HOPESFALL – Un decennio per rinascere

Pubblicato il 07/10/2018 da

L’insperato ritorno sulle scene degli Hopesfall ha strappato più di un sorriso a tanti fra coloro che nei tardi anni Novanta e nei primi Duemila hanno abbracciato il suono post hardcore (all’epoca per la verità chiamato “new school hardcore”). Oltre un decennio di assenza dalle scene rappresenta un lasso di tempo lunghissimo per qualsiasi band, ma, nel caso degli statunitensi, questa pausa iniziata nel 2007 ha portato consiglio e una ennesima ventata di brio e di ispirazione in seno alla line-up. Non a caso, “Arbiter”, il primo frutto di questo comeback, è un disco che si allinea perfettamente con quanto rilasciato dagli Hopesfall sul finire della prima parte della loro carriera, sia in termini stilistici che qualitativi. Il gruppo ha dato un’altra rinfrescata al suo sound groovy e malinconico, ritrovando la capacità creativa per confezionare dei brani che, da qualsiasi aspetto li si affronti, si rivelano ben lungi dallo sfigurare con il repertorio del passato. Parliamo di questa felice rimpatriata con il chitarrista e membro fondatore Josh Brigham.

BENTORNATI! INIZIAMO CON LA DOMANDA CHE TUTTI VI STANNO FACENDO: CHE COSA HANNO FATTO I MEMBRI DELLA BAND DOPO LA PUBBLICAZIONE DI “MAGNETIC NORTH”?
– Ci siamo concentrati sui nostri lavori. Tre di noi lavorano in un birrificio di Charlotte, North Carolina, chiamato Olde Mecklenburg. Jay è il production manager di un famoso locale di Chicago, la Concord Music Hall, mentre Adam lavora alla Contagious Graphics.

CHE COSA VI HA PORTATO A TORNARE PROPRIO ORA?
– Non è successo nulla di particolare fra noi o nella scena e mercato musicali che ci hanno fatto dire “OK, è il momento di tornare”. Abbiamo iniziato a comporre musica nel 2010, anche se in origine non era destinata agli Hopesfall. Ti dirò di più: il nome del progetto era Arbiter! Con il passare degli anni abbiamo accumulato sempre più materiale e gradualmente ci siamo convinti che fosse vicino allo spirito degli Hopesfall, per cui non vi è poi stata la necessità di cambiare nome. Quando ci siamo ritrovati con un numero di canzoni sufficiente, abbiamo deciso di pubblicare un album e, fortunatamente, la Equal Vision / Graphic Nature ci ha dato questa opportunità.

COME E’ NATA LA FORMAZIONE ATTUALE DEGLI HOPESFALL? NEL 2011 IL GRUPPO SI RIUNI’ PER UNO SHOW SPECIALE CON DOUG VENABLE, IL VOSTRO PRIMISSIMO CANTANTE, MA OGGI AL MICROFONO VEDIAMO JAY FORREST, COLUI CHE HA CANTATO SU TUTTI I DISCHI DA “THE SATELLITE YEARS” IN POI.
– Dustin, Adam e il sottoscritto erano già al lavoro sul materiale che poi sarebbe finito su “Arbiter” quando gli Hopesfall hanno tenuto quello show nel 2011. Il tutto nacque in seguito ad un invito dei nostri amici dei Codeseven, per il concerto di riapertura del noto locale Ziggy’s, a Winston Salem, North Carolina. Si trattò di un’esperienza isolata, anche se indubbiamente divertente. L’attuale line-up si è ritrovata per la prima volta quando tutti siamo andati a vedere un concerto dei Failure e degli Hum nell’agosto 2015. Adam, Dustin e il sottoscritto abbiamo passato la serata con Chad e Jay e abbiamo deciso che il disco sarebbe stato registrato da questa formazione.

IL COMMENTO PIU’ COMUNE E’ CHE “ARBITER” SIA MUSICALMENTE UNA VIA DI MEZZO FRA “THE SATELLITE YEARS” E “MAGNETIC NORTH”: TU CHE NE PENSI?
– Penso che sia una descrizione tutto sommato esatta!

DA COSA DIPENDE LA DIREZIONE MUSICALE DEL VOSTRO MATERIALE? VI E’ SOLITAMENTE UNA PERSONA CHE INDICA LA VIA? “MAGNETIC NORTH” ERA UN ALBUM PIUTTOSTO CUPO, MENTRE “ARBITER”, GIA’ DAI COLORI DELLA COPERTINA, APPARE PIU’ ENERGICO E LUMINOSO.
– Questa volta la musica è più che mai il prodotto delle influenze di ognuno di noi. Abbiamo cercato di catturare l’energia che c’era in sala prove, quei spontanei momenti di creatività che esplodono solo quando suoni insieme, nella stessa stanza. Siamo sempre stati molto positivi durante la lavorazione di questo disco, anche e soprattutto perchè non vi erano pressioni alcune dall’esterno. Ci stavamo divertendo tra amici.

DI COSA PARLA “ARBITER”?
– Perdita, abbandono, il passare del tempo, vasti spazi vuoti, guardare nello spazio e chiedersi cosa fare di tutto ciò.

LE COSE SONO CAMBIATE MOLTO DAGLI ESORDI DEGLI HOPESFALL, CON LO STREAMING CHE, ALMENO IN CERTI AMBIENTI, HA QUASI DEL TUTTO SOPPIANTATO LE VENDITE DEI DISCHI. PER NON PARLARE DEGLI SMART PHONE E DELL’ABITUDINE DI FILMARE INTERI CONCERTI E CARICARLI SU YOUTUBE. COME VIVETE QUESTA SITUAZIONE?
– Personalmente sono un grande fan dello streaming. Amo la musica e mi piace l’idea di pagare $9.99 al mese per avere accesso a qualsiasi cosa. Posso avere tutto ciò che mi pare e piace, istantaneamente. Decisamente meglio che andare in giro con uno zaino pieno di CD come facevo da ragazzo. Per quanto riguarda le vendite, non è una cosa alla quale siamo attaccati in questo momento. Il gruppo è tornato per altri motivi e siamo contenti così.

QUANDO I PRIMI LAVORI DEGLI HOPESFALL SONO USCITI ERAVATE PARTE DELLA SCENA NEW SCHOOL HARDCORE, O, PERLOMENO, VENIVATE INSERITI IN ESSA. POI LE COSE HANNO PRESO UNA PIEGA DIVERSA ED E’ DIVENTATO PIU’ DIFFICILE CATALOGARVI. COME AVETE VISSUTO LA VOSTRA EVOLUZIONE MUSICALE?
– Noi abbiamo sempre suonato ciò che ci veniva più naturale e non abbiamo mai detto di no davanti alle opportunità che ci venivano offerte. Suonavano con hardcore band, punk band, emo band, prog band, metal band… abbiamo sempre ascoltato tutta quella musica e queste influenze hanno sempre fatto parte del nostro sound. Spettava poi agli altri inserirci un un determinato filone.

SIN DALL’INIZIO NON AVETE MAI NASCOSTO LA VOSTRA PASSIONE PER GRUPPI COME HUM O SMASHING PUMPKINS, COSA ANOMALA PER UN GRUPPO DAL BACKGROUND HARDCORE…
– Sì, anche se potrei trovare dozzine di riff su “You’d Prefer An Astronaut” o “Siamese Dream” che sono definibili heavy riff al 100%, quindi non trovo che fra noi e loro vi sia chissà quale abisso. Amo la musica pesante, amo la musica basata sui riff, ma anche tante altre sonorità che nascono da tutt’altro. Ho sempre pensato che questa band sia semplicemente la somma delle nostre influenze e passioni. A volte una di queste risplende più delle altre, ma la base è la stessa. Ogni album è la fotografia di un momento della nostra vita e di ciò che stavamo ascoltando più spesso in quel periodo.

PER MOLTI ARTISTI L’ORIGINALITA’ E’ PRIMA PRECEDUTA DA UNA FASE DI APPRENDIMENTO CHE SPESSO SI TRADUCE ANCHE NELL’EMULARE ALTRE BAND. PER VOI E’ STATO COSI’? COME DESCRIVERESTI L’EVOLUZIONE DEGLI HOPESFALL DA BAND IN ERBA A BAND CON UN PROPRIO SOUND?
– Onestamente, penso che ognuno di noi della band potrebbe dirti che stiamo ancora imparando. Credo che quello che suoniamo sia ormai riconoscibile, ma non so se siamo riusciti a trovare davvero una sorta di stile Hopesfall. E se lo abbiamo trovato, forse non sono capace a descriverlo a parole. Penso che la nostra proposta sarà sempre in evoluzione, almeno un po’.

LA CARRIERA DEGLI HOPESFALL E’ INIZIATA VENT’ANNI FA: QUAL E’ LA LEZIONE PIU’ IMPORTANTE CHE HAI IMPARATO NEL CORSO DI QUESTA AVVENTURA?
– Cerca sempre di fare in modo che sia un divertimento. Si vive una volta sola.

AVETE IN PROGRAMMA DI VENIRE IN EUROPA? SEMBRA CHE I RELEASE SHOW CHE AVETE TENUTO A BROOKLYN SIANO ANDATI BENISSIMO…
– I concerti di Brooklyn sono stati speciali, hai ragione. In questo momento non ci sono piani di venire in Europa, ma se ci venisse fatta un’offerta, di certo la prenderemmo in considerazione. Siamo molto grati per il supporto che stiamo ricevendo. Tantissime persone ci sono vicine in questo momento e, senza di loro, non potremmo vivere il sogno di pubblicare nuova musica.

PROBABILMENTE NON SARA’ UN COMPITO FACILE, MA POTRESTI SELEZIONARE LE TRE CANZONI DEGLI HOPESFALL A TE PIU’ CARE?
– Posso dirti i miei brani preferiti degli ultimi album: “The Ones”, “Saskatchewan” e “Faint Object Camera”. Ti dirò perchè “The Ones” è il mio preferito. Non dimenticherò mai la composizione di quel brano: eravamo sotto pressione durante le sessioni di “A-types”, avevamo registrato otto pezzi, ma ce ne servivano dieci. Il produttore venne in studio e ci disse che, considerato il nostro budget, avevamo solo una notte per scrivere il materiale per poi riprendere le registrazioni il giorno dopo. La pressione e l’urgenza ci portarono allo stremo delle forze, ma alla fine tutto si risolse: scrivemmo “The Ones” e “Breathe From Coma” in quella stessa notte.

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