Finalmente, dopo anni di attesa, è arrivato il momento di ascoltare la prima fatica in studio degli Helloween nella loro forma allargata a sette elementi. “Helloween” è un album fatto per i fan, capace di accontentare sia gli ascoltatori più attempati che quelli dell’ultima ora. Tuttavia sarà uno di quegli album capaci di far discutere perché, pur con tutte le buone intenzioni del caso, sarebbe impossibile accontentare tutte le diverse (e altissime) aspettative che gravitano intorno ad uno dei dischi più attesi dell’anno. A noi questo ritorno è piaciuto e, pertanto, abbiamo colto con molto piacere l’occasione di parlarne con Michael Weikath, il comandante che ha tenuto a galla la nave degli Helloween fin dal primo album senza mai cedere. Dalle sue parole traspare in maniera evidente il grande sforzo non solo artistico ma anche produttivo e manageriale che ha portato alla realizzazione di un lavoro come questo, uno sforzo che, però, non entra mai in contrasto con la soddisfazione e l’entusiasmo di voler ancora creare qualcosa che possa regalare emozioni ai numerosi e fedeli fan degli Helloween sparsi per tutto il mondo.
MICHAEL, LA PRIMA DOMANDA CHE TI FACCIAMO E’ PROPRIO LEGATA ALLA NASCITA DELL’ALBUM. IL “PUMPKINS UNITED TOUR” E’ STATO UN ENORME SUCCESSO MA NON ERA COSI’ SCONTATO CHE QUESTA REUNION AVREBBE AVUTO UN SEGUITO ANCHE IN STUDIO. QUANDO AVETE PRESO LA DECISIONE DI REGISTRARE “HELLOWEEN”?
– E’ nato tutto dalle registrazioni del singolo “Pumpkins United”: tutto stava funzionando alla grande, il tour è stato un successo e noi ci siamo divertiti molto. Il tour aveva assunto ormai dimensioni epiche, vedevamo persone tra il pubblico che addirittura piangevano e tutto questo non poteva non avere un effetto positivo anche nei nostri confronti. Non puoi rimanere freddo e distaccato quando vieni investito da una carica di emozioni di questo tipo. A quel punto tutte le parti in causa, dai fan, al management, all’etichetta, tutti quanti ci dicevano ‘dovete farlo’. E noi non potevamo essere più d’accordo, eravamo sicuri che il tutto avrebbe funzionato, perché sapevamo di essere sette persone con le capacità e il potenziale per fare ancora qualcosa di importante. E’ stata una sfida, in un certo senso, ma in un’accezione positiva, un incentivo a voler fare sempre meglio. Il tutto è stato possibile anche grazie al lavoro di squadra di tante persone: penso all’organizzazione eccezionale messa in piedi dal nostro management, che ha gestito un piano di lavoro perfetto, oppure al contributo dei produttori, in primis Charlie Bauerfeind e poi Dennis Ward, che tutti conoscete per il suo lavoro con i Pink Cream 69 e con gli Unisonic. Non è facile gestire un progetto del genere, si tratta di far convergere una serie di variabili: bisogna organizzare voli, alloggi e quant’altro. Noi volevamo fare una sorta di pre-produzione ad Amburgo intorno a novembre/dicembre e tutto questo necessita di lavoro. Fortunatamente tutto ha funzionato alla perfezione e anche questo è stato importante per la nascita dell’album.
NEGLI HELLOWEEN CONVIVONO DIVERSI AUTORI DI CANZONI, POTENZIALMENTE CIASCUNO DI VOI AVREBBE POTUTO REGISTRARE UN INTERO ALBUM DEL GRUPPO. CI SONO STATI SCREZI O DISCUSSIONI LEGATE ALLE DECISIONI SU COSA INCLUDERE E COSA TAGLIARE NELL’ALBUM?
– No, si tratta di un processo piuttosto naturale. Certo ci possono essere dei momenti in cui è necessario chiarirsi, prima che le cose diventino spiacevoli per tutti, ma d’altra parte tutti avevamo ben chiaro il quadro generale ed era interesse di tutti far sì che il progetto funzionasse. Ciascuno di noi ha avuto voce in capitolo e comunque avevamo anche altre persone a darci consiglio, come il management o i produttori. Essendoci molte persone coinvolte, diventa un processo molto democratico: se la maggior parte delle persone pensa che qualcosa possa funzionare, allora evidentemente si tratta di qualcosa di valore. Certo, è sempre triste quando hai qualcosa tra le mani su cui hai lavorato e che per un motivo o per un altro deve essere accantonato. Ad esempio abbiamo una ballad, scritta da Deris, che è probabilmente una delle migliori che abbiamo mai scritto, se non la migliore. Però alcuni di noi erano convinti che, nonostante questo, ci fosse ancora spazio per lavorarci per renderla ancora meglio, pur riconoscendone già il valore altissimo. Sono cose che succedono e, fortunatamente, vengono comprese e accettate. Inoltre anche questo tema rientra in quel discorso di pianificazione di cui parlavo prima: è molto importante riuscire a comprendere fin dalle prime fasi della lavorazione cosa è possibile fare, in modo da portarlo poi a termine, e cosa invece no. Altrimenti il risultato è di sprecare tempo ed energie su qualcosa che non sarebbe stato gestibile fin da subito, una cosa che più passa il tempo e più diventa triste e difficile da recuperare. Serve a tutti quanti un po’ di sobrietà, nell’interesse dell’intero progetto, fin da subito. E questo è qualcosa che impari con l’esperienza: andare dritti al sodo, senza perdersi per strada. Nonostante questo, però, talvolta accade, perché per ciascuno di noi quest’album è stato come un figlio, tutti si sono impegnati al massimo e non ci sarebbe motivo di penalizzare qualcuno per aver fatto qualcosa di assolutamente grandioso, solo per motivi organizzativi o di spazio.
IMMAGINO CHE LO STESSO SI POSSA DIRE ANCHE PER LA SUDDIVISIONE DELLA PARTI VOCALI TRA MICHAEL, ANDI E KAI.
– Sì, anche in questo caso si tratta di scelte naturali, visto che ognuno ha una buona conoscenza delle capacità degli altri. Non vorrei sbagliarmi ma, da questo punto di vista, credo che non ci siano stati mai cambiamenti rispetto a come erano nati originariamente i brani, se non per dei dettagli minori. Intendo dire che quando ho scritto le mie canzoni mi sono trovato fin da subito a dire ‘ok, questo andrebbe benissimo per Andi, questo invece per Michael’, eccetera. E le cose poi sono rimaste esattamente così. Poi magari è arrivato il contributo di Dannis Ward, in fase di produzione, nel mettere un po’ di colore in più a certe parti, dove il testo o le atmosfere lo richiedevano, ma si è trattato di piccoli accorgimenti.
QUINDI QUANDO SCRIVI UNA CANZONE HAI GIA’ IN MENTE A CHI ‘AFFIDARE’ LE LINEE VOCALI, NON E’ UNA COSA CHE VIENE DECISA IN UN SECONDO MOMENTO.
– Esattamente, cerco di immaginare, di visualizzare quello che potrebbe essere il risultato finale. Quando preparo i demo delle mie canzoni (ed è una cosa che facciamo tutti), mi trovo proprio a canticchiare delle melodie, quantomeno per dare un’idea ai cantanti di quello che ho in mente, dando un’indicazione di massima di quello che mi aspetto possa essere il risultato finale. Quello che cerco di fare è andare a creare degli spazi che possano affidarsi non solo alla mia scrittura ma anche al contributo degli altri. E loro fanno lo stesso nei miei confronti. Si tratta di un metodo di lavoro che secondo me funziona molto bene. Deris ha un’ottima consapevolezza dei mezzi a disposizione di Kiske e viceversa. Questo li aiuta molto nell’integrarsi a vicenda, dando il meglio nelle proprie parti. Inoltre cerco sempre di scrivere canzoni che possano crescere con gli ascolti, che possano rimanere nella mente e nel cuore dei nostri fan anche dopo l’uscita dell’album e che siano memorabili, come succedeva con canzoni come “Highway Star” o “Child In Time” dei Deep Purple, o “Exciter” dei Judas Priest.
E’ STATO DIFFICILE PER TE TROVARTI NUOVAMENTE IN STUDIO CON HANSEN E KISKE? IN FONDO PRIMA BISOGNAVA METTERE D’ACCORDO CINQUE PERSONE MENTRE ORA SIETE IN SETTE.
– No, assolutamente, è tutto tranquillo e sotto controllo. Tieni anche presente che non abbiamo poi passato così tanto tempo assieme durante le registrazioni vere e proprie, quanto piuttosto nella fase di pre-produzione. Lì abbiamo preparato una serie di tracce demo grezze, per far sì che tutti prendessero familiarità con le canzoni. Ad ogni canzone abbiamo dedicato 1-2 giorni di lavoro e quello è stato l’unico vero momento in cui abbiamo lavorato tutti assieme, perché per le registrazioni effettive abbiamo lavorato singolarmente, o nei nostri studi casalinghi, assieme a Charlie, oppure con il supporto di altri ingegneri, come ad esempio Eike Freese, che tempo fa ha collaborato con Kai Hansen per il suo album solista “XXX”. Sascha ha registrato quasi tutto a casa sua o in uno studio nel sud della Germania che ha fornito anche parte della strumentazione, mentre le mie parti sono state registrate qui a Tenerife assieme a Charlie Bauerfeind, così come una parte delle linee vocali di Deris e Kiske. Si è trattato di un lavoro molto impegnativo, che ha coinvolto diverse persone in luoghi e tempi diversi.
L’ALBUM E’ STATO SCRITTO E REGISTRATO PRIMA DELLA PANDEMIA, GIUSTO? NON CI SONO STATE CONSEGUENZE DA QUESTO PUNTO DI VISTA.
– Sì, la maggior parte del materiale è stato registrato prima, per fortuna. Ci sono stati dei dettagli che sono stati completati durante la pandemia (e anche questo non è da sottovalutare), ma avevamo a disposizione gran parte del materiale quando questa situazione è esplosa.
TUTTI I FAN DEGLI HELLOWEEN ASPETTAVANO DA ANNI LA POSSIBILITA’ DI AVERE TRA LE MANI QUESTO NUOVO ALBUM E, DI CONSEGUENZA, LE ASPETTATIVE SONO ALTISSIME. SENTITE IL PESO E LA RESPONSABILITA’ DI DARE VITA AD UN LAVORO CHE INEVITABILMENTE VERRA’ COMPARATO CON I VOSTRI CLASSICI DEGLI ANNI OTTANTA?
– Assolutamente sì, ma d’altra parte questo vale sempre. Ogni volta che pubblichiamo un album facciamo il possibile per migliorarci e superarci. Anche per i precedenti lavori abbiamo sempre messo in musica qualcosa che ci mettesse alla prova nei confronti del nostro pubblico. La cosa forse era un po’ più semplice, perché c’erano coinvolte solo cinque persone, mentre oggi vogliamo presentarci ai nostri fan per dimostrare che abbiamo ancora quella scintilla, quella magia, quella forza. Ora siamo sette musicisti e abbiamo voluto espressamente accantonare il concetto di “Pumpinks United”, per passare semplicemente ad “Helloween”, perché è quello che siamo e quello che vogliamo continuare ad essere. Quando si è trattato di scegliere il titolo dell’album abbiamo vagliato diverse opportunità, ma è stato Sascha a suggerire questa soluzione: chiamiamolo “Helloween”, come la band che oggi è composta da sette persone. Quindi sì, cerchiamo sempre di superarci, per tornare alla domanda, ma questa volta un po’ di più! E se ci sarà un altro album dopo questo, anche allora sicuramente terremo in considerazione le aspettative di chi ci ascolta. Per questo lavoro avevo scritto cinque canzoni, sapendo che non avrebbero potuto essere incluse tutte nell’album. Durante la lavorazione sono sceso a tre, perché nella band ci sono cinque autori e considerando anche tre pezzi a testa saremmo arrivati ad un totale di quindici canzoni, un numero più che sufficiente per qualunque album. Inoltre concentrarsi solo su tre brani significa poterli curare nei minimi dettagli, in modo da presentarli alla band in una forma compiuta e non solo come una bozza da dover poi completare in un secondo momento.
COME PRIMO SINGOLO AVETE SCELTO “SKYFALL”, LA CANZONE SCRITTA DA KAI HANSEN, CHE HA UNA DURATA IMPORTANTE, TANTO DA OBBLIGARVI A PUBBLICARLA IN UNA VERSIONE TAGLIATA. COME MAI AVETE SCELTO PROPRIO QUESTO BRANO COME SINGOLO?
– C’erano diverse opzioni su quello che avremmo potuto scegliere come primo singolo. Anche un brano come “Out For The Glory” aveva ricevuto dei feedback molto positivi, ma aveva un problema di fondo: la canzone viene cantata quasi nella sua totalità da Kiske. L’idea è stato proprio sua, perché si tratta di un brano così vicino al classico stile degli Helloween degli anni Ottanta, che Michael voleva usarlo come sua biglietto da visita per il suo ritorno. Io mi sono trovato subito d’accordo con lui con una sola richiesta: per la parte in cui il testo parla degli ‘iron minion’ volevo la voce di Kai Hansen. Inizialmente nel bridge era prevista una parte per Andi Deris, ma proprio per questa proposta di Kiske, alla fine lui non è presente nel brano. La canzone è venuta bene e funziona così com’è, anche all’etichetta è piaciuto molto e pensavano di usarla per questo scopo, ma non potevamo scegliere come primo singolo una canzone in cui non fosse presente uno dei cantanti. Allora ci siamo chiesti cosa avremmo potuto presentare al pubblico che avesse al suo interno tutti e tre i cantanti (anzi, dovrei dire quattro, visto che Sascha è anche un ottimo cantante). La scelta più naturale, quindi, è diventata proprio “Skyfall”, pur dovendo scendere al compromesso di tagliarla. D’altra parte non è una cosa nuova per noi, l’avevamo fatto anche nel 1987 con il singolo di “Halloween”.
UNA COSA CHE ABBIAMO APPREZZATO MOLTO E’ IL FATTO CHE L’ALBUM RACCOLGA AL SUO INTERNO TUTTA LA STORIA DEGLI HELLOWEEN, UNENDO CARATTERISTICHE DEI “KEEPER” AD ALTRE PROVENIENTI DAL PERIODO DERIS, FINO AGLI ALBUM PIU’ RECENTI. E’ STATA UNA SCELTA VOLUTA?
– E’ stato voluto nel senso che l’album contiene un certo tipo di sound che avremmo comunque inserito, indipendentemente dalla reunion. “Out For The Glory” è stata concepita più o meno quindici anni fa e non so quanti segmenti delle nuove canzoni erano nel cassetto di Deris da anni. Lo stesso anche per Kai Hansen o Markus, quindi nessuno si è presentato in studio portando un’idea pensata appositamente per uno scopo specifico nell’album, con l’unica eccezione di “Best Time”, scritta da Sascha, per la quale lui ha seguito il suggerimento dato dal management e dalla casa discografica. Loro avevano chiesto un brano che potesse essere più melodico e lineare, semplice e diretto, che potesse funzionare come una hit. E lui ha realizzato esattamente questo, come se fosse ‘on demand’. Sascha e Andi si sono chiusi un giorno nella stanza dell’hotel e hanno lavorato un pomeriggio assieme fino a completarla. La maggior parte della composizione è opera di Sascha, ma poi insieme hanno definito tutti i dettagli. Completamente diversa, invece è stata la nascita di “Angels” (sempre scritta da Sascha Gestner, ndR), che invece è nata con l’intenzione di fare un nuovo grande classico degli Helloween, progressive ma con un taglio moderno e attuale.
SE DOVESSI SCEGLIERE QUATTRO ALBUM DEGLI HELLOWEEN PER PRESENTARE LA BAND AD UN GIOVANE ASCOLTATORE CHE ANCORA NON VI CONOSCE, COSA SUGGERIRESTI?
– Non potrei riuscirci, è impossibile per me. Perché, ad esempio, non potremmo escludere “Walls Of Jericho”, ovviamente dovremmo inserire i due “Keeper” e poi ci dovrebbe essere il nuovo album, e già solo così avremmo finito i posti disponibili. Sarebbe davvero troppo poco, come potremmo lasciare fuori album come “Master Of The Rings”, “Time Of The Oath” o “Better Than Raw”? Non riuscirei davvero a scendere a quattro. Se dovessi fare un paragone, sarebbe come una foto di famiglia, di quelle in cui lo zio Frank sviene a terra ubriaco al matrimonio della zia Mary. Non per questo vogliamo lasciarlo fuori dalla foto di famiglia, no?
GIUSTO, POVERO ZIO FRANK! ALLORA PASSIAMO ALLA PROSSIMA DOMANDA. OGGI MICHAEL E’ TORNATO NELLA BAND E SIAMO TUTTI FELICI DI QUESTO, PERO’ CI HA FATTO PIACERE VEDERE COME ANDI DERIS SIA ANCORA UNA DELLE COLONNE DELLA BAND, NON SOLO COME CANTANTE MA ANCHE COME AUTORE. A POSTERIORI POSSIAMO DIRE CHE LA SCELTA DI ANDI SIA STATA LA MIGLIORE POSSIBILE PER GLI HELLOWEEN. TI VA DI RACCONTARCI COSA VI HA CONVINTO A SCEGLIERE ANDI COME SOSTITUTO DI KISKE?
– Sicuramente ci aveva convinto la sua capacità come autore e poi devo aggiungere una cosa molto importante: ci è parso fin da subito una persona amichevole, nel suo modo di porsi. Ci sono stati spesso progetti discografici messi in piedi sulla carta da manager e case discografiche, in cui vengono scelti magari i migliori talenti sulla piazza, con delle richieste specifiche per cercare di portare dei risultati importanti sul mercato. Poi con il tempo vengono fuori racconti molto tristi, cose da incubo, su queste personalità che si trovano ad interagire tra loro sulla base di progetti pilotati dall’alto. Noi non volevamo passare niente del genere, conoscevamo Andi, avevamo parlato spesso in passato, ci eravamo incontrati, dato che lui trascorreva molto tempo ad Amburgo, e abbiamo pensato fin da subito che lui fosse la persona giusta e che, soprattutto, si sarebbe integrato molto bene con noi. Non volevamo trovarci a pensare ‘Ehi, è un cantante eccezionale, ma è veramente un coglione!’. Con lui questa cosa non sarebbe successa. Se poi ci aggiungi le sue qualità anche come autore, allora tutto diventa molto chiaro. Lo stesso è successo anche con Sascha.
UN’ULTIMA DOMANDA MICHAEL, SE DOVESSI TORNARE INDIETRO AL TE STESSO DEL PASSATO, IL RAGAZZO CHE HA REGISTRATO “KEEPER OF THE SEVEN KEYS”, QUALI DIFFERENZE VEDRESTI RISPETTO AL MUSICISTA CHE HA REGISTRATO “HELLOWEEN”?
– Sicuramente vedrei una grossa differenza legata alle tecnologie. All’epoca dovevamo fare tutto a mano, confidando nella nostra memoria. Ad esempio se avevamo una buona idea e volevamo fissarla, l’unico modo era registrare sui registratori a cassetta. Non potevamo permetterci computer e studi casalinghi come oggi, anche perché all’epoca tutte queste cose non esistevano. Compensavamo il tutto lavorando sodo, sei giorni alla settimana, senza mai fermarci. E la domenica ci trovavamo comunque per ubriacarci assieme! Dovevamo imparare tutto a memoria, che è un metodo di lavoro difficile da portare avanti. Funziona solo a discapito di tutto il resto, della tua vita privata. Non c’è spazio per una famiglia, una fidanzata, ci si concentra solo sulla carriera. La cosa era diventata insostenibile, ma per fortuna la tecnologia è venuta in nostro aiuto. Prima ci siamo potuti permettere un registratore a quattro tracce, poi a otto, fino ad arrivare agli strumenti più evoluti come Pro Tools e Logic. Una volta, invece, ho provato a stabilire un contatto con il me stesso del futuro, ero seduto sul bus a New York e mi sentivo un po’ incerto sul nostro futuro. Ho provato quindi a stabilire una sorta di connessione mentale e quello che ho ricevuto sono state sensazioni di benessere e di calma. Come se qualcuno mi dicesse di non preoccuparmi troppo, che tutto sarebbe andato per il meglio. Non sapevo se questa connessione fosse qualcosa di reale o meno, ma comunque mi ha tranquillizzato.