HANDS OF ORLAC – Storie da un mondo annebbiato

Pubblicato il 16/11/2023 da

L’orrore è materia che si può raccontare in modi molto differenti tra di loro. Lo si può fare in modo vistoso, crudele, scenografico. Oppure ciò può avvenire in modo più subdolo, raffinato, scegliendo bene le parole, disegnando atmosfere cupe attraverso stratificate sottigliezze, circuendo l’ascoltatore.
È la strada degli Hands Of Orlac, origini italiane e residenza attuale in Svezia, che da anni hanno preso in mano l’ingombrante testimone del cosiddetto dark sound italiano di Balletto Di Bronzo, Black Hole, The Black e l’hanno plasmato secondo le loro volontà e attitudini. Dopo una pausa discografica piuttosto prolungata, senza squilli di tromba, quasi senza dire nulla a nessuno, la band se n’è uscita con un pubblicazione ancora meno inquadrabile delle precedenti.
Abbandonando una buona fetta delle sembianze più squisitamente metalliche, gli Hands Of Orlac si sono consegnati completamento a un’oscurità ombrosa e fuori dal tempo, ampliando l’essenza settantiana, le sfumature progressive e ammantando di uno speciale alone gotico-macabro il loro ultimo “Hebetudo Mentis”. È una musica lontana dalla modernità e dall’attualità, quella della compagine capitanata dalla cantante/flautista The Sorceress e il bassista The Templar; ed è ancora una volta una musica che parla un linguaggio forse comprensibile e interessante per pochi, ma per costoro decisamente pregiato e foriero di grandi significati.
“Hebetudo Mentis” è disco che se si ama il doom vecchio stampo, l’hard rock più plumbeo, il progressivo italiano e le sonorità gotiche a tutto tondo, va ascoltato: per perdercisi dentro, per farsi rapire dai suoi paurosi racconti. È con piacere che abbiamo allora raggiunto la formazione, per farci raccontare gli ultimi passi compiuti e il senso del loro percorso.

SONO TRASCORSI CIRCA NOVE ANNI DAL PRECEDENTE ALBUM “FIGLI DEL CREPUSCOLO” E SEI DALLO SPLIT CON I THE WANDERING MIDGET. A COSA È DOVUTA UNA PAUSA COSÌ LUNGA? SEMPLICE STALLO CREATIVO OPPURE CI SONO ALTRE MOTIVAZIONI DIETRO QUESTO PERIODO DI SILENZIO?
– Non ci sono particolari motivazioni occulte per questo tempo passato fra le uscite. Nel corso degli anni ci sono stati rallentamenti pratici e la messa a punto del nuovo materiale è stata fatta con la maggiore cura possibile. Come spesso succede, tra il completamento di un disco e la sua uscita ci sono dei tempi tecnici dalle connotazioni oscure per noi ignari che facciamo parte dei gruppi…

IL VOSTRO NUOVO ALBUM SI INTITOLA “HEBETUDO MENTIS”, ESPRESSIONE CHE SE NON TRADUCO MALE SIGNIFICA “OTTUSITÀ DELLA MENTE”: A COSA VI RIFERITE CON UN TITOLO SIMILE?
– Il titolo sembrava il più adatto per questo nuovo album e anche abbastanza adeguato ai tempi attuali. Non ti sembra che ci sia uno stato di annebbiamento che aleggia nel mondo terreno? Ascoltando il disco in molte delle sue parti si può percepire questa sensazione, lo stordimento ma anche l’improvviso stato di risveglio di cui ci si rende conto solo dopo la condizione precedente. “Timor et hebetudo mentis cecidit super nos”.

SETTE STORIE DELL’ORRORE LEGATE AI SETTE COLLI DI ROMA, QUESTA A GRANDI LINEE LA TEMATICA CHE UNISCE LE SINGOLE TRACCE. DA DOVE DERIVA L’ORRORE A ROMA E COS’HANNO DI COSÌ TERRIFICANTE LE STORIE CHE RACCONTATE NELLA VOSTRA MUSICA?
– I nostri album sono sempre composti da sei canzoni e un pezzo strumentale, sette in tutto, che è un richiamo al numero magico 7 e di conseguenza ai sette colli di Roma. È a Roma che la band è nata ed è la città di Roma che ha forgiato in un certo senso il suono della band. Roma come teatro di orrori di vario genere da più di duemila anni, partendo dall´epoca precristiana fino a tutti i compimenti della Chiesa, un luogo di potere in generale dove gli orrori si concentrano.
In questo disco in particolare abbiamo messo dei pezzi che fanno direttamente riferimento a questo, vedi “Ex Officio Domini” che parla di Giovanni Battista Bugatti, conosciuto come Mastro Titta, il boia del papa che uccideva ‘per conto del Signore’. Inoltre, per avere una buona idea delle atmosfere a cui facciamo riferimento è consigliabile vedere lo sceneggiato “il Segno del Comando”.

“HEBETUDO MENTIS” TRASUDA MISTERO E MINACCIA, MA LO FA IN MODO SOTTILE, SUBDOLO, IN MODO ANCORA PIÙ VELATO ED ELUSIVO CHE NELLE VOSTRE PRECEDENTI PUBBLICAZIONI. COSA VI HA GUIDATO QUESTA VOLTA NELLA COMPOSIZIONE, C’È QUALCHE RELATIVA NOVITÀ CHE HA PERMESSO DI DARE UN SUO SPECIFICO CARATTERE AL NUOVO ALBUM?
– I pezzi su questo album sono stati un naturale proseguimento rispetto ai precedenti, abbiamo continuato da dove avevamo lasciato alla fine dello split “Teschio Umano”. Non ci interessa di utilizzare tematiche ‘dirette’ di horror, così come non ci interessa di usare suoni moderni e più aggressivi. Sono questi due elementi a rispecchiarsi in modo complementare, la progressione o elemento ‘progressive’ in un senso antiquato, senza nessuna intenzione di innovare né di praticare un esercizio di stile. Una innovazione però c’è, quella di avere portato l´utilizzo del filtro Moog sul flauto che fino a quel momento faceva solo parte dei concerti live.

IL VOSTRO CONCETTO DI HEAVY METAL SI È FATTO ANCORA PIÙ VICINO, A MIO MODO DI VEDERE, A UN’IDEA SETTANTIANA DI QUESTI SUONI: NON HO COLTO QUESTA VOLTA LE PARENTESI TRASCINANTI CHE VI AVVICINAVANO IN “FIGLI DEL CREPUSCOLO” AGLI IRON MAIDEN DEI PRIMI DUE ALBUM, AD ESEMPIO. C’È UNA QUALCHE RAGIONE PRECISA CHE VI HA CONDOTTO A UNA SCELTA SIMILE?
– Una possibile spiegazione risiede nel proseguimento del nostro percorso musicale. “Figli Del Crepuscolo” appartiene ad un’epoca passata, scritto e registrato dieci anni fa, che ha risentito fortemente dell´ambiente in cui è stato concepito. Quel disco, ancora più del primo, risente del fatto di essere stato registrato allo Studio Misantropen del Barone Philip Svennefelt, una cosa che influisce molto sul risultato finale. Il tempo ed anche il susseguirsi di diverse configurazioni del gruppo ha inevitabilmente un ruolo nella evoluzione, anche se alla base di tutto ci sono sempre Black Sabbath e Judas Priest.
Per “Hebetudo Mentis” abbiamo deciso di proseguire e di andare verso lidi da noi ancora inesplorati, adottare determinate scelte ritmiche e melodiche che non avevamo ancora usato in passato. Il tutto è comunque costruito rispetto a come ‘sentiamo’ di fare i pezzi che vanno a comporre un disco, affinché ci sia equilibrio tra le varie componenti.

HO APPREZZATO MOLTO LA VESTE SONORA DEL DISCO: UN SUONO CHE SA DI ANTICO, BEN CALIBRATO, CON UNA QUELLA RELATIVA LEGGEREZZA CHE SI ASCOLTAVA NEGLI ALBUM DELLA NWOBHM E LA POSSIBILITÀ DI APPREZZARE NITIDAMENTE L’OPERATO DI OGNI SINGOLO STRUMENTO. QUALI CARATTERISTICHE DOVEVA AVERE SECONDO VOI LA PRODUZIONE, PERCHÉ FOSSE PERFETTAMENTE ADATTA ALLO STILE DEGLI HANDS OF ORLAC?
– Per questo disco volevamo porre maggiore enfasi sulla costruzione del suono su cui troppe volte abbiamo dovuto capitolare in passato. Sebbene la forma sia stata messa a punto durante la fase di composizione, ecco che la responsabilità della produzione va data a Berno Paulsson con cui avevamo già lavorato nel precedente split. Berno è un fonico di incredibile livello con moltissima esperienza.
In un certo senso è riuscito a domare questo disco per renderlo più accessibile all’ascoltatore, ma conferendogli un suono senza tempo che va bene oggi come in passato e anni avanti nel futuro. Il risultato è stato il più vicino possibile a quello che ci eravamo prefissati.

CI SONO ALCUNE CANZONI CHE MEGLIO DI ALTRE HANNO CATTURATO LA MIA ATTENZIONE NEL DISCO: LA PRIMA È “IL VELO INSANGUINATO”, UNICA TRACCIA IN ITALIANO. SUONA BENISSIMO, PER QUESTI SUONI COSÌ MACABRI PENSO CHE LA NOSTRA LINGUA SIA PERFETTA E ACCRESCA LE SENSAZIONI EVOCATE. PERCHÉ IN QUESTO CASO SENTIVATE LA NECESSITÀ DI NON UTILIZZARE L’INGLESE? QUALI DIFFERENZE PERCEPITE TRA IL CANTARE IN ITALIANO E IN INGLESE?
– Per ribadire il concetto detto prima, il fatto di proseguire e andare in direzioni che ancora non avevamo preso, ecco che con “Il Velo Insanguinato” abbiamo deciso di infrangere la barriera e di far per la prima volta un pezzo in italiano. Visto che narra di una storia popolare del centro Italia, di una bambina che rifiuta l’ostia alla prima comunione e che da questa, nascosta in un fazzoletto, inizi ad uscire sangue, sembrava l’occasione giusta per usare un testo in italiano per questa vicenda. Cantare in italiano non sempre funziona. Si rischia di scadere nel grottesco, è una lingua più articolata dell’inglese per certi versi. Abbisogna di maggiore ricerca dei vocaboli per non risultare scontata ma era la scelta giusta per questa canzone.

POI C’È “FROSTBITE”, DOVE MI È PARSO DI COGLIERE UN’ATMOSFERA GOTICA PRONUNCIATA – NELLA RECENSIONE VI HO ACCOSTATI AGLI ULTIMI BLACK OATH – E SONO PARTICOLARMENTE BRILLANTI IL FLAUTO E I SINTETIZZATORI.
HO TROVATO MOLTO RIUSCITE, INOLTRE, ALCUNE VARIAZIONI VOCALI PIÙ ACUTE E SOTTILI. È UN BRANO MOLTO ELABORATO NELLO SVILUPPO: COME NASCE E SI È EVOLUTO, FINO ALLA FORMA FINALE?

– “Frostbite” parla di un passaggio tra la vita e la morte per causa di un congelamento. Il freddo che si insinua nel corpo: questo ha ispirato la musica che si è sviluppata dopo il primo riff e l’arpeggio iniziale. Si evolve in prima persona ma in modo distaccato, come la coscienza che si allontana dal corpo. Forse il pezzo piú drammatico del disco, che però si evolve con lo spirito leggero che si poteva trovare nei film della Hammer. Il pezzo ha una forma abbastanza classica rispetto ad altri ma ha vari elementi che lo compongono, vari momenti.
Una caratteristica ricorrente nei nostri pezzi è che non coesistono mai synth e batteria, una regola. Quei suoni che si sentono durante la strofa sono infatti chitarre filtrate attraverso un filtro Polivoks.

INFINE LA TRACCIA CONCLUSIVA, “EX OFFICIO DOMINI (THE EXECUTIONER OF ROME)”, DAL TAGLIO PROGRESSIVO, CON RICHIAMI VELATI AI GOBLIN E UN’ATMOSFERA CHE VAGA TRA IL SOFFOCANTE, IL MAGICO E IL FAVOLISTICO.
PENSO RACCHIUDA TUTTE LE ANIME DELLA BAND, CON UN FINALE CHE SA DI JAM SESSION. È STATO DIFFICILE PENSARE E METTERE IN PRATICA UNA CANZONE SIMILE? QUALI ELEMENTI VOLEVATE CHE CONTENESSE?

– Per non discostarci dalla tradizione abbiamo voluto creare un pezzo in diversi ‘capitoli’ che fosse come una ‘summa’ alla fine del disco, che contenesse il più possibile delle caratteristiche dell’intero album. La parte iniziale è come un pezzo a sé stante che abbiamo anche suonato live, ma il racconto prosegue con il tema di synth, la parte più cinematografica, la componente doom e l’eterna dannazione della coda. Il tutto è avvenuto in modo abbastanza naturale nella composizione delle parti.
In questo si può scorgere la forte influenza dei Goblin, che sono di grande riferimento per noi, è un gruppo a cui tutti dobbiamo molto. Sono loro ad avere il grande merito di concretizzare le atmosfere del filone cinematografico, quelle a cui noi ci ispiriamo, integrandole con la musica rock, anche se di maggiore riferimento per noi sono i loro album non relativi a film. Abbiamo anche avuto il privilegio di condividere il palco al Metal Magic Festival nel 2018, nonostante la percentuale di Goblin in quell’occasione fosse limitata al maestro Claudio Simonetti.

DA UNA PROSPETTIVA DA HEAVY METAL FAN, QUALI PENSATE SIANO STATE NEGLI ULTIMI ANNI LE USCITE PIÙ INTERESSANTI PER SONORITÀ HEAVY/DOOM SIMILI ALLE VOSTRE? È UN SOTTOGENERE CHE STA MOSTRANDO VITALITÀ E UN MINIMO DI RICAMBIO GENERAZIONALE, OPPURE È IN UN PERIODO DI STANCA, PER QUELLO CHE POTETE OSSERVARE?
– Non per fare favoritismi ma il disco dei Gargantuan Blade, in quanto ‘nuova’ band, è di altissimo livello. Come per lo split, anche se non direttamente collegate nel senso più immediato, abbiamo sempre trovato un profondo gemellaggio con Samuel Wormius e le sue proliferazioni doom. Parlando di ‘veterani’, invece, va evidenziato l’ultimo disco dei Count Raven che fa breccia attraverso ogni tipo di resistenza.
Il doom è una forma molto pura di metal che, nonostante le germinazioni più mutate, non perde la sua essenza nella sostanza, ma questo lo mantiene in un ambito più di nicchia. Nelle contaminazioni è facile l’ascolto anche per fruitori non del tutto dedicati, ma nella sua basilarità è un genere a cui spesso si ritorna dopo avere compiuto un percorso. Di solito l’età media è abbastanza alta sia nel pubblico che per quanto riguarda i gruppi. Per quanto ci riguarda ci sentiamo di appartenere al calderone dell”Italian dark sound’.

INFINE, CI PIACEREBBE SAPERE SE, DOPO DIVERSI ANNI NELL’OMBRA, AVREMO ANCHE LA POSSIBILITÀ DI RIVEDERVI IN AZIONE DAL VIVO.
– La parte del live è per noi molto importante, forse più importante della musica registrata. Con le giuste condizioni siamo più che pronti a suonare dal vivo. L’uscita del nuovo disco sicuramente muoverà qualcosa a riguardo.

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