HIDEOUS DIVINITY – Un eterno divenire

Pubblicato il 18/11/2019 da

Musicisti ambiziosi, esperti e dal pensiero tutt’altro che scontato, gli Hideous Divinity si riaffacciano sul mercato con un disco, “Simulacrum”, che ne esprime la volontà di guardare oltre i soliti schemi come mai prima d’ora. Forse non quello della definitiva messa a fuoco stilistica o della consacrazione a livello mondiale, ma che di sicuro può essere visto come l’inizio una storia ancora tutta da scoprire, in cui US death metal, spunti black metal degli anni Duemila e spiccate velleità progressive si rincorrono influenzandosi a vicenda, offrendo un’interessante rilettura di trame ormai sempre più standardizzate e preconfezionate. Ai nostri microfoni risponde il chitarrista/membro fondatore Enrico Schettino…

LA PRIMA GRANDE NOVITÀ DI “SIMULACRUM” È DATA DALLA SUA PUBBLICAZIONE PER CONTO DEL COLOSSO CENTURY MEDIA. COME AVETE VISSUTO QUESTO SALTO? VI SIETE SENTITI IN QUALCHE MODO SOTTO PRESSIONE AL MOMENTO DI ENTRARE IN STUDIO?
– Se rispondessi dicendo “Ma no, quale pressione, solo ordinaria amministrazione…”, a parte l’oggettiva arroganza, credo che in pochi se la berrebbero. E non certo perché la nostra nuova etichetta abbia esercitato alcuna ‘pressione’ su di noi, anzi: quello che mi continua ad impressionare della Century Media è la genuina passione ed il supporto a livello artistico nei nostri confronti. Faccio un esempio: il video di “The Embalmer”. Eravamo davvero preoccupati che la violenza della performance di Olivier De Sagazan potesse causare problemi a livello di censura. Invece è stato proprio il team Century, dopo aver visto delle preview, a dirci “Il video è favoloso, non preoccupatevi di nulla, andate avanti”. No no, il problema siamo noi. Sapevamo che avevamo a disposizione la chance della vita e la meticolosità nei confronti di ogni aspetto di “Simulacrum” ci ha fatto toccare vette esagerate. Superato l’esaurimento nervoso collettivo, alla fine tutto è andato per il meglio.

SEMBRA CHE PASSINO GLI ANNI E PIÙ GLI INFLUSSI BLACK METAL RISULTINO CENTRALI NELLA VOSTRA PROPOSTA…
– Se qualcuno se n’è effettivamente accorto, sono contentissimo. Vedo in questo genere il futuro, a differenza della maggioranza, purtroppo, del death metal vero e proprio. La cosa sensazionale di questa new wave of black metal è la quasi totale assenza di innovazione – intesa in senso stretto, la capacità cioè di andare a segno con quattro accordi in croce. Prendi il recente successo di gruppi islandesi come Svartidaudi o Misþyrming: non hanno di certo reinventato la ruota, però… hanno riportato nel genere qualcosa che sembrava smarrito: il senso opprimente di oscurità e mistero. Il fan dei Mgla, uno dei gruppi estremi più significativi degli ultimi dieci anni, non è un semplice fan. Si sente parte di qualcosa di esclusivo: una società segreta, o una congregazione, un culto. In un’epoca in cui tutti sanno tutto di tutti, in cui venderemmo nostra madre per la popolarità sui social, tanto di cappello a quei gruppi che con il solo carisma e la qualità musicale riescono ad avere quel genere di successo. Nei loro confronti provo solo ammirazione, forse anche un po’ di sana invidia.

DOPO CARPENTER (“OBEISANCE RISING”), HERZOG (“COBRA VERDE”) E CRONENBERG (“ADVENIENS”), PER “SIMULACRUM” È STATA LA VOLTA DI LYNCH E DEL SUO FILM “STRADE PERDUTE”. POTRESTE SCENDERE UN PO’ PIÙ NEL DETTAGLIO DEI TESTI E DEL CONCEPT CHE FA DA SFONDO ALL’OPERA?
– Il concept cinematografico è la nostra solita splendida scusa. “Strade Perdute” non è solo il delirio onirico di un personaggio incapace di controllare il corso della sua esistenza: grazie a dio, nel cinema c’è sempre dell’altro. Il film può essere interpretato a più livelli: uno di questi è quello filosofico. Secondo Gilles Deleuze, il film potrebbe essere descritto come un susseguirsi di cicli dove la distorsione della realtà porta a qualcosa di ‘diverso eppure uguale’. Non una metamorfosi, ovvero la creazione di un nuovo corpo, ma una anamorfosi, e cioè una visione distorta di una realtà che fatichiamo a riconoscere. Ho pensato “Accidenti, è qualcosa che potrebbe essere applicato alla nostra stessa musica”. Insomma, “Simulacrum” ha perfino una componente autobiografica. Non è forse la musica estrema stessa una continua evoluzione di se stessa in maniera sempre più distorta, grottesca ed oscura?

COME I SUOI PREDECESSORI, “SIMULACRUM” È STATO REGISTRATO DA STEFANO MORABITO NEI 16TH CELLAR STUDIO DI ROMA. DOPO TUTTI QUESTI ANNI, NON AVETE CONSIDERATO L’IPOTESI DI RIVOLGERVI AD UN ALTRO PRODUTTORE?
– Sinceramente, no. Forse Saul è responsabile di quello che sono diventati gli HD più di quanto lo possa essere io come autore della musica. La nostra evoluzione da “Obeisance Rising” in poi è stata simbiotica: ogni volta in cui gli HD muovevano un piccolo passo verso una maggiore consapevolezza ed originalità, la produzione di Stefano certificava questo passaggio. Finché è arrivato “Adveniens”: fare qualcosa di ‘superiore’ sembrava impossibile. Perciò ci siamo messi, tutti e sei, a cercare di capire a due anni dalla sua uscita cosa funzionasse a livello di produzione, e cosa invece dovesse essere cambiato. Serviva qualcosa di più organico e più dinamico. Più facile a dirsi che a farsi, in un genere dove l’iper-compressione è un dogma.

IL SOGGETTO DELL’ARTWORK SI RICOLLEGA DIRETTAMENTE A QUELLO DI “ADVENIENS”. COM’È NATA E COME SI È SVILUPPATA L’IDEA?
– Dobbiamo tanto allo stile del ‘nostro’ Vladimir Chebakov, già autore dell’Angelus Novus della copertina di “Adveniens”. Una volta trovato assieme il soggetto finale, che ricordasse ma non ricalcasse l’album precedente, lavorare alla versione finale è stato gratificante. Lo stile di Vlad ha una prerogativa fondamentale: la presenza di imponenti figure centrali che catturano l’attenzione sin dal primo momento. Davanti alla versione finale della cover di “Simulacrum” ho provato lo stesso senso di vertigine che mi genera l’Angelo Del Focolare di Max Ernst.

LO SCORSO ANNO VI SIETE IMBARCATI IN UN LUNGO TOUR NORDAMERICANO CON ABORTED, CRYPTOPSY E BENIGHTED. VI ANDREBBE DI RACCONTARCI QUESTA ESPERIENZA? COSA NE AVETE TRATTO E QUALI DIFFERENZE AVETE RISCONTRATO CON L’EUROPA E IL SUO PUBBLICO?
– Esperienza eccezionale. Gli Stati Uniti sono un mercato incredibile. Hai l’impressione che potresti passarci mesi a fare tour senza fermarti mai, suonando ogni volta in una città diversa. Noi ci siamo ‘limitati’ a trenta date in trentuno giorni per circa diciannovemila chilometri in totale, con quella che ad oggi credo sia stato il bill più estremo al quale mai abbiamo preso parte: Aborted, Cryptopsy, Benighted e noi. Arrivarci poi dopo tre dischi e otto anni di attività è stata una mossa giusta. Il pubblico americano è incredibilmente caldo e supportivo, ti fa sentire un ‘professionista’ (uno che cioè si trova là perché sta facendo un lavoro) e ti tratta di conseguenza.

COSA NON DEVE MAI MANCARE IN UN BRANO DEGLI HIDEOUS DIVINITY? C’È UN EPISODIO DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA A CUI VI SENTITE PARTICOLARMENTE LEGATI?
– Mi vengono in mente solo parole fraintendibili o inflazionate: atmosfera, evoluzione… ognuno attribuisce a queste parole il significato che vuole. Mi piace pensare che ogni nostro brano riesca a differenziarsi dagli altri, e che la nostra musica non venga percepita come ‘lo stesso incessante, identico blastbeat disco dopo disco dopo disco’. Guardando indietro, continuo a pensare che la titletrack di “Cobra Verde” sia lo spartiacque tra ciò che eravamo e ciò che siamo diventati.

COME GIUDICATE IL PANORAMA DEATH METAL ODIERNO? QUANT’È DIFFICILE, PER VOI CHE SIETE MUSICISTI, SCRIVERE NUOVI RIFF IN UN GENERE CHE HA GIÀ DATO (E DETTO) TANTO?
– È un argomento un po’ delicato. Personalmente, a volte ho l’impressione che sia un genere che sta collassando su se stesso in nome del ‘più veloce, più tecnico, più brutale’. La stessa etichetta di ‘technical death metal’ che ci viene spesso affibbiata mi fa aggrottare le ciglia, e questo lo dico senza nulla togliere a gruppi come, che ne so, Archspire o Beyond Creation. Anzi, magari sapessi suonare come loro. Ma non provo più grande interesse nei confronti di quel genere. Per fortuna, ci sono ancora dei dischi death che continuano a rallegrare questa terra. Ho avuto modo di ascoltare a fondo l’ultimo Blood Incantation e devo dire che è di una bellezza disarmante. È uscito un nuovo EP dei Lvcifyre, è in arrivo un nuovo Cattle Decapitation con il piglio più black di sempre… non è stato proprio un anno deludente. Finché gruppi del genere mi continueranno a lasciare a bocca aperta al primo ascolto, avrò qualcosa da scrivere.

FIN DOVE PENSATE DI POTERVI SPINGERE COME ARTISTI? A QUALE PUNTO DELLA LORO EVOLUZIONE CREDETE SIANO GLI HIDEOUS DIVINITY?
– Ho sempre pensato che la nostra musica sia semplicemente uno specchio di ciò che, in un determinato momento del tempo, ci abbia lasciato un segno. Difficile dunque rispondere, dato che non sappiamo cosa ci riserva, da ascoltatori, il futuro della musica estrema. Come detto prima, sono ottimista. Adoro quello che sta succedendo in questi ultimi anni. Credo che gli HD abbiano raggiunto, più che una vera e propria evoluzione, un grado importante di consapevolezza. Un punto di partenza quindi, certo non di arrivo. C’è ancora tantissimo da fare.

COSA C’È NELLA VOSTRA LISTA DEI DESIDERI PER IL FUTURO?
– Personalmente, non smetterò mai di sognare un tour in America Latina. Non sembra essere la cosa più facile del mondo, trovare promoter seri da quelle parti è cosa ardua: gruppi più famosi del nostro si sono ritrovati con il proverbiale cerino in mano a pochi giorni dalla partenza e hanno dovuto cancellare tutto. Qualcuno ancora più sfortunato si è ritrovato in un aeroporto nel cuore del nulla, abbandonato a se stesso. Speriamo di farcela, un giorno, senza rischiare la pelle. Per adesso ci sono ancora Europa e Nord America con un pubblico sempre più esteso che ci ha appena scoperto… insomma, non mi pare proprio il caso di lamentarsi.

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