Fiammeggia l’anima sconsolata degli Harakiri For The Sky, duo austriaco che nel giro di quattro dischi ha costruito e consolidato un modo unico di sbrecciare il black metal con armonie graffianti e melodie setose. Un contributo al post-black metal tra i più importanti dopo quelli di Deafheaven e Alcest, che ha avuto il suo momento di massimo fulgore nel secondo album “Aokigahara”, tutt’ora a nostro avviso il miglior parto del duo formato da J.J. – cantante – e il polistrumentista M.S. e nei dischi successivi ha lievemente smussato i toni. All’alleggerimento di “III: Trauma”, disco di difficile lettura in cui la rabbia travolgente del suo immediato predecessore andava drasticamente diluendosi, a favore di un allargarsi a macchia d’olio in refoli idi suono indefiniti, ha fatto seguito la parziale marcia indietro di “Arson”. L’ultimo full-length non rinnega l’aprirsi in molteplici sottosezioni di “III: Trauma”, né rispolvera un suono particolarmente aspro, ma riprende talune dolorose accelerazioni del secondo album e si connota per un piglio catchy piuttosto evidente. Un altro bel disco, in estrema sintesi, che ci ha concesso finalmente di avere a disposizione uno dei due membri della band, nel caso specifico M.S., per farci raccontare qualche dettaglio aggiuntivo di un gruppo tra i più ascoltati da chi scrive negli ultimi anni.
PARTIAMO DAI VOSTRI INIZI. COME SIETE ARRIVATI A FORMARE GLI HARAKIRI FOR THE SKY E QUALI SONO LE VOSTRE PASSATE ESPERIENZE?
– Avevo diversi progetti su cui stavo lavorando, tra cui uno assieme a J.J (cantante del gruppo austriaco, ndR) circa una decina di anni fa. Dopo quattro anni, abbiamo pensato di fare qualcosa noi due da soli e ci siamo divisi i compiti, occupandomi io della musica e lui di parti vocali e liriche. Quando abbiamo finito i primi demo, abbiamo cercato una label che ci producesse. Nel frattempo, sono iniziate le richieste per suonare dal vivo e abbiamo reclutato altri musicisti per i concerti. Così hanno iniziato a vivere gli Harakiri For The Sky.
COME AVETE SCELTO IL MONIKER DELLA BAND?
– E’ stata un’idea di J.J., lui sicuramente potrebbe spiegartela meglio. Se non sbaglio a interpretare quello che aveva in mente, Harakiri For The Sky è legato alla sensazione di sentirsi morire, di cadere, di non farcela più e, quasi in contemporanea, ti senti come se stessi per spiccare il volo e librarti nel cielo.
PASSANDO AL NUOVO ALBUM, SONO DEL PARERE CHE “ARSON” RECUPERI LE ACCELERAZIONI E UNA CERTA AGGRESSIVITÀ DI “AOKIGAHARA” E NEL CONTEMPO MANTENGA I TONI RIFLESSIVI E LE PROGRESSIONI DI “III: TRAUMA”. VORREI SAPERE COSA ANDAVATE CERCANDO NEL SOUND DEL NUOVO ALBUM E SE PENSI CHE RICHIEDA, COME MI È SEMBRATO, MOLTI ASCOLTI PER ESSERE PIENAMENTE COMPRESO.
– Guarda, ho passato talmente tanto tempo a scrivere, registrare, mixare “Arson” che non riesco, attualmente, ad avere un punto di vista oggettivo sul disco. Penso abbia un suono più organico dei precedenti, ho editato una batteria acustica senza aggiungervi nulla, per esempio, e il ricorso saltuario a overdub ha reso il tutto più dinamico del solito. Se sia un album che richieda molti ascolti per essere capito, non saprei: ognuno può farsi una sua opinione in tal senso.
LA MIA CANZONE PREFERITA DI “ARSON” È “HEROIN WALTZ”, FORSE LA PIÙ VICINA AL MATERIALE DI “AOKIGAHARA”. QUANDO PARLATE DI DROGA IN QUESTO CASO VI RIFERITE A ESPERIENZE PERSONALI O FATTI SPECIFICI, OPPURE SI TRATTA DI UNA SEMPLICE METAFORA?
– Mi spiace di non poter essere molto preciso, visto che è J.J. che si occupa di tutti i testi e io entro poco nel merito sull’argomento. Comunque no, non si fa un riferimento preciso a delle droghe, il tema è il perdere il contatto con la vita, il lasciarsi prendere dallo sconforto, quando accadono determinati fatti. Titolo e testo vanno letti in senso metaforico.
I TEMI DI ABBANDONO, SOLITUDINE, RIMPIANTO, TRISTEZZA, SONO CENTRALI NELLA VOSTRA POETICA. DA DOVE DERIVANO PRINCIPALMENTE QUESTI STATI D’ANIMO? VI È UN ASPETTO CATARTICO, DI LIBERAZIONEE, NELLA VOSTRA MUSICA?
– Indubbiamente, c’è un aspetto terapeutico in quello che suoniamo, un modo di elaborare in maniera costruttiva le sensazioni negative che possono attanagliare l’individuo. Non puoi soltanto cercare di celare quello che senti al prossimo, tenertelo dentro, a un certo punto bisogna esprimere quello che si prova, esternare la propria rabbia o tristezza. I nostri testi riguardano sempre esperienze molto personali, narrate in modo metaforico per far uscire la negatività interiore. Si tratta di feeling provati durante le nostre giornate ma non costituiscono la totalità delle nostre emozioni, non siamo assolutamente persone negative; però questi sono gli stati d’animo più adatti ad esprimerci in musica.
COME FUNZIONA IL VOSTRO PROCESSO COMPOSITIVO? MOLTI DUE AFFERMANO CHE ESSERE COSÌ IN POCHI FACILITA ENORMEMENTE IL LAVORO, VISTO CHE NON CI SONO TANTE PERSONE DA METTERE D’ACCORDO…
– È vero, si lavora abbastanza rapidamente quando si è soltanto in due. Per noi, è importante tenere strettamente separati la parte musicale e quella testuale. La prima compete a me, la seconda a J.J.. Normalmente iniziamo da una pre-produzione della musica. Quando ho del materiale pronto, lo sottopongo a J.J. per sentire cosa ne pensa e se ha qualche osservazione da fare. Messi d’accordo su questa prima parte, lui inizia a scrivere i testi. Con i testi pronti, decidiamo come debbano incastrarsi con la musica, dove funzionino meglio. È un procedimento che avanza abbastanza spedito, senza grandi interruzioni, perché ci conosciamo da tanti anni e non abbiamo alcun problema a dire uno all’altro cosa ci va bene e cosa non ci piace.
SULLE COPERTINE DEI VOSTRI ALBUM È SEMPRE RITRATTO UN ANIMALE. VOLEVO SAPERE CHE SIGNIFICATO AVESSE QUESTO SOGGETTO RICORRENTE E QUALI INDICAZIONI ABBIATE DATO IN MERITO A COSTIN CHIOREANU, L’ARTISTA CHE HA DIPINTO L’ARTWORK DI “ARSON”.
– L’idea degli animali in copertina, fosse il corvo che non poteva volare del primo album, la volpe di “Aokigahara” o i cervi di “III: Trauma”, è stata guidata in un primo tempo da un desiderio prettamente estetico, non ci siamo mai soffermati sul dare un collegamento diretto con i testi. Anche se, rispetto al mood generale della musica, è poi possibile cogliere dei collegamenti indiretti fra immagini e lyrics. Diverso il discorso per “Arson”, stavolta abbiamo voluto che la creatura in fiamme sulla cover si legasse al concept lirico, anche se non è immediato cogliere cosa li unisca.
PER LA PRIMA VOLTA NELLA VOSTRA CARRIERA, AVETE AVUTO CON VOI UN BATTERISTA ESTERNO ALLA BAND DURANTE LE REGISTRAZIONI, KERIM “KRIMH” LECHNER, DA QUALCHE CON I SEPTICFLESH E IN PASSATO BATTERISTA DAL VIVO PER I BEHEMOTH. COME È CAMBIATO DI CONSEGUENZA IL LAVORO IN STUDIO DI REGISTRAZIONE?
– È stato interessante lavorare con lui, non avevamo mai provato una situazione del genere in passato. Kerim è un ragazzo con cui abbiamo subito interagito molto bene, non è stato difficile spiegarsi su come avrebbero dovuto suonare i pezzi. Ha seguito le note che avevo scritto in pre-produzione riguardo al lavoro di batteria, in studio è filato tutto liscio e, grazie al suo stile, è riuscito a dare ai brani un dinamismo maggiore di quanto non avessero quelli contenuti nei nostri album precedenti.
TORNIAMO UN ATTIMO INDIETRO NEL TEMPO. “AOKIGAHARA” È STATO UN DISCO MOLTO SIGNIFICATIVO ALL’INTERNO DELLA SCENA EXTREME METAL DEGLI ULTIMI ANNI, HA PORTATO ALLA BAND UNA GROSSA ATTENZIONE, RIDEFINENDO ALCUNI ASPETTI DEL COSIDDETTO BLACK-GAZE DI DEAFHEAVEN, LANTLOS E ALCEST. VORREI SAPERE SE DOPO QUELL’ALBUM È CAMBIATA LA VOSTRA PERCEZIONE DELLA MUSICA E LA SUA INTERPRETAZIONE.
– Noi abbiamo un approccio che condensa l’asprezza del black metal e melodie molto pronunciate, quelle che si possono definire delle belle melodie, quiete, delicate, come potrebbero essere appunto quelle di Deafheaven o Alcest. Questo connubio ha suscitato un certo interesse da parte dell’audience, “Aokigara” ha portato a molte persone questi elementi, rivestendoli di una produzione molto rock, e le ha sorprese. Da lì abbiamo tentato di evolverci, qualcuno preferisce come eravamo in “Aokigahara”, altri preferiscono quello che è arrivato dopo. Non potrai mai fare contenti tutti, d’altronde è nell’ordine delle cose che si provi a cambiare e non fermarsi.
COME AVETE VISSUTO L’ACCRESCERSI DELL’ATTENZIONE NEI VOSTRI CONFRONTI SUSCITATA DA QUEL DISCO?
– È stato un fatto molto positivo, da quel momento abbiamo iniziato ad avere richieste per suonare in giro e abbiamo potuto portare anche all’estero la nostra musica. Suonare tanto dal vivo ha allargato l’audience, in tanti sono venuti a vederci senza sapere ancora bene chi fossimo e così abbiamo usato i primi live show come veicolo promozionale, quasi come se avessimo avuto a disposizione i mezzi promozionali di una grossa label.
RIMANIAMO ANCORA SU “AOKIGARA”: IL TITOLO DERIVA DAL NOME DI UNA FAMIGERATA ‘FORESTA DEI SUICIDI’ POSTA ALLE PENDICI DEL MONTE FUJI IN GIAPPONE. VOLEVO SAPERE QUALI SONO LE RAGIONI CHE VI HANNO SPINTO A UTILIZZARE QUEL NOME E SE VI SIA, TRA LE MOLTE STORIE DI SUICIDI LEGATI AL LUOGO, UNA CHE VI ABBIA PARTICOLARMENTE COLPITO.
– Ci piaceva l’idea che vi fossero tutte queste persone che, per compiere un gesto così drammatico, si recassero in un luogo così bello, tranquillo, lontano da tutti. Qui, circondati dalla natura, decidevano di togliersi la vita. Uno scenario sicuramente cupissimo, eppure posseduto da una singolare bellezza, visto il luogo prescelto. Aokigara poteva allora racchiudere la tristezza e la bellezza della nostra musica, non vi è nessun altro posto al mondo che gli somigli.
MUSICALMENTE, QUALI SONO I PRINCIPALI PUNTI DI DISCONTINUITÀ FRA I VOSTRI PRIMI DUE ALBUM E GLI ULTIMI DUE?
– Non mi è facile arrivare a capire quali siano le differenze fra i primi due album e i due successivi. Sono talmente coinvolto nel songwriting che mi è difficile rintracciare un cambiamento in quello che facciamo. La divisione dei ruoli è la stessa da quando abbiamo iniziato come Harakiri For The Sky, per il resto non abbiamo un ordine predefinito nel metodo di lavoro, non pianifichiamo nulla, non seguiamo alcun concept, non ci prefiggiamo di seguire una certa struttura nella costruzione dei dischi. Direi che, visto dall’esterno, il nostro modo di creare nuova musica è abbastanza caotico. Quindi, dove stia esattamente il cambiamento non te lo saprei dire. Diciamo che possono essere mutate alcune influenze, a livello inconscio possiamo esserci spinti ad avere una prospettiva diversa nell’approcciarci a quello che scriviamo.
UNA DELLE RAGIONI DEL VOSTRO ATTUALE SUCCESSO LA DOBBIAMO ALLA COVER DI “MAD WORLD” DEI TEARS FOR FEARS, BONUS TRACK DI “AOKIGAHARA”. ADESSO CI AVETE RIPROVATO, COVERIZZANDO “MANIFESTO”, CANZONE DI UN ALTRO GRUPPO LONTANO DAL METAL COME I GRAVEYARD LOVERS. COME VI SIETE APPROCCIATI A QUESTO PEZZO? QUALI ANALOGIE VI SONO FRA LE VOSTRE DUE COVER E LE VERSIONI ORIGINALI?
-Credo sia interessante verificare cosa accada quando prendi una canzone che ti piace molto e provi ad adattarla al tuo stile, partendo da un genere lontano dal tuo. Sai, quando una black metal band ne coverizza un’altra, non è che puoi sentire chissà quali differenze fra le due versioni del medesimo brano. Noi invece abbiamo reinventato alcune parti delle canzoni, portandoli sul nostro terreno. Ascoltiamo molta musica fuori dal metal e in questo modo abbiamo omaggiato alcuni dei nostri artisti preferiti.
NEGLI ULTIMI TRE ANNI SIETE DIVENTATI UNA LIVE BAND MOLTO ATTIVA. VOLEVO SAPERE A TUO AVVISO QUALE SIA STATA LA VOSTRA EVOLUZIONE NEL MODO DI GESTIRE I CONCERTI E QUALE SIA IL RUOLO DEI MUSICISTI AGGIUNTIVI CHE VI ACCOMPAGNANO IN TOUR. INOLTRE, TI CHIEDO SE LE LIVE PERFORMANCE FINISCONO ANCHE PER INFLUENZARE IL VOSTRO SONGWRITING.
– Non è semplice riuscire a suonare live di frequente. Con la nostra prima line-up abbiamo dovuto limitarci, perché chi era con noi aveva impegni che non gli consentivano di stare a lungo in giro a suonare. Adesso siamo affiancati da persone che conosciamo bene da anni, di cui ci fidiamo totalmente e che non ci pongono limiti per i tour. Infatti possiamo stare in giro molto più a lungo rispetto ai primi tempi.
NEL VOSTRO SOUND CI SONO MOLTEPLICI ASPETTI LEGATI A POST-ROCK, SHOEGAZE E DEPRESSIVE ROCK. RISPETTO A QUESTI GENERI, QUALI SONO LE VOSTRE BAND PREFERITE E LE CARATTERISTICHE PIÙ IMPORTANTI PER IL SUONO DEGLI HARAKIRI FOR THE SKY?
– I riverberi di chitarra che usiamo richiamano facilmente i generi da te citati, ma al di là di quello credo sia soprattutto l’atmosfera generale a portare l’accostamento allo shoegaze o al post-rock. Anche se a dire il vero rintracciare elementi così vicini a tali generi penso sia più difficile, non vedo similitudini così evidenti. Lo stesso vale per metal band spesso paragonate a noi, come gli Alcest; splendida musica, splendide melodie, atmosfere simili, vero, però se andiamo più in profondità noi e loro siamo molto diversi. Un altro gruppo che sento molto vicino nelle intenzioni sono i Katatonia, nonostante la nostra musica tenda ad allontanarsi abbastanza da quanto fanno loro.
COM’È LA VITA DI UN MUSICISTA METAL IN AUSTRIA? ARRIVATE DA UN PAESE CON UNA FORTE TRADIZIONE NELLA MUSICA CLASSICA: QUESTO AMBIENTE CULTURALE VI HA FAVORITO NEL FARVI DIVENTARE MUSICISTI E A SVILUPPARE LA VOSTRA PERSONALITÀ ARTISTICA?
– Mia madre suona la viola in un’orchestra classica, ciò si è riflesso nel mio avvicinamento alla musica. Fin da quando ero piccolo mi sono sentito attratto da questo mondo, in seguito ho seguito una strada che si discosta notevolmente dalla musica apprezzata dai miei genitori. Al di là di quella che possa essere la formazione scolastica, ritengo sia importante trovare la maniera di esprimere se stessi e dare sfogo alla propria creatività. La forte propensione alla musica classica è un tratto che accomuna l’Austria alla Scandinavia, un’altra zona dove vi è una forte spinta verso l’educazione musicale e tanti giovani imparano a suonare uno strumento da giovani.
GLI HARAKIRI FOR THE SKY SONO SPESSO PARAGONATI AI DEAFHEAVEN. RITIENI VI SIANO IN EFFETTI FORTI ANALOGIE FRA LE DUE BAND, OPPURE NON COGLI TUTTE QUESTE SIMILITUDINI FRA VOI E LORO?
– Personalmente non ho mai ascoltato assiduamente i Deafheaven in vita mia. Conosco qualche canzone, non ho però così tanta familiarità con loro. Secondo me non sono così vicino a noi, l’uso delle melodie si allontana parecchio dal nostro. Comunque, il paragone non mi dà alcun fastidio, anche se non ne vedo la ragione.
PARLANDO DEGLI HARAKIRI FOR THE SKY, LE PERSONE VI IDENTIFICANO SOTTO L’ETICHETTA DI POST-BLACK METAL O BLACK-GAZE. PENSO ORMAI ABBIATE SORPASSATO I TERMINI DI QUESTA DEFINIZIONE, INCORPORATE CARATTERISTICHE CHE VI PORTANO OLTRE LE BAND NORMALMENTE INSERITE IN QUESTE DUE CATEGORIE. VORREI SAPERE SE IN QUALCHE MODO DI TI RICONOSCI LO STESSO IN TALI DEFINIZIONI E SE PERCEPISCI UNA CERTA VICINANZA CON QUALCHE ALTRA FORMAZIONE.
– Mi interessa poco che veniamo definiti post-black metal, melodic black metal, melodic death metal o altro ancora. Le definizioni hanno per me poco significato, l’importante è che la nostra musica abbia un valore per chi ci ascolta, riescano a darle significato. Se mi chiedi chi senta realmente vicino a noi, ti rispondo che mi piacciono le fusioni di bellezza e asprezza di certo black metal atmosferico, come i Woods Of Desolation, gli Alcest, i vecchi Katatonia, oppure i vecchi In Flames. C’è parecchio materiale, più o meno datato, di altri gruppi che può essere accostato a quello degli Harakiri For The Sky.
UNA BAND A CUI SIETE PER FORZA DI COSE MOLTO LEGATI, VISTO CHE ALCUNI SUOI MEMBRI SUONANO CON VOI, È QUELLA DEGLI ANOMALIE. VORREI SAPERE SE TI PIACE QUELLO CHE FANNO E COME VALUTI GLI ALBUM CHE HANNO RILASCIATO IN QUESTI ANNI.
– Non sono molto coinvolto in quello che suonano loro. È una band di Marrok, il nostro chitarrista, e non ho un’opinione netta sull’operato della sua band. Diciamo che, da un punto di vista logistico, incastrare i suoi impegni con gli Anomalie e i nostri con gli Harakiri For The Sky non è semplice, anche loro hanno un’attività importante da gestire e le programmazioni di uno e dell’altro possono rischiare di sovrapporsi.
IN CHIUSURA, VOLEVO UN COMMENTO SUL TOUR CHE ANDRETE A INTRAPRENDERE A BREVE E CHE VI VEDRÀ PROTAGONISTI CON I DOOL ANCHE SU SUOLO ITALIANO (L’INTERVISTA È AVVENUTA QUALCHE SETTIMANA PRIMA DELLE DUE DATE ITALIANE DELLA TOURNEE, TENUTESI DA POCO, NDR).
-I Dool sono una band molto interessante, sono distanti da noi ma poco importa, credo sia una buona combinazione poter assistere nella stessa sera all’esibizione di due formazioni così distanti una dall’altra. Nelle precedenti date italiane ci siamo divertiti molto e abbiamo diviso il palco con realtà notevoli come gli Shores Of Null, quindi sono molto contento di tornare nel vostro paese.