Alla voce ‘garanzie della scena death metal’, troviamo praticamente da sempre il nome degli Hour of Penance, da poco riaffacciatisi sul mercato con il nono tassello di una discografia a dir poco solida e appagante.
Certo, per qualcuno i tempi di opere come “The Vile Conception”, “Paradogma” e “Sedition” sono e resteranno irraggiungibili in termini di freschezza, hype e potenza, ma ciò non toglie che, anche nel 2024, la band capitolina sia annoverabile fra le realtà più autorevoli del settore, con tutte le attenzioni del caso da parte del pubblico e della critica.
Attenzioni che, nel caso specifico di “Devotion”, si sono prima concentrate sulla copertina realizzata dall’IA, generando una lunghissima diatriba social, per poi spostarsi (fortunatamente) su ciò che in qualsiasi disco conta davvero, ossia la musica, il cui livello di ispirazione si è rivelato più che all’altezza del passato artistico del quartetto.
Raggiunti via mail qualche settimana fa, ecco cosa ci hanno raccontato Paolo Pieri (voce/chitarra) e Giulio Moschini (chitarra) sul contenuto e sui retroscena della loro nuova creatura edita da Agonia Records…
RAGGIUNGERE QUOTA NOVE FULL-LENGTH IN CARRIERA È SICURAMENTE UN TRAGUARDO IMPORTANTE, SPECIE A FRONTE DEI SACRIFICI, DELL’IMPEGNO E DELLE DIFFICOLTÀ CHE ACCOMPAGNANO L’ATTIVITÀ DI UNA BAND. ALLA FINE, NON È TROPPO DIVERSO DAL MANTENERE IN PIEDI – CON SUCCESSO – UNA RELAZIONE. COME CI SI SENTE, ARRIVATI A QUESTO PUNTO? QUALE PENSATE SIA IL SEGRETO DEL VOSTRO SUCCESSO?
Paolo: – Sicuramente, la testardaggine nel voler andare avanti a ogni costo di fronte a qualsiasi difficoltà, e il bisogno che ancora oggi sentiamo di scrivere musica per sfogare un po’ di quella negatività che, come ogni altra persona, accumuliamo per i più svariati motivi.
Quando vivi la musica come un’ambizione per raggiungere un traguardo economico o di popolarità, stai trasformando quello che fai da bisogno espressivo a prodotto, e questo è il circolo vizioso in cui cadono tanti gruppi che spesso non sopravvivono alle difficoltà di un genere di nicchia nel quale i trend cambiano sempre più velocemente. Noi non sentiamo pressioni di questo tipo, andiamo avanti solo per il piacere di farlo e credo che questo ci dia una certa serenità nell’affrontare questo percorso.
RICOLLEGANDOMI A QUANTO APPENA SCRITTO, IMMAGINO ABBIATE CHIARISSIMI IN MENTE GLI STANDARD CHE UN DISCO DEGLI HOUR OF PENANCE DOVREBBE SEMPRE RAGGIUNGERE. QUESTA CONSAPEVOLEZZA È PIÙ UN FRENO O UNO STIMOLO ALLA COMPOSIZIONE DI NUOVA MUSICA? QUALCUNO POTREBBE ANCHE DEFINIRLO IL PESO DELLA CORONA, VISTA LA FAMA DI ALCUNE VOSTRE OPERE PASSATE…
Paolo: – Questo penso sia un po’ un problema comune a tutti quei musicisti che hanno una discreta discografia alle spalle: devi comunque confrontarti con quello che hai fatto in precedenza e cercare di aggiungere quel qualcosa in più che fa la differenza. Il che non vuol dire riuscirci, ma partire sempre con l’intenzione e la voglia di fare meglio.
Ci sono dischi di cui sono soddisfatto al 99% e altri a cui trovo più difetti, fa parte del gioco. In generale, penso comunque che abbiamo mantenuto uno standard qualitativo abbastanza stabile nel corso degli anni, motivo per cui siamo ormai arrivati al nono album con una fanbase che non si è mai sentita tradita.
VENENDO A “DEVOTION”, TROVO SIA UN LAVORO MEDIAMENTE PIÙ TECNICO E FRENETICO DI “MISOTHEISM”, PUR PRESERVANDONE ALCUNE CARATTERISTICHE A LIVELLO DI RESA SONORA E DERIVE BLACK METAL. A TRATTI, MI HA RICORDATO L’APPROCCIO DI “THE VILE CONCEPTION”…
Giulio: – Guarda, il nostro approccio è il non approcciarsi (perdona la supercazzola): questo soltanto per dire che, quando cominciamo a comporre, lo facciamo senza seguire binari imposti a priori.
Credo che “Devotion” suoni più diretto e ‘violento’, se vogliamo, rispetto a “Misotheism”. Sicuramente, visti gli ultimi anni in cui siamo stati bene o male tutti costretti a casa, c’era voglia di tornare a suonare e far volare un po’ di schiaffi a destra e sinistra. Lo trovo un disco ‘onesto’, passami il termine. C’è poi chi magari lo considererà ‘un altro disco degli Hour of Penance’ e chi invece se lo godrà senza mettersi troppo a comparare la nostra musica con quella del gruppo X o Y.
Ad oggi, comunque, credo ci sia tanto di costruito nel metal estremo: da una parte, il revival delle sonorità anni 90 (che per carità, ben vengano, ma per chi ha una certa età, tipo il sottoscritto, è tutto già visto e sentito, purtroppo); dall’altra, tante forzature a livello di composizioni per abbracciare quello tira di più, dal black metal dissonante al doom.
A me questa roba ha già stancato, e immagino anche a voi, dato che vi arriveranno decine di dischi settimanalmente. Molte – TROPPE – release, ma veramente poco di memorabile e in grado di contribuire a qualcosa. Tutto questo per dire che “Devotion” è il disco che vorremmo ascoltare se ci mettessimo dalla parte dell’ascoltatore e non del compositore, e se c’è una cosa che teniamo a mente quando ci mettiamo a comporre è proprio questo: scrivere qualcosa che rispecchi i nostri gusti musicali.
IL DISCO VEDE L’ESORDIO ALLA BATTERIA DI GIACOMO TORTI, GIÀ ALL’OPERA NEI BLOODTRUTH. SENZA MALIGNITÀ, SI PUÒ DIRE CHE (FINORA) ABBIATE FATICATO A TROVARE UNA QUADRA DEFINITIVA PER IL RUOLO. AD OGNI MODO, QUALI NUOVI INPUT PENSATE ABBIA DATO ALLA MUSICA DEGLI HOUR OF PENANCE?
Giulio: – In realtà, tutti i batteristi che abbiamo avuto finora sono stati musicisti di alto livello, ma, per vicissitudine varie, si sono tutti autoeliminati. Credo che l’input di Giacomo lo si possa sentire già dalla prima traccia, come hai notato anche tu, con un drumming sicuramente più ‘frenetico’ rispetto al passato, molti cambi, molte rullate, accenti sui piatti nei punti giusti.
Gli ho detto più volte “ti sei voluto complicare la vita da solo”. Ha estremizzato alcune parti che avevo pensato e scritto con la batteria elettronica, già abbastanza disumane. Diciamo che ha trovato soluzioni che giusto un batterista con la sua esperienza poteva scrivere e suonare.
DA UN PUNTO DI VISTA LIRICO, IL CONCEPT MI SEMBRA ABBASTANZA CHIARO ED ESPLICITO. GLI AVVENIMENTI GEOPOLITICI DEGLI ULTIMI ANNI HANNO AVUTO LA LORO PARTE O I TESTI ERANO GIÀ PRONTI DA PRIMA?
Paolo: – La maggior parte dei testi sono stati scritti in precedenza. Diciamo che l’aria che si respirava non faceva ben sperare, e purtroppo siamo finiti in questa situazione, a far finta di non essere in guerra e sotto un governo di estrema destra.
Se da un lato è avvilente e preoccupante, dall’altro questi periodi di guerra, instabilità ed autoritarismo spesso portano a cambiamenti politici e sociali potenzialmente positivi sul lungo termine. Il problema è la violenza intrinseca di questi cambiamenti. Vorrei essere più ottimista e spero di sbagliarmi, ma credo che il futuro a medio termine sia piuttosto cupo sotto questo punto di vista.
FIN DALLA SUA PRIMA COMPARSA ONLINE, L’ARTWORK DI “DEVOTION” È STATO AL CENTRO DI UN VERO E PROPRIO URAGANO DI COMMENTI DA PARTE DELLA COMUNITÀ METAL. ADESSO CHE IL DISCO È STATO PUBBLICATO E CHE LE ACQUE INTORNO AL VOSTRO NOME SI SONO IN QUALCHE MODO CALMATE – SENZA NECESSARIAMENTE RIPETERE I CONCETTI DELL’INTERVISTA A METAL1 – CHE TIPOLOGIA DI RIFLESSIONI AVETE FATTO AL RIGUARDO? DAL CANTO MIO, LANCIO UNO SPUNTO: NON SONO FORSE GRANDI I CAMBIAMENTI – PIÙ CHE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE IN SENSO STRETTO – A SPAVENTARE L’ESSERE UMANO?
Paolo: – C’è una normalissima paura del cambiamento, che è anche ben giustificata e comprensibile in questo caso. Il problema dell’Intelligenza Artificiale è l’uomo stesso, nel senso che è la gestione e il controllo dell’IA che dovrebbero far paura, non l’IA in sé.
Intanto, è bene mettere in chiaro che quello che è pubblicamente utilizzabile finora non è che un granello di sabbia di quello che un’IA e i LLM (Large Language Model, ndR) sono in grado di fare già oggi, e non parlo di artwork metal, che alla fine mi sembrano un problema insignificante nell’ordine delle cose.
Gli stati e i governi non hanno praticamente nessun controllo sulle compagnie private, su come utilizzano i dati e in quale direzione sviluppano l’IA, che di fatto viene resa un ulteriore strumento del capitale per generare profitto e raccogliere informazioni personali, anche sensibili, nelle mani di una ristrettissima minoranza.
Già oggi tanti lavori potrebbero essere automatizzati senza grandi difficoltà. Il punto è chi ha il controllo di un mezzo dal potenziale enorme e quali sono gli scopi per cui lo usa. Lo stesso mezzo, ad esempio, potrebbe essere usato per ridurre l’orario lavorativo senza impattare sugli stipendi, o addirittura aumentarli in virtù della maggiore efficienza e dei minori costi. Questo richiederebbe uno stato che si comporti come tale, cioè che tuteli prima di tutto i più deboli e i più svantaggiati. Starebbe a noi cittadini pretendere che lo stato esista per la collettività, e quando ciò non accade comportarci di conseguenza.
Dare la colpa all’IA è solo l’ennesima dimostrazione di come le persone sono diventate incapaci di analizzare i problemi, confondendo causa ed effetto. L’IA, se usata per il bene della collettività, sarebbe davvero uno strumento rivoluzionario, ma è l’avidità di pochi individui che rende uno strumento, di per sé neutro, estremamente pericoloso. Tornando a cose più terra terra, l’aspetto che più mi fa ridere è che questi ultraortodossi del vero metal, con i loro slogan ‘NO AI’, usino per le loro battaglie contro i mulini a vento quelle stesse piattaforme (Google, Facebook o X) che fanno data-scraping dei loro commenti, delle loro conversazioni pubblico-private e dei loro dati per il training di quelle stesse IA che poi gli suggeriscono cosa guardare e cosa pensare. Non mi pare proprio il massimo della coerenza.
E ripeto, non è colpa né delle multinazionali, né dell’IA, ma dei governi che non sono in grado di legiferare a tutela dei cittadini, limitando quello che le multinazionali possono o non possono fare. Finché non si comprende questo punto e si ragiona con un luddismo da bar che incolpa l’IA o il suo utilizzo, la situazione non potrà che peggiorare.
Giulio: – La paura si nutre di ignoranza. Purtroppo, si tratta di una tecnologia molto difficile da capire, anche per i più nerd come noi. Qui poi entrano in gioco algoritmi, formule matematiche molto complesse, etica e non ultimo, anche se tutti ovviamente sono arrivati in ritardo, un minimo di conoscenza di policy e legislazione in merito a copyright e diritto d’autore. Si può parlare di una materia così complicata su dei social network? Purtroppo, abbiamo cercato di intavolare con qualcuno una discussione anche andando sul lato ‘tecnico’ delle cose, ma per lo più è stato come confrontarsi con dei terrapiattisti.
D’altronde, i social network fanno proprio questo, diventando una camera di risonanza per fake news: molti utenti si conformano ai commenti che ritengono più in linea con l’impressione superficiale che hanno sul tema, e si finisce per perdere addirittura l’autorevolezza di chi le cose le conosce per competenze acquisite. L’algoritmo poi (lo abbiamo scoperto a nostre spese) condivide questo tipo di discussioni animate, buttando benzina sul fuoco e generando intolleranza verso le opinioni opposte a quelle della massa. Una webzine abbastanza nota (anche se per me sono giornalai, più che giornalisti) sa bene come funzionano queste cose e non ha aspettato un attimo per condividere spezzoni dell’intervista che abbiamo fatto su Metal1, cucinando ad arte un articolo che avrebbe generato click sulle loro pagine piene zeppe di advertising.
Secondo voi, in quanti hanno aperto l’intervista di Metal1 e l’hanno letta? Ve lo dico io (mi sono fatto mandare i dati): nemmeno 300 persone, e di queste bisogna poi capire in quanti l’abbiano letta e compresa. Tutto il resto è gente che ha letto un titolo e commentato su Facebook, tra l’altro non avendo neanche mai sentito una nota degli Hour of Penance. Alla fine, abbiamo smesso di rispondere, da tutta questa discussione è scaturita una guerra tra poveri, passatemi il termine. Sinceramente, mai ci saremmo sognati di metterci contro chi mangia ‘con l’arte’.
NEL 2022, SIETE STATI INVITATI A PRENDERE PARTE ALL’HELLFEST: COSA RICORDATE DI QUELL’ESPERIENZA? PARLIAMO DI UN ALTRO GROSSO RICONOSCIMENTO PER UNA BAND PRETTAMENTE UNDERGROUND COME LA VOSTRA…
Paolo: – In realtà, è stata la seconda volta che abbiamo partecipato all’Hellfest, la prima se non ricordo male è stata nel 2012, dopo l’uscita di “Sedition”. In entrambi i casi, comunque, è stata un’esperienza veramente ottima; al di là della soddisfazione per il riconoscimento del nostro lavoro, è stato un piacere prendervi parte per il grande livello di professionalità ed organizzazione del festival, che ti permettono di concentrarti al massimo sullo show. Da buoni italiani, devo dire che la nostra parte preferita (dopo il concerto) è stata probabilmente il buffet.
QUANDO SI PARLA DI INFLUENZE CHE VI HANNO AIUTATO A DEFINIRE IL VOSTRO STILE, È FACILE FINIRE A PARLARE DEI SOLITI NOMI: CANNIBAL CORPSE, DEICIDE, MORBID ANGEL, SUFFOCATION E VIA DISCORRENDO. PER QUESTO MOTIVO OGGI VI CHIEDIAMO: C’È QUALCHE BAND O ARTISTA ‘INSOSPETTABILE’ DA CUI VI SENTITE ISPIRATI?
Paolo: – Quando siamo in viaggio in furgone, gli altri della band temono sempre la presenza della mia chiavetta USB. Mi piace molto Battiato e il cantautorato italiano come Sergio Endrigo o Giuni Russo, ma anche cose più recenti come Max Gazzè. Poi tutto il mondo della musica classica (Mahler, Shostakovic, Bruckner, Tchaikovsky, Mussorgsky) e il pop più becero come Britney Spears e Katy Perry.
VOLENDO FARE UN BILANCIO, QUAL È STATA LA MASSIMA SODDISFAZIONE, E QUALE INVECE LA PEGGIOR DELUSIONE, DA QUANDO AVETE AVVIATO LA BAND?
Paolo – Personalmente, la cosa che più mi ha fatto piacere è stata quando Max Cavalera ci ha citato tra i suoi gruppi preferiti in diverse interviste, chiedendoci di acquistare una maglietta (che ovviamente gli abbiamo regalato). Ho conservato la foto di Max che indossa quella maglietta insieme a Rob Halford, ed è stata una grande soddisfazione, visto che sono cresciuto con la sua musica.
Grandi delusioni non ne vedo sinceramente, mi demoralizza un po’ la mercificazione che sta avendo il metal negli ultimi anni. Vedere band che si focalizzano più sul social media management e sul social media marketing, piuttosto che sulla musica e i contenuti, mi sembra un chiaro segno dei tempi.
QUAL È L’ULTIMO DISCO DEATH METAL CHE VI HA DAVVERO IMPRESSIONATO?
Giulio: – Proprio in questi giorni sto ascoltando a ripetizione il nuovo singolo degli Wormed, una band che ho avuto il piacere di vedere live più volte, la prima ad un festival in Germania nel 2005. Rimasi folgorato, dato che poche band riescono ad essere meglio dal vivo che su disco. Per il resto, quando compongo cerco di ascoltare ‘altro’. L’ultimo di Ihsahn lo ascolto regolarmente da quando è uscito.