Certe band non si limitano a suonare musica, ma provano ad evocare immagini, sentimenti, atmosfere.
Gli Hangman’s Chair rientrano perfettamente in questa categoria: nati nelle periferie di Parigi, tra architetture grigie e malinconie urbane, hanno affinato nel tempo un sound che attinge tanto dal doom quanto dal post-punk e dallo shoegaze, con un’impronta personale soprattutto a livello vocale e lirico. Musica che racconta storie di solitudine, perdita, alienazione, e che cerca di mettere davanti a tutto una spiccata sincerità, senza pose e manierismi.
Attorno all’uscita del nuovo album “Saddiction” (Nuclear Blast Records), abbiamo scambiato due parole con Mehdi Birouk Thépegnier, batterista della band. Un chiacchierata che non è stata solo un’analisi tecnica del disco, ma anche un’occasione per entrare nella testa di chi, dietro ai tamburi, tiene il cuore pulsante di questa creatura musicale.
Si è parlato dell’evoluzione musicale del gruppo, dell’impatto di esperienze personali sulla scrittura dei pezzi, ma anche della voglia di non restare intrappolati in una scena o in un genere ben definito: negli ultimi anni, gli Hangman’s Chair sono infatti cambiati, come cambiano le città e le persone che le abitano. E il loro nuovo album è la testimonianza di questa trasformazione: tutto sommato più diretto, ma sempre capace di trasmettere quel senso di malinconia avvolgente che li sta rendendo celebri.
HO AVUTO MODO DI RIVEDERVI DAL VIVO DI RECENTE, QUANDO AVETE SUONATO AL DAMNATION FESTIVAL A MANCHESTER. PENSO SIATE RIMASTI SODDISFATTI DEL CONCERTO.
– Sì, quello è stato uno degli ultimi concerti del nostro tour con i Dool. Anzi, mi sa che è stato proprio l’ultimo, e dopo siamo tornati a casa. È stato davvero un grande show, mi sono divertito molto. Abbiamo cercato di variare un po’ la setlist per quel concerto, portando qualche novità e dando al tutto una rinfrescata, anche per noi stessi. Dopo un tour così lungo, ci faceva bene cambiare un po’ le cose.
È stato bello per noi provare del materiale nuovo e vedere come reagivano le persone. È sempre emozionante aggiungere canzoni nuove nella setlist e osservare la reazione del pubblico. Abbiamo suonato tre brani nuovi quella sera, e uno di questi era “2 AM Thoughts”, uno dei singoli rilasciati in quel periodo. C’era con noi anche Raven, la cantante dei Dool, la band con cui stavamo appunto facendo il tour, quindi è stato piuttosto emozionante anche per questo.
PARLANDO DEL NUOVO ALBUM, AVETE SUONATO DAL VIVO PIÙ CHE MAI NEGLI ULTIMI ANNI. PENSATE CHE QUESTO ABBIA INFLUENZATO IL SUONO DEL NUOVO DISCO? ALCUNE DELLE CANZONI SEMBRANO PIÙ DIRETTE, PIÙ COMPATTE. SEMBRANO PERFETTE PER ESSERE SUONATE DAL VIVO…
– Sì, hai ragione. Probabilmente questo grande impegno sul fronte concertistico ha influenzato il suono. Magari tenere così tanti concerti ci ha portato a scrivere canzoni un po’ più semplici, forse meno dispersive. Abbiamo sempre avuto questo approccio alla scrittura, comunque, in cui non ci preoccupiamo troppo della lunghezza delle tracce o cose simili. Ciò che ci importa di più è l’emozione e la narrazione che emerge dalla musica.
Ma con questo nuovo album, soprattutto dopo il lungo tour, forse c’è stato un naturale spostamento verso canzoni più concise o con strutture orecchiabili: strofe, ritornelli, cose del genere. Alcuni dei nuovi brani sono diventati più brevi e più diretti, anche se, all’inizio del processo di scrittura, non avevamo deciso di concentrarci su questo. È successo così, naturalmente. È interessante che tu l’abbia notato, comunque. Hai centrato il punto. Mentre stavamo finendo l’album, ricordo che guardavo la durata delle canzoni e pensavo: “Oh, alcune di queste sono molto più corte del solito”.
NEL DISCO PRECEDENTE C’ERA UNA CANZONE COME “LONER”, CHE ERA DAVVERO BREVE E DIRETTA, CON DELLE MELODIE CHE AVREBBERO POTUTO ESSERE PARTORITE DA UN GRUPPO COME I THE CURE: DOLCI, MA CON UNA VIBRAZIONE MALINCONICA. VI È SENZA DUBBIO QUALCOSA DI SIMILE ANCHE NEL NUOVO ALBUM. COMUNQUE, DEVO DIRE CHE, AL MOMENTO, LA MIA CANZONE PREFERITA È L’ULTIMA, “HEALED”. QUESTO BRANO, SECONDO ME, RIASSUME BENE LO STILE DEGLI HANGMAN’S CHAIR DEGLI ULTIMI TEMPI…
– Ah, fantastico! Non sei la prima persona a dirlo. Ci hanno detto in tanti che “Healed” cattura davvero l’essenza di ciò che abbiamo fatto nel corso degli anni. Quando stavamo scrivendo la canzone, ci è presto sembrata una conclusione naturale per il disco. Infatti, quando l’abbiamo finita, siamo stati tutti d’accordo sul fatto che sarebbe stato il brano perfetto per chiudere la tracklist. È curioso come certe cose sembrino ovvie a tutti, senza bisogno di discutere più di tanto.
Volevamo che fosse l’ultima dichiarazione dell’album, con un incedere più grave e doom, ma anche con un finale più sereno. Sono felice che risuoni con te in questo modo.
HO LETTO DA QUALCHE PARTE CHE ”SADDICTION” FA PARTE DI UNA TRILOGIA, CON IL PRIMO CAPITOLO CHE INIZIA CON “A LONER”. COME VEDI LA CONNESSIONE TRA GLI ALBUM E COSA POSSIAMO ASPETTARCI DALLA PROSSIMA PARTE?
– Sì, ci sono alcuni dettagli che li collegano, e penso che ognuno possa interpretarli a modo suo. A dire il vero, quando Julian ha parlato per la prima volta dell’idea di una trilogia con il tipo che ha scritto la nostra biografia, l’idea mi è sembrata sensata per diversi motivi.
Abbiamo avuto alcune fasi diverse nella nostra carriera, con, ad esempio, una sorta di prima trilogia che inizia da “Hope///Dope///Rope” e che arriva a “Banlieue Triste”. Questi tre lavori, in particolare, hanno mostrato una netta evoluzione nella nostra proposta, dove abbiamo cercato di andare oltre le nostre influenze e di esprimere ciò che volevamo dire tramite un suono più personale.
Dopo di che, siamo entrati in una nuova fase con album come “A Loner” e ora con “Saddiction”, che, guardando al tipo di songwriting, sembrano far parte di un altro capitolo di carriera. Per il futuro, chi lo sa? Stiamo solo lasciandoci andare e vedendo dove questo approccio più libero ci porta. Penso che con ogni album esploriamo cose nuove e espandiamo quello che abbiamo fatto prima. Non stiamo forzando nulla; lasciamo che la composizione si sviluppi naturalmente.
QUANDO PENSO AI VOSTRI ALBUM PRECEDENTI, È CHIARO CHE LA MUSICA ERA MOLTO PIÙ PESANTE E TRADIZIONALMENTE DOOM. MA CON I VOSTRI ULTIMI DISCHI, SPECIALMENTE A PARTIRE DA “BANLIEUE TRISTE”, AVETE APPUNTO COMINCIATO A MESCOLARE DIVERSI ELEMENTI E A SPERIMENTARE CON SUONI DIFFERENTI. LA MUSICA SEMBRA PIÙ DINAMICA ORA, SIA IN TERMINI DI UMORE CHE DI TEMPO. ALCUNE CANZONI SONO PIÙ BREVI, ALTRE SONO PIÙ DOOM, E C’È PIÙ VARIETÀ NEI REGISTRI. È QUINDI AVVENUTO TUTTO NATURALMENTE NEL TEMPO?
– Io e Cédric, il nostro chitarrista/cantante, abbiamo iniziato a suonare insieme quando eravamo teenager, e all’epoca eravamo davvero appassionati di hardcore punk. Col tempo, però, i nostri gusti sono cambiati. Nei primi tempi, il nostro suono era influenzato soprattutto dallo stoner doom e tendevamo ad abbracciare tutto di quello stile più lento e viscerale. Tuttavia, andando avanti, abbiamo iniziato a aggiungere più varietà alla nostra musica.
Abbiamo sempre usato molti effetti, come riverberi e delay sulle chitarre, e ciò è poi diventata una caratteristica piuttosto evidente. Con il tempo, abbiamo iniziato a esplorare maggiormente un equilibrio tra le nostre radici hardcore e gli stili più melodici e atmosferici che ci piacciono, come lo shoegaze e la cold wave. Per noi, si tratta di creare un equilibrio tra luce e oscurità, aggressività e melodia. Penso che “Banlieue Triste” sia stato un punto di svolta, un capitolo in cui abbiamo iniziato a entrare in contatto con la vera essenza della band, raggiungendo, al contempo, più persone.
Da qui abbiamo iniziato a ricevere tanti messaggi da fan che ci dicevano di percepire la nostra sincerità e l’integrità alla base della musica. L’essere onesti e concreti è qualcosa a cui teniamo da sempre.
L’IDEA DI SNELLIRE IL SUONO E DI DIVENTARE PIÙ AGILI CON IL TEMPO È UN’ALTRA COSA CHE VI ACCUMUNA A VOSTRE INFLUENZE COME LIFE OF AGONY O TYPE O NEGATIVE. QUESTE BAND SONO PARTITE CON UN SUONO E POI HANNO SPERIMENTATO, ESPANDENDO DI MOLTO LA LORO GAMMA ESPRESSIVA. COME VEDETE IL VOSTRO PERCORSO IN RELAZIONE AL LORO?
– Hai ragione, anche quelle band hanno attraversato fasi simili, e condividiamo sicuramente alcune delle loro esperienze. Ad esempio, non va dimenticato il background hardcore dei Life Of Agony, che provenivano dalla scena di New York, così come le radici crossover dei Type O Negative, praticamente sorti dalle ceneri dei Carnivore.
Noi come band abbiamo sempre avuto una connessione con l’hardcore punk, e infatti per molto tempo siamo stati davvero appassionati di quello stile grezzo e aggressivo. Poi, crescendo, abbiamo iniziato ad aggiungere più profondità emotiva e a sperimentare con atmosfere diverse – vedi appunto le influenze cold wave o goth.
I Type O Negative sono sicuramente una delle nostre maggiori influenze anche in quel senso. Hanno preso elementi di doom e hardcore e li hanno fusi con un’atmosfera unica, spesso estremamente malinconica. È sicuramente qualcosa che abbiamo cercato di fare anche noi come Hangman’s Chair.
UNA COSA CHE APPREZZO DELLA VOSTRA BAND È LA FORTE CONNESSIONE CON LE VOSTRE ORIGINI: PARIGI E I PAESAGGI URBANI CIRCOSTANTI SEMBRANO ESSERE UNA COMPONENTE MOLTO IMPORTANTE DELLA VOSTRA IDENTITÀ. CHE INFLUENZA HA LA CITTÀ E QUEL TIPO DI AMBIENTE SULLA VOSTRA MUSICA E SUI TESTI?
– Questo elemento è stato davvero importante per noi fin dall’inizio. Parigi, con tutta la sua vastità e quella particolare energia urbana, è sempre stata una grande influenza sulla nostra musica. Sono cresciuto a Casablanca, in Marocco, prima di trasferirmi a Parigi, e vivere in una città così grande mi ha sicuramente plasmato nella mia visione del mondo. La tensione che respiri nelle periferie, quel tipo di atmosfera… è tutto riflesso nella nostra musica. È stato importante per noi esprimere tutto questo nella nostra arte, per assicurarci di rimanere fedeli a ciò da cui veniamo.
Col passare degli anni, però, la mia relazione con Parigi è cambiata. Come dicevo, c’è sempre tanta tensione e le nostre zone della città possono alla lunga risultare opprimenti; alla fine ho dovuto trasferirmi per motivi personali. Ora vivo vicino al mare, in un posto più tranquillo, e credo che questo abbia avuto un impatto sul mio modo di scrivere. Si sente sicuramente il cambiamento nella musica. Parigi è stata importante per me, ma è diventata troppo intensa, e avevo bisogno di allontanarmene.
I TEMI ALLA BASE DELLA VOSTRA MUSICA SONO TUTTO FUORCHÉ LEGGERI. PERDITA, DIPENDENZE, MALINCONIA… VEDETE LA MUSICA CHE SCRIVETE COME UNA FORMA DI CATARSI, SIA PER VOI CHE PER I VOSTRI ASCOLTATORI?
– Assolutamente. Per noi, Hangman’s Chair è sempre stato un modo per esprimere le nostre emozioni e affrontare le difficoltà della vita. Non siamo grandi parolieri, ma attraverso la band possiamo condividere le nostre esperienze di perdita, dipendenza e tutto il resto. È sicuramente catartico per noi, e abbiamo ricevuto tanti messaggi da fan che ci dicevano che la musica aiuta anche loro.
È qualcosa di davvero speciale per noi. Scriviamo canzoni tristi perché queste sono quelle con cui tendiamo a connettere meglio anche come ascoltatori: amiamo la musica che riflette i nostri sentimenti.
LA VOSTRA BAND SEMBRA COMUNQUE RIUSCIRE A FLIRTARE CON TANTE SCENE DIVERSE, ANCHE A LIVELLO CONCERTISTICO. POTETE SUONARE CON BAND HARDCORE, BAND DI METAL ESTREMO, O ANCHE CON GRUPPI GOTH. SIETE UNA REALTÀ CHE SEMBRA VOLERE SFIDARE LE CLASSIFICAZIONI. È EFFETTIVAMENTE COSÌ?
– È divertente, perché quanto dici ha delle basi concrete e questa situazione a volte causa un po’ di confusione con i nostri agenti di booking. Per noi però è effettivamente un bene. Abbiamo suonato in così tanti festival diversi, ed è sempre stimolante sapere che non siamo rinchiusi in una sola categoria. Noi siamo aperti a tutto, non ci dispiace condividere il palco con band anche molto diverse da noi.
Suonare live è sempre una grande esperienza, e farlo prima o dopo un gruppo dallo stile diverso dal nostro rende tutto più entusiasmante per noi come band. Non abbiamo mai voluto essere facilmente classificati, e penso che questo approccio funzioni a nostro favore. Di certo, come ti dicevo, il legame con il mondo hardcore è solido, perché metà di noi suonano anche negli Arkangel e le nostre radici sono lì. Però ci è pure capitato di andare in tour con una formazione black metal come i Der Weg Einer Freiheit e anche in quel caso le cose non sono andate affatto male.
E SO CHE AVETE FATTO ANCHE UN TOUR CON I PARADISE LOST: COM’È STATO? AVETE PERCEPITO QUALCHE DIFFERENZA RISPETTO AI SOLITI CONTESTI IN CUI SUONATE?
– È stato sicuramente diverso. La maggior parte delle persone non ci conosceva, quindi è stata un’esperienza interessante. All’inizio, suonavamo davanti a un pubblico abbastanza freddo, ma dopo la terza canzone, abbiamo sempre sentito che gli ascoltatori si stavano lasciando coinvolgere. È sempre bello quando hai la possibilità di far conoscere la tua musica a nuove persone, e alla fine del tour, abbiamo guadagnato un buon seguito.
È stato molto bello condividere quell’esperienza con una band di veterani come i Paradise Lost: sono dei veri gentlemen. Noi, come ascoltatori, proveniamo da un tipo di doom più vicino alla scuola Pentagram o Saint Vitus, ma ovviamente nutriamo da sempre un grande rispetto per tutta la scuola gothic-doom britannica. Senz’altro è un tour che rifaremmo anche oggi, se ne avessimo la possibilità.
CON “SADDICTION” IN USCITA, COME VI SENTITE RIGUARDO ALLA PUBBLICAZIONE? VI ASPETTATE UNA CERTA REAZIONE DA PARTE DI MEDIA E FAN O VI BASTA SAPERE CHE IL DISCO SIA FINALMENTE FUORI PER ESSERE CONTENTI?
– Onestamente, non ci aspettiamo nulla. Siamo felici che l’album sia finalmente fuori. È stata una lunga attesa, ed è un sollievo per noi avere questa musica pubblicata ovunque. Ci abbiamo messo tutto noi stessi, e ora si tratta solo di vedere come reagiranno le persone. Qualunque cosa succeda, siamo fieri del disco, e questo è ciò che conta.