Alla voce ‘ambizione’ nell’ambito del death metal moderno troviamo ormai da tempo il nome degli Hideous Divinity, il cui desiderio di affrancarsi da ciò che abitualmente va per la maggiore in questo genere è stato di recente ribadito da “Unextinct”, terza opera – dopo il full-length “Simulacrum” e l’EP “LV-426” – che il gruppo capitolino ha realizzato per il colosso Century Media.
Un disco che apre definitivamente le porte a sentori narrativi e atmosfere profonde, non inseguendo più lo sfoggio tecnico a tutti i costi e optando invece per un approccio più viscerale, dal quale continuano a spirare umori black metal oggi più che mai integrati nel concept sinistro e vampiresco della tracklist. Rispondono alle nostre domande quelli che da sempre sono i pilastri della formazione: il bassista Stefano Franceschini e il cantante Enrico ‘H.”’Di Lorenzo…
CON “UNEXTINCT” POSSIAMO DIRE CHE SI ENTRI UFFICIALMENTE IN UN NUOVO CAPITOLO DELLA VOSTRA STORIA, IN PARTE GIÀ AVVIATO DALL’EP “LV-426” DEL 2021: PIÙ ATMOSFERA, PIÙ RICERCA SONORA, PIÙ PROFONDITÀ, A DISCAPITO DELLA FRENESIA E DEI TECNICISMI DI CUI “SIMULACRUM” È STATO PROBABILMENTE L’APICE.
COME DESCRIVERESTE IL VOSTRO PERCORSO FIN QUI? LA SCELTA DI DARE AL MATERIALE UN TAGLIO PIÙ EMOTIVO È VENUTA DA SÉ CON IL PROGREDIRE DELL’ETÀ E DELLE ESPERIENZE DI VITA O È STATA FRUTTO DI UN PROCESSO CONSCIO E RAGIONATO?
Stefano: – Non so dirti se sia frutto del processo di crescita (o invecchiamento) della band; posso però dirti che quando partiamo da un concept, anche in stato embrionale, la musica ne risulta inevitabilmente influenzata, ma anche l’idea del disco dipende fortemente da ciò per il suo sviluppo dalla musica. È un curioso circuito di reciproci condizionamenti.
Sono d’accordo con te per quanto riguarda l’atmosfera: “Unextinct” è forse il lavoro più oscuro che abbiamo mai realizzato, e per quanto mi riguarda è la naturale prosecuzione di un percorso iniziato più o meno consapevolmente con “Adveniens”. Con “Simulacrum” abbiamo innalzato la complessità strutturale di alcune soluzioni riffiche, per poi giungere ad “Unextinct”, che ci ha consentito di dotare questa complessità di un respiro certamente maggiore e più tetro.
TANTO PER CAMBIARE, IL LAVORO SVOLTO DA STEFANO MORABITO CON LA PRODUZIONE È ECCELLENTE. CREDO SIA LA MIGLIORE DELLA VOSTRA CARRIERA, E ANCHE UNA DELLE PIÙ PERSONALI CHE MI SIA CAPITATO DI SENTIRE IN QUESTO FILONE NEGLI ULTIMI TEMPI. UN MIX DI SPORCIZIA E DEFINIZIONE DECISAMENTE SINGOLARE…
Enrico H.: – Stefano è un maestro, non ha più niente da dimostrare a nessuno, eppure si approccia ancora al suo lavoro con l’entusiasmo di un ragazzino inventando e sperimentando di continuo. Per “Unextinct”, già dai primi ascolti delle demo, ci ha minacciato bonariamente con un “questa volta ci divertiamo sul serio”. E ci siamo divertiti veramente tanto. Ha visto nei brani quello che vedevamo noi, e ci ha aiutato a scavare ancora più a fondo.
Tecnicamente parlando, per questo album sono state usate delle soluzioni molto particolari per la batteria, la voce e il mastering, e il risultato è quello che giustamente hai notato tu: è sporco, è crudo ma conserva tutta la potenza e pulizia che ormai sono necessari in questo genere. Non entro nel dettaglio per rispetto dei trucchi del mestiere dei 16th Cellar, ma certe cose non le avevo mai viste fare… e cavolo se hanno funzionato! Personalmente, da cantante, sentire quella spazialità e naturalezza della voce è stupendo: non mi sembra di ascoltare un disco, ma di avere il mio clone che mi canta davanti. Bell’uomo, devo dire (ride, ndR)!
PARLATECI DELL’INGAGGIO DI DAVIDE ITRI DEI BEDSORE PER LA REGISTRAZIONE DELLE PARTI DI BATTERIA. COME SIETE ARRIVATI A LUI?
Enrico H.: – Qualche mese prima di entrare in studio, Giulio (il nostro ex batterista) ci ha comunicato di non sentirsi più stimolato dal drumming estremo e di voler dedicarsi ad altre forme di musica. A scanso di equivoci: non ci ha lasciati col culo per terra, ha onorato tutti gli impegni live che avevamo e si è offerto comunque di lavorare all’album. Non ritenevamo però giusto ‘forzare’ la mano a tirare avanti una situazione che comunque era cambiata profondamente, per cui ci siamo messi a cercare un batterista da inserire in pianta stabile per i prossimi quarant’anni di attività della band (ho intenzione di vivere a lungo).
Nel frattempo, visto che comunque il disco andava registrato, abbiamo chiesto una mano a Davide che è stato ben lieto di aiutarci. Poco dopo le registrazioni abbiamo cominciato a provare con Edoardo Di Santo (Voltumna, Ade) ed è scattata la scintilla che cercavamo! Abbiamo già fatto tre concerti con lui e sono stati incredibili, non vediamo l’ora di farne mille altri.
ALL’ANNUNCIO DEL DISCO, IN TANTI SUI SOCIAL HANNO IPOTIZZATO CHE SI TRATTASSE DI UN CONCEPT SUL RECENTE “THE LAST VOYAGE OF DEMETER”, COMPLICE IL SOGGETTO DELLA COPERTINA DI ADAM BURKE. DI COSA PARLA IN REALTÀ “UNEXTINCT”? ESISTE UNA STORIA CHE FA DA SFONDO AI BRANI O SI TRATTA PIUTTOSTO DI UNA SERIE DI RIFLESSIONI SULLA FIGURA DI NOSFERATU? QUALI SONO STATE LE VOSTRE FONTI DI ISPIRAZIONE?
Stefano: – “Unextinct”, come è intuibile dal titolo, rappresenta ciò che non muore, che persiste, un fuoco che brucia e che continua a voler esistere. Nosferatu è un emblema di questa forza incessante, ma anche della desolazione scaturita da una vita senza fine – inestinguibile, appunto. Nosferatu raffigura inoltre il concetto di numinoso (“The Numinous One”), coniato da Rudolf Otto per esprimere l’intersezione tra orrore e fascino, ovvero l’estremo sublime al cospetto di una creatura affascinante e abominevole. Ti direi, quindi, che le influenze più dirette sono senz’altro i due “Nosferatu” (Murnau ed Herzog), e per estensione il cinema tedesco di ispirazione espressionista; tra le fonti letterarie, “Il sacro” di Otto è un altro importante serbatoio concettuale a cui abbiamo attinto significativamente.
“NOSFERATU”, SPECIE NELLA RILETTURA CHE NE FA WERNER HERZOG, È ANCHE E SOPRATTUTTO UNA RIFLESSIONE SULLA NATURA PREDOMINANTE DEL MALE, E SULL’IMPOSSIBILITÀ DI UNA SUA DISTRUZIONE DA PARTE DELL’UOMO.
COME RIUSCIRE, QUINDI, A CONVIVERE CON QUESTO ASSUNTO? CREDETE CHE UN CERTO TIPO DI MUSICA – E DI ARTE IN SENSO LATO – SERVA ANCHE A QUESTO? FARCI SCENDERE A PATTI CON LA PRESENZA ONTOLOGICA DEL MALE NEL MONDO?
Enrico H.: – Farci scendere a patti e, in qualche modo, anche celebrare gli aspetti più neri e marci dell’animo umano e del mondo. Sinceramente sono sempre stato molto infastidito dalla lettura ‘tarallucci e vino’ del death metal come ‘musica divertente’.
Il metal estremo è la lente attraverso la quale vedere, leggere, sopportare e celebrare ciò che c’è di peggio nella nostra natura. L’animo umano è complesso e il compito dell’arte (almeno di questa arte) è celebrarlo e aiutarlo ad esprimersi ed evolversi in ogni suo aspetto, anche il più nero. Ovviamente questo non fa dei suoi praticanti né dei criminali né delle cattive persone. È un discorso forse contorto per la visione dicotomica delle cose a cui ci stiamo abituando, ma se fosse un discorso lineare non ci sarebbe bisogno dell’arte per portarlo avanti.
DALLA NOSTRA ULTIMA CHIACCHIERATA A RIDOSSO DELL’USCITA DI “LV-426”, VI SIETE IMBARCATI IN UN PAIO DI TOUR MOLTO DIVERSI FRA LORO: QUELLO NORDAMERICANO CON HYPOCRISY, CARACH ANGREN E THE AGONIST, E QUELLO EUROPEO CON BELPHEGOR E KAMPFAR.
PARLATECI DI QUESTE DUE ESPERIENZE: ANEDDOTI, RIFLESSIONI SULLE DIVERSE TIPOLOGIE DI PUBBLICO… TUTTO QUELLO CHE VI VIENE IN MENTE.
Enrico H.: – Stefano non ha potuto partecipare a questi due tour a causa dei suoi impegni col dottorato, per cui siamo stati aiutati nel tour americano da Yoav Ruiz Fingold (Atheist) e Zach Jeter (Olkoth e, recentemente, Nile) e in Europa da Marco Carboni (Golem of Gore, Grumo, Logic of Denial). Tre musicisti eccezionali, tre belle persone con le quali abbiamo legato moltissimo. Canada e Stati Uniti sono la nostra scena ideale (maledetto oceano!), e ogni volta ci fanno tornare a casa col sorriso.
Stavolta abbiamo avuto i nostri guadagni molto rosicchiati dai costi di noleggio camper e benzina più che raddoppiati (guerra in Ucraina, Covid, ecc.), ma il calore del pubblico ti fa dimenticare questi ‘piccoli’ dettagli. Del tour coi Belphegor che dire… mi aspettavo una domanda a riguardo (ride, ndR). Mettiamola così: ti basti sapere che appena tornati a casa abbiamo ritirato la nostra disponibilità ad un altro tour coi Belphegor che era in fase di preparazione, e siamo usciti dal roster della Flaming Arts in cui eravamo da poco entrati. C’è un limite a tutto (non abbiamo ulteriori informazioni su cosa sia successo a riguardo, ndr).
RIVEDREMO MAI GLI HIDEOUS DIVINITY SUL PALCO CON UNA SECONDA CHITARRA?
Stefano: – No comment. Battute a parte, non saprei, ci troviamo davvero bene in quattro e anche logisticamente non ti nascondo che ha i suoi vantaggi (mi riferisco prevalentemente agli spostamenti in auto). Sicuramente abbiamo più spazio!
QUALI SONO STATI GLI ULTIMI ALBUM DEATH METAL CHE VI HANNO DAVVERO COLPITO?
Enrico H.: – Gli ultimi lavori di Vitriol e Wake.
Stefano: – Decapitated, Cryptopsy e anch’io Vitriol. Non vedo poi l’ora del nuovo Benighted.
RICORDATE COM’È AVVENUTO, NEL VOSTRO CASO, IL PASSAGGIO DA SEMPLICI ASCOLTATORI A CREATORI ATTIVI DI MUSICA? QUAL È STATO IL GRUPPO O IL DISCO CHE VI HA FATTO DIRE “VOGLIO PROVARCI ANCH’IO?”
Enrico H.: – Credo sia successo con “Colpo di Coda”, il doppio album live del tour di “Terremoto” dei Litfiba.
Stefano: – Essendo cresciuto in un ambiente particolarmente musicale (grazie ai miei fratelli più grandi ascolto metal letteralmente da bambino), potrei parlarti di innumerevoli colpi di fulmine. Tra quelli che più hanno lasciato il segno, ti direi Iron Maiden (“Somewhere in Time”), Megadeth (“So Far, So Good… So What!”), Morbid Angel (“Altars of Madness”) e Death (“Spiritual Healing”).
PARLANDO DI SOGNI NEL CASSETTO, CE N’È QUALCUNO CHE A QUESTO PUNTO DELLA VOSTRA CARRIERA NON SI È ANCORA REALIZZATO?
Enrico H.: – Voglio entrare in un negozietto di accessori per giovani ribelli (tipo lo storico Zoppo di Roma) e trovare una stampa illegale delle nostre magliette. Ne ho trovata qualcuna online, ma non è la stessa cosa. Voglio che uno sconosciuto che non sa pronunciare il nome della band mi venda la maglia. Credo di aver bisogno di un aiuto professionale.
Stefano: – Vorrei suonare in playback scambiandoci gli strumenti come fecero i Muse ospiti di “Quelli che il calcio”. Scherzi a parte, mi piacerebbe suonare in Sudamerica e Giappone.