HOUR OF PENANCE – All’Inferno Ci Andiamo Volentieri

Pubblicato il 03/06/2012 da

Non esistono pause per gli Hour Of Penance in questo periodo: dopo aver dato alle stampe il già ampiamente fortunato “Sedition”, i death metaller nostrani si sono imbarcati nel loro primo tour statunitense, supportando The Black Dahlia Murder e Nile, per poi tornare “a casa” e prendere parte al nostro Metalitalia.com Festival in quel di Milano. Ora il gruppo si appresta a promuovere ulteriormente la sua ultima fatica con una nuova serie di date live più o meno prestigiose, che, a quanto pare, o porteranno in buona parte del mondo. Dopo avervi presentato “Sedition” con l’anteprima/track by track di un paio di mesi fa e con la relativa recensione, spazio dunque ad una nuova chiacchierata con il chitarrista e leader Giulio Moschini, che di seguito ci illustra tutti i piani degli Hour Of Penance e ulteriori retroscena del nuovo album.

SIETE DA POCO TORNATI DAL VOSTRO PRIMO TOUR STATUNITENSE, CHE VI HA VISTO DIVIDERE IL PALCO CON THE BLACK DAHLIA MURDER, NILE E SKELETONWITCH. RACCONTACI DI QUESTA ESPERIENZA: GLI USA SONO COME VI ASPETTAVATE? CHE TIPO DI DIFFERENZA AVETE RISCONTRATO TRA QUESTO TERRITORIO E L’EUROPA? PRO E CONTRO DELL’ESSERE IN TOUR DA QUELLE PARTI? COME È ANDATA LA CONVIVENZA CON LE ALTRE BAND?
“Ciao Luca! Andare in America era uno dei sogni che avevamo da quando abbiamo iniziato a suonare e devo dire che non ne siamo rimasti assolutamente delusi, anzi, ci siamo trovati di fronte a realtà che andavano ben oltre le nostre aspettative. Abbiamo avuto il piacere di condividere il palco con i The Black Dahlia Murder, i Nile e gli Skeletonwitch, tutti e tre gruppi molto professionali e assolutamente macchine da palco, seppur non suonino il nostro stesso genere (Nile a parte). Le differenze con l’Europa sono tantissime: personalmente, nonostante questa sia stata soltanto la nostra prima esperienza, devo ammettere che preferisco tra le due l’America. I pro sono tantissimi, a cominciare dal supporto e dal modo di interagire con il pubblico americano, sicuramente molto più attivo e ‘coinvolto’ di quello che spesso si trova qui in Europa (con le sue giuste eccezioni). Il rapporto con le altre band è stato ottimo da subito, abbiamo avuto la fortuna e l’onore di condividere il tour bus con i Nile, band che amiamo. Siamo partiti da fan e siamo tornati ancora più fan”.

“SEDITION” È USCITO DA ALCUNE SETTIMANE: SIETE SODDISFATTI DELL’ACCOGLIENZA CHE AVETE RICEVUTO DA PARTE DI PUBBLICO E CRITICA? E RIGUARDO AL LAVORO DELLA VOSTRA NUOVA CASA DISCOGRAFICA, LA PROSTHETIC RECORDS, AVETE COMMENTI DA FARE?
“Siamo molto soddisfatti. Fin’ora devo dire che, a parte qualche caso isolato, ‘Sedition’ ha ricevuto solo ottime recensioni, il che è un buon segno ovviamente. La Prosthetic sta svolgendo un lavoro di promozione eccellente, siamo usciti su alcune delle maggiori riviste del settore e non: mi ha fatto assolutamente piacere leggere recensioni positive anche su riviste come Legacy, dedite sopratutto a generi come il power e il metal non estremo”.

IL DISCO SEGNA UNO SPOSTAMENTO VERSO LIDI SONORI PIÙ GROOVY E PESANTI, SENZA PERÒ METTERE DA PARTE DINAMISMO E UN PIZZICO DI ATMOSFERA. QUANTO HANNO INFLUITO LE NUMEROSE DATE LIVE TENUTE A SUPPORTO DI “PARADOGMA” SUL SONGWRITING PER “SEDITION”?
“Le date in supporto a ‘Paradogma’ sono servite sicuramente a consolidare il feeling tra di noi e a ‘conoscerci’ meglio dal punto di vista musicale; il dinamismo, l’atmosfera e le parte più groovy sono derivate piuttosto da una voglia di fare un disco che non sia il solito disco death metal di oggi senza capo nè coda, con mille riff sparati a caso… piuttosto, abbiamo preferito cogliere l’attenzione dell’ascoltatore sia su disco che dal vivo chiaramente, evitando proprio di dilungarci su tecnicismi e compagnia bella”.

CREDO CHE ORMAI UNA DELLE PECULIARITÀ PRINCIPALI DEGLI HOUR OF PENANCE SIA LA CAPACITÀ DI SCRIVERE CANZONI DI SENSO COMPIUTO E CHE, TUTTO SOMMATO, SI FANNO RICORDARE. ULTIMAMENTE LA SCENA DEATH METAL VIVE TROPPO SPESSO DI ECCESSI E SI È UN PO’ PERSO IL GUSTO NELLO SCRIVERE CANZONI VERE E PROPRIE. NE SEI CONSAPEVOLE? QUAL È LA TUA OPINIONE A RIGUARDO?
“Ne sono assolutamente consapevole e ‘Sedition’ ne è proprio la conseguenza. Purtroppo è difficilissimo per me trovare al giorno d’oggi gruppi che mi interessino, a causa del fatto che la maggior parte di essi si preoccupa di più dei tecnicismi, di mettere milioni di riff in una canzone, perdendo il ‘filo del discorso’. Allo stesso tempo, mettiamoci anche in mezzo quel milione di gruppi slam e affini che copiano malamente Dying Fetus o Skinless e il gioco è fatto: i gruppi che seguo, ormai, al di là dei gruppi ‘storici’, si contano veramente sulle dita della mano. Ci siamo riproposti proprio di ‘limitarci’ in un certo senso, per evitare di cadere nel filone dei gruppi tecnici, nonostante ancora veniamo paragonati da alcuni a band che con noi non c’entrano assolutamente nulla. Mi è capitato addirittura di leggere recensioni in cui si accostava ‘Sedition’ all’ultima fatica degli Spawn of Possession… due mondi completamente opposti”.

PER LA PRIMA VOLTA AVETE INCLUSO SOLO OTTO BRANI NEL DISCO, PIÙ UN INTRO. PER QUALE MOTIVO? AVETE PENSATO CHE UN LAVORO PIÙ LUNGO AVREBBE PENALIZZATO LA SUA DIGERIBILITÀ O IL RESTO DEL MATERIALE CHE AVEVATE PREPARATO SI DISTACCAVA STILISTICAMENTE DA QUELLO POI INCLUSO NELLA TRACKLIST UFFICIALE?
“In realtà, avevamo più di otto pezzi pronti, ma ‘Sedition’ suonava ‘completo’ con i brani che alla fine sono stati inclusi nella tracklist. Abbiamo sicuramente puntato sulla qualità piuttosto che sulla quantità: 31 minuti per un disco sparato dall’inizio alla fine comunque non sono pochi e l’ascoltatore ha sicuramente modo di ritornare sui pezzi che l’hanno colpito di più senza doversi stare a perdere su 10 o 12 tracce. Viene chiamato da alcuni ‘Replay Value’, ed è una caratteristica di quei CD che, nonostante la durata ‘breve’, sono proprio quelli che vengono riascoltati più spesso. Esempio ‘famoso’, ‘Reign In Blood’ degli Slayer: 28 minuti scarsi!”.

A GRANDI LINEE AVETE MANTENUTO IL RITMO DI UN ALBUM OGNI DUE ANNI. SCELTA CONSAPEVOLE O È SEMPLICEMENTE IL LASSO DI TEMPO A VOI PIÙ CONGENIALE PER PORTARE A TERMINE UN LAVORO SODDISFACENTE?
“No, non siamo quei gruppi che si mettono a tavolino per decidere se fare un album e quando farlo, nè abbiamo avuto nessuna pressione a riguardo dall’etichetta. Due anni per noi sono il tempo necessario per metabolizzare il disco precedente fino a quando non siamo stanchi di suonarlo e ascoltarlo e sentiamo il bisogno di avere nuove canzoni da scrivere e suonare”.

LE REGISTRAZIONI E TUTTO IL PROCESSO DI MIXAGGIO E MASTERING SONO STATI SVOLTI PRESSO I 16TH CELLAR STUDIOS DI ROMA. PER QUALE MOTIVO QUESTA VOLTA AVETE DECISO DI GIOCARE INTERAMENTE IN CASA? VI VEDETE REGISTRARE ALTROVE IN FUTURO O PROVARE QUALCOSA DI DIVERSO?
“Diciamo che anche ‘Paradogma’ al 95% è stato registrato e mixato ai 16th Cellar: avevamo lasciato solo il Mastering agli Hertz Studios, quindi tecnicamente abbiamo sempre lavorato in casa. Pensiamo che i 16th Cellar Studios non abbiano nulla da invidiare agli altri studi europei, sopratutto quando si tratta di registrare un disco di metal estremo. Lavorare con Stefano per noi è sempre un piacere: oltre alle sue qualità, è un grande conoscitore del genere e sopratutto un amico, il che influisce moltissimo sulla riuscita di un disco. No, non credo cambierei la ‘formula’!”.

GIULIO, SEIL IL COMPOSITORE UNICO DEGLI ULTIMI TRE ALBUM DELLA BAND. ORA CHE PAOLO È SALDAMENTE NELLA LINEUP, CHE SUONA LA CHITARRA E CHE, FRA LE ALTRE COSE, SI È OCCUPATO DELLA STESURA DEI TESTI DI “SEDITION”, PENSI CHE CI SARÀ MODO DI DARGLI SPAZIO ANCHE SUL FRONTE MUSICALE NEL MATERIALE FUTURO?
“Spero proprio di sì, Paolo è un ottimo chitarrista e sopratutto un ottimo compositore. Giustamente deve dedicare il suo tempo agli Aborym, quindi staremo a vedere!”.

PENSI CHE CI SARÀ MAI SPAZIO PER UNA COLLABORAZIONE O UN OSPITE ESTERNO SU UN BRANO DEGLI HOUR OF PENANCE? CON CHI TI PIACEREBBE UNIRE LE FORZE, SE DOVESSI FARE UN NOME?
“In realtà non ci ho mai pensato! Mi piacerebbe avere un assolo di Erik Rutan, il suo stile mi piace tantissimo”.

MAN MANO CHE CREATE NUOVA MUSICA, VI SENTITE PIÙ O MENO INTERESSATI A CERCARE ED ASCOLTARE ALTRI/NUOVI GRUPPI? AVETE ANCORA LA “FAME” DI UN TEMPO?
“Come dicevo prima, gruppi storici a parte, è difficile per me trovare un gruppo tra le nuove leve che mi piaccia. Insomma, la fame c’è sempre, il problema è quello che ti propongono da mangiare etichette e compagnia bella. Spesso le etichette più piccole tirano fuori quello che c’è di meglio sulla piazza al momento”.

ULTIMAMENTE A QUALE PERIODO O STILE MUSICALE VI SENTITE PIÙ ATTRATTI A LIVELLO DI ASCOLTI?
“Assolutamente ‘vecchia scuola’. Anche se non amo la divisione ‘nuova’/’vecchia’ scuola, il periodo fine anni 90′ è quello sicuramente che ci rispecchia di più. Con questo chiaramente non voglio escludere le ottime uscite discografiche death metal di oggi: ce ne sono alcune degne di nota, come l’ultimo Dim Mak, ad esempio, disco sottovalutatissimo”.

PENSI CHE UN GENERE DI MUSICA “POP, MA NON POPOLARE” COME IL METAL POSSA ESSERE CONSIDERATO ARTE? CHE COSA DISTINGUE L’ARTE DALL’INTRATTENIMENTO?
“Non parlo perchè sono di parte, ma penso che il metal, e sopratutto il metal estremo, oggi vanti musicisti formidabili che fanno non solo di questa musica una passione – o per i più fortunati un lavoro – ma anche uno stile di vita. Penso che chiamare metal arte sia più che giusto, considerando che si tratta sempre di musica, suonata come dicevo a livelli tecnici molto alti (e non parlo solo di death metal chiaramente). Che poi sia apprezzata o meno e che purtroppo non riceva la giusta esposizione e attenzione da parte del pubblico è un altro discorso. In realtà, poi dipende anche dal contesto in cui questa musica viene suonata: chiaramente l’attenzione che riceve questa musica in Italia non può essere neanche lontanamente paragonata a un contesto come quello americano, ma non credo di aver detto una ‘novità’. In ogni caso, l’arte e l’intrattenimento a volte vanno di pari passo, basta prendere come esempio gruppi come i Behemoth, che ormai non si preoccupano solo di salire sul palco e suonare, ma di creare un vero e proprio spettacolo”.

COME DICEVAMO, GLI STATI UNITI HANNO AVUTO LA LORO PRIMA DOSE DI HOUR OF PENANCE. PENSATE DI TORNARE DA QUELLE PARTI NEL PROSSIMO FUTURO? A QUANDO INVECE IL PROSSIMO TOUR EUROPEO? QUALI SONO I VOSTRI PIANI SUL FRONTE LIVE PER IL 2012 E PER LA PROMOZIONE DI “SEDITION”?
“Contiamo di tornare negli Stati Uniti il prima possibile, stiamo vagliando alcune possibilità proprio in questi giorni. Per quanto riguarda l’Europa, si avvicina l’Hellfest in Francia, che non penso abbia bisogno di presentazioni. Nei primi di luglio invece seguiremo l’Extreme Fest in Svizzera, Austria e Germania con Cannibal Corpse, Exodus, Marduk, Destroyer 666 e molte altre band: sarà un vero delirio. A settembre siamo di nuovo in Svizzera per il Carnage Fest con alcune band italiane come Blasphemer e Onirik e stiamo vedendo anche per un tour qui in Europa. Sarà un 2012-2013 molto impegnato… se tutto non finirà il 20 dicembre 2012”.

GRAZIE MILLE! LE ULTIME PAROLE FAMOSE?
“Grazie a voi, come al solito, per lo spazio concessoci e grazie ai vostri lettori! Support death metal! Alla prossima!”.

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