HEIDEVOLK – Storie di briganti e fuochi fatui

Pubblicato il 22/10/2015 da

Avevamo incontrato gli Heidevolk nel 2012, in occasione della pubblicazione di “Batavi”, opera che ha proietto gli olandesi Heidevolk tra i massimi esponenti del pagan-folk metal mitteleuropeo. Con “Batavi” i Nostri si erano cimentati nel raccontare le leggende e le radici del loro popolo antico, e negli anni a seguire hanno avuto modo di raccontare le loro storie attraversando l’Europa e raggiungendo persino gli Stati Uniti. A distanza di tre anni li rincontriamo al Graspop Metal Meeting 2015 dopo la pubblicazione di “Velua” la loro nuova raccolta di storie ancestrali, stavolta incentrate sui boschi della loro regione di origine, chiamati appunto come il titolo della loro ultima fatica. Prima dunque del loro ritorno in Italia per il Fosch Fest 2015 di agosto, abbiamo incontrato Rowan Roodbaert e Lars Nachtbraecker per farci raccontare genesi del disco e il loro approccio nel raccontare le loro storie.

heidevolk - band - 2013

VI AVEVAMO INCONTRATO L’ULTIMA VOLTA PER IL RILASCIO DI “BATAVI” VORREMMO PROSEGUIRE VIRTUALMENTE LA CONVERSAZIONE INIZIATA ALLORA, PRESENTANDO LA VOSTRA NUOVA FATICA “VELUA”. OGNI VOSTRA PUBBLICAZIONE SEGUE UN FILO NARRATIVO BEN DEFINITO, COSA VI HA ISPIRATO NELL’AFFRONTARE LA SCRITTURA E LA PUBBLICAZIONE DI “VELUA”?
“ ‘Batavi’ era un album di folk metal che affrontava storie di battaglie e tradimenti. Dopo la sua pubblicazione e promozione ci siamo messi alla ricerca di un nuovo soggetto e differenti temi che ci potessero ispirare. E un giorno, mentre mi allenavo in un bosco della nostra regione mi sono chiesto perche’ mai non avessimo scritto delle storie e leggende che si narrano avvenute in questo bosco chiamato appunto ‘Velua’, che è la più grande riserva naturale in Olanda. Ci siamo allora messi a raccogliere una moltitudine di racconti per bambini e per grandi che girano attorno a questa regione. Abbiamo selezionato quelle che più ci ispiravano abbiamo preparato le demo, la band le ha apprezzate e da qui è nato l’album”.

CHE STORIE SI RACCONTANO?
“Le storie sono le più disparate: si parla di una banda di ladri, realmente esistita, che attaccava chiunque attraversasse la loro strada, chiamata tragicamente  ‘strada delle bare’ perchè chi era attaccato veniva poi ucciso. Si parla di fuochi fatui che distoglievano l’attenzione di chi attraversava di notte i boschi facendoli finire in paludi dove poi affogavano. Insomma, leggende e storie di questo carattere”.

RISPETTO A “BATAVI”, IL VOSTRO SOUND E’ NOTEVOLMENTE CAMBIATO. SI E’ PARZIALMENTE ASCIUGATO ED E’ DIVENTATO PIU’ DIRETTO. CHE PROCESSO AVETE SEGUITO NEL TRASPORRE QUESTE STORIE IN UNA FORMA MUSICALE E CHE TIPO DI CONNESSIONE C’E’ FRA TESTO E MUSICA?
“Mentre con ‘Batavi’ il processo di composizione è stato più di ricerca di strumenti e sonorità specifiche alla guerra, con ‘Velua’ la parte musicale è venuta dopo la creazione dei testi ed è stata scritta proprio in funzione del carattere altamente narrativo di questi. Come un tempo i cantastorie si accompagnavano con la lira, così le musiche sono state composte molto naturalmente con un carattere fortemente melodico, dirette e funzionali al racconto”.

QUESTO SI COLLEGA DIRETTAMENTE ALLA DOMANDA SUCCESSIVA: NEL PERIODO STORICO CHE VOI CANTATE, LA TRADIZIONE ORALE, L’ATTIVITA’ DEL CANTASTORIE ERA IL VEICOLO PRINCIPALE DI TRASMISSIONE DELLA MEMORIA. TRASPONENDO QUESTO APPROCCIO AI GIORNI NOSTRI, VOI SIETE UN PO’ COME DEI CANTASTORIE DI QUEL PERIODO E LA DIMENSIONE LIVE E’ IDEALMENTE IL PUNTO DI INCONTRO E TRASMISSIONE DELLA VOSTRE MEMORIE E STORIE CON IL PUBBLICO. COME VI PREPARATE A QUESTA FASE, VI ATTENETE AL FILONE NARRATIVO DELL’OPERA CHE STATE PROMUOVENDO O STRUTTURATE LA SCALETTA SEZIONANDO TRA QUANTO PRODOTTO IN PIU’ DI DIECI ANNI DI CARRIERA?
“A parte situazioni come quelle dei festival dove i tempi sono ridotti e spesso si suona di giorno, in una dimensione normale cerchiamo di creare un ambiente di ascolto che immerga totalmente i nostri spettatori: prestiamo attenzione all’uso di luci e effetto nebbia, usiamo parti orchestrali pre-registrate per riprodurre al meglio tutte le sonorita dei pezzi presentati. In termini di scaletta, non seguiamo un filo narrativo cosi rigido come nelle opere pubblicate, ma piuttosto ci focalizziamo nel selezionare quei pezzi che possano creare un flusso emotivo trainante per l’intera durata del concerto. Molte canzoni sono storie a sé stanti e possano tranquillamente coesistere anche se decontestualizzate dalla pubblicazione originaria”.

IN “VELUA” AVETE PROPOSTO PER LA PRIMA VOLTA UN TESTO IN INGLESE, “VINLAND”. COME MAI QUESTA SCELTA? E’ UN PRIMO PASSO VERSO UNA CONVERSIONE TOTALE ALLA LINGUA INGLESE? UN TENTATIVO DI ALLARGARE I VOSTRI ORIZZONTI?
“In realtà questo pezzo nasce ai tempi del nostro primo tour in Nord America. Siamo partiti ignari di quello che sarebbe stata l’accoglienza ricevuta. E non puoi immaginare la sorpresa nel riscontrare ad ogni concerto un grosso seguito e sentire il pubblico cantare assieme a noi i testi in olandese! E questo succede anche in Italia tra l’altro! Pertanto abbiamo sentito la necessità in qualche modo di rafforzare questa empatia con il pubblico anglofono e cosi nasce ‘Vinland’. Questo però non vuole essere un primo passo di conversione, perchè infatti la scelta linguistica deve essere strettamente funzionale al racconto. Stiamo già raccogliendo il materiale per il prossimo disco, e non sappiamo se ci sarà una canzone in inglese. Se necessario all’aspetto narrativo sì, altrimenti ci atterremo alle lingue che i racconti esigono”.

QUALE E’ IL FINE ULTIMO DELLA VOSTRA MUSICA, COSA CERCATE DI OTTENERE?
“Ognuno di noi ha un proprio lavoro quindi sicuramente non siamo alla ricerca del denaro ma piuttosto, come i cantastorie di una volta, ne approfittiamo per girare il mondo raccontando le nostre memorie, e raccogliere al tempo stesso le memorie di chi si ferma con noi, di chi incrocia i nostri cammini. Quello che ci interessa e intriga è lo scambio di energia che avviene durante i nostri concerti, che ci appaga e rigenera ad ogni data”.

CHE SIGNIFICATO ATTRIBUITE AL GENERE CHE SUONATE?
“Per noi è un processo per riappropriarsi della memoria, la riconvogliamo in una forma differente in maniera tale che la gente la possa scoprire più facilmente. Per noi è importante risvegliare nella gente quella curiosità per la natura e i luoghi che ci circondano. Sempre più la nostra società ci fa sedere ad una scrivania senza stimolarci a guardarci in giro e domandarci sulla memoria che luoghi e popoli hanno”.

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