Araldi di un modo unico di ‘vivere’ la musica, gli Heilung sono, da sempre, una creatura multiforme e variegata: partendo da reperti storici o iscrizioni antiche (di provenienza soprattutto norrena, ma non solo), questo collettivo (con base prevalentemente in Svezia) costruisce un unicum in cui musica, tradizioni, racconto visuale e spiritualità, unendo folklore arcaico a sperimentazioni sonore più moderne.
Quello che scaturisce dai loro album, e soprattutto dalle performance live, è davvero un’esperienza particolare in termini di intensità ed energia, e non è un caso che il gruppo abbia negli anni tenuto lunghissimi tour un po’ ovunque nel mondo. L’ultimo in ordine cronologico vedrà gli Heilung girare l’Europa, e si concluderà proprio a Milano (al Teatro degli Arcimboldi, il prossimo 27 aprile), prima delle date estive e, successivamente, di una pausa indefinita.
Abbiamo quindi raggiunto per una breve, piacevole chiacchierata Kai Uwe Faust, Maria Franz e Christopher Juul – il trio che è il cuore pulsante del progetto – in collegamento da Londra, dove si trovavano per la prima data del tour, per farci raccontare un po’ come si costruisce una musica che ‘amplifica la storia’, cosa vuol dire portarla live e quale futuro li aspetta dietro l’angolo. Buona lettura!
Artista: Heilung I Fotografa: Simona Luchini I Data 9 dicembre 2022 I Venue: Alcatraz I Città: MIlano
BENVENUTI SU METALITALIA! HEILUNG SEMBRA, SIN DAL VOSTRO DEBUTTO, MOLTO DI PIÙ CHE ‘SOLO’ UN GRUPPO MUSICALE: VISTO CHE È LA NOSTRA PRIMA INTERVISTA INSIEME, VI VA DI RACCONTARCI QUALCOSA IN PIÙ DI VOI IN QUANTO ‘COLLETTIVO’ DI MUSICISTI E ARTISTI E DELLA DEFINIZIONE DI ‘STORIA AMPLIFICATA’ CON CUI DESCRIVETE LA VOSTRA MUSICA?
Maria Franz: – Innanzitutto ciao e grazie per l’intervista, è il nostro primo giorno di tour, tutti cercano di trovare quanto serve loro una volta atterrati qui, c’è sempre un sacco di confusione (risate, ndr).
Per quanto riguarda la definizione di ‘storia amplificata’, abbiamo dovuto inventarla perché ci sembrava davvero che nessun’etichetta si adattasse bene a quello che facciamo.
Heilung, hai detto bene, è un collettivo di persone, molto diverse e meravigliosamente variegate, proveniente da quattordici paesi diversi: conosciamo alcuni di loro da moltissimi anni, altri li abbiamo appena incontrati; quello che ci lega è l’obiettivo comune di lavorare affinché quanto portiamo sul palco sia in grado di alterare lo stato mentale, come dovrebbe succedere durante un rituale di qualsiasi tipo.
Questo richiede un certo tipo di persone, capaci di raggiungere uno stato di trance profonda (sul palco) ma al tempo di mantenersi coi piedi per terra e di essere persone in sintonia all’interno di un gruppo per lungo tempo – che siano ventiquattro ore di volo, o in barca, insomma, lunghi viaggi. Non so se voi avete altro da aggiungere.
Christopher Juul: – Penso che Maria abbia riassunto bene tutto; in fondo, se ci pensi, Heilung è un gruppo di oltre trenta persone, quindi più complicato da gestire che una band di soli noi tre, ma c’è anche più energia che fluisce in ciascuno degli ambiti e contribuisce a legarli meglio: Maria con i vari cantanti, io e i musicisti, Kai con il gruppo corale di guerrieri… Insomma, è un po’ un circo itinerante, spesso (risate, ndr).
NEL CORSO DEGLI ANNI, LA VOSTRA MUSICA È ANDATA A SCAVARE IN DIVERSE TRADIZIONI, RIPORTANDO ALLA LUCE DIFFERENTI MODI DI INTENDERE RITI, BATTAGLIE, CICLI NATURALI, MAGIA – SE VOGLIAMO RIASSUMERE IN POCHE PAROLE, POTREMMO DIRE ‘L’APPROCCIO UMANO ALLA SPIRITUALITÀ’.
COME TUTTO QUESTO INFLUISCE E TROVA IL PROPRIO POSTO NEL PROCESSO COMPOSITIVO DELLA VOSTRA MUSICA? PARTITE DA UNA NOTA, UN RITMO O UNA STORIA DEL PASSATO?
Kai Uwe Faust: – Beh, solitamente cominciamo dai testi – che siano essi poemi antichi, iscrizioni runiche o cose simili. Molto spesso questi testi hanno già un proprio ritmo definito, un pattern ripetitivo a livello di suoni, e già solo quello ci aiuta a sviluppare una canzone.
Per esempio, nella canzone “Tenet”, le parole stesse del testo (“Sator Arepo Tenet Opera Rotas”, un testo palindromo latino di origine antica ma incerta, spesso iscritto in un ‘quadrato magico’, ndr) sono state la fonte primaria per la musica, le abbiamo studiate, codificate e ci abbiamo costruito sopra il brano.
Christopher: – Quello che facciamo, in fondo, è interpretare secondo la nostra sensibilità questi testi; quelli che Kai porta, di solito, hanno tutti una qualche forma di melodia tra le righe, e quello che possiamo fare noi come artisti e musicisti è ricrearla a modo nostro.
È un po’ come guardare come vengono rappresentati gli esseri umani nel corso della storia in vari luoghi, o pensare a come venivano raffigurati i leoni nel Medioevo da parte di persone che magari non ne avevano mai visto uno in vita loro: c’è sempre una sorta di distorsione rispetto alla realtà, e questo succede anche quando un artista dà la propria interpretazione di qualcosa.
Se tornassimo indietro nel tempo, sono sicuro che non troveremmo una musica così come la facciamo noi, ma forse qualcosa in grado di trasmettere le stesse sensazioni sì, ecco.
COLLEGANDOMI A QUEST’ULTIMA IMMAGINE, RIFLETTEVO SUL FATTO CHE UNO DEI MOTIVI PER CUI LA VOSTRA MUSICA È COSÌ APPREZZATA, È CHE, IN UN MONDO SEMPRE PIÙ ALIENANTE E ‘DISUMANO’, LA NECESSITÀ DI RICONNETTERSI ALLA NATURA E AL PROPRIO PASSATO È UN BISOGNO CHE STA EMERGENDO SEMPRE DI PIÙ. LA VOSTRA MUSICA, MESCOLANDO VECCHI E NUOVI SUONI, PUÒ ESSERE VISTA COME POTENTE CATALIZZATORE DI CIÒ. COSA NE PENSATE?
Maria: – Assolutamente, quello è il nucleo pulsante di quello che per noi è importante e su cui lavoriamo quotidianamente: tutti siamo un po’ alla ricerca di un ritorno a prima che le politiche moderne ci rendessero così distanti e divisi; sentiamo il bisogno di connetterci a qualcosa di più profondo e radicato. È come se, dentro di noi, sentissimo che comunque siamo tutti fratelli e sorelle, come se facessimo parte di un’unica tribù, e cerchiamo posti o situazioni in cui trovare questo tipo di connessione – come succede quando si va ad un concerto, che sia nostro o quello di qualsiasi altra band, e ci si sente parte ‘organica’ del pubblico, ciascuno degli spettatori è come se fosse connesso agli altri attraverso la musica.
È bello, da una parte, vivere in un periodo in cui dobbiamo trovare nuovi modi di entrare in contatto e sintonia – internet in un certo senso lo fa, ma credo che abbiamo bisogno di sentirci fisicamente più vicini, di stringerci insieme.
PARLANDO DEI VOSTRI LIVE, PER ESPERIENZA PERSONALE CREDO CHE ESSI DEBBANO ESSERE VISSUTI ‘CON TUTTI E CINQUE I SENSI E UN CUORE APERTO’. VOLEVO CHIEDERVI QUINDI COME LA PARTE VISUALE E NARRATIVA SI UNISCANO CON LA MUSICA DURANTE I VOSTRI CONCERTI: È QUALCOSA CHE GIÀ AVETE IN MENTE MENTRE COMPONETE OPPURE È UNA FASE SUCCESSIVA A QUELLA?
Maria: – In realtà lo sviluppo della musica e delle performance dal vivo sono qualcosa su cui lavoriamo organicamente.
Christopher: – Tutto parte dai testi di Kai, poi sviluppiamo la musica attorno ad essi e cerchiamo un modo di rendere l’intero concept adatto ad essere raccontato ad un’audience in una situazione live.
Un buon esempio è il brano “Hakkerskaldyr”: siamo partiti, in studio, dall’Eggjumstenen, che è praticamente una pietra posta vicino ad una sepoltura, con un’iscrizione che dice, tra le altre cose, alle persone di non profanare il luogo in cui stanno per entrare (la cosiddetta ‘pietra Eggja’ si trova nella regione Sogndal, in Norvegia, ndr).
Abbiamo poi creato un brano musicale in cui c’è solo Kai che urla tutte le parti dei vari guerrieri, solo che poi, ovviamente, sul palco, non abbiamo ancora inventato la clonazione (ride, ndr). E quindi avevamo bisogno di più persone, così abbiamo messo insieme un vero e proprio esercito di guerrieri che arrivano sul palco e urlano in maniera molto teatrale verso il pubblico – poi a volte il pubblico urla loro di rimando e si crea un ping-pong di energie in costruzione, che è esattamente quello che vogliamo.
Maria: – Ed è qualcosa che cresce in maniera uniforme, come dicevo, proprio perché abbiamo un team creativo fantastico che lavora con noi: questo vuol dire che quando arriviamo con un nuovo brano, c’è chi lavora con noi per strutturarlo nel coro dei guerrieri, chi lavora alla coreografia… Abbiamo il nostro light designer, Killian, che ha un occhio eccezionale per valutare l’effetto complessivo di tutto sul palco e ci aiuta ad enfatizzare il messaggio che vogliamo trasmettere al pubblico grazie alle sue luci. Anche il team audio fa lo stesso con i suoni, per dire.
Quando poi mettiamo insieme il lavoro di tutti i gruppi fondiamo idee e spunti, magari cambiando qualcosa qui e lì, ma il tutto cresce e si struttura organicamente ad ogni performance.
Quello che abbiamo cominciato salendo sul palco per la prima volta nel 2017 (la prima esibizione degli Heilung, al Castlefest, poi diventata il live “Lifa”, ndr) conteneva già il nucleo del nostro messaggio, e quello è ancora lì.
A QUESTO PROPOSITO VOLEVO CHIEDERVI QUALE SIA IL RUOLO CHE ATTRIBUITE AL PUBBLICO NEI VOSTRI CONCERTI.
Maria: – Gli spettatori sono partecipanti di questa sorta di rituale anche loro, in maniera attiva: cominciamo in circolo, finiamo in circolo, ma nel processo entra anche l’energia che il nostro pubblico ci restituisce, ed è quello che rende così uniche, anche per noi, le nostre performance.
Christopher: (Ridendo, ndr) Oh, Londra è così un bel posto per fare interviste! Credo sia uno dei posti più incasinati del pianeta, tu forse non lo percepisci da lì ma c’è un caos assurdo… (Prosegue in tono ironico) Noi siamo qui che parliamo di natura e spiritualità e, niente, è davvero un ambiente ‘naturale’! Toh, abbiamo anche una splendida pianta di plastica per fare atmosfera (posiziona la suddetta pianta in maniera artistica nell’inquadratura della webcam, seguono risate, ndr).
BEH, SE NON SBAGLIO VOI AVETE DEGLI ALBERI VERI SUL PALCO.
Maria: – Si esatto. So che i nostri ‘responsabili del verde sul palco’, Gvidion e Kati, sono andati ieri in esplorazione e hanno già trovato due o tre posti cui chiedere per prendere rami e fogliame vario, quindi vediamo cosa riusciamo a fare anche all’interno di una città così grande (ride, ndr).
Kai: – Molto spesso quello che trovano sono giardinieri che devono smaltire scarti di potatura o simili, che quindi sul palco trovano una seconda nuova vita, in un certo senso.
UN’ALTRA COSA INTERESSANTE SONO LE LOCATION O I CONTESTI DEI VOSTRI CONCERTI, MOLTO VARIE: DAL CASTLEFEST AL TEATRO DEL LICABETTO IN GRECIA, AVETE SUONATO IN POSTI E CONTESTI DAVVERO DIVERSI. COME – E SE – LI SCEGLIETE?
Christopher: – Beh, quando abbiamo cominciato a pensare “come possiamo portare tutto questo su un palco?” ovviamente speravamo di poterlo fare con tutti i mezzi possibili, ma suonare nei tuoi posti ‘preferiti’ richiede tempo e lavoro.
Al tempo stesso, organizzare uno spettacolo di queste dimensioni richiede cura e attenzione costanti, è qualcosa che non si ferma mai, e ci chiediamo – ad ogni cambiamento o aggiustamento – se quanto stiamo facendo possa andar bene per tutte le persone coinvolte.
In un certo senso la grandezza e la complessità di quanto portiamo sul palco è una limitazione, perché ovviamente non potremo mai suonare in uno scantinato – a meno che non sia davvero, davvero grande (ride, ndr).
Ma ci riteniamo fortunati ad essere riusciti a suonare in alcuni posti che per noi hanno un grande valore, uno di questi è il Red Rocks Amphiteather in Colorado (concerto pubblicato poi come live con il nome di “Lifa Iotungard”, ndr), ma ce ne sono tanti altri.
Però penso che, nel momento in cui arriviamo in una venue grande abbastanza per ‘contenerci’, tutto funziona e c’è un pubblico di amici e persone varie con cui interagire, ecco che quel luogo si trasforma in un posto ‘nostro’, dove creiamo qualcosa tutti insieme.
Non deve essere per forza chissà quale posto unico o famoso, basta che ci sia quell’energia lì. Il solo fatto di andare in tour, vedere il mondo mentre costruiamo quell’energia ogni sera è davvero per noi già un privilegio enorme.
DOPO QUEST’ULTIMA TRANCHE DI DATE, AVETE ANNUNCIATO CHE VI PRENDERETE UNA PAUSA: SI TRATTA ‘SOLO’ DI UN MERITATO E FORSE NECESSARIO RIPOSO OPPURE QUESTA PAUSA SEGNERÀ UN CAMBIAMENTO PER COME ABBIAMO CONOSCIUTO GLI HEILUNG FINO AD ORA?
Kai: – Ogni volta che ci fanno questa domanda penso sempre che le persone abbiano paura che gli Heilung si sciolgano. Che dire? Veniteci a cercare in Svezia, non faremo mai più una reunion, ci scioglieremo e magari io comincerò a fare K-pop – ‘Kai-pop’, ‘C(hristopher)-pop’… (segue momento di ilarità generale, ndr).
Christopher: – Scherzi a parte, è un po’ come quando nei report dei concerti viene scritto che un gruppo suona sempre le stesse canzoni, ma poi quando la band cambia la scaletta e rimuove alcuni pezzi vecchi, tutti sono dispiaciuti. Lo vedo come un segno di affetto del pubblico verso quella musica, in un certo senso.
Abbiamo suonato, composto musica e tenuto show, dal Castlefest in poi, praticamente senza pause, e adesso sentiamo che è arrivato il momento di prendercene una: abbiamo bisogno di pace, di andare nella foresta o nei nostri ‘santuari’ e ricaricarci, in modo da poter rilassarci e fare spazio di nuovo alla creatività.
Kai: – Abbiamo bisogno di essere creativi per finire delle nuove canzoni, sai…
Christopher: – Insomma, non riusciamo a comporre un nuovo album degli Heilung in una stanza come quella in cui ci troviamo ora, ecco.
FORSE NO, MA MAGARI DELL’OTTIMO K-POP SÌ…
Christopher: È vero, potremmo lavorare sul K/C-pop! (Risate generali, ndr)
Maria: – Mi piace pensare che se si vuole fare l’esperienza di cosa siano gli Heilung dal vivo, ora sia il momento giusto, prima della pausa, perché è un’ultima occasione per vedere la nostra performance così come è ora, con le persone che la compongono così come sono ora.
Non abbiamo idea di cosa ci riserva il futuro, e questa costellazione che siamo in questo specifico momento – le persone che lavorano a questo progetto, le scenografie, le luci, insomma tutto quello che abbiamo creato e portato avanti per sette anni – esiste ‘qui e ora’.
Cosa succederà tra due anni? Sicuramente qualcosa, ma è altrettanto sicuro che sarà ‘diversa’.
Kai: – (Sghignazzando, ndr) Quello che Maria sta cercando di dire in maniera diplomatica è “sbrigatevi a prendere il biglietto per il concerto, perché poi rimpiangerete di non averlo fatto”! (Risate, ndr)
L’ULTIMA DOMANDA RIGUARDA INVECE QUELLO CHE AVETE REALIZZATO, COME MUSICISTI E ARTISTI, ‘FUORI’ DAGLI HEILUNG, PARTECIPANDO A COLONNE SONORE DI SERIE TV E VIDEOGIOCHI. IN PARTICOLARE, VOLEVO CHIEDERVI DELLA VOSTRA ESPERIENZA NEL COMPORRE QUELLA DI “SENUA’S SAGA – HELLBLADE II”: DA QUANTO SO, QUEL VIDEOGIOCO È MOLTO PARTICOLARE PER L’APPROCCIO CHE HA VERSO UN CERTO TIPO DI MITOLOGIA DI STAMPO NORRENO, VERSO IL MONDO DELLA SPIRITUALITÀ E PERSINO DI ALCUNI DISTURBI PSICOLOGICI. COME È STATO IL VOSTRO APPROCCIO A QUEL MONDO E COME, QUANTO E SE HA ‘RISUONATO’ CON VOI IN QUANTO MUSICISTI?
Kai: – È stato molto divertente. Un grosso carico di lavoro, ma molto divertente.
Ci ha tenuti occupati durante il periodo della pandemia. Abbiamo incontrato un sacco di persone meravigliose e sperimentato tecnologie assurde. Abbiamo stretto amicizie forti, di quelle che durano una vita intera, direi, vero? (Gli altri due annuiscono, ndr).
È stato un mondo fantastico da esplorare.
Maria: – Ci hanno contattato i creatori del gioco, perché avevano visto dei video dei nostri concerti su YouTube e la nostra musica ‘risuonava’ con quello cui stavano lavorando loro: sentivano che il terreno era comune, ma con approcci diversi, ed erano curiosi di vedere cosa sarebbe successo a farli incontrare, invece.
A livello creativo, per noi è stato come essere in un parco giochi: abbiamo avuto totale libertà e davvero tantissimi mezzi a disposizione per dare forma alla musica adatta. Siamo molto grati di aver avuto l’opportunità di lavorare ad un progetto simile, abbiamo imparato molto.
Voglio dire, avevamo istruzioni del tipo “qui una balena è morta”, e dovevamo chiederci “va bene, come lo rendiamo spiritualmente attraverso la musica? Come ‘suona’ una cosa simile?”. Quindi immagina noi tre, con tutto questo carico di stimoli, che arriviamo nello studio e, non so, abbiamo a disposizione ossa di balena, cominciamo a studiarle, a chiederci “cosa succederebbe se…?” e niente, ci esplodono letteralmente note o suggestioni in testa. Sei ore dopo, abbiamo composto e suonato un sacco di materiale su cui lavorare.
Una parte del team di quel videogioco sarà presente alla data di stasera, quindi siamo molto contenti di poterli rivedere!