HOUR OF PENANCE – La legge è dura, ma è legge

Pubblicato il 08/12/2019 da

Giunti all’invidiabile traguardo dell’ottavo full-length, gli Hour of Penance si confermano una delle punte di diamante della scena death metal europea e mondiale. Una formazione che, nel momento in cui decide di ritirarsi a comporre un nuovo disco, è veramente difficile sbagli qualcosa a livello di ispirazione e cura per i dettagli, riuscendo sempre a trovare la giusta quadra tra ferocia, orecchiabilità e tradizione. Ne è la riprova “Misotheism”, album particolarmente tenebroso e frastagliato che va a ricollegarsi alle atmosfere del pluri-acclamato “Sedition” e che ci riconsegna i Nostri in uno stato di forma e cattiveria impressionante. Abbiamo approfondito l’argomento con il cantante/chitarrista Paolo Pieri…

INSIEME A “SEDITION”, CREDO CHE QUESTO SIA L’ALBUM PIÙ OLD SCHOOL DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA. VI SIETE MOSSI DELIBERATAMENTE IN QUESTA DIREZIONE O È STATO NATURALE RECUPERARE CERTE ISTANZE?
– Se devo essere sincero non lo reputo un album molto old school, almeno non nel senso classico del termine. C’è parecchia contaminazione con le varie sfaccettature del metal estremo, insieme a metriche vocali distanti da quel mondo ‘ruvido’ ispirato ai primi anni ’90 che forse su “Cast the First Stone” era più presente. Probabilmente a livello di atmosfere c’è una vicinanza tra “Sedition” e il mood di “Misotheism”, visto che sono entrambi lavori molto cupi e aggressivi. Scriverlo è stato molto naturale. A mio avviso, non è un genere che si presta ad una preventiva pianificazione del sound. Anzi, in molti casi è controproducente come modus operandi.

“MISOTHEISM” PRESENTA DEGLI INFLUSSI BLACK METAL MOLTO MARCATI. AVEVATE GIÀ SPERIMENTATO CERTE SOLUZIONI IN PASSATO (PENSO AD ESEMPIO ALLA VECCHIA “THE CANNIBAL GODS”), MA IL NUOVO DISCO LE PONE SU UN ALTRO LIVELLO…
– Sì, effettivamente ci sono molte più soluzioni black metal rispetto al passato. Credo che aggiungano quella varietà e quelle atmosfere che fanno di “Misotheism” un album più vario e cupo. Però, come ti dicevo prima, non è stato qualcosa di pianificato, e inizialmente non avevamo nemmeno notato questo aspetto. È qualcosa di cui ci siamo resi conto durante songwriting, e che la produzione degli Hertz Studio ha messo in risalto.

ERA DAI TEMPI DI “THE VILE CONCEPTION”/“PARADOGMA” CHE LA VOSTRA LINE-UP NON RIMANEVA STABILE PER DUE DISCHI CONSECUTIVI. CREDETE CHE QUESTO FATTO ABBIA INFLUITO SULLO SPIRITO E SUL CONTENUTO DI “MISOTHEISM”?
– Direi di no. Al di là dei cambiamenti di line-up, il nostro metodo di lavoro durante il songwriting non è cambiato nel corso degli anni. Sicuramente, avere accanto delle persone con cui hai raggiunto un buon affiatamento è molto importante in sede live, dove hai bisogno di conoscere il modo di suonare dei tuoi compagni sul palco. Sotto questo punto di vista, il fatto di avere da ormai quattro anni la stessa formazione ci facilita di molto le cose.

COME DI CONSUETO, I TESTI SEMBRANO ABBRACCIARE UN CONCEPT ANTIRELIGIOSO E ANTICLERICALE. SU QUALI ASPETTI VI SIETE CONCENTRATI QUESTA VOLTA?
– In realtà il titolo si riferisce ad un dio che non è specificatamente quello cristiano. Piuttosto, il punto focale dei testi è l’adorazione della ricchezza come forma moderna di monoteismo. Dall’avidità dell’uomo scaturiscono poi tutte le forme di ingiustizia, manipolazione e corruzione, e la stessa religione è solo un mezzo attraverso il quale ottenere potere e denaro. Negli ultimi anni stiamo assistendo alla concentrazione di capitale nelle mani di una piccola minoranza di persone che riesce ad influenzare le scelte degli stati a discapito dei cittadini comuni, i quali continuano ad impoverirsi per via della mancanza di politiche di redistribuzione. In un certo senso, i testi hanno più una valenza politica che strettamente antireligiosa, il tutto ovviamente narrato in forma metaforica ma che comunque, leggendo tra le righe, rimanda a problemi attuali, dalla criminalità organizzata alla corruzione del potere.

DOPO TRE ALBUM SU PROSTHETIC, SIETE ENTRATI NEL ROSTER DELLA POLACCA AGONIA, FRA LE ETICHETTE UNDERGROUND PIÙ IN CRESCITA DEGLI ULTIMI ANNI. COME AVETE MATURATO QUESTA DECISIONE?
– Avevo già lavorato con Agonia ai tempi di Malfeitor ed Aborym ed hanno sempre fatto un grande lavoro di promozione, nonché dimostrato una grande professionalità e attenzione alla qualità del proprio roster. Ci hanno finalmente dato l’opportunità di stampare edizioni limitate come il box-set, decidendo sempre di comune accordo cosa realizzare e rimanendo costantemente in contatto durante il processo di organizzazione, tutte cose che in passato sono mancate e che oggi fanno la differenza.

ANCHE PER LA PRODUZIONE SIETE VOLATI IN POLONIA, AFFIDANDOVI AGLI HERTZ STUDIO PER IL MIXING E IL MASTERING DEL DISCO. COSA POTETE DIRCI DI QUESTA ESPERIENZA? È LA PRIMA VOLTA CHE IL PROCESSO SI SVOLGE AL DI FUORI DELL’ITALIA…
– Sentivamo la necessità di fare un salto qualitativo nel sound di “Misotheism”, in grado di tirare fuori le giuste atmosfere e dare al disco quel quid in più che durante l’ascolto. Wojtek e Sławek sono dei veri professionisti e hanno dei gusti in termini di sound perfetti per quello che volevamo ottenere. È stata un’esperienza davvero stimolante, che ci ha aiutato a crescere anche come musicisti. Penso che il risultato finale ripaghi gli sforzi fatti.

DOPO OTTO FULL-LENGTH, QUALI SONO I VOSTRI INPUT E STIMOLI AL MOMENTO DI SCRIVERE NUOVA MUSICA? QUANTO È DIFFICILE CREARE NUOVI RIFF IN UN GENERE CHE HA GIÀ DATO (E DETTO) TANTO?
– Credo che la parte più importante sia la motivazione e il bisogno di tradurre in musica un certo tipo di emozioni. Non è un genere in cui puoi fingere, perché l’ascoltatore percepisce quando dietro ad un disco c’è manierismo piuttosto che un bisogno autentico di comunicare qualcosa. Ovviamente è un genere in cui è stato detto quasi tutto, che ha migliaia di band attive, quindi l’obiettivo non è produrre qualcosa di innovativo o d’avanguardia, ma comporre un disco mosso dalle giuste esigenze e motivazioni.

L’ESSERE PARTE DI UN GRUPPO COME GLI HOUR OF PENANCE HA IN QUALCHE MODO INFLUENZATO LA VOSTRA VITA O LA VOSTRA PERSONALITÀ?
– Sicuramente lo ha fatto, nel senso che raggiungere quegli obiettivi che magari da ragazzo sognavi è qualcosa che nella vita fa la differenza, ma è più una cosa a livello personale. Nella quotidianità abbiamo tutti una vita normale, suoniamo comunque un genere che non ti porta alla fama mediatica, quindi sotto questo punto di vista non ci ha influenzato o condizionato.

ESISTE UN BRANO DEL VOSTRO REPERTORIO CHE VI STA PARTICOLARMENTE A CUORE?
– Probabilmente un pezzo come “Misconception” sarà sempre imprescindibile nelle nostre scalette; è la canzone con cui nel 2008 la band ha fatto il salto di qualità ed è diventata conosciuta al pubblico. Tuttora la mettiamo sempre a fine concerto. È una delle canzoni che il pubblico conosce meglio, nonostante sia probabilmente il pezzo più tecnico dello show.

QUALCHE GIORNO FA MI È CAPITATO DI RISFOGLIARE IL BOOKLET DI “PARADOGMA”, IMBATTENDOMI NUOVAMENTE NEL PASSAGGIO “DEATH METAL IS NOT A TREND, A FASHION PARADE OR A MEANS TO AN END. IT IS MUCH MORE THAN THAT. IT IS A WAY OF LIFE. A LIFE IN DEATH”. È UN CONCETTO CHE HO SEMPRE TROVATO MOLTO SIGNIFICATIVO. PER VOI È ANCORA COSÌ? CREDETE CHE – IN GENERALE – I VALORI DI QUESTO GENERE STIANO CAMBIANDO?
– Allora, non vorrei mettermi a parlare di valori in relazione alla musica, in quanto li reputo più significativi di un qualcosa associabile al death metal o a qualsiasi altro genere. Parlerei piuttosto di attitudine, in quanto è una cosa più strettamente legata all’emotività che sta dietro a certe composizioni e che differenzia chi imita qualcosa da chi fa qualcosa per esigenza espressiva. Ci sono dischi che quando li senti, al di là della tecnica, del suono e quant’altro, ti comunicano qualcosa di più, che va oltre musica. Credo sia quella cosa a trasmettere delle sensazioni autentiche all’ascoltatore.

SE POTESTE TORNARE INDIETRO NEL TEMPO, CON CHI E QUANDO VORRESTE SALIRE SUL PALCO?
– Credo che un concerto assieme ai Death sarebbe la cosa che più mi sarebbe piaciuto poter fare. È il gruppo con il quale praticamente ho imparato a suonare questo genere, e che anche a livello di testi e argomenti sento più vicino. Schuldiner scriveva in maniera davvero differente da tutti gli altri gruppi e affrontava tematiche molto più mature e significative rispetto ai cliché del genere.

È DA QUALCHE ANNO ORMAI CHE NON VI IMBARCATE IN TOUR MASSIVI SULLA SCIA DI QUELLI CON CANNIBAL CORPSE E NILE. IMMAGINO SI TRATTI DI UNA SCELTA PRECISA, PIUTTOSTO CHE DI UN’EFFETTIVA MANCANZA DI PROPOSTE. AVETE INTENZIONE DI ADOTTARE QUESTO MODUS OPERANDI ANCHE PER LA PROMOZIONE DI “MISOTHEISM”?
– In parte è dovuto ad esigenze lavorative, nel senso che dovevamo scegliere se dedicarci al 100% alla musica e tralasciare tutto il resto, oppure trovare un compromesso per coniugare le due cose. Vivere con questo genere significa stare per almeno 4/5 mesi all’anno in tour, e non era qualcosa che volevamo fare per non perdere la passione verso questo gruppo. Per il momento abbiamo un tour con i Destroyer 666 in partenza il 3 novembre (l’intervista risale allo scorso ottobre, ndR), e il mese successivo un mini-tour inglese da headliner, più vari festival tra cui il Meh Suff in Svizzera insieme ai Dismember. Cerchiamo comunque di darci da fare.

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