico e suggestioni provenienti dal cinema – in primis di genere e di fantascienza – con un approccio progressive e soprattutto un’impronta stilistica ben definita, perfettamente riconoscibile in ogni loro prova discografica (persino quando hanno scelto di mettere momentaneamente da parte il metal in favore della synthwave).
Dopo l’uscita della loro sesta prova, quel “Fossil Gardens” che si è rivelato l’ennesimo ottimo album partorito dal sestetto, abbiamo raggiunto Theoharis, voce e chitarra della formazione di Salonicco, nonché membro fondatore insieme a J. Demian (basso, chitarre) e Haris (tastiere) per sapere qualcosa in più sul percorso degli Hail Spirit Noir.
Il cantante si è dimostrato estremamente disponibile nel tracciare una panoramica a tutto tondo, tra storia, influenze, filosofia e ‘dietro le quinte’ di una band che non smette mai di stupire.
ANCHE SE NON AVETE BISOGNO DI PRESENTAZIONI, QUESTA È LA PRIMISSIMA INTERVISTA CON METALITALIA.COM, QUINDI VORREI CHIEDERTI COME E PERCHÈ IL GRUPPO È NATO NEL LONTANO 2010.
– Ti ringrazio per le belle parole! Per rispondere devo andare piuttosto indietro nel tempo (ride, ndr) dato che sono passati ormai quasi quattordici anni. Vediamo, dunque: all’epoca Haris, J. Demian ed io eravamo in un gruppo chiamato Transcending Bizarre? e nel corso delle registrazioni del nostro terzo ed ultimo disco uno dei membri della band, nonché caro amico, ci ha lasciati per sempre.
Dopodichè è passato del tempo e Haris si è ritrovato con alcune canzoni nuove, completamente diverse in termini stilistici dall’approccio del gruppo, per cui ha chiesto a Demian e me se fossimo interessati a fare qualcosa di differente: lo eravamo, e da lì è nato “Pneuma”. Lo stile era totalmente diverso da quello dei Transcending Bizarre?, Haris sentiva di aver bisogno di un nuovo sbocco creativo, e noi con lui.
COME NASCE DI SOLITO UN BRANO DEGLI HAIL SPIRIT NOIR? È CAMBIATO IL VOSTRO MODO DI COMPORRE NEL CORSO DEGLI ANNI?
– Beh, di solito si comincia grazie ad Haris, che è il compositore principale: lui se ne esce con un’idea o con con la base per una canzone, e abbozza uno schema di massima che condivide poi con noi. Io e Demian facciamo degli aggiustamenti e proponiamo qualcosa riguardo alla struttura, o ancora aggiungiamo parti qua e là, dove ci sembrano azzeccate.
Nulla è cambiato nel corso degli anni, semplicemente ogni volta è un’istantanea che fotografa a che punto ci troviamo come persone, perciò in questo senso è in costante evoluzione: possono avvertirsi nuove influenze ed le composizioni magari esplorano strade diverse, ma per noi è come se non cambiasse mai niente.
L’AVANTGARDE BLACK METAL È SOLITAMENTE CONSIDERATO DI ‘DIFFICILE ASCOLTO’, MA LE COSE, PER QUEL CHE RIGUARDA LA VOSTRA MUSICA, SONO PIUTTOSTO DIVERSE: L’ATTENZIONE ALLE MELODIE E AL RITMO REGALA UN’ANIMA ALLE VOSTRE CANZONI. COME RIUSCITE A BILANCIARE MELODIA E SPERIMENTAZIONE?
– È importante – almeno a mio parere – non fare cose che risultino fini a loro stesse: la sperimentazione in quanto tale è solitamente priva di significato e totalmente ripiegata su se stessa. Per questo, anche se incorporiamo sempre nuovi elementi, melodie o passaggi ‘difficili’ – come li hai definiti tu – lavoriamo perché questi abbiano uno scopo all’interno della canzone.
Ci sono davvero pochi album, come “Paracletus” dei Deathspell Omega, che hanno la capacità di risultare allo stesso tempo costantemente inquietanti e supercatchy. L’aspetto melodico deve essere sempre presente, sotto una qualche forma, perché è quello che ti fa ‘portare a casa’ il brano, che gli permette di farsi strada nel tuo orecchio.
In passato abbiamo provato diversi strumenti e soluzioni più avventurose che poi abbiamo scartato perché non avevano portato affatto buoni risultati. Persino un pezzo estremamente avantgarde quale “Starfront Promenade” – che non ha una struttura standard – alla fine ti lascia con un senso di soddisfazione: penso che sia proprio questo l’obiettivo.
AVETE PUBBLICATO SEMPRE DISCHI INTERESSANTI, MA SECONDO ME “MAYHEM IN BLUE” POTREBBE ESSERE, UNITAMENTE ALLA VOSTRA ULTIMA USCITA, IL PIU’ VICINO ALLA PERFEZIONE. POTRESTI RACCONTARCI QUALCOSA DELLA SUA CREAZIONE?
– E’ sempre bello ricevere complimenti, perciò ti ringrazio.
A dire la verità non riesco a ricordare nulla in particolare… credo sia stato grazie al fatto che “Oi Magoi” era letteralmente esploso come album black metal underground, e questo ci ha regalato nuova fiducia in noi stessi, al punto di provare nuove cose; non che con “Oi Magoi” ci fossimo trattenuti, in termini di sperimentazione, ma ritengo che con “Mayhem In Blue” siamo andati ulteriormente indietro di dieci anni per quel che riguarda le influenze, adottando quello che definirei un approccio maggiormente basato sulla ‘forma-canzone’… oddio, suona tutto così noioso, me ne rendo conto (ride, ndr)!
PROSEGUENDO… PENSO CHE, A PARTIRE DA “EDEN IN REVERSE”, ABBIATE IMBOCCATO UNA SORTA DI ‘CAMMINO VERSO LA FANTASCIENZA’: CONCORDI?
– Cambiamo sempre decennio di riferimento, in occasione di ogni lavoro, così alla volta di “Eden In Reverse” è stata ora di tributare gli onori ad un’epoca dominata dalle tastiere e dai sintetizzatori quali sono stati gli anni ’80, per cui ci siamo, in un certo senso, ‘calati’ in quell’approccio.
Non è stato un processo interamente conscio, ma dato che Haris e Sakis (che originariamente si occupava delle tastiere solo in occasione dei concerti, ma all’epoca era entrato in pianta stabile nella formazione) sono fan sfegatati di Jean-Michel Jarre è stato quasi inevitabile, e credo che con “Mayhem In Blue” avevamo in qualche modo esaurito ciò che potevamo fare con gli anni ’70, per dire.
Volevamo mantenere l’aspetto esistenziale di pellicole quali “Alien” e “2001: Odissea Nello Spazio”, aggiungendo al tutto un tocco freddo e meccanico: l’aura fantascientifica di cui parli è il risultato di questo.
A dire il vero non sappiamo mai esattamente come suonerà alla fine, un nostro album: sapevamo di volere un suono più duro per “Eden In Reverse”, ma il modo in cui le canzoni sono mutate grazie ai vari effetti e partiture aggiunte in studio ha assunto un feeling ‘spaziale’ molto più entusiasmante di quanto avessimo inizialmente immaginato. E se consideri sia “Mannequins” sia “Fossil Gardens”, credo che entrambi facciano l’effetto di un convoglio intergalattico.
IL VOSTRO SUONO È DA SEMPRE UNA MISCELA UNICA DI STILI DIVERSI, INCLUSI NUMEROSI RIFERIMENTI A COLONNE SONORE DI FILM: QUALI SONO LE TUE PELLICOLE PREFERITE E QUALI COMPOSITORI TI HANNO INFLUENZATO MAGGIORMENTE?
– Sono un fanatico di Danny Elfman, perciò non posso essere che di parte riguardo a praticamente ogni suo lavoro (ride, ndr)… direi perciò “Nightmare Before Christmas” e “Good Will Hunting”, che letteralmente adoro. Poi ci sono “The Fountain” di Clint Mansel e la colonna sonora originale di “Fargo” (il film).
Va da sé che adori anche i film in sè, pur non essendo necessariamente le mie preferite… due tra i film nella mia top 5 sono “High Fidelity” e “The Sleepers”: il primo si sviluppa attorno alla musica, ma il secondo non c’entra assolutamente niente. In ogni caso apprezziamo molto una buona colonna sonora, al punto da averne scritta una noi stessi (allude a “Mannequins”, uscito nel 2021, ndr).
IL VOSTRO SFORZO PRECEDENTE, “MANNEQUINS”, RAPPRESENTA UN UNICUM NELLA VOSTRA DISCOGRAFIA. QUAL È STATA L’ACCOGLIENZA DEL PUBBLICO E COSA NE PENSATE ATTUALMENTE?
– Penso sia grande! “Mannequins” è una specie di album per il nostro decimo anniversario; ci piaceva l’idea di qualcosa di diverso, che non fosse la registrazione di un concerto o una ri-edizione di vecchio materiale, pensavamo sarebbe stato più interessante.
Haris e Sakis erano molto presi dalla synthwave all’epoca, e avevano già remixato alcune canzoni più vecchie in quello stile; quando hanno deciso di fare sul serio hanno creato il mondo che fa da cornice ai brani che compongono il disco.
Non so esattamente come sia stato recepito… voglio dire, abbiamo spiegato mille volte che sarebbe stato qualcosa di eccezionale, ma tutti hanno continuato a pensare che quello sarebbe stato il sound degli Hail Spirit Noir da lì in avanti. A me piace perché è anche bello da guardare! E in più contiene un racconto che ho scritto appositamente per il disco.
ARRIVIAMO A “FOSSIL GARDENS”: QUAL È IL SIGNIFICATO DEL TITOLO? C’È UN CONCEPT PRECISO DIETRO A QUESTO LAVORO?
– Haris ed io avevamo iniziato a discutere circa il concept dell’album, almeno in termini generali, così abbiamo essenzialmente ripreso da dove avevamo lasciato “Eden In Reverse” per espanderlo, nel senso fantascientifico di cui abbiamo parlato poco fa.
Il titolo è un’idea che Haris ha avuto dopo una di queste discussioni: l’intero universo è visto quale una sorta di museo nel quale nozioni, concetti e qualsiasi cosa esistente – viva o morta – viene mostrata, e noi abbiamo la possibilità di scegliere da questa galleria cosmica. I fossili non sono necessariamente senza valore, senza di essi infatti non avremmo avuto il petrolio né tutta la tecnologia di cui godiamo oggi.
L’idea di fossile, inoltre, è applicabile a qualsiasi cosa nell’universo: perfino il concetto di linguaggio potrebbe un giorno perdere la propria funzione, temo, anche se al momento il linguaggio umano non è affatto morto, e continua ad evolversi.
L’intero ‘approccio cosmico’ è fortemente sostenuto dal suono, e la struttura musicale ha influenzato anche i testi, che sono stati scritti seguendo e assecondando la musica.
ALLE MIE ORECCHIE IL NUOVO ALBUM SUONA MOLTO PIU’ DURO, PESANTE E PERSINO BLACK METAL IN SENSO TRADIZIONALE… E LO APPREZZO MOLTO! SEI D’ACCORDO? SI E’ TRATTATO DI UNA SCELTA PRECISA?
– (Ride, ndr) Lasciami dire che non sei la sola ad aver apprezzato il ritorno ad una maggiore pesantezza! Non si tratta però di una decisione presa consciamente… i brani su “Eden In Reverse” suonavano male con il cantato in scream del balck metal o con un approccio sonoro più arrabbiato. Avevamo bisogno delle voci armoniose di Cons e Dimitris (Cons Marg, che ha prestato la propria voce anche sul già citato “Mannequins”, e il già citato J. Demian, basso e chitarra, ndr) per far sì che suonasse il più ultraterreno possibile. Sotto il profilo del sound “Eden In Reverse” è un album freddo, nel quale l’elemento black metal non è in evidenza, ma suona comunque duro, a suo modo.
Come ho detto, siamo soliti balzare in avanti di un decennio con ogni disco, perciò con “Fossil Gardens” siamo atterrati negli anni ’90; Haris ed io amiamo il black metal di quegli anni e perciò ci è venuto naturale rivisitarlo e di conseguenza non sorprende che risulti tanto in primo piano.
Nonostante tutto però si è nuovamente trattato di una spinta inconscia: le canzoni stesse richiedevano quella formula per raggiungere la loro forma più piena e soddisfacente. In ogni caso anche noi lo adoriamo (ride, ndr).
C’È UNA FRASE NEL BRANO DI APERTURA: “WHAT A TIME TO BE ALIVE“, CHE SUONA TRADIZIONALMENTE COME UN MODO DI DIRE IRONICO E VAGAMENTE AMARO… A COSA SI RIFERISCE IN QUESTA CANZONE?
– L’ironia ha sempre fatto pare dello spirito del gruppo. In questo caso però sentiamo davvero che sia un tempo speciale e unico nel quale vivere; non perché sia tutto rose e fiori, ma perché penso che ci troviamo alla soglia di un grande cambiamento, ed è magnifico. Non sono ottimista, a dire il vero – anzi forse prudentemente pessimista è più accurato – in quanto penso che le cose probabilmente peggioreranno prima di migliorare.
Ma il cambiamento attraversa tutto ciò che compone l’universo, plasmandolo in qualcosa che non possiamo predire: il cambiamento è un tuffo nell’ignoto. Come potrebbe non essere interessante?
“FOSSIL GARDENS“ CONTIENE ALCUNE TRACCE INCREDIBILI, COME “CURSE YOU ENTROPIA” E “THE TEMPLE OF CURVED SPACE”, AUTENTICI CAPOLAVORI. C’È UN PEZZO DELL’ALBUM AL QUALE SEI PARTICOLARMENTE LEGATO, E PERCHÈ?
– Credo che “The Road To Awe” meriti una menzione, in quanto penso sia una delle canzoni migliori che abbiamo mai scritto: irradia un’epicità che si espande in tutte le direzioni, con diversi punti di svolta nella struttura. E anche la title-track – posta in coda al lavoro – con la sua natura celebrativa, una sorta di trionfo sull’entropia, è importante per me.
Ad essere sincero però non riesco veramente a scegliere: oggi le mie preferite sono queste due, domani potrebbe essere un’altra. Ma non è sempre così quando si crea qualcosa che ci entusiasma?
CHE SIGNIFICATO HA PER TE ESSERE UN GRUPPO GRECO? HAI QUALCHE RAPPORTO CON LA SCENA METAL DEL TUO PAESE?
– Potrei girati la domanda… significa veramente qualcosa? Posso dirti, ad esempio, che la leva obbligatoria ha interrotto la carriera di diverse band. Negli anni ’80 essere in un gruppo metal ti faceva guadagnare lo sigma della società greca, ma attualmente nessuno batte ciglio al riguardo, come dovrebbe essere.
Per quanto riguarda l’avere una sorta di rapporto con le altre formazioni, naturalmente vi prestiamo attenzione, perché siamo parte dello stesso contesto, ma senza che questo crei alcun tipo di vincolo. Personalmente sono sempre alla ricerca di grandi nuove band di ogni genere – metal e non – ma senza socializzare realmente.
ULTIMO MA NON MENO IMPORTANTE: LA VOSTRA ATTIVITA’ DAL VIVO SEMBRA ESSERSI FERMATA NEL 2018, DICO BENE? QUAL È IL MOTIVO? STATE PIANIFICANDO UN RITORNO?
– Ah, sì, questa è una domanda da mille dollari… vorrei davvero avere una risposta.
Tutto ciò che posso dire è che ci stiamo lavorando: speriamo di poter tornare sui palchi perché sento che quest’assenza da un lato sta rovinando la reputazione della band, e dall’altro sta facendo affezionare ulteriormente i nostri fan, dico bene? Spero che torneremo ad incontrare più persone possibile lungo la strada!